V.
Note d'autrice: nuovo mercoledì, nuovo capitolo. Finalmente si entra nel vivo di questa non-relazione. Spero siate curiosi!
Buona lettura ❤
V.
Il mattino seminò una luce bucherellata nel salone attraverso le persiane abbassate. Matilde si svegliò di colpo come se si fosse appena ricordata di una cosa importante e il sonno fosse stato tutto un lungo rimuginare.
Era semidistesa sul divano. Le si era addormentata una gamba.
Ignorando il formicolio, prese il telefono che aveva appoggiato sul tavolino basso di fronte, accanto alle bottiglie di birra vuote, e guardò l'orario: le nove e trentacinque. Non avevano dormito molto.
Si voltò verso Yousef, poco lontano da lei. Se ne stava con le braccia incrociate e la testa coricata su una spalla, la fronte un po' corrugata, le labbra tese. Il divano era largo e durante la notte non si erano nemmeno sfiorati. Matilde non sapeva quando avrebbe dovuto svegliarlo.
Simba si era spostato in un'altra stanza. Il televisore era andato in stand-by. Non ricordava nemmeno cosa avessero visto di preciso.
Andò in bagno, si sciacquò la faccia. Decise di fare il caffè per entrambi.
Sarebbe stata una lunga domenica di studio, per lei. Era meglio che riprendesse le forze il prima possibile. Le pagine di diritto penale non si sarebbero lette e sottolineate da sole. Di solito, infatti, non si esimeva dallo studio nemmeno dopo le serate in discoteca.
Camminò a piedi nudi fino in cucina, preparò un caffè abbastanza forte, tra uno sbadiglio e l'altro, e si ricordò che in dispensa aveva dei biscotti al miele. Mise due tazzine e un piattino di biscotti tondi e dorati su un vassoio, riempì le tazzine.
Quando tornò in salone sperò di trovare Yousef già sveglio, per non dover essere lei a chiamarlo. Invece dormiva ancora, anzi, adesso il suo busto era scivolato di lato.
Matilde poggiò il vassoio con il caffè fumante sul tavolino e prese coraggio.
Non essere stupida, devi solo picchiettargli una spalla.
In realtà aveva paura di cosa si sarebbero detti.
Dovevano sugellare il loro accordo, in qualche modo. Quella finzione avrebbe avuto un che di definitivo, di vincolante.
Tuttavia, era certa di essere pronta.
La reazione di Francesco era stata estremamente gratificante. Le aveva procurato un tipo di gioia che non aveva mai provato prima. Era simile al sentimento che appaga i bambini subito dopo aver fatto un dispetto a qualcuno, simile a un "ben ti sta", ma mille volte più amplificato, anche di più il giorno dopo, e più adulto. Non trovava infantile ciò che aveva fatto. Aveva il diritto di essere dispettosa. Di fargliela pagare e di rendergli la vita difficile.
Lo voleva disperatamente, perché solo quello, adesso, avrebbe saputo dare un senso al vuoto che si portava dentro, o forse avrebbe riempito il vuoto con qualcos'altro.
Si piegò in avanti e scosse la spalla muscolosa di Yousef. «Yousef, ehi» lo chiamò, con un tono più morbido di quanto avrebbe voluto.
Lui sobbalzò e poi prese a sbattere le palpebre. «Oddio, che è successo?»
«Niente, ci siamo addormentati» rispose. «Meno male che non avevamo sonno...»
«Già» si sforzò lui di sorridere. Si passò una mano sul volto, prima di aggiungere: «Abbiamo dormito insieme come una vera coppia, allora.»
Matilde si domandò dove trovasse la voglia di fare dell'ironia di primo mattino. Non ribattè.
Beh, a dire il vero ha ragione.
«Che ore sono?»
«Quasi le dieci. Ho fatto il caffè.»
Yousef si allungò verso il tavolino e prese una delle due tazzine. Le rivolse un sorriso grato. Strizzava ancora le palpebre per il sonno, per abituarsi alla luce, mentre beveva il caffè.
Matilde si sedette accanto a lui con la propria tazzina. Decise di iniziare il discorso.
«Allora la tua proposta è davvero ancora valida?»
«Sì» rispose lui. «E mi sembra di aver capito che tu abbia accettato.»
«Più o meno. Volevo prima... volevo metterti alla prova. Volevo vedere come avrebbero reagito.»
«Sei stata molto credibile, devo dirlo.» Yousef fece una breve pausa per finire il caffè. Sembrava già più sveglio. «Comunque è stata proprio la reazione che speravo da parte loro.»
«Come ti sono sembrati?»
«Infastiditi» disse subito. «Come se gli stessimo facendo un torto personale.»
Matilde annuì. «Esatto. Non so come interpretare la cosa.»
«Non c'è bisogno di interpretare. Avranno sempre un conto in sospeso con noi, non potremo mai tornare ad avere un rapporto normale. Ci dovrebbe bastare sapere che gli diamo fastidio, quando facciamo determinate cose. Molto meglio che suscitare indifferenza o pietà. No?»
Lei sapeva che non c'erano certezze in ciò che stavano pianificando. Avrebbero finto di stare insieme solo per la pura, meravigliosa soddisfazione di fare un torto a Francesco e Clarissa. Era una prospettiva che la elettrizzava.
«Va bene. Accetto.»
Le labbra di Yousef si allargarono in un altro sorriso, scoprendo i denti bianchissimi. «Bene. Mi fa piacere che tu ci abbia riflettuto.»
«Però dovremmo stabilire... non so, delle regole» replicò, giocherellando con una ciocca di capelli.
«Di che tipo?»
«Ad esempio, quanto tempo durerà?»
Yousef si grattò una guancia ricoperta dalla ricrescita della barba. «Non c'è una scadenza. Quando ti sarai scocciata potremo interrompere senza problemi. Non dovrà essere una prigione.»
«Giusto» approvò lei. «Però direi di non mandare subito a monte le cose. Non prima di due o tre mesi. Così non sospetteranno mai che è stato tutto finto. Ho paura che a Francesco verrebbe questo pensiero se si trattasse solo di qualche volta.»
Yousef fece uno sguardo divertito, ma che nascondeva un luccichio di felicità forse visibile anche negli occhi di lei. «Tre mesi, allora. Una volta trascorsi decideremo se continuare o no.»
Perché era vero: più ne parlavano, più Matilde era felice di aver accettato. Yousef era la persona perfetta per quella collaborazione. La faceva sentire apprezzata. Dava peso alle sue opinioni e alle sue scelte. La ascoltava.
«Ok.» Pensò ad altri possibili limiti. Ne aveva bisogno, per darsi una direzione. «Ti chiedo anche di non essere troppo... melenso, quando staremo ufficialmente insieme.»
Da parte sua arrivò una risata. «Mi hai mai visto fare lo sdolcinato con Clarissa? Ho passato da un po' l'adolescenza.»
«E anche... di limitarci a quando siamo in pubblico, principalmente con i nostri amici, come ti dicevo stanotte.»
Yousef incrociò le braccia e per la prima volta lei si soffermò attentamente sui suoi tatuaggi oltre la manica della t-shirt bianca: un labirinto di serpenti, una torre di Babele che sembrava nello stile di Escher, una Santa Muerte, una varietà di foglie, fiori e spine, una parola in russo che non sapeva leggere, una rosa dei venti, una catena, tutto colorato e perfettamente amalgamato al tono della sua pelle. Il braccio destro ne era ricoperto fino al polso, il sinistro dal polso al gomito.
Lui notò che lo stava osservando, ma non fece domande. «Sì, ma ho un'obiezione» disse piuttosto. «Non devono crederlo solo i nostri amici, che stiamo insieme. Altrimenti prima o poi verrà fuori la verità. Devono crederlo tutti. Dovremmo fare ciò che fanno le coppie normali. Che ne so, andare in università insieme, mangiarci una pizza a cena, mettere qualche storia su Instagram...»
Matilde distolse lo sguardo e rimase in silenzio per qualche istante. Non ci aveva pensato. «Hai ragione.»
«Queste cose potremmo pianificarle di volta in volta, però. Se ci sono dubbi ne parliamo, fine.»
«D'accordo» si convinse lei. «Solo non... esageriamo.»
«Non ti fidi di me?» rise Yousef. «Sarò un fidanzato con i fiocchi.»
«Non è questo...» Ecco, ecco il limite che più le premeva. Doveva dirglielo. «Siamo così diversi, Yousef. Ho paura che nessuno crederà alla nostra relazione sin dal principio. Ho paura di commettere degli errori. Dovrei solo sotterrarmi se si venisse a sapere cosa stiamo facendo, avremmo la reputazione rovinata per sempre.»
«Non succederà» la rassicurò lui. «Siamo diversi, e allora? Le persone si innamorano in modi imprevedibili, a volte stupidi. A volte fanno finta di essere innamorate.»
Matilde si appoggiò con la testa sullo schienale del divano e guardò verso il soffitto. «In effetti non stiamo facendo nulla di anomalo. Fingere. Chi non finge, nella vita di tutti i giorni?»
«Esatto. Cerca solo di essere naturale, non sarà difficile. Sulla pista sei stata brava.»
«Grazie.»
«Te la chiedo io una cosa» aggiunse Yousef. «C'è qualcosa che non posso fare?»
«In che senso?»
«Fare a te. In pubblico intendo, naturalmente.»
Matilde ci pensò per qualche secondo. «No. Niente. Se dobbiamo essere naturali, sii naturale.» Dopo si alzò. «Per me non c'è altro di cui discutere. Se vuoi, adesso ci fumiamo una sigaretta.»
Erano fuori al balcone a fumare, ancora un po' assonnati e disfatti, quando sentirono la porta di casa aprirsi e chiudersi.
«Mati?» chiamò una voce femminile.
«È mia sorella» disse Matilde a Yousef con una ruga di preoccupazione sulla fronte. «Non pensavo sarebbe passata. Cosa le diciamo?»
Yousef inarcò le sopracciglia. «Dobbiamo dirle qualcosa?»
Ilenia comparve sulla soglia della cucina, camicia primaverile e borsa firmata sotto il braccio, e li individuò oltre la portafinestra. «Oi» le disse, salutandola con la mano. «Ciao» disse poi a Yousef.
Si somigliavano molto. Ilenia era una versione di Matilde un po' tarchiata, anche se di gran lunga più vispa e con il naso più bello della famiglia – a detta di tutti.
Matilde spense la sigaretta nel posacenere che aveva appoggiato sul tavolino del balcone e Yousef la imitò. Entrarono uno dietro l'altra, Matilde si fece dare un bacio sulla guancia dalla sorella.
«Tu sei...» cercò di ricordare Ilenia, ma Yousef le venne subito incontro con una stretta di mano.
«Yousef.»
«Piacere.»
Ilenia guardò Matilde con uno sguardo interrogativo, come se la volesse esortare a darle una spiegazione della sua presenza.
Matilde si sentì subito messa alle strette, come sempre. «Ha dormito qui.»
Ilenia sembrò accontentarsi di quella mezza verità, ma Matilde sapeva già che avrebbe dovuto approfondire la spiegazione, dopo, quando Yousef sarebbe andato via. Ilenia era una di quelle sorelle che pretendevano di ricevere racconti dettagliati su ogni minimo avvenimento. E solo perché erano sorelle, sì. In effetti Ilenia parlava moltissimo di sé: Matilde sapeva, via messaggio, telefonata o incontro fugace, cosa mangiava a pranzo e a cena, quando le veniva il ciclo, quando scopava con Giorgio, quando litigava con la suocera – forse era venuta qui per questo, oggi, perché aveva litigato con la signora Romano? – e anche cosa pensava di ogni singola persona che incontrava.
Matilde non le riservava lo stesso trattamento.
Non si spiegava perché tutti se ne fossero fregati di lei e poi avessero cominciato a fingere un interessamento che era solo di superficie.
Fingere. Anche i suoi familiari fingevano, ogni santo giorno. Per senso di colpa, probabilmente.
«Oggi mangio qua. Ho preso il pane» le disse Ilenia. «Cosa volevi cucinare?»
Matilde si rassegnò a una lunga giornata. Forse non sarebbe nemmeno riuscita a studiare. «Ho del sugo per la bolognese congelato. Va bene?»
«Dài sì, facciamo le tagliatelle. Yousef mangia con noi?»
Fu Yousef a rispondere direttamente: «No, in realtà me ne stavo andando.»
«Peccato!»
Ilenia si allontanò verso la sua stanza, Matilde e Yousef si trascinarono in corridoio. Matilde gli ridiede la sua giacca di jeans che aveva lasciato sull'appendiabiti.
«Allora domani possiamo andare in università insieme» le disse Yousef, senza infilare la giacca perché faceva abbastanza caldo. «Se vuoi ci incontriamo a Piazza Medaglie d'Oro e poi prendiamo la metro.»
«Domani non ho lezione. Martedì?»
«A posto.»
Yousef controllò di avere tutto in tasca: cellulare, portafogli, chiavi di casa.
Matilde sentì i passi di Ilenia venire verso di loro. Decise che avrebbe dovuto vedere. Vedere sarebbe stato più eloquente di qualsiasi spiegazione.
Si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio veloce sulle labbra. Yousef però le mantenne la nuca e le diede un bacio più lento e profondo, come se stesse aspettando da tutta la notte di poterlo rifare.
Si costruì una storia, nella mente: quella notte erano tornati dalla discoteca molto prima degli altri, per stare da soli. L'avevano fatto sul divano, appena entrati in casa, perché non riuscivano più a trattenersi. Avevano gettato i vestiti qua e là, lei si era piegata tra i cuscini e lui l'aveva presa da dietro, presa per i capelli, per i fianchi. Aveva avuto due orgasmi e alla fine l'aveva fatto venire nella sua bocca. Si erano addormentati nudi, vicini, dopo un'ultima birra. Al mattino lui si era rivestito e lei si era messa il pigiama perché non sarebbe uscita di casa per il resto della giornata, mettendo a lavare il top e i pantaloni a vita alta, preparando il caffè.
Dopo quel bacio Yousef se ne andò.
Matilde si voltò e si assicurò che Ilenia avesse assistito alla scena. Il suo sguardo incuriosito lasciava intendere che credeva già alla storia di quella notte.
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