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IX.

Note d'autrice: buon mercoledì a tutti! Spero siate curiosi dopo lo scorso capitolo. Avete teorie sul perché Clarissa e Francesco abbiano lasciato Yousef e Matilde? Fatemelo sapere nei commenti, nel caso ❤
Alla fine del capitolo c'è una chicca che ho pensato di inserire per rendere tutto un po' più realistico. È stato divertente realizzarla, lo ammetto.
Buona lettura~




IX.



Yousef uscì dal bagno e scoprì che Matilde si era alzata. Se ne stava nella sua maglietta bordeaux, con le braccia incrociate – ma senza stringere, una presa gentile su se stessa – e le gambe accavallate, seduta a tavola con Linda.

«Youz, ho fatto il caffè» gli disse la coinquilina, accennando a una tazzina piena vicina alle loro già vuote. «Poi ieri ho preso i Pan di Stelle per la colazione, stanno in dispensa se li vuoi.»

Yousef scosse la testa e si sedette accanto a Matilde. Le scostò una ciocca di capelli dalla guancia per darle un bacio. E poi un altro, accompagnato da una pernacchia, al che lei incassò di riflesso la testa nelle spalle per la sensazione di solletico.

Era strano fingere dopo quella notte.

«Buongiorno a tutte e due. Avete già provveduto alle presentazioni, no?»

«Ci siamo svegliate praticamente insieme» rispose Linda, evidenziando come sempre, con quel suo praticamente, l'accento pugliese. Il suo modo di parlare di solito la classificava come persona simpatica, insieme al viso tondo e tipicamente meridionale. «E poi lo sai come sono, non riesco a parlare con le persone senza manco sapere i loro nomi.»

Matilde contrasse la bocca in un sorriso pigro.

«E Andrea?» chiese Yousef.

«Non te l'ha detto? Aveva il treno per Pescara alle sette.»

«Ah, giusto... cazzo, me n'ero scordato. Allora glielo presento un'altra volta.»

Ci fu qualche momento di silenzio e Yousef bevve il proprio caffè.

«Comunque ora che siete presenti entrambi devo farvi i complimenti per la discrezione di stanotte» continuò Linda, che riusciva a trovare argomenti di cui parlare anche quando se ne stavano tutti zitti. Era un'abilità che aveva trasmesso un po' anche a lui, dopo quattro anni di convivenza. Ma in faccia tosta lo superava di gran lunga. «Se penso alle altre ragazze che hai portato qui... mamma mia.»

Matilde sembrò incuriosirsi. Forse aveva capito che Linda era un pozzo traboccante di informazioni che altrimenti non avrebbe ottenuto da lui. «Ah sì? Erano così terribili?»

Yousef s'intromise subito: «Grazie per lo sputtanamento non richiesto, eh.» Ma sapeva già che Linda era inarrestabile. Le piaceva troppo sparlare degli altri. E prenderlo in giro.

«Guarda, apriamo un capitolo doloroso.»

Matilde ridacchiò, e forse quella reazione non era simulata. «In che senso?»

«Credimi, ultimamente ha fatto salire delle vrenzole che... non ho parole. Non ho parole.»

«Vabbuò, se poi dobbiamo parlare dei tuoi spasimanti... certi soggettoni» commentò lui, che ormai era costretto a stare al gioco. «Chillu cuofano 'e Stefano... ja. Non sei imparziale.»

«Ah ma tu ti attacchi all'aspetto fisico! Con tutto il bene, Clarissa era pure bellina, ma...»

«Che faceva Clarissa?» chiese Matilde prontamente.

Yousef le lanciò un'occhiata.

Brava, brava, lo so che vuoi sentire parlar male di lei. Te le bevi, le parole di Linda. Come se fossi convinta di essere migliore, eppure come se ne volessi conferma dagli altri.

Linda tentennò giusto perché sapeva quanto la questione fosse ancora delicata per lui. «Gliel'hai raccontata la cosa dell'ambulanza?»

Matilde rispose per lui: «No.» Era visibilmente sulle spine per la curiosità. «Quale ambulanza?»

«Poi gliela racconto io» disse Yousef lapidariamente. «È una storia lunga.» E lo era davvero. Nemmeno Linda sapeva che era stato quell'episodio a far degenerare la loro relazione.

Quella stronzata.

Gli passò in un istante la voglia di scherzare. Così come la sera prima. Se pensava al fatto che Clarissa non gli aveva nemmeno rivolto la parola, che aveva pensato a trascinare via Francesco e basta...

Era nel suo carattere, certo. Provare ribrezzo per la violenza, per qualsiasi forma di violenza. Doveva mettere il suo ragazzo al sicuro da lui. Legittimo.

Quanto cazzo li odio.

Si ricordò di aver sognato, quella notte, che Francesco finiva investito da un pullman. C'era stato un funerale, e Clarissa non si era presentata. Una rappresentazione discretamente soddisfacente di ciò che desiderava per loro.

Linda capì di non dover esagerare. «Vabbè, comunque è una cosa assurda» concluse. «Mati', mi raccomando, tu non deludermi.»




Linda, dopo essersi lamentata un po' con loro degli esami universitari, andò a farsi una doccia. Yousef e Matilde rimasero soli nell'ingresso.

«Poi me la racconti davvero la storia dell'ambulanza» disse lei.

«Un'altra volta.»

Matilde strinse la presa sulle proprie braccia. Poteva significare che era a disagio, o che si stava innervosendo. «So così poche cose di lei... non siamo mai state molto legate. E Sara di certo non mi racconta i fatti suoi.»

Yousef scrollò le spalle. Ecco un segno di chiusura anche da parte sua. «Anche io non so quasi niente di lui.» Di lei, di lui. Avevano già smesso di nominarli, come se fossero un tabù, una parola pericolosa?

«A proposito... stavo pensando che dovremmo scusarci.»

«Cosa?»

Matilde sospirò. «Ci ho rimuginato molto stanotte. Temo che se non ci scusassimo si creerebbe un clima invivibile nel gruppo. Ci sarebbero altre discussioni, altri problemi. Invece se chiariamo possiamo continuare a uscire normalmente, e possiamo continuare con noi due che...» La frase sfumò. Noi due era un sintagma molto forte. Con numerose accezioni e implicazioni. «Se ci comportiamo in modo ostile potrebbero capire che è tutta una finzione a danno loro. Questo lo so: sono entrambi molto intelligenti.»

Yousef si stese in modo più scomposto sulla sedia e si mise a giocherellare con un fazzoletto. Si rendeva conto che Matilde aveva ragione. «Va bene. Ci parlerò. Ammesso che vogliano parlarmi.»

Lei sembrò un po' sorpresa di averlo convinto subito. Con chi pensava di parlare, con una persona così irragionevole che non capisce di avere torto? Queste sue reazioni un po' lo offendevano.

«Quando?»

«Non lo so... la prossima volta che li vedo» rifletté. «Anzi, no. Gli scrivo un messaggio. Dal vivo potrebbe essere imbarazzante o potrei esprimermi male io.»

«Che poi... anche lui dovrebbe scusarsi con te per quello che ha detto, in realtà.»

«Amen.»

Finalmente l'aveva capito, a quanto pareva, che non era solo colpa sua.




Matilde tornò a casa verso mezzogiorno, con gli stessi vestiti della sera prima, ma senza trucco e con i capelli in disordine.

Ilenia stava passando l'aspirapolvere in salone. Lo spense quando la vide arrivare dal corridoio. «Oi.» Se ne stava in abiti casalinghi, con uno chignon spettinato e le ciabatte ai piedi.

«Ciao... Simba?»

«Fuori al balcone. Passata una bella serata?»

Matilde gettò la borsetta sul divano. «Sì, siamo stati bene.»

Ed ecco la prima bugia della giornata.
«Ah, sono contentissima per te» disse Ilenia facendole una carezza sulla spalla. Era un gesto che aveva preso dalla madre. «Ci voleva... è tempo di voltare pagina, dopo Francesco. Anzi, è passato già un anno.»

Matilde trattenne una smorfia di disappunto. Ilenia era una delle poche persone – tre, a essere precisi – che sapevano perché lei e Francesco si erano lasciati. Come poteva pensare che avrebbe superato quello che era successo in poco tempo? Superficiale, come al solito. Ma almeno credeva alle sue menzogne.

La seconda: «Mi sento... felice. Leggera.»

«Ma quindi con Yousef è una cosa seria?» domandò la sorella appoggiandosi al manico dell'aspirapolvere.

«Più o meno.»

Ilenia fece un sorriso malizioso. «E ce l'ha il cazzo grosso o è solo una diceria sui ragazzi di colore?»

«Ile...»

«Pardon. E... che lavoro fa? È più grande di te, no?»

Era arrivato il fatidico momento delle domande.

«Sì, ma studia ancora. Va all'Orientale.»

E dei giudizi.

«Spero non sia troppo 'na cap' 'e mbrella. Tu devi cercare una persona seria.»

Come l'avrebbe presa, sapendo che a Yousef avevano sospeso la patente per guida in stato d'ebbrezza?

«Vabbè, per mamma nemmeno Francesco era una persona seria e solo perché è comunista.»

Ilenia fece spallucce. «Ha ragione, oh.»

Qualcosa si attorcigliò attorno allo stomaco di Matilde. La rabbia di Yousef si era un po' trasferita dentro di lei, come se l'avesse contagiata. Ilenia non si stava riferendo ai suoi ideali politici, lo sapeva bene. Ragionava esattamente come la madre. Matilde non la vedeva da almeno un mese. Se ne stava nella sua villetta a Posillipo, con il nuovo marito, dieci anni più giovane di lei. Ma era sempre una presenza incombente sulle due sorelle.

«Quando torni da Giorgio?» chiese, cercando di mascherare la voglia di vederla andare via.

«Penso domani. Comunque se vai di là finisco di pulire.»

Matilde si allontanò, verso camera sua, ma prima di riaccendere l'aspirapolvere, Ilenia aggiunse: «Ah, comunque ti ho portato dei sonniferi.»

«Dei sonniferi? Perché?»

«Qualche tempo fa mi dicesti che non stavi dormendo bene la notte, no? Li ho provati e funzionano un amore. Te li ho messi nel cassetto delle medicine.»

«Va bene. Anche se ultimamente riesco a dormire meglio.»

«Ma sì, non si sa mai. Tieniteli per evenienza.»




La maglietta di Yousef era inzuppata di sudore. Una vecchia maglia di Cruijff, numero 14 storico dell'Ajax, che metteva sempre per giocare a calcetto con quelli della comitiva. L'aveva presa ad Amsterdam qualche anno prima.

Anche quella sera, come ogni due settimane, erano andati a giocare nel campo ad Arpino. Carmine conosceva il proprietario e lui li faceva sempre giocare fino a tardi se per il turno successivo non si era prenotato nessun altro.

Erano i soliti cinque, perché Lorenzo e Francesco non venivano mai: Yousef, Carmine, Bruno, Raffaele e suo fratello Angelo, che era un mostro in difesa e a diciott'anni giocava già a livello professionale in una squadra della Lega Pro. Raffaele era quello che di solito trovava la squadra avversaria.

Quella sera si trattava di alcuni suoi compagni di università di cui Yousef non ricordava i nomi, nonostante li avesse già visti alla sua festa.

Poco importava. Li avevano battuti sette a due.

Entrarono negli spogliatoi con la leggerezza mista ad arroganza che caratterizzava le loro vittorie. Pacche sulle spalle, risate sonore, commenti su ogni singola azione. Neanche lì dentro la competizione si fermava: i vinti dovevano controbattere alla presa in giro, dovevano rispondere alla virilità con altra virilità. Tuttavia non era un momento teso. Al contrario, rilasciavano l'aggressività, o meglio, se la lasciavano alle spalle per un po'. Yousef soprattutto.

Non aveva dato peso alla propria frustrazione nemmeno per un istante, durante la  partita. Non a livello consapevole. La frustrazione era fuoriuscita da lui, aveva preso la forma del pallone, e lui l'aveva calciato per più di un'ora.

Si spogliò e si buttò sotto una delle docce.

L'acqua gelida che gli piovve addosso, lungo il volto, lungo il petto e i fianchi e le gambe, ebbe l'effetto di calmarlo.

Carmine si piazzò nella doccia di fianco alla sua. Erano separati da un muretto basso di mattonelle grigie.

«Allor, hai sfogato?»

Yousef si bagnò anche i capelli. I suoi ricci fitti diventarono al tatto morbidi e grinzosi al contempo. «Nientedimeno! Gli abbiamo dato sette palloni!»

«Non dico quello... Cioè, sì, ma intendo... hai sfogato la rabbia dell'altra volta?»

E a un tratto, un peso ripiombò sul suo stomaco. Era stato bravo a ignorare il discorso fino a quel momento. Ma a Carmine non poteva sfuggire. Carmine che voleva sempre mettere tutti d'accordo, come il capofamiglia di una famiglia numerosa. «Diciamo di sì.»

«Bravo. Lo sapevo che era una cosa risolvibile.»

«In realtà non so...» Cercava di essere vago. Era difficile entrare nel dettaglio. Poteva spiegargli il litigio di facciata, certo, ma Carmine non avrebbe mai compreso come si sentiva davvero. Non poteva, non lui che non aveva mai avuto una relazione stabile né si era mai innamorato. Contava poco il fatto che fosse il suo migliore amico. Non poteva capire.

«Senti, non so cosa vi siete detti di preciso, però secondo me dovresti parlargli.»

«Già, perché anche tu pensi che è colpa mia, no?»

Carmine gli lanciò un'occhiata trasversale mentre s'insaponava le spalle. «Non ho detto questo. Però è meglio se parte da te, se ci tieni a mettere le cose a posto. Chiuso com'è Francesco, non verrà mai a parlarti per primo.»

Yousef annuì e con la faccia si nascose per un istante – o almeno, era quella la sua intenzione – sotto il getto dell'acqua, che coprì ogni altro rumore.

La domanda successiva di Carmine, però, la sentì lo stesso.

«Ma quindi... 'sto litigio è nato per Clarissa o per Matilde?»

«Ha detto una cosa che non aveva il diritto di dire» fu ciò che riuscì a rispondere lui. «Mi ha fatto veramente incazzare. Ho capito che è una situazione strana quella in cui ci siamo ritrovati, però... lui è venuto spedito a dirmi questa cosa, quando io stavo cercando di ignorarlo. Lo sapeva che mi avrebbe fatto incazzare, quindi l'ha fatto apposta a provocarmi, capi'? Così passo io per il cattivo.» Come sempre, aggiunse mentalmente.

«Guarda, lass'o sta... lui è il tipo che parla in faccia, quindi a volte risulta più arrogante e presuntuoso di quello che è in realtà. Però se per te è una persona che conta poco, non dare peso alle sue parole. Non credo abbia il potere di mettere bocca nella tua relazione con Matilde. So' cose passate. Ormai non importano più.»

Fu come ricevere uno schiaffo in faccia. Carmine aveva una visione della cosa completamente opposta alla sua. Era il suo migliore amico. E non sarebbe mai stato un suo alleato. Non avrebbe mai capito. Il passato non era affatto passato. Lo permeava, e Yousef non sarebbe mai andato avanti senza prima vendicarsi un po' di Clarissa.

«Hai ragione.»

Non sapeva cos'altro dirgli.

Chiusero entrambi le docce e tornarono dagli altri.


*



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