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Capitolo ventotto

E così, due giorni dopo, Hercules partì per andare al Punto Omega. Guardò la sua macchina, che era stata minuziosamente controllata da alcuni soldati, così come il suo zaino e lui stesso. Prima di salire puntò lo sguardo su Lovino -sei sicuro di quello che stai facendo?
Quello annuì -vai.
Hercules annuì a sua volta, guardò male Sadiq e salì in macchina. Mise in moto e si avviò verso il posto, quelle fognature dove aveva lasciato Lovino qualche tempo prima.
Dopo un po' si mise a canticchiare una canzoncina. Ridacchiò, che idioti. Poi sospirò. Ah, Sadiq era così stupido. Cos'era questa fissa che avevano tutti per il loro orgoglio? Perché smaniavano tutti per essere degli eroi?
Forse questi pensieri vi sembrano senza senso; anzi, di sicuro è così. Vi chiedo solo un attimo di pazienza: tra un po' tutto vi sarà chiaro.
Per ora vi basti sapere che era arrivato a destinazione. Scese e divenne invisibile. Guardò il ragazzo, ora visibile ai suoi occhi, che lo studiava attentamente.
-ciao- salutò -Gilbert, giusto?
-già. Sali, sbrigati- salì sulla propria macchina e aspettò che lui facesse lo stesso, poi partì in quarta, lasciando indietro l'auto di Hercules.
-peccato- mormorò, guardandosi indietro -mi ci ero affezionato.
Gilbert non disse niente, ma accelerò. Hercules si prese qualche minuto per studiarlo, in silenzio. Gli piaceva capire chi avesse davanti.
-per chi sei preoccupato?- gli chiese di punto in bianco, distruggendo quell'ostinata assenza di suono.
Gilbert lo guardò di sbieco -che ne sai che sono preoccupato?
-è per tuo fratello?- domandò ancora, ignorandolo -sta bene?
-fisicamente sì- rispose -ma emotivamente...
-bene. Mi basta la parte fisica. Il resto non mi importa.
-ma... ma cosa... perché ti interessa?
-no spoiler- rispose, puntando lo sguardo fuori dal finestrino -non ci vedono?
-no, ma ci sentono- replicò piccato.
-chi ha scelto Romolo per andare alla capitale?
-me e altri due ragazzi.
-chi?
-Eliza e Berwald.
Per un po' ci fu ancora il silenzio. Poi Hercules finì di analizzare le sue parole.
-sei innamorato di questa Eliza- la sua non era una domanda. Gilbert sospirò, passandosi una mano tra i capelli bianchi. Abbozzò un sorriso, un po' triste -come l'hai capito?
-non sembri contento che lei venga con voi. Sei preoccupato per lei quanto per tuo fratello. Quindi o è tua parente, ma Lovino mi ha detto di no, o sei innamorato di lei.
-potremmo anche solo essere amici. Che ne sai che c'è di più?
-me l'hai appena confermato tu- rispose. Gilbert sbuffò una risata amara come un pugno allo stomaco.
-mi hai fregato. Disonore a te e alla tua mucca.
-non ho una mucca.
-era una...- sospirò -lascia perdere.
-quindi siete fidanzati?
Gilbert sbuffò -magari. Flirtiamo e basta. O almeno, io flirto, lei credo che mi prenda semplicemente in giro.
Hercules rimase in silenzio un altro po'.
-perché non l'hai detto a nessuno?
-che ne sai che non l'ho detto a nessuno?
-da come ne parli. Sembra che tu stia confessando il tuo più grande segreto.
Gilbert sbuffò -è che...- sospirò, cercando di riordinare quello che provava in parole e segni di punteggiatura. Una virgola di qua, un verbo di là, ma ancora non riusciva a rendere l'idea -è la prima volta che mi sento così. Se ne parlassi con Fran e Tonio...- Hercules li conosceva solo di nome, ma non lo interruppe -diventerebbe strano. Andrebbe allo stesso livello delle storie che ho avuto prima, ma non... non è allo stesso livello. È... strano.
-mh- fu il suo commento. Ah, gli amori giovanili... -e lei ti ricambia?
-no.
Bom, così. Risposta secca, sicura, scientifica.
-non ne sarei così sicuro. I sentimenti non sono un problema di matematica. Non c'è una risposta giusta o sbagliata.
-se mi odia mi odia, non è che ci siano sfumature o alternative.
-sei passato dal dire che non ti ama al dire che ti odia.
-se mi odia non mi ama.
-la distinzione non è sempre così netta. Secondo me ti stai demoralizzando e basta. Pensare positivo fa bene ogni tanto.
-certo. Così quando vieni deluso soffri due volte.
Hercules alzò le spalle -fai un po' come ti pare.
-e tu? Qualche storia d'amore?- non è che gli importasse, voleva solo cambiare argomento.
Hercules tenne lo sguardo fuori, nel buio, improvvisamente più triste -penso di rientrare in uno di quei casi in chi tra amore e odio la differenza è nulla.
-verso chi?- indagò Gilbert. Lo guardò storto -Lovino?
-eh? No no. Lovino è simpatico, andiamo d'accordo, ma niente di più.
-simpatico...- alzò le spalle -non l'avrei messa così, ma va bene. Allora chi?
-non è importante- replicò -si è messo in testa di allontanarmi per proteggermi, credo, quindi ora fa lo stronzo per farsi odiare.
-e funziona? Tu lo odi?
-non lo so. Gli voglio bene, forse lo amo. Ma al tempo stesso lo odio. Certe sfumature sono difficili da cogliere e da interpretare.
-mh. Siamo quasi arrivati.
-va bene.

Francis stava ripassando il suo discorso da almeno un'ora. E Arthur si stava stancando di essere ignorato.
-si può sapere cos'è che ti ansia tanto?
-è una cosa importante!- Francis risistemò i fogli per la quinta volta in venti minuti -devo incitare la gente alla rivolta. Non è mica semplice.
-sei francese. Non dovresti avere problemi.
Francis assottigliò lo sguardo -era un complimento o un insulto?
-era più un modo per dirti di stare tranquillo- replicò Arthur, avvolgendogli un braccio intorno alla vita per attirarlo a sé. Lo baciò sulla tempia.
Quello sospirò, appoggiandosi a lui -è che... sì insomma, è una grande responsabilità.
-lo so. Non preoccuparti, io e i ragazzi saremo lì a darti sostegno. Alfred sta preparando il tifo quasi con lo stesso impegno con cui tu stai preparando il discorso.
Francis sbuffò una risata e lo baciò sulla guancia -merci, mon amour.
Antonio sbucò dalla porta -è arrivato- sembrava decisamente su di giri. Non guardò neanche male Arthur: corse via e basta.
-che gli prende? Ha fumato qualcosa di strano?
-è agitato perché tra poco rivedrà Lovino- spiegò Francis, osservando il punto dove poco prima c'era l'amico -devo ricordare a Gilbert di tenerlo lontano dalla macchinetta del caffé. Ci manca che prenda della caffeina...
Arthur gli prese la mano -andiamo?
Francis gliela strinse, inspirando profondamente -andiamo.

-tieni- Hercules estrasse la lettera di Lovino dallo zaino e la mise sulla scrivania. Romolo la lesse attentamente, poi lo guardò.
-queste sono stronzate. Non le ha scritte mio nipote.
-vedo che ci arrivi- prese un accendino dalla tasca e si riprese la lettera. Passò la fiamma sotto il foglioz finché il vero testo, scritto con del succo di limone, non venne fuori -ci tenevano d'occhio- spiegò, passandoglielo -non potevamo rischiare.
Romolo annuì, leggendo il vero testo. Circa a metà scosse la testa -non se ne parla neanche.
Hercules tranne un sorriso. Lovino lo aveva avvertito che sarebbe andata a finire così -è importante. Fondamentale.
-non manderò due ragazzini...
-devi. O moriremo tutti.
-avevamo detto non più di...
-erano bugie. Ci sentivano. Questo- indicò il foglio -è il vero piano.
-non metterò a rischio...
-tuo nipote? Hai già messo a rischio l'altro. Cos'è, Lovino vale meno?
-è proprio perché uno è già in pericolo che voglio che almeno l'altro stia al sicuro.
-sì ma questa è guerra. Metti un attimo da parte il tuo ruolo di genitore e fa' la cosa giusta.
Romolo rimase in silenzio. Poi sbuffò -e va bene. Ma che non gli succeda niente.
Hercules cercò di restare serio -certo.
Romolo sembrò addolcirsi un pochettino -e comunque è bello rivederti.
-anche per me.
-ma se succede qualcosa ai miei nipoti per colpa mia...
-sì, sì.

Quando lo venne a sapere, Feliciano si mise a saltellare per la felicità. Poi tornò serio, ma aveva ancora un'ombra di sorriso sulla bocca.
-devi stare attento- si raccomandò Romolo.
-certo.
-non fare cagate.
-ovvio.
-non buttarti nella mischia.
-sì.
Vedendo che le cose stavano andando per le lunghe, Hercules alzò i tacchi e andò dal ragazzo che doveva fare il discorso, che se n'era rimasto in un angolo a leggere alcuni fogli -ciao. Forse è il caso che ti spieghi come funziona, che ne dici?- quello annuì, infilandosi i fogli in tasca -ottimo. Dunque... io mi addormento, e mentre sono a metà tra il sonno e la veglia, quindi in pochi minuti, tu mi leggi ad alta voce il tuo discorso e io trasmetto la tua voce a tutti coloro che adesso stanno dormendo. Semplice, no? Devi solo leggere.
Annuì ancora, nervoso -va bene.
-okay. Andiamo allora- e uscì dalla stanza, lasciandosi guidare verso la camera che avrebbero usato. Lì c'erano altri due ragazzi, identici tra loro, ma non indagò sulla loro presenza. Si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi -comincia tra... uhm... due o tre minuti direi.
E, in effetti, in pochi minuti sembrò addormentarsi. Francis inspirò profondamente, si sedette affianco a lui, strinse la mano ad Arthur e si schiarì la voce.
Poi una fitta improvvisa di mal di testa lo fece crollare a terra, semi svenuto.
-Francis!- Arthur si fiondò al suo fianco. Gli toccò la fronte: scottava -fuck! Alfred, aiutami a portarlo in infermeria.
-ma il discorso...- protestò debolmente quello. Arthur lo incenerì con lo sguardo.
-me ne fotto del discorso. Sta male cazzo!- a quel punto il ragazzo fece come gli era stato ordinato e aiutò il fratello a portare, il più delicatamente possibile, Francis in infermeria.
E fu così che Matthew rimase da solo.
Dovete sapere una cosa su di lui: soffriva di ansia, ansia sociale. Brutta anche. Il solo pensiero di interagire con qualcuno di diverso dai suoi fratelli lo mandava nel panico, per non parlare dell'idea di parlare in pubblico... e comunque anche con i suoi fratelli era piuttosto silenzioso. Francis era l'unico che era riuscito a farlo aprire. Per Matthew era un fratello maggiore tanto quanto Arthur, si era fatto persino insegnare il francese. Aveva passato gli ultimi anni con lui, che lo consolava quando aveva gli attacchi d'ansia e gli sussurrava che andava tutto bene, canticchiandogli qualche ninna nanna in francese. Sapeva della sua malattia, ma non lo aveva detto a nessuno. Un po' perché non era compito suo parlarne, e un po' perché... be'... a chi avrebbe potuto dirlo?
"Ah, mon petit" gli aveva detto una volta Francis, accarezzandogli i capelli mentre lui singhiozzava "non devi piangere al mio funerale, non serve. Lo so già che mi vuoi bene. Non voglio un funerale sfarzoso, né grandi elogi. Cioé, se me li fate mica mi offendo, ma in vent'anni cosa mai avrò fatto per meritarmi un elogio? "Era troppo giovane", diranno, lo so. A quelli rispondi "lo so. Eppure se n'è andato, perché non avete fatto niente per salvare quel bambino chiuso in quella stanza. Eravate voi gli adulti. Voi dovevate fare qualcosa, e non piangere sulla sua tomba". Ah, mon cher Mathieu, non fare così. Te l'ho detto, non serve piangere. L'unica cosa che spero è che la mia morte serva a qualcosa, anche se avrei voluto che la mia vita fosse utile a qualcosa di più che soffire e a far soffrire".
Il ragazzo abbassò lo sguardo sui fogli del discorso di Francis, sparsi a terra.
Quella per Francis era l'occasione che tanto aveva atteso per poter essere ricordato per qualcosa di più che per essere morto.
Raccolse i fogli e li riordinò velocemente. Si sedette dove in teoria ci doveva essere Francis e cominciò a leggere, con voce ferma nonostante il cuore gli stesse sbattendo così forte contro la cassa toracica che gli sembrava di sentire le costole tremare.
-buonasera a tutti, miei cari amici. Mi chiamo Francis Bonnefoy. Mi dispiace di avervi strappato dai vostri sogni, spero piacevoli, ma mi sento obbligato a porvi una domanda fondamentale, visto che a quanto pare da soli non riuscite a pensarci, o forse fate finta di non chiedervelo. Lo capisco eh, avete gli affari vostri a cui pensare, ma sapete... ogni tanto pensare oltre dai propri interessi personali fa bene- fece una pausa per girare pagina -la mia domanda è la seguente: cos'ha fatto la Restaurazione per voi? Vi ha promesso prosperità economica, rigore, e in cambio della vostra fiducia vi ha dato povertà, distruzione e morte. Ha preso i vostri sogni, li ha stracciati e li ha usati come proiettili per uccidere i vostri figli. Ha preso quel che siete, la vostra identità, la vostra cultura, e li ha resi cenere da cui coltivare qualcosa di buono per loro, del materiale per le fabbriche dove vi sfruttano magari. E voi glielo avete permesso. Se anche a votarli sono stati i vostri genitori, o persino i vostri nonni, voi comunque continuate a dargli il permesso di fare quel che vogliono ogni giorno. Quando vi svegliate la mattina, indossate i vestiti che vi hanno detto di mettervi, uscite con il tesserino che vi hanno ordinato di mostrare e diventare un numero. In questo vi ha trasformato la Restaurazione: numeri su tesserine. E voi lì, obbedienti, come cani spaventati dalle punizioni del padrone, vi siete dimenticati delle questioni reali, del potere che avete. Avete dimenticato che siete voi ad aver dato loro il potere. Che siete voi a darglielo ogni giorno. Come un gregge di pecore, che non sa di essere alla base della vita del suo padrone, vi siete fatti comandare a bacchetta, e vi siete girati dall'altra parte davanti a tutte le ingiustizie, a tutte le cose sbagliate, perché non erano problemi vostri. Vi siete spaventati di fronte alle armi che voi avete dato loro, avete dimenticato che in ogni momento avreste potuto ribellarvi, dire di no, ma non lo avete fatto perché non vi riguardava. Perché avevate paura del mostro che voi avete creato. Ma sapete una cosa? C'è chi ha detto basta. Noi siamo un gruppo di ribelli. Domani apriremo le porte della capitale, e se sarete con noi creeremo un mondo migliore. Una democrazia... vi ricordate questa parola? Ha un suono dolcissimo, non credete? Se anche voi volete la libertà, l'uguaglianza e la fratellanza, tutte quelle cose che avete dimenticato, unitevi a noi. Per quelli che possono venire: la capitale è la vecchia Cartagine, a queste coordinate- snocciolò un paio di numeri -per chi non può, non preoccupatevi. Potete ribellarvi sempre: non lavorate, date fuoco a quei tesserini, siate più che semplici numeri su dei rettangoli di plastica. Siate persone- fece una pausa ad effetto, come indicato sul foglio -tra due giorni, all'alba, noi abbatteremo la Restaurazione. Sta a voi decidere come sarà il mondo dopo.

Dopo qualche minuto, Hercules si svegliò, trovandosi davanti un Matthew in pieno attacco di panico, seduto a terra con le ginocchia al petto. Si sedette al suo fianco.
-sei andato bene- disse solo, senza toccarlo. Matthew sollevò lo sguardo su di lui, con gli occhi rossi -d-davvero?
Hercules annuì -lo hai reso fiero sicuramente- si rialzò e controllò l'orologio -devo mandare di nuovo il messaggio tra poco, sai... il fuso orario. Non penso che mi risveglierò prima di domani, ma ci tenevo a farti i complimenti- gli diede una pacca sulla spalla, si alzò e tornò sul letto, riaddormentandosi in pochi secondi.
Matthew tirò su con il naso, si asciugò gli occhi con la manica della felpa e si alzò, ritrovata un po' di calma. Doveva decisamente andare da Francis.

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