Capitolo ventisei
E che non si dica che non vi voglio bene.
La ragazzina strinse la mano di suo fratello, terrorizzata.
-andrà tutto bene- le sussurrò quello, stringendole la mano -l'hanno già fatto a me, ed è stato poco più di un solletico.
-s-sicuro?
-certo. Lo sai che non ti mentirei mai.
Quella annuì, portando gli occhi sul grosso macchinario che dominava il centro della stanza. Sembrava la sedia da dentista più sadica del mondo, e lei aveva sempre avuto paura dei dentisti.
Un dottore le indicò la sedia -siediti.
Quella tremò più forte ma obbedì, lasciandosi legare braccia e gambe da quelle cinghie di cuoio.
-andrà tutto bene- le ripeté suo fratello, scostandole i capelli dalla fronte e baciandole la pelle chiara. Lei gli sorrise.
Suo fratello annuì, fece un passo indietro e gli scienziati avviarono la macchina.
Lui non aveva mentito. Non sentì molto male, solo una sorta di pizzicorino diffuso in tutte le cellule del suo corpo.
Dopo un'ora la fecero alzare e cominciarono a farle delle domande su come si sentisse. Lei non si reggeva bene sulle sue gambe, così si appoggiò a suo fratello per non cadere.
-ehi- le disse, scostandole i capelli dalla fronte -stai bene?
Annuì, sorridendogli.
Si sporse a baciarlo sulla guancia. Le sue labbra si posarono sul suo viso.
E si sentì prendere fuoco.
Urlò e cadde per terra, coprendosi la faccia con le mani. Suo fratello si chinò per vedere come stesse, ma arretrò, terrorizzata dal contatto umano. Si sfiorò la bocca, ma il calore del suo stesso corpo le provocò un dolore lancinante. Urlò di nuovo e si mise a piangere. Le lacrime calde le scavarono le guance, facendola urlare ancora più forte.
Qualcuno provò a toccarla, non sapeva chi, le lacrime le accecavano gli occhi, ma il dolore lo sentì chiaramente. Urlò più forte.
Ludwig si sentiva uno schifo.
Fin da piccolo era sempre stato molto taciturno, come ho già detto. Feliciano era stato l'unico, al di fuori della sua famiglia, a mostrargli un po' di affetto e il primo a fargli scoprire l'amicizia. Quel sentimento nuovo poi non ci aveva messo molto a diventare qualcosa di più, come nelle storie più classiche e più belle.
E ora avevano litigato. Non succedeva da quando erano bambini, e comunque erano sempre stati litigi minori, per un giocattolo o cose simili, per cui non aveva la minima idea di come comportarsi.
E se Feliciano lo avesse odiato? Non era popolare, i suoi amici erano due, l'italiano e Kiku, tre considerando suo fratello, e Feliciano era l'unico ad averlo mai amato in quel modo. Se persino lui fosse finito a odiarlo, chi avrebbe mai potuto volergli bene? Se fosse riuscito a rovinare anche la cosa più bella della sua vita, avrebbe mai potuto costruire di nuovo qualcosa?
Rimase lì ad osservarlo dormire per quelle che gli sembrarono ore. Sembrava che stesse semplicemente sognando, e invece non c'era stato verso di svegliarlo. Antonio aveva detto che era in una sorta di coma, ma dalle analisi era venuto fuori che aveva delle attività celebrali almeno cinque volte più alte del normale.
Gli strinse la mano, cercando di non piangere.
-svegliati, ti prego- singhiozzò -se vuoi odiami, ma svegliati.
Feliciano riaprì gli occhi a mezzogiorno. Ludwig non si era mosso un istante. Poco dopo il suo arrivo lo aveva raggiunto Romolo, che era stato chiamato da un'infermiera, e il tedesco non poteva che esserne contento. Almeno al suo risveglio Feliciano avrebbe visto un viso gradito.
Quando cominciò a muoversi, Romolo fu subito da lui.
-Feli- lo chiamò più volte, con tono dolce. Quello sbatté gli occhi, confuso e probabilmente accecato dalla luce -Feli, mi riconosci? Miei dei, scotti!
Ludwig stava per andare a chiamare qualcuno, ma un mugolio proveniente dal letto lo pietrificò.
-L-Luddi...- in un istante fu al suo fianco -Luddi...
Gli prese la mano bollente -sono qui.
Feliciano, febbricitante, socchiuse gli occhi, cercando di inquadrarlo -Luddi?
-sono qui- ripeté, scostandogli i capelli sudati dalla fronte. Feliciano sembrò rilassarsi, complice la pezza bagnata che Romolo gli aveva posato sulla fronte -L-Luddi m... mi dispiace per...
-lo so- prese ad accarezzargli il dorso della mano, lentamente -lo so, non preoccuparti. Ora riposati.
-ho... ho a-avuto una s... sorta di visione e... non... non era come i soliti attacchi...- Ludwig si irrigidì. Si voltò verso Romolo, che aveva aggrottato la fronte, confuso -e... ero in una s... spiaggia e...
-va bene, piccolo- lo interruppe suo nonno -ci racconti per bene dopo, va bene? Adesso dormi un po'.
Feliciano lo ignorò, o forse non riuscì proprio a interpretare le sue parole. Il suo fu poco più di un sussurro -Lovino... dov'è Lovino? Sta bene?
-Lovino è in mis...- il ragazzo si interruppe all'occhiataccia di Romolo.
-sta dormendo, piccolo- lo rassicurò -non preoccuparti, sta bene.
-no...- sussurrò, sull'orlo del baratro -no, non è vero...- e scivolò all'indietro, nel mondo dei sogni.
Per un po' l'unico rumore fu il russare lieve di Feliciano. Il ragazzo non osava muoversi. Si sentì come sulle montagne russe, in quella salita che sembrava infinita e che mette sempre una certa ansia mista ad aspettativa, un timore reverenziale che lo inchiodava sul posto.
-di cosa parlava Feli?
Ed eccolo, quell'attimo di vuoto, quel fermo immagine tra salita e discesa, la parte più ardua e divertente della giostra. Peccato che nessuno dei due si stesse divertendo affatto.
Forse vi starete chiedendo cosa c'entrino le montagne russe con questo mondo devastato dove, al massimo, i bambini posso salire sui resti dei lunapark, e sperare di non morire sullo scheletro del divertimento, distrutto da genitori, nonni, bisnonni e quant'altro.
Niente. Ma è un buon modo per capire cosa sentisse Ludwig nelle viscere. Quella sensazione lì, l'abbiamo provata tutti, dai.
O forse no? Forse siamo destinati anche noi a finire sulle rovine del nostro passato, o a farci finire i nostri nipoti, o i nostri pronipoti.
O forse dovrei finirla con questa filosofia spicciola e tornare alla nostra storia.
-niente, stava solo delirando- provò a cavarsela così, ma Romolo non ci cascò. Per niente.
-dimmi la verità- il suo fu quasi un ringhio. A Ludwig ricordava una lupa, disposta a tutto e anche di più per proteggere i suoi cuccioli.
-e-ecco...
-nonno? Mi senti?
-forte e chiaro. Tu?
-sì, ti sento- Lovino si avvicinò alla radio -come va lì?
-tutto bene.
-Feliciano?
-sta dormendo- dall'altra parte della radio, Romolo fece cenno all'altro di non dire una parola -tu?
-vado avanti.
-novità?
-sì- e gli riassunse quello che gli aveva detto Hercules. Se non ve lo ricordate tornate indietro e rileggetelo, non ho tempo da perdere.
-buono. Ora però dobbiamo trovare il modo di entrare.
-eh... forse potreste entrare di notte.
-non sappiamo dove sia la capitale.
-forse sì- diede un colpetto a Hercules, addormentato affianco a lui, che si svegliò di scatto.
-ah! Sì! Ci sono!- si stropicciò gli occhi -cosa c'è?
-il nome della capitale. Qual era?
-uhm... Cartagine.
Romolo sbatté la mano sulla scrivania così forte che ci volle un po' per ristabilire la connessione -bastardi! Avrei dovuto immaginarlo.
-quindi sai dov'è?
-sì.
-potete passare dal tunnel da cui sono uscito io per raggiungere Gilbert. Dalle fogne andate sempre dritti e ci arrivate, non dovrebbe essere difficile. Vi lascio aperta la botola della mia stanza e passate da lì. Il problema poi è uscire senza farsi sgamare da allarmi videocamere e stronzate varie.
Si girò verso Hercules -sai come mettere fuori gioco il sistema elettrico?
Quello alzò le spalle -in teoria sì. C'è un quadro elettrico, ovviamente, è nella stanza con tutti i monitor delle telecamere di videosorveglianza e blablabla, e immagino che lì ci sia uno di quegli enormi pulsantoni rossi o una qualche leva con su scritto "on" e "off", ma è uno dei posti più controllati, ci sono sempre due guardie all'ingresso, quattro a controllare i monitor e altre quattro a controllare i colleghi, per non parlare delle difese fisiche che immagino siano impenetrabili o qualcosa di simile.
-però- intervenne João -una volta Lovino ha fatto saltare la corrente.
-chi ha parlato?- domandò Antonio. João sbiancò e Lovino gli diede mentalmente dell'idiota.
-il tipo della radio- simulò qualche interferenza -ha staccato un attimo il collegamento per parlare.
Lovino non poteva vederlo, ma Antonio aveva inarcato un sopracciglio.
-come hai fatto?- intervenne Romolo.
Lovino ebbe la forte tentazione di prendere João a calci -ho fatto un incubo e ho causato un piccolo terremoto.
Antonio aggrottò la fronte, ma non disse nulla. Romolo invece roteò gli occhi -facciamo che ti credo.
-ma è la verità.
-Lovino. Non hai mai avuto un incubo in vita tua.
-con quello che mi è successo...
-non li hai avuti qui, non li hai lì e non li avrai mai. Servono le cannonate per svegliarti, non basta un brutto sogno. Sei un sasso quando dormi.
Lovino arrossì -non è vero.
-oh, invece sì. È sempre stato così, fin da piccolo. Mi ricordo che, anche quando Feli piangeva nel lettino affianco, tu te la dormivi alla grossa fino al mattino dopo, e neanche una bomb...
-va bene, abbiamo capito!- lo interruppe, rosso fino alla punta delle orecchie -vuoi anche dire quanta merda facevo in un giorno o possiamo tornare alle cose serie?
-da qualche parte dovrei ancora avere qualche foto di te che facevi il bagnetto...
-posso vederle?- chiese Antonio, entusiasta.
-NO!- strillò Lovino, ormai viola in faccia -non osare!
Romolo fece l'occhiolino ad Antonio -ne riparliamo dopo.
-no! Non ne riparlerete mai più!
-tornando al piano...
-se scopro che le ha viste ti uccido- brontolò, cercando di far sparire il sangue in eccesso dalla sua faccia. Si schiarì la voce -stavo dicendo? Sì. Terremoto. Elettricità a fanculo, perfetto. Peccato che qualsiasi idiota si accorgerebbe che "oh ma tu guarda, c'è appena stato un terremoto a cazzo di cane".
-potresti distruggere il generatore a distanza- aggiunse Romolo.
-non sono un cazzo di cecchino. Ho bisogno di averlo vicino se proprio voglio distruggerlo senza toccarlo.
-quindi se tu ti avvicinassi mentre noi entriamo...
-sì ma poi ci arriverebbe chiunque che è colpa mia.
-se va tutto bene, non importerà.
-e fin qui va bene- concordò -ma come ci arrivo?
Hercules sbadigliò -condotti di aereazione?
-siamo davvero ai livelli dei film d'azione scadenti?
-in teoria sono troppo stretti, ma tu sei mingherlino, dovresti passarci.
Lovino sbuffò -grazie tante.
-prego.
-quindi ci siamo. Quando lo facciamo?- continuò Antonio, che non vedeva l'ora di riabbracciare il suo ragazzo.
-tra una settimana- propose Romolo.
-scherzi? Troppo presto.
-più stai lì, più aumentano le probabilità che ti becchino, e più stiamo collegati più è facile che ci intercettino. Facciamo che ci risentiamo domani, a un'altra ora.
-okay. Quando?
-sei del mattino di domani. Non tra sei ore, il giorno dopo.
-vuoi farmi svegliare alle sei?!- sbuffò -e va bene. Ma solo perché è una situazuone di emergenza.
-quindi, riassumendo: dobbiamo risolvere il problema di come arrivare alle porte e come aprirle, e poi cosa dire per convincere la popolazione a unirsi a noi.
-eh.
-ti dirò- cominciò sovrappensiero Romolo -spesso l'improvvisazione è la cosa migliore.
-non corriamo rischi inutili- ribatté Lovino.
-lo so, pischelletto. Ho detto "a volte".
Lovino roteò gli occhi -dobbiamo anche decidere chi viene.
-mh. Già. Ci pensiamo dopo, okay? A domani- Romolo era nervoso, capitelo. Era in ansia per il nipote quello piccolo, e ora che si era assicurato che quello grande stesse bene voleva controllare le condizioni dell'altro. Per questo era così frettoloso.
-va bene, nonno. A domani. Salutami Feli.
-certo. Mi raccomando, fai attenzione.
-sempre. Ciao nonno.
-ciao nipote.
-ciao Lovi!- il saluto allegro di Antonio fu un colpo al cuore, ma si sforzò di respirare.
-ciao...
João spense la radio.
Lovino sospirò, e a quel sospiro sembrò spegnersi completamente, come un microonde a cui avessero staccato la corrente.
-la prossima volta che vuoi parlare avvertimi, che mi invento una scusa migliore.
João annuì distrattamente -secondo te ha riconosciuto la mia voce?
-non credo- osservò Hercules alzarsi e appoggiarsi alla parete -immagino che lo avrebbe detto chiaro e tondo.
-mh...- non era chiaro se ne fosse felice o meno, forse neanche lui lo sapeva.
Lovino si alzò -su, andiamo a dormire- Hercules ne sembrò entusiasta, per quanto Hercules potesse sembrare entusiasta. Anche il moro si alzò, e Lovino gli diede una pacca sulla spalla -su, lo rivedrai presto. Non fare quella faccia depressa.
João abbozzò un sorriso -hai mai avuto la sensazione di volere una cosa così tanto da averne paura?
Lovino sbuffò -ogni fottuta volta che sono felice per qualcosa. L'ansia è una grandissima puttana.
Hercules, che stava risalendo verso la sua camera, si girò a guardarli male -andate a dormire. Mi fate passare il sonno con tutta questa negatività.
Lovino sbuffò una risata -perché, esiste qualcosa in grado di toglierti il sonno?
Hercules aggrottò la fronte e ci pensò su qualche secondo, poi alzò le spalle -me ne fate venire un po' di meno, ecco- salì in camera sua -ora andate a dormire, avanti- e coprì l'ingresso con il tappeto.
Calma. Finalmente.
Dopo l'ennesima giornata d'Inferno, finalmente un po' di calma.
Antonio sospirò sotto il getto bollente della doccia e rilassò finalmente i muscoli tesi, lasciandosi coccolare dal vapore.
Chiuse gli occhi e immaginò di avere Lovino al suo fianco. Immaginò di stringerlo, di schizzarlo con la schiuma e di ridere della sua faccia infastidita, e sorrise immaginando i suoi insulti; di abbracciarlo sotto l'acqua, sentendo il getto arcuarsi intorno ai loro corpi e nasconderli dagli occhi malevoli del resto del mondo in una nuvola di vapore. E, dove l'acqua falliva, immaginò di baciare i punti più tesi delle sue spalle, per aiutarlo a rilassarsi dopo l'ennesima, stressante giornata di lavoro.
Non poteva saperlo, ma, da tutt'altra parte, anche Lovino stava facendo un bagno. Era in una vasca, circondato da sali e profumi esotici, ma anche lui stava immaginando qualcosa del genere.
Lasciarsi stringere dalle braccia del suo ragazzo, appoggiandosi alla sua spalla e lasciandosi baciare lungo il collo, intrecciando le gambe con le sue sotto l'acqua, avvolti dal profumo del bagnoschiuma.
Antonio gli fa girare il viso per baciarlo, dolcemente. Lovino sorride, non può impedirselo.
E forse se fossero stati realmente fianco a fianco sarebbe stato diverso. Ci sarebbe stato più imbarazzo, non si sarebbero limitati ad accarezzarsi piano e a scambiarsi qualche bacio, e sarebbero finiti a cedere ad un calore ben più rovente, oppure avrebbero fatto la lotta con la schiuma come due bambini, ridendo nel modo più innocente e puro del mondo. O, forse, erano così stremati e stanchi che sarebbero finiti a coccolarsi allo stesso identico modo. Ma non importava.
Era solo una fantasia, ma avevano così bisogno che fosse vera che non importava. Finché stavano bene, finché riuscivano a staccare per qualche minuto la testa da tutto lo schifo che avevano intorno, andava bene così. E non era forse quello l'amore, farsi dimenticare a vicenda che intorno è tutto buio, e illuminarsi a vicenda le giornate?
Lovino si sporge a baciarlo, lentamente, come ha fatto tante volte e come vuole fare ancora, per il resto della sua vita. Il sospiro che uscì dalle loro labbra unite fu uno solo, gemello e imprescindibile, per sempre e nonostante tutto.
-ti amo...
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