Capitolo quarantuno
Francis si risvegliò alle due e quarantadue del pomeriggio. Aveva la gola secca, notò, e si sentiva indolenzito. Ogni respiro gli dava una fitta di dolore al petto, ma, realizzò dopo qualche secondo, respirava. Fece per passarsi una mano sul viso, ma la mano era bloccata. Cercò di mettere a fuoco ciò che aveva intorno, sbatté le palpebre, ma faceva fatica.
Il soffitto era bianco. Poi qualcuno entrò nel suo campo visivo e, se non fosse stato così indolenzito, avrebbe certamente sorriso.
-sono... sono all'Inferno?- riuscì a chiedere, nonostante la lingua impastata -perché ci sei anche tu?
Arthur lo abbracciò. A Francis ci volle qualche secondo per capire che no, non aveva perso una mano, semplicemente era stretta tra quelle di Arthur. Una volta libera, però, non esitò a stringerlo, nascondendo il viso contro la sua spalla.
-sei vivo- mormorò contro i suoi capelli. Francis non riusciva a crederci. Una lacrima gli corse lungo la guancia -sei vivo- si allontanò da lui e gli prese il viso tra le mani, studiandolo. Rise. Una risata strozzata dal sollievo, quasi esasperata, di qualcuno che non dormiva da troppo e che non riusciva a credersi -sei vivo!
Francis si sforzò di ricambiare il sorriso -lo sono?
-lo sei!
Sbatté le palpebre e si girò verso la macchinetta che segnava il suo battito. Un bip bip regolare rispose alla sua domanda.
Inspirò profondamente e puntò lo sguardo al soffitto. Espirò -sono... vivo- ripeté, senza capirlo veramente. Arthur gli strinse la mano.
-sì.
Una lacrima. Due, tre, cinque, sette, tante, troppe. Una dietro l'altra, senza pietà, e Francis si ritrovò a chiedersi da dove la prendessero i suoi occhi tutta quell'acqua, vista la sete che aveva. Abbracciò Arthur, stringendoselo contro il più possibile, e pianse pianse pianse contro la sua spalla, rannicchiandosi contro di lui, grato di sentire la sua pelle un poco più fredda della sua, perché se sentiva freddo significava che il sangue scorreva, e se il sangue scorreva lui era vivo.
Arthur lo strinse, aiutandolo a sedersi, lasciandosi abbracciare.
-come ti senti?- mormorò contro la sua spalla dopo qualche secondo. Francis rise.
-uno schifo- continuò a stringerlo, non aveva le forze per lasciarlo andare. Tossicchiò -ho sete.
-vado a prenderti dell'acqua- si offrì, senza staccarsi da lui però -gli altri sono qui fuori, la dottoressa ha insistito che entrassimo uno per volta al massimo per... sai... evitare di essere in troppi per quando ti fossi svegliato.
-oh, va bene- lo baciò sulla prima porzione di pelle disponibile, il collo in quel caso. Sospirò -tu e Antonio vi siete saltati alla gola, vero?
Arthur sembrò imbarazzarsi -be'... quasi. Lovino ti ha...
-salvato? Sì. Non ero del tutto incosciente, credo- non sapeva neanche lui come spiegarlo. Anche perché non ci aveva capito niente, quindi... -vi sentivo urlare, ma non capivo nulla di quel che vi dicevate.
-è che...- lo strinse, a disagio -Lovino ti ha messo le mani sul petto, e non stavo capendo che diamine volesse fare. Però hai iniziato a tremare e...- gli morì la voce. Quando parlò di nuovo, il suo tono stava tremando -e il cuore non ti batteva più. Per qualche secondo, il cuore non ti batteva più. E io ho... ho perso la testa- Francis cercò il suo sguardo, ma Arthur nascose la testa contro la sua spalla. Sbuffò -dopo dovrò chiedergli scusa.
-bravo, mon amour- prese ad accarezzargli i capelli, distrattamente -come?
-come cosa?
-come faccio a essere vivo?
-oh. Non s'è capito bene. Lovino ha... tipo... distrutto le cellule malate.
-quindi può...
-curare chiunque? No. Ha funzionato perché praticamente tutte le tue cellule erano infettate e... be', non è stata la cosa più sicura del mondo.
-oh. Peccato- sospirò -s'il te plait, vai pure a chiamare gli altri.
Arthur mugugnò qualcosa, stringendolo. Francis ridacchiò, baciandolo sulla testa, e aggiunse un -tra qualche minuto. Prima voglio stare un po' con te.
Alle tre e un quarto arrivò Feliciano, tenendo una bambina per mano. Con un immaginario verso di stizza, Antonio, che stava tornando dai pazienti con un caffé in mano, notò che tra le braccia della piccola c'era Cesare.
-ciao, Antonio. Francis come sta?
-è vivo- non riuscì a non sorridere -Lovi l'ha salvato. Ora stanno entrambi dormendo.
Feliciano ricambiò il sorriso -davvero? Ma è fantastico! E Lovino dov'è?
Antonio indicò la stanza alle sue spalle -lì dentro. Quando si sveglia ti...- senza dire una parola, la bambina lasciò la mano a Feliciano, superò Antonio ed entrò senza troppi complimenti nella stanza, gatto al seguito. Antonio guardò l'italiano, confuso -ma che...
-a quanto pare il tuo ragazzo è bravo con i bambini- commentò solo, divertito -devo tornare dagli altri, non penso che Luddi sia in grado di... gestirli da solo troppo a lungo. Posso lasciartela per un po'?
-certo, nessun problema.
-grazie! Allora a dopo, ciao!- e andò via, contento.
Antonio alzò le spalle e prese un sorso di caffé prima di rientrare nella stanza di Lovino, che dormiva placidamente girato sul fianco. Trattenne un sorriso, era così carino!, e guardò la nuova arrivata, che stava osservando il ragazzo a letto con aria pensierosa. Si inginocchiò affianco a lei, seguendo la direzione del suo sguardo.
-è morto?- chiese, accarezzando il gatto. Antonio aggrottò la fronte, quello non se lo aspettava.
-no, certo che no- andava nel panico solo a pensarci -sta solo dormendo.
-è qui che dorme di solito? È la sua cameretta?
Scosse la testa -no, no. Ha un'altra stanza, più bella.
-e perché dorme qui allora?
-ha salvato la vita a una persona- rispose, orgoglioso -ma visto che era molto stanco si è addormentato qui.
-oh- e non disse altro.
Antonio fece per rimettersi in piedi, ma notò che la bestiacc... Cesare stava annusando qualcosa sotto la manica della maglietta della bambina. Aggrottò la fronte -cos'hai lì?
Quella arrossì e nascose il braccio sinistro dietro la schiena -niente.
Antonio le prese il braccio, delicatamente, e scostò la manica. Un taglio, lungo un paio di centimetri ma ancora sanguinante, gli fece inarcare un sopracciglio -come te lo sei fatto?
La bambina non rispose. Antonio dovette chiederglielo tre volte per ottenere una risposta, quasi sussurrata.
-sono caduta- mormorò -e ho scontrato il braccio con un trenino di un altro bambino.
Annuì, alzandosi in piedi -vieni, lo medichiamo.
-me... eh?
-medichiamo- ripeté, più lentamente, afferrando del disinfettante e un cerotto -lo curiamo.
-oh. E se non lo curo?
-be', nel peggiore dei casi ti prendi un'infezione.
-infezione- ripeté. Aggrottò la fronte -cos'è?
-uhm...- si sedette su una delle sedie affianco al letto e la prese in braccio per farla sedere sull'altra. La piccola non sembrò infastidita, troppo incuriosita da tutte quelle parole nuove -intorno a noi ci sono tanti germi- iniziò.
-germi?
-delle cose piccolissime, invisibili a occhio nudo, ma che possono farci male- spiegò. Lei annuì -la pelle li tiene fuori. Ma se lasci uno spazio per entrare- indicò il taglio -come quello, rischi che ti facciano del male.
-oh- annuì -e quindi che facciamo?
Sorrise e sollevò il flaconcino di disinfettante -questo serve a togliere eventuali germi entrati nella ferita e a pulirla, così non rischiamo sorprese. E questo- indicò il cerotto -coprirà la ferita in modo che nessuno possa entrare. Poi il sangue si coaguler...- vedendo la sua faccia confusa, si corresse -formerà la crosta, la pelle ricrescerà e il taglio guarirà. A quel punto potremo togliere il cerotto.
La bimba annuì -va bene- gli porse il braccio -fai pure.
Antonio le sorrise -grazie- prese un pezzetto di cotone e ci versò sopra del disinfettante. La guardò -potrebbe farti un po' male, ma devi essere coraggiosa. Come ti chiami?
-Mia. E sono coraggiosa.
-non ho dubbi a riguardo, Mia. Io sono Antonio- posò il cotone sul suo taglio, e quella sobbalzò, ma lo lasciò fare, in silenzio. Una volta messo il cerotto, le sorrise -bravissima. Ti va un leccalecca? Dovremmo averne alcuni, da qualche parte.
Mia fece per rispondere, ma un mugolio la interruppe. Lovino si mise seduto, stropicciandosi gli occhi con un pugno chiuso. Si arrampicò sul letto e lo raggiunse, puntandogli un dito sulla fronte con fare accusatorio.
-avevi detto che saresti tornato- lo ammonì. Cesare, alle sue spalle, miagolò in segno d'assenso.
Lovino ci mise qualche istante a riconoscerla. Poi sbuffò una risata -scusa. Ho perso la concezione del tempo.
-ti sei addormentato- replicò.
Lovino scrollò le spalle -stessa cosa- slanciò le braccia al cielo per stiracchiarsi, ancora rincoglionito per il sonno.
Si sentì abbracciare. Abbassò lo sguardo, Mia si era attaccata al suo petto, con le guance rosse.
-ero preoccupata- mugugnò. Lovino si intenerì e ricambiò l'abbraccio.
-scusami- disse solo. Mia non rispose.
Lovino si sentì abbracciare da qualcun altro, alle sue spalle, e sobbalzò leggermente. Quel qualcuno mormorò al suo orecchio, con quell'accento che non gli dava per niente le dannate farfalle nello stomaco -hai salvato Francis. Gracias.
-non serve- rispose, allungando all'indietro una mano per accarezzargli i capelli -non ho fatto niente di che.
-hai salvato la vita a una persona- lo baciò sulla spalla, facendolo sorridere -te amo.
Mia si allontanò dall'abbraccio, confusa -ma voi due siete fratelli?
Lovino scosse la testa -no. Stiamo insieme- che belle quelle due parole.
-in... in che senso?- sbatté le palpebre, non capendo.
-ci amiamo- aggiunse Antonio, stampando un bacio sulla guancia del suo ragazzo.
-come... come mamma e papà?- chiese, confusa.
Lovino annuì -una cosa del genere.
-ma siete due maschi- ribatté, come se qualcuno le avesse detto di dirlo. Aggrottò la fronte -due maschi possono stare insieme come mamma e papà?
-certo- Antonio le sorrise e stampò un bacio sulle labbra del suo ragazzo, come a mostrarglielo -visto?
-oh- rimase in silenzio, ragionando. Cesare, affianco a lei, miagolò piano, come a dire "lo so, neanche a me piace che quel tizio stia vicino a Lovino, ma che vuoi farci?" -e... anche due femmine possono?- l'idea sembrava affascinarla.
Lovino scrollò le spalle -certo, perché no?
Sembrò soddisfatta della risposta. Cercò di scendere dal letto, e non si sfracellò al suolo solo perché Lovino l'afferrò al volo e la mise a terra, brontolando un -stai attenta.
Però ignorò il suo rimprovero e sorrise ai due -posso stare con voi? Gli altri sono stupidi.
-gli altri bambini?- chiese Lovino, alzandosi. Mia annuì.
-ma dai, ci sarà qualcuno di simpatico- provò Antonio, ma la bimba si incupì.
-no. Fanno giochi stupidi e piangono per cose stupide.
Lovino annuì -lo so, sono fatti così- le prese la mano, e Cesare si teletrasportò sulla sua spalla. Guardò il suo ragazzo -vieni anche tu?
Antonio sbuffò -ho il pomeriggio libero.
-allora vieni?
-più tardi- promise, prendendogli la mano e stampandogli un bacio sulla guancia -prima penso che starò un po' con Francis.
-va bene- si lasciò baciare -salutamelo.
-certo- gli sorrise, si chinò per baciare Mia sulla fronte e se ne andò, fischiettando.
-è molto... appiccicoso- commentò la bambina. Lovino si concesse una risatina, uscendo da lì.
-non sai quanto.
Quando, rientrando nella stanza d'ospedale, Gilbert aveva visto Francis seduto, vivo e vegeto, a parlare con Antonio e Arthur, qualcosa sulla "convivenza civile", per poco non era finito a terra per la velocità con cui era corso da lui ad abbracciarlo.
Francis, che normalmente si sarebbe lamentato perché "i miei capelli! Mi scombini tutto così!", per una volta fu ben felice di essere stritolato, e ricambiò l'abbraccio con il braccio libero, l'altro era attaccato ad una flebo.
Anche Antonio si unì all'abbraccio, per completare il trio e perché, l'avrete notato, amava gli abbracci.
Senza fiato, Gilbert cominciò uno sfogo in tedesco, tanto era sollevato non si era accorto di star usando un'altra lingua.
Francis rise e gli mise una mano sulla bocca -fermo, non sto capendo nulla. Riformula.
L'albino inspirò profondamente per riprendersi e continuò, nella lingua nuova però -stai bene?
Francis annuì, con gli occhi lucidi -sì. Lovin mi ha salvato.
Antonio aveva due occhi luminosi come soli -ti saluta, a proposito.
-ma che... come...- scosse la testa -sai cosa? Non importa. Sei sveglio, questo è l'importante.
-sono guarito!
Sgranò gli occhi -gua... guarito? Tipo... guarito guarito? Del tutto?
Francis annuì -non riesco a crederci, ma sì. Guarito guarito.
Per poco non svenne per il sollievo.
Eliza, alle sue spalle, afferrò Arthur per un braccio, sussurrando un -lasciamoli soli qualche minuto.
L'inglese esitò, scrutando la figura di Francis come se avesse avuto paura di vederla sparire, ma annuì, facendo cenno a due gemelli di fare lo stesso.
I tre si accorsero della loro uscita solo quando sentirono la porta chiudersi. Gilbert separò l'abbraccio e batté le mani -bene! Direi che è il caso di fare una bella riunione del btt, che ne dite?
-direi- confermò Francis, prendendo la bottiglia d'acqua posata sul comodino e bevendo.
-che mi sono perso mentre ero...- nel panico, distrutto, senza forze, nel bel mezzo di una crisi di pianto -fuori?
Antonio scrollò le spalle -non ci ho capito granché neanch'io. Stiamo facendo delle analisi ma...- sorrise -Fran è guarito. Completamente.
-dobbiamo festeggiare.
Francis rise -e moi? Che mi sono perso mentre ero...- mezzo morto -incosciente?
Gilbert indicò Antonio -a proposito, ora posso chiedertelo. È vero quel che dicono sugli italiani?
Antonio aggrottò la fronte -a che ti riferisci? Cos'è che dicono sugli italiani?
Gilbert ghignò -dicono che i francesi siano i migliori innamorati- indicò Francis -e questo poi lo devo chiedere al tuo adorato fidanzatino britannico, e che gli italiani siano i migliori amanti- gli fece l'occhiolino -se capisci cosa intendo. L'ho chiesto a Ludwig, ma si è rifiutato di rispondermi, anche perché dubito abbiano fatto qualcosa.
Antonio si coprì la faccia con le mani, mentre Francis scoppiava a ridere -non ci credo che me l'hai chiesto sul serio.
-sono curioso- si giustificò, sollevando le mani in segno di resa -dicono anche che in Paradiso gli amanti sono italiani, se è per questo.
Antonio sospirò, con aria sognante -be'... diciamo che posso capire il perché.
-ah! Quindi l'avete fatto. Voglio i dettagli.
Antonio lo guardò male -te lo scordi. Mica ti chiedo i dettagli sulle tette di Eliza.
Gilbert sospirò -sono morbidissime...
Francis rise di nuovo -mon Dieu, siete proprio persi.
-da che pulpito! Sei tutto un "Angleterre di qua, Arthur di là..."
-com'è che dice Lovinito...- lo spagnolo si picchiettò un dito sul mento, pensando. Si illuminò -sottoni! Ecco, siamo dei sottoni.
Francis alzò le spalle -non posso negarlo.
-a proposito...- Antonio abbassò il tono della voce -non sei più infettivo, Fran. Volendo potete...
Il francese si strinse le ginocchia al petto, posandoci sopra la testa -sì... ancora non riesco a credere di... di poter avere una vita normale. Sto ancora... metabolizzando. Quindi continuate a parlarmi di cose stupide, così mi distraggo, mes amis.
Gilbert gli fece l'occhiolino -lo sai che le cose stupide sono la mia specialità.
-e... non lo so. Forse un giorno lo faremo, adesso ancora non me la sento- continuò, arrossendo solo a pensarci. Antonio annuì, stringendogli la mano.
-se ti fa stare male basta dirlo e lo rivolto come un calzino- lo rassicurò. Francis roteò gli occhi.
-vi ho detto che dovete smetterla di saltarvi alla gola. Arthur è una brava persona.
Antonio scrollò le spalle -se lo dici tu. Sto cercando di proteggerti.
-non è necessario- Francis si sporse verso di loro, curioso -piuttosto, raccontatemi un po' com'è andata ieri sera.
Quando Feliciano andò a riprendere Mia, la trovò sdraiata sul letto con Lovino, impegnata a leggere ad alta voce.
-d... druides a be... ballo...
-bello- la corresse Lovino, reggendo il libro.
Mia scrutò il libro per qualche secondo, torva, poi annuì -bello ab... abesse con...- sembrò frustrata e si avvicinò di più al libro per vedere meglio -con-su-e-runt- si girò verso il ragazzo alla ricerca di conferme, e quello annuì.
-consuerunt. Bravissima.
Mia annuì, soddisfatta, e tornò a leggere, molto lentamente -neque tributa...
-le stai insegnando a leggere con un libro in latino?- chiese, chiudendosi la porta alle spalle. Lovino alzò le spalle.
-non ne avevo nella lingua nuova.
-ma le stai complicando la vita.
-così non si aiuta indovinando il significato- ribatté, e Mia annuì.
-sono brava- confermò.
-non ne dubito, ma cosa le stai...- sbirciò la copertina e inarcò un sopracciglio -il de bello gallico? Davvero?
-è una lettura educativa.
-parla di guerra.
-è un classico- ribatté Lovino, offeso -se un giorno dovrà sottomettere delle tribù barbare, mi ringrazierà.
Feliciano si sbatté una mano in faccia, divertito -e io che pensavo che il nonno esagerasse con le sue "fiabe della buona notte"
Lovino sembrò rimanerci male -non c'è niente di sess...- si interruppe a metà parola, e arrossì -niente di quel tipo.
-insomma...
-posso continuare?- li interruppe Mia, con gli occhi incollati al libro.
Lovino le accarezzò distrattamente i capelli -certo.
Mia annuì, soddisfatta -tributa una cum reli... reliquis pedunt.
-pendunt- la corresse Lovino.
-pendunt- ripeté la bambina, soffiandosi via un ricciolo da davanti gli occhi -militiae...
-si legge milizie- la interruppe, indicandole le due lettere -in latino ae si legge e e la t seguita da vocale z.
-vocale- ripeté Mia, pensando -a, e, i, o o u, giusto?
-esatto. Anche l'y in teoria.
La bambina annuì, riprendendo a leggere -militiae vacationem om... omnium... omniumque... re... rerum ha... habent imm... immunitatem- si girò verso Lovino -è giusto?
-giustissimo, brava.
Sembrò soddisfatta di sé -e cosa significa?
-uhm...- si sporse a rileggere, pensando -sono un po' arruginito... uhm...
-avete passato tutto il pomeriggio a leggere questo libro?- intervenne Feliciano, vedendo il fratello in difficoltà. Mia scosse la testa.
-mi ha insegnato l'alfabeto- raccontò, attirandosi le ginocchia al petto -e poi ho scritto un po' su un foglio- si mise in piedi e andò ai piedi del letto, chinandosi oltre il bordo per raccogliere da terra dei fogli.
-attenta a non cadere- l'ammonì Lovino, tenendola d'occhio. La bimba si rimise in piedi e tornò dai due fratelli, mostrando al minore i suoi scarabocchi. Ne indicò uno -questa è la mia firma. E qui ho scritto Lovino- indicò un altro punto. Feliciano annuì, studiando le lettere colorate nel vano tentativo di capirci qualcosa -e qui ho disegnato la zampa di Cesare.
Feliciano annuì, confuso -e poi?
-poi ho letto un libro, non quello di Cesare- disse, sedendosi a gambe incrociate tra loro, con aria orgogliosa -non tutto, ma qualche pagina.
-cinque- le ricordò Lovino, e Mia annuì, mostrando il palmo della mano.
-cinque. Mi ha anche insegnato a contare fino a venti.
Feliciano annuì -ma che brava, scommetto che hai imparato subito. E che libro hai letto?
Mia ci pensò su, confusa -aveva un titolo strano...- si girò verso Lovino -come si chiama tuo marito?
L'italiano aggrottò la fronte -mio... marito? Non ho un marito.
Feliciano rise -ti riferisci ad Antonio?- a quelle parole Lovino arrossì come un pomodoro, soprattutto quando Mia annuì.
-lui. Il protagonista si chiamava tipo lui... uhm... 'Ntoni.
-'Ntoni?- Feliciano guardò il fratello, stralunato -hai fatto leggere i Malavoglia a una bambina di quattro anni?!
-Malavoglia! Ecco come si chiamava- confermò la piccola, lasciandosi abbracciare da Lovino.
-tanto non lo capisce- brontolò, stringendosi contro la bambina. Feliciano sbuffò, esasperato.
-ha quattro anni!
-e quindi? La vita fa schifo per tutti.
-ho capito ma...- si interruppe quando la piccola gli tirò una ciocca di capelli per attirare la sua attenzione, imbronciata -ahio.
-stavo raccontando- brontolò, incrociando le braccia al petto.
-scusa. Continua, per favore.
Sembrò contenta di ricevere delle scuse da uno più grande -però visto che c'erano tanti potrofi...
-apostrofi- intervenne Lovino.
-apostrofi e cose strane, sono passata a quello- e indicò il De bello gallico -lo sai che l'ha scritto un nomino di Cesare?
E il gattino miagolò, concordando.
-omonimo- la corresse Lovino.
-omonimo. È uguale- scrollò le spalle, e rise quando Lovino le fece il solletico sul collo. Sembrò illuminarsi -e Lovino mi ha anche insegnato una canzone!
-davvero? Quale?
Mia si schiarì la voce, sedendosi dritta e portandosi una mano sul cuore -fratelli d'Italia...
Feliciano si sbatté la mano in faccia -non le hai veramente insegnato l'inno di Mameli.
-certo che sì- borbottò Lovino, strigendosi contro Mia.
-se stanotte non dorme per qualcosa che le hai detto...
La sua minaccia fu interrotta da un lieve bussare. Antonio fece capolino dalla porta, sorridendo -posso entrare?
-vieni, idiota- sbuffò Lovino, sorridendo leggermente quando quello gli stampò un bacio sulle labbra.
-che combinate?- chiese, sedendosi a gambe incrociate sul letto. Mia sollevò il libro.
-leggo.
-ma che brava. Ti sta insegnando Lovi?
Mia annuì -è un bravo maestro.
Lovino le strinse la manina -che onore.
-Antonio, puoi farmi un favore? Controlla cosa le fa leggere questo disgraziato, rischia di traumatizzarmela- intervenne Feliciano, ignorando la linguaccia del fratello.
Antonio scrollò le spalle -posso provarci, ma non parlo italiano. Né latino- aggiunse, dando un'occhiata al libro stretto tra le mani di Mia.
Feliciano si fece pensieroso -se vedi Verga o D'Annunzio, toglilo subito.
Antonio annuì, confuso -va bene?
Lovino sbuffò stizzito -non si apprezza più l'arte.
-l'apprezzo tanto quanto te, ma ti ricordo che...
-ha quattro anni, blablabla. Non è stupida.
-non sono stupida- confermò Mia.
-non è stupida, è una bambina, e gradirei che non si mettesse a sottomettere popoli barbari prima di prendere la laurea.
-che schizzinoso che sei.
Feliciano roteò gli occhi -be', ero venuto per riportare Mia dagli altri...
-no!- la bambina abbracciò Lovino, nascondendosi contro il suo petto -mi piace stare qui!
-...ma suppongo che tu possa tenerla fino a cena. Se vuoi.
Lovino prese ad accarezzarle le schiena, lentamente, e annuì -nessun problema.
-bene. Vi lascio allora- stampò un bacio sulla guancia di suo fratello e si alzò, uscendo. Antonio strinse una mano alla bambina.
-io? Posso restare?
Lei sembrò pensarci su, stretta contro la maglietta dell'italiano. Poi annuì -sì. Fai sorridere Lovino, mi stai simpatico.
-oh, be', grazie- si unì all'abbraccio, sdraiandosi dietro di lei e allungando le braccia per stringere Lovino, in modo da abbracciare entrambi -posso?
Mia annuì di nuovo -sì.
-grazie- sussurrò, e non ebbe bisogno di dire molto altro.
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