Capitolo quarantasei
Signori miei, mancano tre capitoli alla fine di questa storia.
Non sono pronta, mi commuovo.
Aveva passato tutta la notte a scrivere, come un cretino. La sua già abnorme dipendenza dal caffé stava diventando preoccupante.
Antonio lo baciò sulla fronte, sistemandogli le coperte -dormi un po', Lovi.
-no, no, sto bene- ribatté, cercando di alzarsi. In risposta Antonio lo spinse all'indietro per farlo rimanere a letto.
-penso io a Mia. Tu dormi un po', mh?
-no, altrimenti stanotte non dormo un cazzo- ribatté, alzandosi in piedi e andando verso l'armadio. Be'... meglio dire che provò ad andare verso l'armadio, ma venne trattenuto da un certo bastardo, che lo abbracciò da dietro per bloccarlo.
-allora ti stancherò tanto da farti dormire come un ghiro tutta la notte- ribatté, sogghignando contro la sua pelle. Gli baciò il collo -che ne dici?
Lo so cosa state pensando, maledetti.
"Ma che carino, si preoccupa"
No, non è carino. È una gran rottura di coglioni.
-cosa ti fa pensare che ne abbia voglia?
Antonio lo baciò sulla guancia, ridacchiando -il fatto che tu non mi abbia ancora allontanato.
In risposta Lovino gli diede una gomitata, che però lo stronzo schivò ridendo. Per fortuna così facendo lo lasciò andare, e Lovino ne approfittò per raggiungere l'armadio, afferrare dei vestiti un po' a caso e togliersi la maglia che usava per dormire. Antonio fischiò.
-ma che bel risveglio.
Gli lanciò contro il pigiama -vattene a fanculo.
-se vieni con me volentieri.
-il tuo piano per stasera sta lentamente andando in fumo, ne sei consapevole, sì?
-ti porto un caffé?
Lovino rimase in silenzio per un po', infilandosi un paio di pantaloni scuri.
-ti odio- decretò infine.
Il bastardo ridacchiò, facendolo girare verso di sé e baciandolo. Quando ebbe la bocca libera, Lovino nascose la faccia contro la sua spalla, imprecando tra i denti.
-mi spieghi come dovrei dormire se fai così?
Antonio alzò le spalle -sei così stanco che crolleresti comunque.
-mai sottovalutare il potere di un espresso fatto come Napoli comanda.
-la caffeina non ti fa bene.
-ho pasta e caffé nel mio dna, amore- replicò, stampandogli un bacio sulla guancia -starò benissimo.
-mi hai chiamato amore- notò Antonio, gongolando -devi essere stanco morto.
-ero sarcastico.
-se lo dici tu...
-davvero.
-mhmh.
-fottiti.
-dipende da te, amore.
Lovino sbuffò e si girò verso l'armadio, infilandosi una maglietta, che guarda caso era del bastardo. Una stupida coincidenza.
Si sentì, ancora, abbracciare da dietro, e la testa riccioluta del bastardo si piantò nella sua spalla, con il viso premuto contro la maglia. Lovino sollevò la mano e gliela immerse tra i capelli, cercando invano di spingerlo via. Non gli stava accarezzando i capelli, era solo un'illusione ottica.
-amo quando ti metti i miei vestiti- gli sussurrò all'orecchio. Tante, piccole, fastidiose onde gli percorsero la schiena, rendendolo così vulnerabile da far schifo. Antonio gli posò un bacio appena sotto l'orecchio, mettendo a dura prova l'ultimo brandello di lucidità dell'italiano.
-e allora perché cerchi sempre di togliermeli?- gli sussurrò, appoggiandosi a lui. Tanto per dargli ragione, lo spagnolo gli infilò le mani sotto la maglietta, sfiorandogli i fianchi con la punta delle dita. Il suo sussurro fu così roco da farlo quasi sobbalzare per il brivido improvviso che gli provocò.
-perché senza sei così bello che non riesco a resisterti...
Lovino si impose di non arrossire -e tu sei un porco maniaco dalle mani lunghe.
Lo sentì sorridere contro la sua spalla. Fottuto bastardo, stava gongolando delle sue difficoltà. Meno male che lo amava.
-sei anche uno stronzo.
-gracias- si spostò a baciarlo sul collo, stringendoselo maggiormente contro e infilando le sue cazzo di mani ovunque. Lovino dovette mettersi una mano sulla bocca per non gemere in modo decisamente imbarazzante.
-non... non dovevo dormire?- stava ansimando. Fottuto bastardo.
-se è l'unico modo per convincerti a non fare di testa tua...- lasciò la frase in sospeso e tornò a sfogare i suoi ormoni da bastardo represso sul suo povero collo. Stronzo.
-n-non...- si morse il labbro, frustrato. Ignorò la sua risatina e cercò di calmarsi abbastanza da mettere insieme una frase di senso compiuto -non lasciare segni. Mia...
-tranquillo- lo interruppe, lentamente, portando le mani alla chiusura dei suoi pantaloni. Con calma eh, che avevano tutto il giorno -non lascerò nulla che lei possa vedere.
-mh...- si lasciò togliere i jeans, senza dire nulla. Poi si girò nel suo abbraccio, calciando via i poveri pantaloni, e si aggrappò alla sua bocca, spingendolo verso il letto senza troppi complimenti.
Si risvegliò a mezzogiorno. Brutto bastardo, gliel'aveva fatta. Si appuntò mentalmente di fargliela pagare mentre si faceva la doccia, nel vano tentativo di svegliarsi.
Almeno era stato di parola e gli aveva lasciato il collo illeso. Peccato per il resto, ma finché si fosse tenuto maglietta e pantaloni la bambina non avrebbe visto niente. Sbuffò, si sistemò un asciugamano intorno alla vita e uscì dal bagno, tamponandosi i capelli con un altro.
Lanciò un urlo. Chi cazz'era sul suo letto?!
-Feli! Ma che minchia ti salta in mente?- si portò una mano al petto, il cuore gli stava esplodendo per lo spavento. Quello sembrò imbarazzato, poi fischiò.
-ad Antonio piace proprio marchiare la proprietà, eh? Non è che ti fanno male alla pelle tutti quei segni?
-fatti li cazzi tua- sbuffò di nuovo e continuò a tamponarsi i capelli umidi, andando verso l'armadio. Prese dei vestiti puliti e lanciò in faccia al fratello l'asciugamano -perché sei qui? E non fissarmi, mi metti in soggezione.
Feliciano sembrava stupito -per quale cazzo di motivo hai dei succhiotti pure sulla schiena, me lo spieghi?
-ti ho detto di farti i cazzi tuoi. E voltati dall'altra parte- si infilò un paio di mutande da sotto l'asciugamano e se lo tolse, lanciandolo via.
Il fratellino obbedì, ridendo -eddai, sei mio fratello.
-allora la prossima volta che fai la doccia fammi un fischio, così vengo a spiarti- quando ebbe finito di vestirsi si girò verso Feliciano e incrociò le braccia al petto -quindi? Che vuoi?- lo colse un dubbio atroce -sta male il nonno? Antonio? Mia?!
-secondo te sarei così calmo, in caso?
-quindi stanno bene?
-benissimo. Il nonno sta dormendo, ma mi ha detto una cosa e... credo che tu debba saperla.
Si sedette al suo fianco e gli prese la mano -è una cosa brutta?
-no, no. Solo... una cosa. Il nonno ha... mi ha detto che la vecchia casa di mamma e papà è ancora lì- lo guardò, in attesa della sua reazione -e che... tecnicamente è tua.
-oh...
-già. Potresti andarci con Antonio e Mia. È vicina a casa del nonno e alla città, ed è decisamente abbastanza grande. Non so come sia messa... il nonno ha detto che non ci ha messo piede da quando...- abbassò lo sguardo -be', da quando sono nato io.
Lovino gli strinse le mani -lo sai che non è colpa tua, vero?
Feliciano abbozzò un sorriso triste, asciugandosi gli occhi -lo so, ma... non so... è come se inconsciamente pensassi il contrario.
-ah, ho capito. Succede anche a me- lo baciò sulla fronte, stringendoselo contro -quando ripenso all'incidente mi sento così.
-oh...- ricambiò l'abbraccio, nascondendo il viso contro il suo petto. Sospirò -ti voglio tanto, tanto bene, fratellone.
-anch'io, Feli- lo baciò tra i capelli -tanto.
È una sensazione strana, sapete? Per voi potrà non avere un senso, ma, in qualche modo, è familiare ed estraneo contemporaneamente.
Da un lato riconosco la struttura della casa; so dov'è, era, la mia camera da letto, dov'è il bagno, sento di appartenere a questo posto.
Dall'altro il vecchiume, la polvere, i mobili mezzi distrutti... sento che sono sbagliati.
Da un altro lato ancora, io so di non mettere piede in questo posto da almeno sedici anni, e lo vedo con i miei stessi occhi. Non riconosco i quadri alle pareti, le decorazioni sul soffitto, i libri nelle mensole sulle pareti. Non riconosco le foto, solo alcuni soggetti.
Mi guardo intorno, pieno di meraviglia, sia perché sono tornato a casa, sia perché ne sto riscoprendo una che avevo appena iniziato a conoscere con i miei primi passi.
Qualcosa mi afferra la mano, e una presa gentile mi riporta al presente.
-ehi...- Antonio è preoccupato, lo vedo. Ha paura che tornare qui mi mandi in crisi. Ma perché dovrei andare in crisi, se c'è lui qui con me? -stai bene?
Annuisco, sorridendo leggermente. Indico una porta chiusa -lì c'era la cucina, credo. E lì- indicò una stanzetta, la più spaventosa -la mia camera.
Sì, va bene, è carino quando si preoccupa, ma sta diventando irritante -e... ci vuoi entrare?
Annuisco. Dovrò pur vederla tutta, no? -sì- gli lasciò la mano -ma da solo.
-va bene- si avvicina a me e posa la fronte sulla mia, osservandomi. Mi bacia, e improvvisamente non mi importa più nulla di dove siamo. Sorride -se mi cerchi rimango qui, mh? Se hai bisogno urla.
È la tipica, dolce, snervante ed eccessiva preoccupazione all'Antonio. Sorrido -va bene- mi bacia di nuovo e mi lascia andare.
La maniglia è fredda. Quel gelo improvviso mi risveglia del tutto. Cigola, dovremo oliare per bene un po' tutte le porte.
E sono di nuovo un bambino.
Ci sono dei miei disegni alle pareti, noto. Le mura sono di un bell'azzurro, mi piace. Il letto è troppo piccolo per Mia, dovremo cambiarlo, ma l'armadio si può tenere se non è troppo marcio.
Sto cercando di aggrapparmi a cose pratiche per non crollare. Poi noto qualcosa che demolisce tutti i miei propositi.
Me lo stringo al petto mentre barcollo all'indietro, fuori.
La voce di Antonio mi risveglia, viene al salotto.
-sei tu questo nella foto? Eri carinissimo!- sbuca dalla stanza, nota la mia faccia e mi raggiunge in un istante, preoccupato. Mi afferra il viso tra le mani, studiandomi alla ricerca di indizi per capire cos'abbia.
Le sue dita scorrono sulla mia guancia.
Scorrono...
s c o r r o n o
sssscccccooooorrrrrrooooonnnnoooo
-Lovi? Hai trovato qualcosa?- nota il pupazzetto, ma non cerca di togliermelo -stai bene?- mi spezzo a vederlo così preoccupato, ma non riesco a muovermi -amore, rispondimi. È un attacco di panico? Chiamo un'ambulanza?
Sto cercando la mia testa. La cerco la cerco devo farle dire qualcosa ma non la trovo.
E poi oh, ma sono io la mia testa, le mie braccia, le mie gambe. Riesco a fare no con un cenno.
-no- ho la voce roca, meglio di niente. Ho bisogno di sedermi -sto bene.
Stringo l'oggetto al petto.
Da bambino questo gesto sembrava risolvere tutto. Quando ero terrorizzato, quando avevo paura, quando ero triste o preoccupato, stringere il mio pupo risolveva tutto. Ora però sono grande. Grande. Sono adulto, e non funziona più.
Stringo la mano di Antonio -continuiamo il giro.
La camera dei miei è l'unica stanza dove c'è qualcosa di diverso. Le coperte sono sfatte, l'armadio è aperto e mezzo svuotato per terra. Inspiro, espiro, inspiro, espiro.
-dev'essere stato papà- rifletto. Ho la voce piena di nulla -dopo che è nato Feliciano è scappato. Sarà passato a prendere dei vestiti o roba simile...
Mi aggrappo alla sua mano per non cadere e guardo il letto, trattenendo un pianto inutile. È un riflesso incondizionato: da bambino venivo qui a piangere dopo un incubo, ora mi viene istintivo rannicchiarmi nel letto a piangere alla ricerca di un abbraccio.
Non lo faccio, ma Antonio mi abbraccia comunque, con una mano sulla mia schiena e una dietro la mia nuca. Mi lascio andare, tanto è solo lui. Non piango, però mi nascondo contro la sua spalla. La casa è così fredda, mi dà fastidio. Lui però mi riscalda, e non solo a livello fisico. Abbozzo un sorriso e indico il lato destro del letto.
-lì si metteva sempre mamma. Quando avevo un incubo mi infilavo sotto e lei mi abbracciava sempre, anche se stava dormendo.
-non piangevi?- chiede. Che carino, si è messo a giocare con i miei capelli. Scuoto la testa.
-no. Il nonno dice che non piangevo tanto... era Feli il piagnone. Più che altro facevo tanti capricci e mi imbronciavo senza nessun motivo apparente, ma non mi piaceva fare troppo rumore.
Lo so che sta sorridendo. Non lo vedo, ma lo so -non sei cambiato tanto, allora.
-fottiti.
Ride. Stronzo.
Mi allontano e mi siedo sul bordo del letto, scrutando il cuscino di mamma. Mi sembra quasi di vederla sdraiata lì, con il pancione, una mano dove c'è Feli e l'altra tra i capelli del me bambino, a cantarci una ninna nanna. Una lacrima mi riga la guancia, mi sento un bambino.
Lo stronzo mi si siede accanto e mi riporta alla realtà con un braccio intorno alle spalle.
-stai bene?
Scuoto la testa -dobbiamo cambiare il letto. Troppi ricordi, non riuscirei a dormirci. Né a... fare altro- pratico. Pensiamo a cose pratiche.
Esita, poi non riesce a non fare una domanda stupida -ma... cioé sei sicuro di voler vivere qui?
-sì. Tu no?
-io... cioé è una bella casa e non mi dispiace di certo avercene già una, ma non... non ti metterà tristezza?
-no- stringo il pupazzetto nella mano. Espiro -qui ci saremmo dovuti crescere io e Feli. Vorrà dire che ci cresceremo nostra figlia- lo baciò sulla guancia, non è convinto -senti, non ho brutti ricordi qui. Non ne ho proprio, solo delle... sensazioni, ecco. Però mi sento a casa- gli tiro la guancia -e sarebbe da idioti non approfittare di una casa nostra e già arredata, no?
-sì- dice, piano. Mi stringe maggiormente, ha un braccio intorno alla mia vita e, cazzo, tutto questo contatto è così naturale e bellissimo. Mi stringe la mano -ma se ti fa stare male non avere problemi a dirmelo, va bene?
Sorrido, sistemandogli, invano, alcuni riccioli in una forma vagamente ordinata.
-sto bene- dico, ed è vero -sì insomma, è stato un brutto periodo, ma ora sto bene. E... non penso che mi farà male stare qui.
-va bene, querido- mi bacia sulla guancia. Stronzo. Lo bacio sulla bocca, come si deve, e lo sento ridacchiare.
-ti amo- mi bacia, accarezzandomi la guancia. Mi osserva, sorridendo, così innamorato da farmi arrossire e chinare lo sguardo. Be', più che altro ci provo, visto che il bastardo mi ribacia -ti amo- riribacia -ti amo- ririribacio -te amo- riririribacio -te amo- ri... ho perso il conto. Be' , chissene fotte. Gli getto le braccia al collo.
-anch'io. Anch'io. Anch'io. Anch'io...
Ogni punto è un bacio, e a ogni punto metto un paletto tra me e il bambino che veniva a piangere dalla mamma e sfiorava il suo pancione con aria curiosa. Sono un adulto ormai. Adulto e innamorato, non ho più bisogno della mamma.
Poso lo sguardo sul suo cuscino.
Mi sembra quasi di vederla che mi sorride, mentre Antonio mi tiene ancorato nel mondo dei vivi con l'ennesimo bacio.
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