Capitolo quaranta
Non sono così stronza, non vi lascio troppo in sospeso :)
Visto che aveva comunque fame, dopo una doccia veloce andò a fare colazione da solo, rimuginando.
Alla mensa non c'era molta gente, ma non era una novità. Un gruppetto di bambini, però, attirò la sua attenzione, soprattutto perché suo fratello stava disperatamente tentando di far mangiare due di loro. Afferrò la sua colazione e andò verso quel tavolo.
Feliciano sembrò immensamente sollevato vedendolo; gli corse incontro, gettandogli le braccia al collo -Lovi! Ti prego, aiutami!
Si lasciò sfuggire una risata -ti fai comandare a bacchetta dai marmocchi?
-sono più testardi di te- si lamentò Feliciano, facendogli roteare gli occhi. Gli schiaffò il vassoio in mano.
-ho capito, ci penso io- si rimboccò le maniche del maglione e raggiunse il tavolo dei marmocchi. Puntò il dito contro i due che non mangiavano -mangiate, forza, non fatemi incazzare.
Feliciano cominciò a pentirsi della sua richiesta d'aiuto. Uno dei due bambini, un ragazzetto pelle e ossa dalla faccia da peste, incrociò le braccia al petto -no.
A Lovino venne un preoccupante tic all'occhio -fai pure, sai che me ne frega? Ma forse non sai che chi non mangia, poi muore. Morte, capito? Una morte orrenda.
Il bambino sembrò incerto -non è vero!
Lovino gli mostrò la sua famigerata faccia cattiva -oh, invece sì. Una volta ho visto un tizio morire perché si rifiutava di mangiare- i due sembrarono spaventati. Abbassò il tono della voce, cercando di incutere più terrore possibile -dimagrì sempre di più, lentamente, e non aveva più la forza di fare niente.
Il compare della peste sembrò terrorizzato -neanche di giocare a calcio?
Annuì, gravemente -neanche di giocare a calcio. Tutti glielo ripetevano, guarda che così ci crepi, e lui "ma no, non è vero". E così continuò a dimagrire e dimagrire finché un giorno...- restò per qualche secondo in silenzio, sotto lo sguardo attonito dei bambini. Sbatté la mano sul tavolo, facendoli sobbalzare -di lui non rimasero che le ossa e qualche ciuffetto di capelli.
Terrorizzati i due bambini si misero a mangiare, quasi ingozzandosi. Lovino sorrise soddisfatto -bravi bambini- si girò verso suo fratello -visto? Non ci vuole tanto.
Feliciano si sbatté la mano in faccia -ecco perché il nonno ha chiesto a me di occuparmene.
-tsk, tutta invidia perché sono un babysitter migliore di te- si sedette nel tavolo e si accorse di una bambina che lo fissava, e che distolse lo sguardo quando si girò verso di lei. Alzò le spalle e si mise a mangiare. Dopo qualche minuto Feliciano gli si sedette accanto, con un sorriso che non prometteva niente di buono -allora?- gli aveva parlato in italiano. Furbo.
-allora cosa?
-com'è stato fare l'amore con Antonio?- rischiò di strozzarsi. Quando riuscì a riprendere fiato lo guardò stralunato, con la voce un po' più acuta.
-e tu che ne sai che l'abbiamo fatto?!
Feliciano ghignò e gli puntò il dito contro -me l'hai confermato tu proprio ora! Poi dai, si capiva ieri sera che non vedevate l'ora di saltarvi addosso. Cesare è venuto a dormire da me, e visto che detesta Antonio... ho fatto due più due.
-pensa al tuo crucco- brontolò, chinando la testa. Feliciano lo ignorò e riprese con le domande imbarazzanti.
-fa male?- sembrava curioso, e anche un po' spaventato. Lovino si ritrovò ad annuire.
-un po'.
Feliciano aggrottò la fronte -e allora come mai riesci a sederti?
Lovino si sbatté la mano in faccia -ma i cazzi tuoi?- brontolò, coprendosi la faccia. Quello rise.
-dopo mi racconti tutto- stabilì, con un sorrisino -e soprattutto come hai fatto a sbarazzarti di lui così in fretta. Pensavo che non saresti riuscito a togliertelo di dosso prima di domani.
Lovino sbuffò. L'idea era quella ma... -c'è stato un imprevisto. Aveva... da fare.
-oh, capisco. Se sei libero puoi darmi una mano con i bambini? Non penso di riuscire a occuparmene da solo.
-mh? Va bene. Come mai devi fare da tata alle creature?
-sono i...- abbassò il tono della voce, anche se quelli non li stavano ascoltando e non potevano capirli -gli orfani di guerra. Sai, i figli di quelli uccisi da quei generali...
-oh- aggrottò la fronte e contò i bambini. Erano solo otto -così pochi? Meglio.
-in realtà no, ce ne sono altri, ma siamo riusciti a contattare le famiglie, nonni o zii o cose così, e quelli che potevano se ne sono presi cura.
-ah- quindi quei bambini non avevano nessuno. Si sentì improvvisamente più affine a loro -certo che ti aiuto.
Feliciano lo abbracciò -grazie, fratellone!
-sì, sì, lasciami mangiare però.
Erano anni che non vedeva un bambino. Non si ricordava fossero così casinisti.
Dopo la colazione li aveva portati con Feliciano in una stanzetta che doveva essere per loro, con vari giocattoli sparsi in giro e matite un po' ovunque. Le best- i bambini non avevano perso tempo nel correre dal loro giocattolo preferito e mettersi a far casino. Lovino era lì da dieci minuti e già aveva il mal di testa.
L'unica a non fare di tutto per mandarlo, nuovamente, al manicomio, era la bambina che lo stava fissando prima, che se n'era rimasta sul suo lettino a guardare nel vuoto. Afferrò suo fratello per un braccio e la indicò con un cenno del mento -che ha quella?
Feliciano alzò le spalle, a disagio -non lo so, è così da quando le abbiamo spiegato che i suoi...- lasciò la frase in sospeso -non gioca con nessuno e se ne sta per conto suo. Ho provato a parlarci ma non risponde.
-uhm...- lo lasciò andare e andò da lei, che neanche lo guardò in faccia -posso sedermi?- quella non disse niente. Lovino le lasciò qualche secondo per dire qualcosa, ma non lo fece -guarda che chi tace acconsente- la ammonì. Niente. A quel punto si sedette sul lettino, decisamente troppo basso per lui -bene, allora resterò qui a darti fastidio finché non mi dirai qualcosa. Mi senti, no? Non sei sordomuta. Annuisci se mi hai capito- ancora niente. Lovino ripeté la domanda per tre volte, finché quella, forse per farlo tacere, non annuì, lentamente -bene. Allora resterò qui finché non mi dirai qualcosa. Qualsiasi cosa, ma voglio sentirti parlare- silenzio. Cioé no, c'era un casino pazzesco in quella stanza, ma la bambina rimase in silenzio -te l'ho detto, sono testardo, più di te, e rimarrò qui, seduto affianco a te, finché non mi risponderai. Senza mangiare, senza dormire, senza bere...
Finalmente la bimba si girò a guardarlo. Era davvero carina, aveva gli occhi azzurri, e i riccioli scuri le arrivavano appena alle spalle, forse erano stati tagliati di netto. Non poteva avere più di quattro anni.
-prima- mormorò -hai parlato di morte.
Era inquietante sentir parlare una bambina così piccola di morte.
-sì- rispose, esitante -e quindi?
-mi hanno detto che mamma e papà sono morti- continuò -che se ne sono andati e non possono tornare. Non ho capito cosa significa- si imbronciò -tutti mi trattano come se fossi stupida e non mi dicono la verità. Ma non sono stupida e voglio sapere dove sono i miei genitori.
-oh- come si spiegavano certe cose ai bambini? Non ne aveva idea. Come glielo aveva spiegato suo nonno? -vedi...- bah, improvvisiamo, si disse. Si portò una mano al petto -qui abbiamo un cuore. Se ti metti la mano qui lo senti- lei lo fece, curiosa, e annuì.
-è veloce- commentò, sottovoce. Lovino annuì.
-il fatto che batta è la prova che sei viva, ed essere vivi è il contrario che essere morti.
-e quando sei morto non batte?
-esatto. Quando smette di battere non sei più vivo, quindi sei morto.
-e perché smette di battere?- pendeva dalle sue labbra ormai. Lovino alzò le spalle.
-ci sono tanti motivi. Quando sei molto, molto vecchio, smette di battere e basta.
-ma i miei genitori non erano molto molto vecchi.
-a volte succede. Altre volte qualcuno lo fa smettere e uccide una persona.
La bambina sgranò gli occhi -e come?
-vari... modi- meglio non spiegarglielo.
-e i miei sono stati ucci... uccidi?
-uccisi. Non proprio. Sono morti coraggiosamente, combattendo, per darti un futuro- non ne era così sicuro, ma era meglio darle una bella immagine.
Gli occhi le si inumidirono -ma io non volevo che morissero!
-lo so, lo so- si sforzò di essere rassicurante -ma a volte non abbiamo scelta. Fa male, ma se ne sono andati per te.
-allora voglio raggiungerli!- si asciugò le guance, era finita a piangere -voglio morire anch'io!
-no- le prese la mano, istintivamente -loro sono morti per te, per farti vivere. Non pensi che morendo renderesti tutto inutile?
La bambina lo abbracciò, scoppiando definitivamente in lacrime contro la sua maglietta. Lovino rimase di sasso, ma seguì l'istinto e la strinse. Era così piccola... ne aveva passate troppe. Doveva essere protetta. Un irrazionale, fortissimo istinto lo spinse a coprirla, a farle quasi da scudo con il proprio corpo. Intercettò lo sguardo di Feliciano, che sembrava stupito, e lo incenerì con lo sguardo per avvertirlo di non dire niente. Quando quella sembrò calmarsi un pochino, la allontanò da sé per asciugarle la guancia -come ti chiami?
La bimba tirò su con il naso -Mia.
-Mia- ripeté -be', Mia, essere adulti comporta questo: dover fare i conti con la morte. Ma tu sei ancora piccola, e per quanto possa essere frustrante non essere presi sul serio, non ti devi preoccupare di queste cose.
Mia si asciugò gli occhi -e tu sì?
Le rivolse un piccolo sorriso -purtroppo sì. Anche la mia mamma è morta quando ero molto piccolo, sai? Non è una cosa che passa in fretta. Semplicemente ogni giorno diventa più facile, e ti mancheranno sempre, ma un po' meno, e conoscerai delle persone che ti staranno vicino e ti aiuteranno ad andare avanti.
Mia tornò ad abbracciarlo, riprendendo a piangere. Lovino le accarezzò i capelli -su, su, tranquilla.
Cesare scelse quel momento per apparirgli sulla spalla, miagolando. Mia arretrò, sorpresa, e lo scrutò, stupita, con gli occhi rossi. Lovino accarezzò la testolina del gatto, notando la sua meraviglia -lui è il mio gatto.
Il micio scese dalla sua spalla e si teletrasportò in grembo alla bambina, scrutandola con attenzione. Mia guardò Lovino, quasi spaventata -che faccio?
-accarezzalo- le consigliò, percorrendo il corpo dell'animale -così. Gli piace.
-uhm...- esitando posò la manina sulla testa del gatto, scendendo lungo il collo fino alla coda. Cesare andò incontro alla sua mano, facendo le fusa. Mia però si spaventò e allontanò la mano -che suono è?!
Lovino ridacchiò -si chiamano fusa. Significa che gli piace quello che stai facendo- per provarlo fece qualche grattino sulla testa del gatto, che fece nuovamente le fusa -visto? Non ti farà niente, tranquilla- le prese la mano, così piccola che sembrava sparire contro la sua, e lentamente la posò sulla testolina di Cesare, facendola scorrere lungo il pelo. Cesare riprese a fare le fusa, facendo ridere Mia, che cominciò ad accarezzarlo senza più paura -ma che carino che sei!
-si chiama Cesare- aggiunse osservandola giocare con il gatto, che prese a leccarle la mano, facendola ridere.
-mi fai il solletico!- esclamò, lasciandolo fare.
-è il suo modo di darti un bacino- le spiegò, con un piccolo sorriso. Mia sembrò contenta, perché si chinò a stampare un bacio sulla testa del micetto. Poi guardò il ragazzo, timidamente -posso darne uno anche a te?
Lovino rimase un attimo sconvolto, ma annuì -uhm... se vuoi...
La bimba rise sottovoce, si tolse Cesare dal grembo delicatamente, si mise in piedi sul letto, per essere più in alto di lui, e gli stampò un bacio sulla guancia, gettandogli poi le braccia al collo per abbracciarlo. Lovino la strinse, un po' preoccupato. Quella bambina aveva la vita così stretta che, posandole le mani sui fianchi, le sue dita si toccavano. Doveva farla mangiare per bene, era troppo magra -occhio che cadi- la rimproverò, tenendola in piedi. Cesare si teletrasportò sulla spalla della bambina, leccandole la guancia e facendola ridere.
Quell'allegro siparietto fu interrotto dall'arrivo di Ludwig, che prese da parte Feliciano per dirgli qualcosa. Non fu proprio questo a interromperli, in realtà, ma Feliciano, che li raggiunse e posò una mano sulla spalla di suo fratello -ehi- mormorò, piano -c'è Francis che sta male.
-lo so.
Feliciano sembrò confuso -e allora perché sei qui?
Lovino alzò le spalle, accarezzando distrattamente il gatto -chi potrebbe volermi dove si cerca di impedire a uno di morire?
Feliciano roteò gli occhi, scocciato -Antonio. Non pensi che voglia un po' di conforto?
Non rispose, con le guance rosse. Feliciano sbuffò -vai, forza. Resta Ludwig ad aiutarmi.
Annuì, voltandosi verso Mia. Si sforzò di imbastire un sorriso e fece per parlare, ma lei lo precedette.
-devi andare a fare cose da adulti?- si allontanò e si sedette a gambe incrociate sul letto, con Cesare in braccio. Lovino annuì.
-potresti prenderti cura di Cesare finché non torno? Gli piaci ed è un compito importante, non saprei a chi altro affidarlo.
Mia annuì, contenta di avere qualcosa di importante da fare.
-grazie- la baciò sulla fronte e si alzò -torno il prima possibile, promesso.
Mia annuì, osservandolo correre via.
L'atmosfera era deprimente. Il corridoio bianco dell'infermeria era ingombrato da sedie, tutte occupate, e la maggior parte degli sguardi erano puntati sulla finestrella che dava sulla stanza dove il malato riposava. Lovino trattenne un brivido, Francis sembrava già morto. Solo il suono lento e regolare dell'elettrocardiogramma faceva intendere che ci fosse ancora della vita lì dentro.
Superò Eliza, la quale stava rassicurando il ragazzo affianco a lei accarezzandogli i capelli, e Gilbert, fino a raggiungere Antonio, che aveva i gomiti posati sulle ginocchia e la testa tra le mani. Gli si inginocchiò davanti, per essere alla sua altezza, e delicatamente posò le mani sulle sue, chiamandolo sottovoce.
-ehi...- riuscì ad ottenere la sua attenzione. Antonio sollevò il viso per guardarlo negli occhi, e Lovino sentì il cuore spezzarsi in un milione di minuscoli pezzettini, che si conficcarono nei suoi polmoni, mozzandogli il respiro. Antonio aveva gli occhi rossi, lucidi, stracolmi di lacrime sul punto di cadere; le labbra erano screpolate, doveva essersele morse fino quasi a sanguinare, ed era così distrutto, così abbattuto che Lovino sentì i sensi di colpa impazzire.
-scusa- ebbe a mala pena il tempo di sussurrarlo che quello, una volta messo a fuoco la persona davanti a sé, lo abbracciò, scoppiando a piangere.
-Lovi...- singhiozzò, incapace di parlare, e lo strinse forte, inondandogli la maglia di lacrime. Lovino lo strinse, chiudendo gli occhi.
-shh, va tutto bene- e, anche se non era vero, sperava fosse un po' di conforto. Lo baciò sulla testa, senza sapere bene che dire. Forse bastava tacere.
Dopo circa un'ora dall'arrivo di Lovino, la dottoressa li lasciò entrare. Arthur si alzò di scatto quando la vide uscire -come sta?!
Quella scosse la testa, abbattuta.
-mi dispiace- disse solo -ho fatto tutto il possibile.
Per poco non cadde a terra. Non vide più nulla se non colori vaghi, e non sentì più niente tranne un freddo devastante e un fischio acuto nelle orecchie.
Francis stava per morire.
Lo sapeva, avrebbe dovuto aspettarselo, non avrebbe dovuto essere sorpreso. Ma per tutto quel tempo aveva accantonato quella realtà, perché di realtà si trattava, in un angolino della sua testa, bollandolo come un "Francis morirà", e non come un "Francis sta per morire"
Venne riportato alla realtà da una mano gentile sopra la sua, che neanche si era accorto di aver appoggiato al muro per non cadere. Sbatté le palpebre, non stava diventando cieco, erano solo le lacrime. Matthew gli sorrise, con gli occhi lucidi, e gli strinse la mano.
-andiamo- sussurrò, andando verso la stanza -dobbiamo salutarlo.
Arthur si asciugò le guance, lasciandosi guidare all'interno.
Sentì un gemito strozzato dietro di sé.
-no, non ce la faccio- Gilbert arretrò, uscendo, con gli occhi iniettati di sangue -n... no, non ci riesco.
Eliza gli prese la mano -vieni- lo guidò fuori -prendiamo un po' d'aria.
Arthur li osservò uscire, notò Lovino abbracciare il suo ragazzo, e si disse che il suo destino sarebbe stato quello. Mentre tutti intorno si amavano e si facevano forza a vicenda, lui sarebbe rimasto lì, solo, a farsi forza da solo.
Poi Alfred e Matthew lo abbracciarono, e si concesse un sorriso al pensiero che no, forse completamente solo non lo sarebbe stato.
Francis è in un prato fiorito, circondato da lavanda in fiore
Lovino scrutò la figura di Francis, con Antonio che gli piangeva sulla spalla. Non gli piaceva quella situazione, proprio per niente. Era stanco di vedere gente che moriva.
Scorge il profilo della Tour Eiffel in lontananza. Sorride, gli è mancata casa
Gli tornarono in mente le parole di sua madre, per qualche motivo, e un'idea assurda si fece strada nella sua testa.
Gira su se stesso, il vestito azzurro si gonfia intorno a lui
"A volte è necessario distruggere il marcio, per poter ricostruire qualcosa di migliore"
Resta lì, tranquillo. In testa gli tornano un paio di occhi verdi, e una litania, simile a una ninna nanna, gli sussurra qualcosa all'orecchio in una lingua che non conosce.
Si avvicinò a Francis, senza sapere bene che fare. Seguì l'istinto, ignorò le domande degli altri e posò una mano sul petto di Francis.
Si piega in due per il dolore, urlerebbe ma i polmoni bruciano bruciano e bruciano e e e...
perché respira meglio?
Dolore, tutto intorno va a fuoco
Brucia brucia brucia brucia brucia BRUCIA
Il suo cuore batte batte e batte, più velocemente che mai, sente l'erba contro le ginocchia e un materasso contro la schiena, ma non ha senso, ma non ha modo di pensarci su perché brucia sta bruciando tutto io sto bruciando sto bruciando lentamente salvatemi vi prego non ce la faccio e
Arthur, pardonne-moi
Delle voci, che dicono?
Qualcuno urla
Conosco questa voce
Arthur...
Vorrei dirti qualcosa
Ci provo, ma il mio corpo non funziona
Non capisco, di che state parlando?
Smettetela di urlare, non... non capisco
Le voci si sovrappongono, una ad una, tante lingue tutte insieme e non una che io capisca ed è tutto così confuso e e e e e e e
E poi c'è una voce chiara, cristallina, che mi parla affianco, in francese
Mi volto verso la voce e questa volta riesco a muovermi
È una ragazza, carina, dai capelli corti
Non l'ho mai vista prima, ma in qualche modo sento di conoscerla
Mi fa l'occhiolino -bonjour, Francis.
-quoi...- ho la gola secca
-che succede?-suggerisce. Annuisco -be', stai morendo. Più del solito almeno. In teoria dovresti essere già morto, ma qualcuno là sopra ti vuole bene a quanto pare.
-in Cielo?
-no, nella coscienza- indica qualcuno
È Lovino, svenuto e seduto a terra, con Antonio davanti che gli fa da scudo e urla contro qualcuno. Arthur, conoscendoli
-Lovìn? Perché dovrebbe?
-oh, non penso ne fosse propriamente cosciente- riflette la ragazza -un po' sì, ma da sopra, sopra Sopra questa volta, gli è arrivato una sorta di segnale. Diciamo. È una cosa complicata, non abbiamo tempo.
-e... quindi?
-e quindi ora hai una scelta davanti a te. Il tuo cuore non sta battendo da... uhm... qualche centesimo di secondo direi. Il tempo ora sta scorrendo più lentamente, siamo nella tua testa in fondo, ma sta scorrendo, e tra poco non avrai più il tempo per riprendere a, sai no?, far battere il tuo cuore. Devi decidere se vivere o morire.
-vivere o morire...- ripeto, lentamente. Avere una voce in capitolo in merito... sembra chiedere troppo
-tu chi sei?
Quella sorride -un'amica, anche se non mi conosci. Ti è sempre piaciuta la mia storia, fin da bambino.
-uno... spirito?
-più o meno.
Una storia che ho sempre apprezzato... fin da bambino...
E poi un'altra voce si fa strada nel casino
Parla francese, ma è una voce maschile
Un sussurro, qualcosa che mi stringe la mano
-réveille-toi... je t'en supplie*
Mi si stringe il cuore
-Matieu...
Guardo la ragazza
-come faccio a tornare in vita?
Il suo sorriso aumenta
-questo devi dirmelo tu.
Chiudo gli occhi
Nel casino, un lieve, quasi impercettibile ma determinato battito si fa strada tra le urla, zittendo tutti.
Bip
Bip
Bip
*svegliati... ti imploro.
Non so se sia giusto, ho usato Google
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