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Capitolo otto

Okay, altre precisazioni. Per una parte della storia di Eliza mi sono ispirata a una notizia che lessi diverso tempo fa, avvenuta in Puglia se non ricordo male, che mi aveva scioccata parecchio e mi era rimasta impressa, anche se aveva un epilogo meno tranquillo. Di nuovo: accenni a tematiche delicate.

Piccolo spam: io e _Meliodas_Sama_ stiamo scrivendo una storia a quattro mani sul BTT. Se vi va passate a leggerla, la trovate sul suo profilo. Vi lascio al capitolo, buona lettura.

Ah, se solo potessi scrivere solo dei momenti belli di questi due! E invece in questa storia c'è altro, oh se c'è altro... preparatevi a soffrire, perché fino ad ora abbiamo solo sfiorato la superficie della T di Traumi.
Due mesi dopo, Lovino si risvegliò da solo. Strano. Ormai dormiva quasi sempre con Antonio.
Si stiracchiò, si alzò e andò a vestirsi. Guardò l'ora, erano le dieci e mezza. Strano... quel giorno avrebbe dovuto fare lezione con Antonio. Uscì dalla sua stanza per andare a fare colazione, ma trovò la porta della mensa chiusa a chiave dall'interno. Aggrottò la fronte, che cazzo...
Cominciò a vagare per i corridoi deserti, cercando qualcuno. Niente. Alla fine trovò suo fratello, seduto in un angolino a disegnare sul taccuino che teneva sulle ginocchia.
-ehi. Che sta succedendo? Dove sono tutti?- si sedette accanto a lui e sbirciò il taccuino. Feliciano stava disegnando un paesaggio, si vedeva una spiaggia con delle montagne sullo sfondo e alcune case sparse qua e là. In primo piano c'erano due figure umane, anche se non era ancora possibile capire chi fossero.
Feliciano continuò a disegnare l'ombra di una casa mentre rispondeva -è il nostro compleanno- sembrava infastidito -il nonno starà preparando la solita festa a sorpresa.
-ah- era il loro compleanno? Non ci aveva pensato. Non aveva un calendario in camera sua, aveva perso talmente tanti compleanni che se l'era dimenticato. Se proprio avesse dovuto ripensarci, avrebbe ipotizzato che avrebbero fatto come per quello di Antonio: una piccola festicciola tra ragazzi, un paio di bottiglie di alcolici e una torta. Niente di esagerato, niente cerimonie eccessive...
-ma le feste a sorpresa non ce le faceva quando eravamo piccoli?
Feliciano sospirò -non ha mai smesso.
-ma che...- capì prima ancora di finire la frase. Il nonno continuava a organizzare quelle feste per dare una parvenza di normalità, come se così potessero tornare come quando erano bambini e potevano avere una vita normale -mh. Quando pensi che salteranno fuori?
-boh. Ve, di solito la prepara nella mensa.
-prima era chiusa.
-appunto.
-non sarà una cosa imbarazzante vero?
L'occhiata di Feliciano gli fece capire tutto. Sospirò.
-che palle.
Dopo un po' li raggiunsero Antonio e Ludwig.
-ehi. Venite a pranzo?
Lovino sbuffò -c'è una festa, vero?
Antonio fece un sorriso fintissimo -no, cosa te lo fa pensare?
I due fratelli si lanciarono un'occhiata scettica. Feliciano chiuse il taccuino e lo infilò nella tasca della felpa insieme alla matita, per poi alzarsi, seguito dal fratello.
-ve, fingiti sorpreso, il nonno ci tiene- gli raccomandò.
Antonio fece una risatina -sorpreso di cosa? Non c'è niente di cui essere sorpresi.
-non sai mentire.
Come aveva previsto Feliciano, nella mensa c'era una festa. Dove avessero trovato i palloncini rimane tutt'ora un mistero. Le meraviglie del mercato nero. Lovino ricevette auguri da tutti, anche da gente che non conosceva. Un po' come i Natali con i parenti, per intenderci. Imbarazzante, ma almeno la pasta era buona. Feliciano ricevette degli acquerelli e qualche pennello nuovo (di nuovo: le magie del mercato nero), mentre a lui diedero alcuni libri nuovi. O meglio, libri vecchi che erano riusciti a salvare dalla Restaurazione, che, come ogni governo dittatoriale che si rispetti, ne aveva distrutto la maggior parte.
-Lovi, bello de nonno, visto che fai diciotto anni puoi chiedermi anche qualcosa in più.
Lovino ci pensò su per qualche secondo -ora sono maggiorenne, giusto?
-giusto.
-allora voglio uscire fuori a prendere provviste con loro- e indicò con un cenno del mento Antonio e gli altri due idioti.
-no- dissero il nonno e Antonio all'unisono.
-invece sì. Ho diciotto anni, posso farlo, no?
Feliciano annuì, raggiante. Probabilmente pensava che così, forse, il nonno avrebbe dato più libertà anche a lui -sono le regole, nonno.
-è pericoloso.
-non mi importa. Non mi possono toccare, sono più al sicuro degli altri.
-possono spararti- replicò Antonio.
-potenzialmente no. Se riuscissi a distruggere i proiettili non appena mi toccano...
-non sai neanche spegnerlo, figurati fare queste cose!
-primo: questo è un colpo basso, stronzo. Secondo: mi basta attivarlo con gli oggetti, e questo lo so fare benissimo. Terzo: non sono cazzi tuoi- rispose, gelido. Si voltò verso suo nonno e incrociò le braccia al petto -le regole sono regole.
-non metterò a rischio la tua vita per un regalo di compleanno.
-non è una questione di regalo- si stava incazzando -è una questione che sono maggiorenne, e se voglio posso uscire.
-sei maggiorenne sulla carta, ma come esperienze sei fermo a undici anni.
Lovino si sentì arrossire, ma non avrebbe ceduto. No signore, ormai era una questione di principio. Strinse i denti -allora fammele fare 'ste cazzo di esperienze.
Romolo cercò di imbastire un sorriso -Lovino, ragiona un secondo...
-un cazzo! Sono rimasto anni chiuso in cella, non resterò chiuso qui quando ho la possibilità di uscire e dare una mano.
-puoi dare una mano in un altro modo.
-chissene fotte- ormai li stavano guardando tutti -non ci resto rinchiuso, non più. Voglio uscire e uscirò, con o senza la tua approvazione. Almeno se mi fai uscire con gli altri sai quando e dove andrò.
Romolo lo scrutò torvo per qualche secondo, pensando. Lovino sostenne il suo sguardo. Si sentiva gli occhi furiosi di Antonio addosso, ma a lui ci avrebbe pensato più tardi. Poi il nonno sospirò -e va bene.
-sì!
-cosa?!
-però niente azioni da eroe e niente fuori dal programma. Esci con gli altri, prendete quel che dovete prendere e torni indietro.
-okay, okay- se avesse potuto lo avrebbe persino abbracciato -grazie nonno!
Antonio però non sembrava d'accordo -non puoi farlo uscire, non sa neanche usare una pistola.
-posso insegnarglielo- intervenne Elizabeta dal tavolo dietro al loro.
-non ti intromettere!
-tu non ti intromettere- Lovino lo guardò male -non sono affari tuoi.
-mi sto solo preoccupando per te.
-non è necessario- gli scoccò un'occhiataccia. Antonio ricambiò. Una volta tanto non sorrideva -non rovinare la festa a tutti.
-non sto...
-ne riparliamo dopo- lo interruppe. Si alzò -vado a prendere altra pasta.

La festa finì a tarda sera. Antonio lo prese per un polso e lo trascinò fino alla sua stanza senza troppi complimenti -tu non vai.
-ciao anche a te. Tutto bene, grazie degli auguri, è bello essere un adulto libero di compiere le proprie scelte senza che nessuno rompa il cazzo- rispose candidamente seguendolo dentro la sua camera.
-non sei divertente.
-che peccato.
-è pericoloso, non ti rendi conto...
-non sono un coglione, è bello sapere che ti fidi di me.
-sono serio, Lovi. Potrebbero ucciderti, o rispedirti in cella.
-buona fortuna a mettermi le manette allora.
-Lovino...
-non mi farai cambiare idea. Tu esci spesso e sei sempre tornato intero, o sbaglio?
-io ho più esperienza e...
-ma non hai il mio potere. E se non ci provo, come cazzo dovrei farla l'esperienza, eh? Anche tu hai cominciato da zero o sbaglio?
-non c'entra! Tu sei più...
-se stai per dire che sono più debole giuro che ti tiro un calcio nei coglioni così forte che canterai da soprano per una settimana.
Antonio roteò gli occhi -ti sei allenato meno.
-sai, ho come la sensazione che inizialmente voi aveste bisogno di cibo tanto quanto ora, e che quindi tu sia andato anche prima di avere un minimo di allenamento. O sbaglio?
Antonio strinse i pugni -non...
-non un cazzo. Non devo rendere conto a te di quello che faccio, non sei mia madre.
-sono il tuo ragazzo.
-questo non significa che debba fare tutto quello che mi dici tu. Pensi che io non mi preoccupi quando esci? Certo che lo faccio, ma ti ho mai rotto il cazzo? No! Perché so che hai il diritto di pensare con la tua testa- inspirò profondamente -quando avrai finito di fare il bambino vienimi a cercare- e se ne andò sbattendo la porta.
Strinse i pugni e si trattenne a stento dal tirare un calcio alla parete. Aveva bisogno di sfogarsi, arrabbiato com'era poteva rischiare di distruggere per sbaglio qualcosa, o peggio qualcuno.
Da qualche giorno Eliza aveva fatto aggiungere un sacco e qualche tirapugni per farlo allenare con quelli. Effettivamente aveva davvero voglia di prendere a pugni qualcosa...

-quante volte ti devo dire di non tenere il peso sulle punte? Cadrai di faccia così.
Lovino si voltò e incrociò lo sguardo di una divertita Elizabeta, che lo osservava appoggiata allo stipite della porta, con i riccioli castani sciolti fino a metà schiena. Sollevò la mano destra, in cui teneva una bottiglia d'acqua -hai sete?
-cazzo sì- e lasciò stare il povero sacco da boxe. Eliza gliela porse e lui la prese, ringraziandola a mezza voce e bevendosene metà in un unico sorso.
-un bel compleanno eh?
Sbuffò -l'unico che può toccarmi senza crepare è un coglione iperprotettivo. Un bel compleanno, sì. La torta almeno era buona.
-la stai smaltendo?
Lovino bevve ancora un po' prima di rispondere -a quanto pare.
Si sedette a terra, appoggiando la schiena al muro. Aveva male alle mani e ai piedi, ma si sentiva abbastanza appagato. Eliza si sistemò accanto a lui, tenendosi a qualche centimetro di distanza.
-per quel che vale, penso che tu abbia ragione. Capisco cosa significhi sentirsi in gabbia.
Lovino annuì, gettando la testa all'indietro per scostarsi i capelli sudati dalla fronte -tenevano anche te in una cella?
Quella fece un sorriso triste -non tutte le gabbie sono fisiche.
-in che senso?
Eliza inspirò profondamente, come per trattenere le lacrime. Eppure era difficile immaginarla piangere -sai cosa importa agli altri quando sei una donna? Quanto bene sai aprire le gambe e quanti bambini puoi sfornare prima di crepare. O almeno, era così dove vivevo io. Ci si aspettava che mi comportassi in un modo, e nessuna eccezione era ammessa. Niente macchinine, niente pantaloni, solo bambolotti e cucine giocattolo. Capelli tenuti lunghi, gonne scomodissime, corpetti, sottane, era già tanto se mi concedevano di farmi una coda quando c'era caldo. Per non parlare delle scarpe con il tacco- sbuffò una risata -quando, una volta qui, ho scoperto le tute e le scarpe da ginnastica, stavo per piangere.
-come ci sei arrivata?- gli sfuggì di bocca. Poi, sapendo che la ragazza avrebbe potuto distruggerlo senza versare mezza goccia di sudore, si sentì in dovere di aggiungere -se ti va di raccontarlo.
Eliza alzò le spalle -non penso sia una storia adatta a un compleanno.
-ormai è passata la mezzanotte, non è più il mio compleanno.
-non...- sospirò, con un lieve sorriso -se ci tieni- allungò le gambe con aria stanca -come ti ho detto, sono nata in un paesino sulle montagne squisitamente sessista. Il nostro benevolo governo, ovviamente, se n'è sempre sbattuto alquanto dell'istruzione, per cui l'ignoranza dilaga a macchia d'olio, soprattutto nelle città di periferia. Sessismo, omofobia, razzismo... tutto quello che si può desiderare. Come penso tu abbia notato, però, io non sono esattamente un modello di femmilità, e questo non andava bene- fece una piccola pausa prima di continuare -facevo vergognare i miei. Mio padre mi ripeteva sempre "non ti picchio solo perché sei una ragazza", frase che mi fa incazzare più di qualsiasi altra cosa. Non è galanteria, è sessismo allo stato puro. Sono una ragazza, non significa che io sia fatta di porcellana- sospirò e rilassò i pugni che aveva serrato mentre raccontava -preferivo le storie di cavalieri a quelle di principesse, le spade giocattolo alle bambole, la lotta alla danza. Litigavo di continuo con i miei, con mio padre in realtà, mia madre osservava in silenzio e basta. La situazione è scoppiata quando avevo tredici anni, e per provare mi ero tagliata i capelli da maschio, come i miei fratelli. Quando mi vide, mio padre cominciò a urlare e a darmi della lesbica- sbuffò -cosa sessista e omofoba. Perché i miei capelli dovrebbero stabilire il mio orientamento sessuale? E, per "guarirmi dall'omosessualità"- mimò le virgolette con le dita -decise di farmi "assaggiare il cazzo"- altre virgolette -così, visto che era l'unico essere penemunito nelle vicinanze, cercò di violentarmi.
-oh mio...
-te l'ho detto che non è una storia per un compleanno.
-ne parli molto tranquillamente.
-oh, in realtà per mesi non parlai quasi con nessuno e al minimo contatto fisico con qualcuno andavo nel panico- si sfregò le mani sulle braccia, a disagio -a volte mi sento ancora le sue mani addosso...- rabbrividì -mi ci è voluto tanto, davvero tanto, ma l'ho superato. Considero questa conversazione un traguardo personale. Comunque, fortuna volle che di lì stesse passando Rod- Lovino ci mise qualche secondo a collegare il nome. Roderich era quel damerino che per qualche motivo era amico di Eliza. Ora si spiegava la loro amicizia -viveva nella stessa strada, andavamo a scuola insieme ma non avevamo mai legato particolarmente. Era stato cacciato di casa quel giorno perché un "invertito". Fu una fortuna. Vide dalla finestra cosa stava succedendo e urlò. Ma non fu un urlo normale, fu un urlo a ultrasuoni che fece svenire tutti e tre, perché aveva scoperto da poco di avere dei poteri musicali. Entrò in casa e mi portò via. E così mi salvò la vita- rise sottovoce, amaramente -la cosa peggiore fu il fatto che mia madre rimase lì a guardare e basta. Era così passiva che non...- scosse la testa, mordendosi con forza l'interno della guancia -non volevo diventare così. Me ne andai con lui, che aveva sentito parlare di questo posto. Ci volle un po' ma lo trovammo, o per meglio dire ci trovarono- si voltò verso di lui -sai, io non ho poteri. All'inizio lo trovavo uno svantaggio, un'altra gabbia. Poi mi dissi che non dovevo farmi fermare da questo come non dovevo farmi fermare dalla mia vagina, o mi sarei ritrovata come mia madre: così schiava delle mie debolezze da farmi scorrere addosso tutto. E così cominciai ad allenarmi, giorno e notte, ininterrottamente, e divenni la migliore in ogni tipo di combattimento.
-almeno c'è un bel finale.
-ah, questo non lo so. Non sono ancora morta, potrebbe peggiorare tutto, chissà- abbozzò un sorriso e tornò ad appoggiare la testa contro la parete. Rise sottovoce -sai, quando mi hanno chiesto di allenarti non sapevo come prenderla. Tu... potresti uccidermi in un secondo, rendendo inutili anni e anni di sforzi. Però non lo fai. Cavolo, quando abbiamo cominciato eri così imbranato...
-ehi!
-sul serio. Continuavi a prendere bastonate nonostante anche se avresti potuto in un attimo distruggere il bastone e uccidere me. È lì che mi sono resa conto che tu prendevi il tuo potere come una gabbia, invece che come un dono.
-be', finora non è che mi abbia portato tante fortune. Non vedo come potrei considerarlo qualcosa di positivo.
Eliza annuì distrattamente. Si alzò e gli sorrise, con aria di sfida -allora, sei già stanco o vuoi sfogare ancora un po' di frustrazione per la litigata con il fidanzatino?
-Antonio non è il mio fidanzatino- sbuffò alzandosi. Eliza rise, prese due bastoni e gliene lanciò uno. Lovino lo prese al volo, e quella fischiò sorpresa.
-wow, allora ti ho davvero migliorato i riflessi. Forse tra un bel po' sarai in grado anche di usarlo per bene, quel bastone.
-ah ah.
Eliza posò il suo contro il muro e sollevò le braccia per legarsi i capelli in una coda. Rise leggermente -stai pensando che li porti lunghi perché sono una ragazza?
-veramente di solito penso a cose diverse dai tuoi capelli.
Quella alzò le spalle e prese il suo bastone -tanti lo pensano, e sbagliano. Non li porto lunghi per via di ciò che ho tra le gambe, né per un trauma per quello che è successo con mio padre. Li porto così perché mi piacciono e basta. Anche se fossi maschio, li porterei allo stesso modo.
Lovino alzò le spalle -okay?
Eliza si mise in posizione -ora basta chiacchere. In guardia!

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