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Capitolo nove

Scusate il ritardo, ma questa settimana è un vero Inferno e mi è passato di mente!

Ci volle una settimana prima della sua prima uscita. Nonostante Antonio ancora non gli parlasse, non stava più nella pelle.
Si svegliò due ore prima, si preparò in fretta e corse fuori dalla sua camera. Lanciò un'occhiata alla porta della stanza di Antonio, chiusa, ed esitò un secondo. Poi si voltò e andò verso la mensa.
In quella settimana si era allenato tutti i giorni con Eliza, che gli aveva insegnato a usare le pistole. Non aveva una gran mira, ma poteva andare. Tutto pur di uscire. Non ne poteva più. Certo, fuori la situazione non era delle migliori: l'aria era inquinata e arida, il sole era bollente, la terra era secca e l'acqua... no, l'acqua era meglio non berla, a meno che non ci si volesse ritrovare, nelle migliori delle ipotesi, con un occhio in più, o nella peggiore direttamente tre metri sotto terra. Ma stava comunque uscendo. Sarebbe stato per poco, ma meglio di niente.
Per le due ore successive continuò a fare avanti e indietro per la mensa, come un lupo in gabbia. Voleva uscire, voleva uscire, voleva...
Antonio fu il primo ad arrivare. Lovino si immobilizzò, fissandolo negli occhi. Rimasero a guardarsi per un po', senza riuscire a distogliere lo sguardo. Lovino voleva andare da lui, non poteva negarlo. Sentiva la sua mancanza sempre più forte, ma non avrebbe mandato a fanculo il suo orgoglio, soprattutto non quando aveva ragione. Antonio sembrò sul punto di dire qualcosa, ma in quel momento li raggiunse Gilbert.
-buongiorno, miei meno-magnifici amici!- annunciò così la sua entrata, spezzando la tensione che c'era stata fino ad allora e permettendo a Lovino di distogliere lo sguardo. Il tedesco sembrò rendersi conto di aver avuto un tempismo tremendo -ho interrotto qualcosa?
-niente di che- si sentì dire Lovino, nonostante non ci credesse neanche lui.
Un'ora e altri arrivi dopo, il ragazzo si ritrovò chiuso in un furgone con Antonio, Gilbert, un biondino con i capelli da pazzo, un tipo alto, biondo e strano che metteva paura, un tipo asiatico (o tipa. Non ne era sicuro e neanche gli importava) con i capelli lunghi ed Eliza, l'unica apparentemente sana di mente o quasi. Lovino si sedette in fondo, affianco a lei, cercando di ignorare Antonio alla guida. Aveva la patente, vero?
-a chi tocca stare a fare la guardia con il Magnifico?- chiese dopo un po' Gilbert. C'era un silenzio decisamente imbarazzante, e Lovino era abbastanza sicuro non fosse dovuto solo al suo litigio con Antonio.
-in teoria tocca a Mathi...- stava dicendo Eliza, ma lo spagnolo la interruppe.
-Lovino.
-cosa?!
-sei l'ultimo arrivato, stai di guardia- si scambiò un'occhiata con Gilbert, che annuì.
-va bene! Ci divertiremo, kesese.
Antonio lo guardò dallo specchietto con un sorrisetto da bastardo, come a sfidarlo a replicare. Lovino rispose con un'occhiataccia, incrociando le braccia al petto.
-bene- mugugnò, scontento.
-allora, ricapitoliamo- intervenne Gilbert -entriamo nel deposito con la macchina...
-ci siamo mai stati in questo?- domandò il tipo con i capelli strani. Matteo. O Matthew. No, Matthew era un altro, anche se Lovino non ricordava chi. Cavoli, era davvero pessimo con i nomi...
-uhm, mi sa di no. Dicevo? Ah sì, entriamo dopo che Mathias...- ecco come si chiamava! -ha messo fuori gioco il sistema di sicurezza- aveva poteri sull'elettricità? Questo spiegava i capelli. Sembrava avesse infilato le dita in una presa della corrente -poi voi entrate, prendete quel che dovete prendere e lo caricate mentre io e Lovi controlliamo che non arrivi nessuno.
-perché devo proprio stare con te?- brontolò, facendo ridacchiare Eliza.
-perché così posso rendere invisibile il tuo bel culetto- Gilbert ghignò, ignorando l'occhiataccia di Antonio -quando avete finito date una botta alla porta, se è sicuro vi apriamo e voi uscite.
-non ci sono guardie?
-nah. Sono magazzini di periferia, sono talmente grandi che se anche mancano una o due casse non se ne rendono conto, per questo cerchiamo di cambiare sempre posto, in modo che non se ne accorgano. Alla Restaurazione non frega niente, finché hanno il loro bel caviale e il loro champagne da un fantastilione di dollari sono contenti. E poi usare guardie significherebbe mandare alcuni soldati, e hanno talmente tanti magazzini che decimerebbero l'esercito. Sono convinti che qualche telecamera e un allarme bastino, e speriamo che continuino ad esserlo.
Lovino annuì, puntando lo sguardo fuori dal finestrino. Nessuno parlò per il resto del viaggio.

Quando scese dalla macchina, Lovino inspirò profondamente e non riuscì a trattenere un sorriso. Finalmente aria non proveniente dall'impianto di respirazione. Certo, c'era odore di fumo e merda, ma...
-svelto, Mathias. Non vogliamo farci beccare, ricordi?- Gilbert sbuffò -non so quanto ancora riuscirò a tenervi tutti invisibili. Siete pesanti, sapete?
Mathias si inginocchiò davanti al quadro elettrico, lo aprì e ci posò la mano aperta. Dopo qualche secondo si alzò -fatto.
E tornarono tutti visibili. Lovino non sapeva spiegarselo: quando qualcun altro era invisibile insieme a lui, comunque lo vedeva, solo leggermente sbiadito e con i contorni sfocati. Bah.
Gilbert lo prese a braccetto, e all'improvviso furono entrambi invisibili. Ghignò -ci divertiremo un mondo, vedrai!
Mentre saliva sul furgone per portarlo dentro al magazzino, Antonio aveva sempre di più la faccia di uno che si rendeva conto di aver avuto una pessima idea. Lovino fu tentato di fargli la linguaccia, ma Gilbert poteva vederlo.
Quando furono entrati, le due enormi porte si chiuserlo dietro di loro. Gilbert si sedette su una roccia e sospirò soddisfatto -ci annoieremo da morire!
-che bello- Lovino cominciò a fare avanti e indietro, nervoso, e andò avanti per un bel po'.
-calmati, mi stai facendo venire il mal di testa- l'albino sospirò -so che me ne pentirò ma... cosa ti turba?
-non lo so- si sforzò di stare fermo -c'era un silenzio strano in macchina.
-quello? Oh, è semplice. Hanno paura di te.
-paura? Di me? Alcuni sono grandi almeno il doppio.
-ti devo ricordare che ammazzi la gente solo toccandola?
-ma non sono una bestia, non li ucciderei mai senza un valido motivo. Tipo, boh, consegnarci alla Restaurazione o mettere l'ananas sulla pizza.
-ma loro non lo sanno. Non ti conoscono.
-ah... giusto- sbuffò e si abbandonò su un'altra roccia, vicino a Gilbert -odio le persone. Sono complicate.
-kesesese, benvenuto nella vita vera!- allargò le braccia e agitò le mani con aria entusiasta. Poi sbuffò -senti, non è che me ne freghi qualcosa, ma Fran è preoccupato per via del tuo litigio con Antonio...
-vi ha detto che abbiamo litigato?- che altro aveva raccontato quello stronzo?!
Gilbert roteò gli occhi -ti prego. Si vede lontano un miglio. Un giorno siete a tanto così dal saltarvi addosso ogni volta che vi vedete, quello dopo battibeccate in mensa perché vuoi venire con noi, e quello dopo ancora non vi parlate, Tonio è depresso e ogni volta che vi guardate avete o la faccia da "sono-arrabbiato-con-te" o quella da "mi-manchi-ti-prego-chiariamo"
-non... non è vero!- sbottò, con le guance rosse. Fottuti crucchi.
-oh, sì che è vero, anche se pure Tonio dice di no. Allora, come siete messi? State insieme di nascosto o siete ancora alla fase "mi-piace-ma-non-so-come-dirglielo"?
-n-non ti riguarda- balbettò, sempre più rosso. Sospirò -e comunque nessuna delle due- si poteva dire che avessero rotto? Boh. Ufficialmente no, ma non avevano una conversazione civile da una settimana... fottuti sentimenti di merda.
Lovino si alzò e si spolverò i pantaloni. Aveva bisogno di camminare -vado a fare un giro qui intorno. Tu continua a rendermi invisibile.
-non allontanarti troppo.
-sì sì- roteò gli occhi, girò l'angolo e si mise a camminare intorno all'edificio. Inspirò profondamente, ignorando la puzza di smog, e puntò lo sguardo in lontananza, sospirando soddisfatto nel non vedere un limite, un muro o qualcosa di simile. Davanti a lui c'era solo il nulla. Vide un paio di montagne a qualche chilometro da lì, con delle casette sparse come stelle nel cielo. Chissà chi ci viveva. Forse sarebbe stato bello vivere lì, lontano dal casino, con una vita normale. Però, se avesse avuto una vita normale, non avrebbe mai incontrato Antonio. Si appoggiò alla parete, scendendo fino a sedersi a terra, e attirò le ginocchia al petto. Sospirò -fottuti sentimenti.
Rimase lì a deprimersi, fino a quando non sentì qualcosa di morbido strusciarsi contro la sua gamba. Sobbalzò e a stento trattenne un urlo. Abbassò lo sguardo e lì, contro la sua coscia, c'era un gattino nero, di un anno o due, alla ricerca di coccole o, più probabilmente, di cibo. Aggrottò la fronte, come aveva fatto a vederlo?
Si guardò le mani. Merda, era di nuovo visibile.
-ah, ciao. Mi hai messo paura- prese ad accarezzarlo con una mano, facendogli socchiudere gli occhi verdi -dovrei avere qualcosa da mangiare...- con l'altra mano si frugò nelle tasche. Trovò una confezione mezza vuota di carne secca, che si era portato dietro per il viaggio -questo credo che tu possa mangiarlo. È carne, non dovrebbe farti male.
Il micio si sporse ad annusare la carne nelle sue mani, cercando di capire cosa fosse. Sembrò trovarla di suo gradimento, perché cominciò a mangiarla, muovendo lentamente la coda con aria soddisfatta.
-non ho dell'acqua però- si giustificò -mi dispiace- il gatto miagolò scontento -senti, sei tu che sei arrivato all'improvviso, io che ne sapevo? Mica vado in giro con una ciotola dell'acqua e una lettiera per...
-non sapevo ti piacessero i gatti- commentò una voce divertita. Lovino e il gatto si voltarono allo stesso tempo, e il ragazzo si trovò ad incrociare gli occhi verdi di Antonio, appoggiato alla parete con un sorriso intenerito. Tossicchiò -abbiamo finito, stiamo andando via.
-oh, okay- si tolse il gatto di dosso e si alzò -avete già fatto?
-non c'era molto da prendere- Antonio scrutò per qualche secondo il felino, che stava seguendo il suo nuovo padroncino -lui riesci a toccarlo?
Lovino alzò le spalle -è piccolo, non ha tanta energia da assorbire, quasi non la percepisco. Quindi a quanto pare sì.
-è carino- si chinò per accarezzarlo, ma quello gli soffiò contro. Poi, un attimo dopo, era sulla spalla di Lovino, sempre guardando male l'intruso -ma che c...
-si è teletrasportato- constatò Lovino, accarezzandolo sulla testolina. Abbozzò un sorriso -mi sa che dovremo portarcelo dietro. Per la scienza.
-per la scienza, certo- brontolò lo spagnolo, avviandosi verso la macchina con Lovino al seguito -che gioia.
Il gatto cominciò a fare le fusa contro il collo del suo nuovo padrone, guardandolo con aria di sfida.

Inutile dire che, vedendo il gattino, Elizabeta andò in estasi.
-è un amore!- esclamò, coccolandolo ininterrotamente per tutto il viaggio di ritorno e oltre.
Stessa reazione ebbe Feliciano, ma lui optò per un -è adorabile!
Circondato dalle loro attenzioni, il felino sembrava compiaciuto.
Romolo invece era divertito -e così hai trovato un gatto che si teletrasporta e l'hai portato qui.
-per la scienza- spiegò Lovino, mentre il gatto si trasportava tra le sue gambe per ricevere un po' di coccole da lui.
-per la scienza, come no- sospirò -presumo che potremo tenerlo, non occupa tanto spazio. Prendiamo una vaschetta vecchia, la riempiamo di terra e la usiamo come lettiera. Per il cibo... boh, qualcosa lo troviamo, non dovrebbe mangiare tanto.
-grazie, nonno- il micio cominciò a fare le fusa -lo tengo in camera mia, non preoccuparti.
-fratellone, come l'hai chiamato?
Lovino aggrottò la fronte -Gatto?
-ma gatto non è un nome.
-chiamalo Spamano- suggerì Eliza, con un sorrisetto.
-Spache?
-oh, tesoro, è inutile che fai l'ingenuo...
-ve, quindi come lo chiami?
-ma che ne so...- sbuffò -Pomodoro?
-quello è un frutto.
-Fuffi?
-è un nome da cane.
-che palle che sei, Feli- sbuffò -Cesare?- il micio miagolò soddisfatto. Lovino gli accarezzò la testolina -ti piace Cesare?- altro miagolio -e va bene, vada per Cesare.
-ve, dovremmo fargli il bagnetto...
Cesare si teletrasportò via.
Lovino sbuffò divertito -buona fortuna. Vado a cercarlo.
Lo trovò a vagabondare davanti alla mensa.
-mica scemo il micetto- lo prese in braccio -niente bagnetto, promesso- Cesare miagolò contento e gli si strusciò contro, facendo le fusa.
-ehi...
Lovino sobbalzò. Si voltò e... sì, era Antonio, con un sorrisino imbarazzato stampato in faccia. Sì ma così non era leale. Non poteva rimanere arrabbiato con lui se aveva un sorriso così adorabile -ciao.
Cesare si teletrasportò sulle sue spalle e si mise a soffiare contro Antonio, scrutandolo come a sfidarlo a fare qualcosa.
-possiamo parlare un attimo? In privato?
Annuì in automatico, seguendolo fino alla sua stanza.
Antonio lo fece entrare, si chiuse la porta alle spalle e sospirò, torcendosi le mani -scusa, ho esagerato.
Okay, non se lo aspettava. Ci sperava, ma pensava che prima avrebbero discusso ancora un po' o... o boh. Non pensava sarebbe stato così semplice.
-è che volevo proteggerti... lo so che non sei debole, anzi sei una delle persone più forti che conosca, ma non...- si passò una mano tra i capelli e sembrò cercare le parole per qualche secondo -ne hai già passate tante. Non voglio che tu soffra ancora. Ma...- sospirò -hai ragione, non posso decidere per te. Quindi... scusami, mi dispiace. Volevo dirtelo prima ma...- scosse la testa -non trovavo il modo o il momento, e forse un po' speravo che cambiassi idea all'ultimo.
-okay- cercò di trattenere un sorriso -scuse accettate.
Antonio sorrise -meno male! Avevo paura che mi odiassi.
Odiarlo? E come cazzo avrebbe potuto farlo? Per farsi odiare, odiare sul serio, quel cretino avrebbe dovuto combinare qualcosa di davvero grave, non bastava certo una litigata per una stronzata del genere. Sbuffò -certo che no, idiota.
Antonio sorrise ancora di più, e Lovino non riuscì più a trattenersi: in due passi annullò la distanza tra loro, gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Sorrise, non riuscì a farne a meno. Per un attimo fu come se nulla fosse successo, ma allo stesso tempo quel bacio fu come una cioccolata calda dopo una giornata al freddo e al gelo. Lo riscaldò fino al midollo, facendolo sentire di nuovo bene, di nuovo al sicuro, di nuovo a casa.
Cesare soffiò e si teletrasportò ai piedi del suo padrone, continuando a guardare male l'intruso e interrompendo il bacio.
-quella bestiaccia mi odia- brontolò Antonio, guardando male il gattino. Lovino ridacchiò.
-è geloso- lo baciò sulla guancia -non vuole che tu gli rubi il suo padrone.
-c'ero prima io.
-ma il gatto è più intelligente- lo baciò di nuovo, premendosi contro di lui. Quanto gli era mancato...
-però bacio meglio.
-chissà. Non ho mai baciato un gatto- lo baciò ancora -ma sì, penso di sì.
Cesare miagolò con aria disgustata e se ne andò, probabilmente imprecando in gattese.
-mi sei mancato- gli sussurrò Antonio all'orecchio -quando sono uscito dal magazzino e non c'eri più sono impazzito dalla preoccupazione- ridacchiò -stavo per uccidere Gil per averti lasciato andare. Quando ti ho trovato...
-scusa.
-niente. Eri così tranquillo... più... non so, rilassato. Avrei dovuto capire prima che qui ti sentivi in gabbia quasi come lì. Mi dispiace, pensavo fosse solo un capriccio.
-non importa- ed era davvero così. Ormai era passato -abbracciami e basta.
Antonio non esitò un secondo ad obbedire.

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