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Capitolo diciassette

Il ragazzino osservava i suoi genitori correre da una parte all'altra della stanza per fare le valigie. Erano agitati, era abbastanza grande per capirlo, ma non sapeva il perché. Lo divertivano a dirla tutta, vederli correre così gli ricordava una scena che aveva visto in un vecchio film. Si aspettava quasi che uno dei due inciampasse, facendo cadere anche l'altro e ribaltando tutto il ribaltabile. Poi suo padre sembrò notarlo.
-hai fatto le tue valigie?- gli domandò, chiudendo la sua. Il ragazzino annuì.
-e quella per tuo fratello?
Il ragazzino annuì di nuovo, un po' scocciato. Non era un irresponsabile, si ricordava le cose!
I suoi genitori si scambiarono un'occhiata, poi suo padre tornò a rivolgersi a lui -vai a prendere tuo fratello, forza. Dobbiamo partire.
-dove andiamo, papà?- era una settimana che continuava a chiederglielo, ma quelli non gli avevano ancora dato una risposta soddisfacente.
-al sicuro- rispose brevemente il padre. Poi un sorriso lieve gli illuminò il viso, e gli spettinò i capelli con una mano -sei un bravo ragazzo, lo sai? Ti vogliamo bene, anche se non te lo diciamo spesso- il ragazzino annuì. Il padre sospirò -ti prometto che quando saremo al sicuro ricominceremo da capo, okay? Ti staremo più dietro, sia a te che al tuo fratellino. Ora vai a prenderlo, che dobbiamo andare.
Tre ore dopo, mentre stava guadando fuori dal finestrino annoiato, la macchina esplose.
No, non esplose come lo intendete voi. Qualcuno aveva messo una bomba proprio dove stavano passando, così la macchina era saltata in aria, si era ribaltata ed era atterrata al contrario. Il ragazzino voleva urlare, ma non ci riusciva, aveva la gola bloccata per il panico. Si voltò verso suo fratello, che stava dormendo prima dell'incidente, e quando vide che stava tutto sommato bene tirò un sospirò di sollievo. Ma, voltandosi verso i genitori, a stento trattenne un urlo di puro terrore.
Erano morti. Era abbastanza grande da capirlo. Il suo fratellino, di nove anni, li fissava anche lui pietrificato, cercando di capire; non sapeva che stava succedendo, o forse lo sapeva ma non riusciva a elaborarlo, ma sapeva che voleva un abbraccio. Quindi si slacciò la cintura, la tolse anche a suo fratello e strisciò verso di lui, che lo prese in braccio. Il ragazzino voleva solo piangere, urlare, battere i pugni per terra finché qualcuno non avesse riportato in vita i suoi genitori, ma due voci esterne gli gelarono il sangue nelle vene.
-allora, sono morti?- sembrava una donna, aveva un tono annoiato, come se la morte di quattro persone fosse interessante quanto una spiegazione dettagliata su come si fabbricassero i cartoni delle pizze. Il suo collega rispose con tono altrettanto annoiato. Avevano due accenti strani, diversi tra loro.
-in teoria. È difficile che qualcuno sopravviva a una cosa del genere- aveva uno strano accento, ma il ragazzino non sapeva indicarne la provenienza.
-sempre meglio controllare, altrimenti ci andiamo di mezzo noi- udì dei passi avvicinarsi, poi fermarsi davanti ai suoi genitori. Il ragazzino sentì il cuore battere all'impazzata. Adesso li avrebbero scoperti e uccisi. Suo fratello fu abbastanza furbo da tacere, ma stava tremando. Gli prese la mano, che quello strinse con forza -quanti è che erano?
-boh- rispose lui -hanno solo detto "uccidi la famiglia di Beilschmidt", cioé loro. Dovrebbe esserci il figlio e sua moglie, ma non so se abbiano avuto dei marmocchi.
"Be'" si disse il ragazzino, che era sobbalzato nel sentire il cognome di suo e di suo padre "ne hanno avuti due. Che ora ammazzerete"
La donna si inginocchiò davanti alla macchina e si sporse a guardare. Aveva dei lunghi capelli biondi, ma di più il ragazzino non riusciva a vedere, a causa dei sedili che gli bloccavano la visuale.
"Ecco" si disse, cercando di nascondersi dietro il sedile di sua madre "adesso si accorgerà di noi due e ci sparerà. O ci farà esplodere. O ci farà morire in qualche altra maniera orrenda"
Quella studiò l'interno della macchina per un po'. Per un terribile istante, li guardò negli occhi. Aveva due inquietanti occhi viola, che lo fecero rabbrividire di paura. Poi però si rialzò.
-a posto, c'erano solo marito e moglie.
-sicura?- l'uomo si chinò a controllare nel finestrino del ragazzino, che gelò e non ebbe il coraggio di voltarsi a guardarlo. Adesso li avrebbe visti per forza. Ma l'uomo, dopo aver studiato per qualche secondo l'interno, si rialzò.
-bene. Andiamo, non ho voglia di arrivare tardi alla base.
Il ragazzino attese di non sentire più i loro passi, e anche dopo che quelli se ne furono andati rimase lì, abbracciato a suo fratello, per sicurezza, senza il coraggio di muoversi. Solo quando il sole cominciò a tramontare osò uscire di lì. Si tolse il fratello dal grembo, senza lasciargli la manina, poi cominciò a dare spallate alla portiera della macchina, fino ad aprirla e a sgusciare fuori, aiutando poi il piccolo a uscire.
-bene- sempre tenendogli la mano si allontanò da lì. Adesso doveva occuparsi di lui, che era ancora vivo. A parte alcuni graffi, per fortuna stavano abbastanza bene. Si guardò intorno. Erano in mezzo al nulla, ma c'erano alcune case abbandonate in lontananza. Sospirò e si girò verso l'altro, chinandosi per essere alla sua altezza. Si sforzò di sorridere -ehi, campione. Dobbiamo arrivare lì- indicò le case -forse c'è qualcuno. Mamma e papà...- gli tremò la voce. Tossicchiò -loro vorrebbero che ci salvassimo. Ce la fai a camminare?
Quello annuì, ancora tremante, con le guance rigate dalle lacrime.
-bene- sospirò, passandosi la mano libera tra i capelli. Gli sorrise, sforzandosi di sembrare fiducioso -andiamo allora.
Quando arrivarono lì il sole era già tramontato da un pezzo. Le case sembravano abbandonate da decenni, ma una aveva ancora il tetto intatto, così decisero di rifugiarsi lì. Solo allora, che erano più o meno al sicuro, il maggiore si azzardò a lasciare la mano dell'altro, che sgranò gli occhi.
-G-Gilbert...
-sì?
-s-sei i-invisibile...

Romolo era stanco. Essere il capo era a dir poco stressante, e la preoccupazione per il nipote appena ritrovato non lo aiutava di certo. Ormai dormiva appena due ore a notte, ore costellate da incubi, paranoie su paranoie e ansie continue. Era distrutto, ma continuava ad andare avanti. Si sentiva responsabile di tutti quelle persone, che si fidavano di lui. Era sempre stato un leader, era la sua indole naturale, ma questo non significava che fosse facile. Sia Ariovisto che Feliciano erano preoccupati, ma non accettava le loro attenzioni. In questo lui e Lovino erano identici: odiavano che fossero gli altri a prendersi cura di loro, non erano in grado di fare un passo indietro e ammettere che sì, non erano in grado di farcela da soli. L'orgoglio doveva essere una cosa di famiglia.
Comunque sia, era sull'orlo di una crisi di nervi. Si faceva dare una mano da Ariovisto per pianificare eccetera, ma non avrebbe mai ammesso di avere un disperato bisogno di riposarsi. Non se lo poteva permettere.
Dal canto suo, Feliciano era preoccupatissimo. Cercava in tutti i modi di convincerlo a prendersi una pausa, ma il nonno rifiutava sempre, con un sorriso gentile, scompigliandogli i capelli.
-un vero capo non dorme mai- gli rispondeva, sforzandosi di non fargli notare le sue occhiaie. Ma Feliciano le notava eccome, ed era sempre più preoccupato. E arrabbiato, anche. E parecchio deluso.
Suo fratello gli aveva chiesto di prendersi cura del nonno, perché entrambi sapevano quanto lui tendesse a sfinirsi. Lui lo aveva promesso, ma il nonno non gli stava permettendo di mantenere la promessa.
-uffaaaa- sbuffò, rigirando la forchetta nel suo piatto. Romolo si era fatto portare la cena nel suo studio. Come sempre -il nonno si stanca troppo! Voglio aiutarlo, ma non me lo fa fare. Si rifiuta di farsi aiutare e non vuole ammettere di essere stanco, quando è evidente che invece lo è eccome. Non dico di smettere completamente di lavorare, ma almeno un fine settimana di riposo se lo potrebbe prendere.
-Feliciano-kun, se Romolo-san non vuole riposarsi dovresti lasciarlo fare- gli rispose Kiku -insistere non servirà a molto.
-non voglio che si ammali- replicò -da malato non ci servirebbe a niente. Anche se conoscendolo sarebbe capace di lavorare comunque- si girò verso il suo ragazzo segreto -in questo è esattamente come te, Luddi. Non pensare che io non sappia che ieri sei rimasto alzato fino all'alba per studiare- gli tirò una guancia -non ti fa bene!
Il tedesco, mezzo addormentato, brontolò qualcosa di non ben definito. Poi sbadigliò e parlò in modo più comprensibile -sbaglio o sei tu quello che rimane sveglio tutta la notte per finire di disegnare?
Le orecchie dell'italiano si tinsero di rosso. Gonfiò le guance, come un bambino offeso -è diverso.
-ah sì?- Ludwig sembrava divertito.
-sì! L'arte è molto più bella. È una passione, non un dovere- rispose, con un sorrisetto strafottente dipinto in faccia, della serie: "ah ah, ho ragione io!"
Ludwig scrollò le spalle -e lo studio è la mia passione.
-sì ma...- sbuffò -mi rimproveri sempre quando resto alzato fino a tardi. Dammi il buon esempio, almeno.
Ludwig inarcò un sopracciglio -mi stavi rimproverando per lo stesso motivo. Tipo... due minuti fa.
Feliciano, con aria vincente, gli puntò un dito contro -ma io non sono una persona responsabile, Luddi! Tu invece sì, e devi comportarti come tale!- decretò, vittorioso e soddisfatto della sua risposta.
Ludwig esitò, poi scrollò nuovamente le spalle -okay, hai vinto.
-ah! Ho vinto, ho vinto, ho vinto- cantilenò il castano, con aria gioiosa -uno a zero per l'Italia! Campioni del mondo! Popopopoooopo...
-veramente se contiamo tutti i successi militari e...- cercò di dire Ludwig, ma la sua voce venne presto sovrastata da quella del suo ragazzo non ufficiale.
-campioni del mondo! Campioni del mondo!- sollevò le braccia in aria, canticchiò l'inno italiano e poi, finalmente, si diede una calmata -però visto che ho vinto merito un premio.
Ludwig trattenne a stento un sorriso. Certo, non è che si notasse molto quando sorrideva, ma Feliciano in qualche modo lo capiva sempre. Quando gli aveva chiesto come ci riuscisse, quello aveva risposto che era l'occhio dell'artista che gli faceva notare i dettagli, e poi che quando sorrideva gli si illuminavano gli occhi talmente tanto che era impossibile per lui non notarlo -che premio vuoi, Feliciano?
Una cosa che l'italiano amava del tedesco era il fatto che lo chiamasse per nome. Può sembrare una stupidaggine, ma tutti usavano sempre diminutivi e soprannomi, mentre Ludwig era l'unico a chiamarlo sempre con il suo nome per intero, il che lo faceva sentire grande ed importante quanto gli altri.
Feliciano ci pensò su per un po', battendosi l'indice sul mento con aria pensierosa. Poi si illuminò e spostò il dito sulla sua guancia -voglio un bacio qui, Luddi!
Quello arrossì, ma si sporse fino ad accontentarlo. Feliciano rise per il suo imbarazzo, poi gli saltò al collo, riempiendolo di baci un po' ovunque su tutto il viso, tranne che sulle labbra. Quelle erano riservate a un altro momento, quando erano da soli.
In tutto questo, Kiku stava osservando la scena con gli occhi a cuoricino, scambiandosi ogni tanto qualche occhiata complice con Elizabeta, nel tavolo affianco. Erano così carini! E poi era sinceramente contento per i suoi due migliori amici, era felice che fossero felici, se mi permettete il gioco di parole. Lui non amava quelle cose per sé, ma adorava osservare le nuove coppie, soprattutto se si trattava dei suoi migliori amici. Sì, era un fanboy della peggiore (o migliore?) specie. E come dargli torto? Quei due erano così adorabili mentre flirtavano cercando di fingersi etero!

Angolo autrice:
Lo ammetto, questo capitolo non fa impazzire neanche me. Non succede niente di che, lo so, lo so, ma nel prossimo mi farò perdonare *sfrega le mani tra loro* oh sì, mi farò perdonare eccome...
Cambiando argomento... come va la vita? Spero bene! Io sono sommersa da compiti, verifiche e quant'altro ma okay! Voglio morire ma prima devo finire di scrivere e pubblicare questa storia! Che poi, da brava genia del male quale sono, invece di continuare a scrivere questa cosa faccio? Scrivo una robina su Lovino, i partigiani e il covid (vi interesserebbe leggerla?) più altre robe a caso che sto scrivendo. Perché sono furba ;) Vabbé, alla prossima.

Daly

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