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~Capitolo 37~

Rientro alla torre non badando a nessuno dei loro sguardi o delle loro domande.

Apparte uno, il più insistente.

"Ehi Ravén!" mi saluta BJ.

Io emetto un lamento al quanto spiacevole nei suoi confronti.

"Tutto a posto?" chiede inseguendomi come un cane per tutto il corridoio.

"Ravén rispondi! Ravén?!... Terra chiama Ravén!" fa di tutto pur di ricevere un pò di attenzione.

Mi blocco all'istante stringendo forte il libro tra le mie braccia.

"Dove hai trovato quel libro, Blackborn?!" dico seria, ma non mi volto a guardarlo.

"Perché vuoi saperlo?" dice curioso.

"Perché è importante. Dimmi dove l'hai preso?" chiedo ancora, ma con tono più forte.

"Al mercato delle pulci. Sì lo so ora ti vergo..." non gli faccio terminare la frase.

"Devvero? E da chi l'hai comprato?" mi metto di profilo davanti al suo corpo.

"Non mi ricordo, Ravén." si gratta la fronte con gli artigli delle sue nocche.

"Non ti ricordi?! Ti prego sforza il tuo piccolo cervello per una volta ed usarlo per fare qualcosa di veramente importante" lo guardo fisso negli occhi mentre stringo ancor più di prima il libro.

Lui se ne accorge.

"Dove l'hai preso?" lo guarda.

"In biblioteca, perché?" dico fredda.

"Ravén lo stai stringendo come se fosse la cosa più cara al mondo, un libro. Un fottuto libro" alza il tono.

"Tutto ciò che mi appartiene vale più di oro e gemme preziose, e poi questo libro non è come uno dei tanti...pf , ma cosa dico. Sto a raccontare a te pezzi della mia storia e della mia infanzia quando tu nemmeno c'eri" dico fredda.

"Ravén questa parole feriscono molto. Io per te ci sono sempre stato, non nelle mie sembianze umane, ma in quelle di un lupo, un cucciolo di lupo" stringe una sua mano al petto mostrando di più le sue nocche appuntite.

"Forse è meglio che io vada. Il tempo scorre ed è prezioso..." mi volto e cammino verso la mia stanza.

"Aspetta..." afferra dolcemente il mio polso.

Quel suo tocco farebbe rabbrividire chiunque. Ho la pelle d'oca.

"Lascia almeno che ti aiuti, no? Insomma il libro te l'ho regalato io" sento una punta di imbarazzo nella sua voce.

"Non ti preoccupare. C'è la faccio anche da sola" faccio sgusciare via la mano dalla sua presa.

Lui sembra rimanere di sasso, perché sento che è ancora lì a guardare il vuoto.

Con la magia apro la porta ed entro richiudendola subito dopo.

Mi siedo sul morbido tappeto ed inizio a sfogliare le pagine con molta calma e delicatezza, esse sono così fragili e sottili che potrebbero sgretolarsi con un mio soffio.

Il libro sembra sia stato scritto a mano. Deve avere almeno un millennio, ci sono ancora le macchie d'inchiostro lasciate da una penna stilografica.

Sfogliando le pagine noto in una di loro un disegno molto particolare. È un dente di leone che col vento la sua corolla si sgretola portando via ogni singola piuma bianca.

Parole portate via da una brezza che trascina via con la vita di ogni essere vivente. Quante lacrime versate per la solitudine e quante mai pentite di aver attraversato quel bordo cigliato per la gioia.

Ho vissuto per tanti anni lontana dagli esseri a me simili, ma in uno dei tanti ho trovato il motivo per cui valeva la pena vivere.

Leggo queste parole come se fossero poesie.

Chi l'ha scritto ha avuto una vita poco degna del suo regale linguaggio.

Giro la pagina e continuo a leggere.

Dopo la mia nascita da quel fiore delicato e roseo ho passato metà della mia immortale vita a stare lontano da tutti.

Un giorno accadde un cosa assai diversa. Ogni giorno uscivo di nascosto, al di fuori della radura d'argento per osservare nuove cose, nuovi esseri.

Ma quel giorno vidi un ragazzo steso tra i massi ricoperti di muschio, non un ragazzo qualsiasi, aveva le ali di un angelo, certo anch'io avevo delle ali, ma non piumate come le sue.

Ed oltre tutto lui era molto bello, dai lineamenti delicati e la pelle molto chiara.

Sembrava una di quelle statue di marmo che incontravo sempre nei miei libri.

Mi presi cura di lui ed ogni pomeriggio ci incontravamo nel bosco per vederci.

Ma tutto era fin troppo bello per essere vero.

Quando alcune fate del regno lo seppero la voce si sparse per tutto il regno dicendo che frequentavo estranei o esseri mostruosi.

Mi costrinsero a non rivedere più quel ragazzo, ma a quel tempo ero fin troppo cocciuta per ascoltare le parole altrui.

Il nostro incontro si spostò in un roseto di rose rosse dove ogni notte ci giuravamo amore eterno e così fu.

Ci sposammo in segreto in quel roseto, lui essendo un angelo ed io una fata, nessuno dei due regni avrebbe approvato la nostra benedizione.

Dopo mesi di baci dati alla sfuggita e carezze fatte prima che l'altro spariva nella notte, nacque Neóra.

Neóra! Questo è il nome di mia madre!

Mi ricompongo subito dopo sperando sia solo una coincidenza.

Riprendo la mia lettura.

Era la più bella creatura che tutto il 'mondo mistico' avesse mai visto, una creatura bella, pura, candida con un paio di ali di fata.

Purtroppo le voci sono più veloci del vento e di conseguenza tutto il regno delle fate lo seppe.

E da quel giorno il fiore delle nascite morì. Non nacquero più bambini.

Il regno si mise contro alla creatura innocente, privando della sua crescita in questo luogo.

Io essendo ancora innamorata e sposata con l'angelo dalle ali bianche, decise di portarla via con in un altro luogo, un mondo diverso dal nostro, dove le creature come lei sono accettate per quello che sono.

Io solo dopo anni riuscì a scappare da quella trappola di magia in cui vivevo.

Quando la rividi lei era ancora un innocente bambina, il tempo trascorre diversamente rispetto al nostro regno e pur raddoppiando con gli anni, lei poco a poco cresceva, ogni sette anni. Dote data da entrambi i genitori.

Sento bussare alla porta della stanza e scocciata con due dita apro la porta rivelando la figura seria di Càlél.

Dopo uno strano silenzio decisi di alzare lo sguardo dal libro che stavo leggendo.

"Càlél... Cosa ci fai qui? E perché non dici niente?" dico abbastanza seria.

Lui non risponde, ma ha lo sguardo fisso alla finestra della mia stanza.

"Càlél!" dico fredda.

Lui si avvicina alla finestra e poggia la sua mano destra sulla superficie di vetro ghiacciandola e disegnandola  con vari fiocchi di neve di tutte le misure.

Dopo quella sua reazione mi alzo dal letto e vado verso di lui.

"Càlél..." dico quasi in un bisbiglio mettendomi accanto a lui.

La sua presa diventa più forte ed il vetro inizia a creparsi.

"È tornato" dice con tono basso, ma abbastanza alterato.

"Chi è tornato?!" dico fredda.

Le sue labbra iniziano a tremare mostrando i suoi denti che serrati pressano.

Spinge la mano ancor più di prima ed il vetro si spacca facendo volare via dal vento i cocci.

"Kratos è tornato!" ringhia.

Il vento entra in stanza facendo svolazzare i nostri mantelli quasi con ira, la stessa ira che ha ora Càlél.

Io sgrano gli occhi.

"Sta distruggendo la città" serra i pugni con forza.

"Dobbiamo avvertire gli altri?" dico poggiando una mano sulla sua spalla destra.

"Meglio di no. È una faccenda che riguarda noi e lui"

Io annuisco.

"Dobbiamo andare via ora" si piega sulle sue ginocchia mettendosi sul davanzale della finestra.

Lo guardo serio prima di annuire.

Si lancia dalla finestra ed una scia di ghiaccio lascia il suo corpo cosicché lui può volare servendosi soltanto della neve congelata.

Lo seguo a ruota lanciandomi anch'io dalla finestra.

Il vento porta via i capelli dal mio viso facendogli svolazzare.

Scendo giù in picchiata per prendere la carica di volare ad alta quota.

Prima di sfiorare con il viso l'acqua dell'oceano, cammino sull'acqua per qualche istante ad una velocità quasi super sonica prima di darmi lo slancio su quella superficie blu e volare sulla città in cerca di quel farabutto che pian piano la sta consumando, seminando morti e macerie.

Questa volta farò di tutto per non farti portar via la vita degli innocenti.




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