1. Blue Monday
"Poi improvvisamente arrivi tu
Sorridi e penso che
Non ho più timore
Lascio correre, il dolore non c'è più
E niente muore."
(Baustelle - La morte (non esiste più) da Fantasma)
Il terzo lunedì del mese di gennaio è considerato il più triste dell'anno. Nel 2005 è stata formulata addirittura una disequazione per identificare tale data, che analizza vari fattori tra cui: le condizioni metereologiche, i giorni trascorsi da Natale, il fallimento dei propositi prefissati a capodanno, i debiti accumulati, il salario mensile e la sensazione di una necessità di agire.
Tutto molto interessante, ma perché vi sto raccontando questo?
Oggi è il 18 gennaio, guarda caso proprio il terzo lunedì del mese e guarda caso il Blue Monday è capitato proprio il giorno del mio diciottesimo compleanno. Se credessi in queste pagliacciate, potrei affermare che tutto ciò sia di cattivo auspicio, ma sono più un uomo di scienza e la cosa non mi tangerebbe per niente se non fossi impelagato con questo stupido trasloco, che ha portato la score bar del mio umore direttamente tre metri sotto terra.
Carico l'ennesimo scatolone della giornata sul retro del pick-up insieme agli altri. Quando sto per portare l'ultimo, quello pieno di libri, di conseguenza abbastanza pesante, lo scotch posizionato sul fondo cede e tutto il contenuto della scatola si riversa sull'asfalto, proprio dentro ad una delle pozzanghere. Il caso vuole che la neve accumulata la settimana scorsa abbia deciso di sciogliersi proprio qualche giorno fa, aiutata dalla pioggia che, unita alle polveri sottili e alla terra portata dalle auto, l'ha trasformata in putrida poltiglia marrone.
Oggi non è proprio giornata.
Impreco sottovoce, tirando un calcio ad una delle ruote posteriori dell'auto, come se c'entrasse qualcosa. Raccolgo i libri dal suolo e cerco di pulirli il più possibile con la manica della mia felpa.
-Leo, hai finito di caricare il pick-up?- mia madre fa capolino da dietro la porta d'ingresso -ma che diavolo hai combinato? Hai i vestiti ridotti uno schifo- continua poi, squadrandomi dalla testa ai piedi.
Indossa una giacca di lana color pesca e ha i capelli biondi raccolti in una crocchia che la fa sembrare uno dei Teletubbies. I suoi orecchini ciondolano tintinnanti mentre scuote il capo in segno di disapprovazione.
Abbiamo gli stessi occhi marroni, anche se i miei sono più scuri, e le stesse labbra superiori con una V pronunciata. Stando a quel che dice lei, il labbro inferiore l'ho preso da mio padre, carnoso e più largo di quello sopra, così come il naso da statua greca, le sopracciglia folte, i capelli corvini e la mia tipica espressione ingrugnita. Non posso né confermare né negare queste affermazioni perché mio padre non l'ho mai conosciuto.
-Non è nulla, ho una giacca pulita in macchina, mi cambierò prima di partire- cerco di rassicurarla, lasciando trapelare il mio tono scocciato.
-Se qui hai finito, puoi iniziare ad andare, io ti raggiungerò tra poco con le ultime cose rimaste- esala esasperata.
Si volta dirigendosi dentro per poi fermarsi e tornare sui suoi passi -è meglio se metti il cappotto, inizia a fare più freddo adesso. Non vorrai ammalarti il giorno del tuo compleanno? - mi redarguisce prima di rientrare in casa.
Sospiro. Ho appena compiuto 18 anni, ma per lei resterò sempre un bambino. Questa cosa non cambierà mai, ne sono sicuro.
Guardo per un'ultima volta la casa in cui sono cresciuto e che da ora non sarà più mia. Lo steccato che delimita il giardino, un tempo candido ed immacolato, sta ormai cadendo a pezzi nonostante sia stato riparato numerose volte. La facciata dell'edificio intonacata di un verde pallido che è un po' crepato in qualche punto, ma ancora in ottime condizioni. La mia camera al primo piano alla cui finestra si riflette oggi un cielo ceruleo dalle nuvole eteree.
Mi mancherà tutto questo, anche quello scivolo sgangherato in plastica che è lì nel giardino posteriore da quando avevo tre anni, rimasto inutilizzato per tanti anni.
Chiudo la portiera del mio pick-up e mi allontano lasciandomi alle spalle una scia di ricordi del passato.
La casa in cui ci stiamo trasferendo dista solo qualche isolato da quella vecchia: non ci stiamo spostando troppo lontano. Dunque, niente scomodi cambi di scuola e nemmeno strappalacrime addii con i miei amici, solo la rottura di palle di dover inscatolare tutte le mie cose per poi sistemarle in un posto differente.
La nostra nuova dimora apparteneva al nonno che è venuto a mancare un po' di anni fa. Dopo un categorico rifiuto iniziale, la mamma, per necessità economiche, ha deciso di mettere in vendita la vecchia e di conseguenza di spostarsi in quella del padre più bella e spaziosa.
Si trova al limitare del bosco ed è una villetta indipendente con un enorme giardino. Il vicinato è composto da poche famiglie, di cui per ora ho avuto il "piacere" di conoscere solo la signora Thorn: una vecchia gattara che mi è parsa tanto falsa quanto invadente.
Capisco di essere vicino quando scorgo il diradarsi della abitazioni che lasciano spazio a larici ed altre conifere. Confido nella mia memoria fotografia ed evito così di affidarmi al navigatore: non era stato così difficoltoso arrivarci l'ultima volta, in fondo. Svolto nella seconda stradina sterrata sulla sinistra, come avevo già fatto in precedenza e proseguo per qualche centinaio di metri. Non mi sembra di riconoscere questa strada, sono quasi sicuro di non aver mai visto quella casa con la facciata di mattoni. Okay, forse ho fatto una stronzata, è ora di chiedere aiuto al buon vecchio Google.
Segnale assente.
Perfetto.
La stradina è troppo stretta per fare inversione, il che mi costringe a proseguire in cerca di spazio sufficiente per rigirare l'auto. La foresta inizia a farsi più fitta, segno che mi costringe a fare una mossa azzardata: proverò a farmela in retromarcia.
Inizio ad avviarmi, controllando dagli specchietti che il sentiero sia sgombro. Sembra più facile del previsto, ho preso la patente da meno di un anno ma me la cavo abbastanza bene.
All'improvviso un guizzo azzurro attraversa lo specchio centrale, seguito subito dopo da un tonfo, causato da qualcosa che colpisce il paraurti del pick-up e dalla mia testa che per l'impatto rimbalza sul volante. Avevo messo la cintura, lo giuro, l'avevo tolta qualche minuto fa, solo un attimo per infilare la giacca pulita.
Scusa mamma, avevi ragione, l'avrei dovuto fare prima di partire, ma me ne sono dimenticato e adesso iniziavo ad aver freddo per via della manica bagnata.
Controllo di non essere ferito. Okay, sono tutto intero, a parte il segno rosso proprio al centro della fronte. Di sicuro mi verrà un bernoccolo, che bel regalo di compleanno.
Apro la portiera e scendo cautamente dall'auto. Ho il cuore in gola per quello che potrei trovare, spero tanto di non aver investito la mamma di Bambi, non sopravvivrei sapendo di aver fatto del male ad un povero animale innocente.
Mi avvicino con piccole falcate, facendo affondare i miei scarponi nei cumuli di neve formatisi a bordo strada, che qui nel bosco non si sono ancora sciolti. Con mia grande sorpresa la scena che mi trovo davanti non rappresenta un povero animale agonizzante, intento a lordare di rosso quel bianco candido, bensì un ragazzo dai capelli blu, inginocchiato per terra in cerca di qualcosa.
Quel che mi colpisce di più, oltre alla chioma bizzarra, è il suo abbigliamento che noto solo scrutandolo meglio. Indossa dei pantaloni neri, strappati in vari punti, una maglietta di qualche band che non riesco bene a distinguere, delle Converse con disegnate delle fiamme e un giubbotto di jeans chiaro con il colletto di pelo.
Siamo in pieno inverno, ha smesso di nevicare solo qualche giorno fa e fa un fottuto freddo in questo momento. Come può andare in giro vestito in questo modo? Le sue scarpe di tela saranno completamente fradice.
Decido di tenere queste domande per me e provo a controllare che non sia ferito. Mi piego sulle ginocchia e gli tocco una spalla per richiamare la sua attenzione. Sembra che non si sia nemmeno accorto della mia presenza.
-Ehi- accenno.
Una strana sensazione mi giunge dal contatto che abbiamo avuto, la mia mano sembra formicolare come addormentata.
Il ragazzo solleva le braccia, che erano immerse nella neve alla ricerca di un tesoro prezioso che deve aver perso, ed esulta stringendo tra le nocche pallide il suo bottino. È un oggetto rosa che scopro essere uno di quei vecchi Gameboy che si usavano una volta. Ci potrebbe fare un bel gruzzolo rivendendolo in qualche negozietto vintage, ma non vedo il motivo di farne tutta questa tragedia: è una console di gioco alquanto obsoleta oramai.
Il suo entusiasmo per il ritrovamento scema e finalmente sembra rendersi conto della mia presenza. Solleva la testa nella mia direzione, scuotendola da un lato per allontanare un ciuffo blu che gli copre la visuale. Resto un attimo sconcertato a fissare il suo viso come un completo idiota. Ha dei lineamenti così delicati da farlo apparire angelico, nonostante una cicatrice sul labbro superiore, il setto deviato, i vari piercing e spille da balia infilate un po' ovunque. Ma ciò che mi colpisce di più sono i suoi occhi che non posso fare a meno di fissare: uno è di un celeste chiarissimo che vira sul grigio, mentre l'altro è marrone ambrato.
Si schiarisce la voce forse infastidito dal mio sguardo troppo insistente. Riceverà in continuazione commenti sulla particolarità dei suoi occhi, che non possono di certo passare inosservati; ma d'altronde non sembra voglia per niente passare inosservato, visto il modo in cui si veste e colora i capelli.
-Stai bene?- chiedo poi, come uno stupido, a uno che è appena stato investito da un pick-up carico di pesanti scatoloni. Cazzo, le scatole! Alcune sono volate fuori per l'impatto e, come se non bastasse, il cartone si è anche infradiciato.
-Dovresti darmi il numero di quello che ti ha dato la patente- sbotta il ragazzo, incrociando le braccia al petto e sollevando entrambe le sopracciglia chiare.
-Cosa? Perché?!
Lo guardo confuso, non capendo dove voglia arrivare. Probabilmente ha sbattuto la testa nell'incidente e non sa quel che dice.
Da quando si è voltato nella mia direzione, è rimasto a gambe incrociate nella neve, mi domando se non gli si siano gelate le chiappe. Finalmente si rialza e per assurdo i suoi vestiti sono misteriosamente immacolati.
-Per potergli dare personalmente del coglione incompetente. Guidi da cani- ironizza mettendo le mani nelle tasche.
-Ah - ah - ah, molto divertente. Sei tu che sei sbucato all'improvviso, non ti hanno insegnato a guardare prima di attraversare la strada?
Le sue sopracciglia si aggrottando formando una ruga proprio tra lo spazio che le divide.
-Seriamente? Hai quasi ucciso un innocente e stai dicendo che se l'è cercata? Non è colpa della vittima se in quel momento indossava la minigonna!
Il mio sguardo passa dal confuso allo sconvolto, questo tizio è completamente fuori.
-Stai davvero paragonando un incidente d'auto ad uno stupro? Sono due crimini completamente diversi- gli faccio notare.
-Quindi ammetti di essere un criminale?- insiste il folle, puntandomi l'indice contro.
Ci rinuncio, non ne posso più di sentirlo parlare a vanvera.
-Senti amico, mi dispiace per quello che è successo, ma non mi sembra che tu abbia subito alcun danno. Quindi tutto a posto e ognuno per la sua strada?- cerco di mediare.
-E i danni morali che ho subito? Se il mio Gameboy si fosse rotto, l'avresti pagata cara!
Ha davvero una linguaccia lunga ed un modo di fare un po' troppo polemico che urta seriamente il mio sistema nervoso.
-Ma non è successo. La prossima volta stai più attento quando cammini nei boschi e io farò lo stesso alla guida.
Annuisce, giocherellando con l'anello che ha al labbro inferiore, portandoselo tra i denti.
-A proposito, che diavolo ci fai qui da solo nel bosco?- domando curioso.
Solleva le spalle, spostando nuovamente la frangia blu dagli occhi con un movimento della testa. Mentre lo fa, socchiude le palpebre per un millesimo di secondo, mettendo in evidenza le lunghe ciglia bionde che brillano riflettendo i raggi solari.
-Ci vivo- dice poi, prima di salutarmi con un cenno del mento. Indossa delle cuffie e armeggia con quello che sembra essere un vecchio lettore CD, infine si volta e si allontana sino a scomparire tra gli alberi, nella direzione in cui stava andando prima del nostro incidente. Quel tipo è davvero fuori dal tempo.
Sospiro raccogliendo le scatole che sono balzate fuori dal pick-up. Quel ragazzo abita nei paraggi, deve essersi appena trasferito anche lui perché sono sicuro di non averlo mai visto prima. Viviamo in un piccolo paesino dell'Oregon, qui ci conosciamo tutti fin da bambini ed un tipo come lui si sarebbe di sicuro fatto parlare dietro.
Finalmente il GPS del mio smartphone sembra funzionare, in breve tempo, imbocco la giusta strada fino a raggiungere la nuova casa.
L'auto di mia madre è parcheggiata nel vialetto, è riuscita ad arrivare prima di me. Chiudo lo sportello avviandomi verso l'ingresso, quando la vedo spuntare da dietro la porta e procedere nella mia direzione con passo deciso. I suoi stivaletti affondando nella ghiaia in modo minaccioso. Le vado incontro pronto a ricevere l'ennesima ramanzina.
-Dov'eri finito? Ti ho chiamato tre volte ma partiva sempre la segreteria, ero preoccupatissima!
Mi stringe in un abbraccio come se non mi vedesse da almeno due anni. Delle volte la sua apprensione risulta davvero pesante.
Mi libero dalla sua morsa e controllo il telefono, effettivamente ci sono tre notifiche di sue chiamate.
-Va tutto bene, avevo solo sbagliato strada e qui nei boschi non c'è molto campo.
Evito di raccontarle del piccolo incidente che ho avuto con il tizio dai capelli blu.
Scrollo le spalle per dare poca importanza a quanto accaduto e mi sembra di vederla rilassare i muscoli del viso.
Faccio per iniziare a scaricare la roba dal pick-up quando mi interrompe afferrandomi per un braccio.
-Aspetta, lascia tutto lì, devo prima farti vedere una cosa.
Detto ciò, mi trascina verso l'ingresso spalancando l'uscio.
Tutto il suo entusiasmo mi lascia perplesso, ma i miei dubbi vengono presto sfamati dalla vecchia porta in legno che rivela cosa, o meglio chi, nasconde al suo interno.
-Sorpresa!- urlano in coro i miei compagni di classe, mio zio con i suoi figli ed altri conoscenti, ora presenti in quella casa ancora spoglia. Qualcuno fa esplodere dei coriandoli, mentre altri suonano delle trombette. Hanno tutti quegli stupidi cappellini a cono sulla testa, come se stessero festeggiando il compleanno di un bambino di 9 anni.
Nora Moore, la mia migliore amica sin dall'asilo, mi salta al collo schioccandomi un bacio sulla guancia.
Le sorrido mentre le sistemo il caschetto castano: alcune ciocche le sono finite davanti alla faccia quando mi ha abbracciato. Sono felice di vederla, era andata in Europa per le vacanze di natale ed è rientrata in paese solo da qualche giorno, saltando anche la scuola.
-Che diavolo hai fatto alla fronte?- chiede, premendo con l'indice sul bernoccolo che si sta ormai formando su quella zona.
Scosto la testa dolorante, infastidito da quel gesto.
-Mi hai fatto male, scema. Dopo ti racconto- bisbiglio contrariato.
Saluto anche tutti gli altri invitati, ricevendo baci a destra e a manca. Non amo il contatto fisico, ma sarebbe da maleducati non ringraziarli per essere lì per me.
Anche Anne, la ragazza più bella della scuola, più bella di tutta Silverton, forse addirittura di tutta la contea di Marion, mi viene incontro per augurarmi buon compleanno.
Anne non è solo di una bellezza disarmante, è anche intelligente, dolce e premurosa. Passa i suoi fine settimana a fare volontariato in un centro anziani, ha ottimi voti in tutte le materie ed ha una parola gentile per tutti. Sarebbe la ragazza perfetta per me, peccato che le vada dietro ormai da anni, ma non riesca mai a cavare un ragno dal buco. È troppo timida ed io non sono un gran chiacchierone, quando sono con lei vado nel pallone e dico sempre la cosa più sbagliata, mettendomi in ridicolo.
-Buon compleanno!- esclama, dandomi due baci sulle guance. La vedo arrossire, credo che questo sia stato il rapporto più intimo che abbiamo mai avuto, neanche fossimo dei dodicenni alle prime armi.
Ci guardiamo imbarazzati per qualche secondo, nessuno dei due sa come attaccare bottone. Poi mia madre mi chiama per salutare i parenti e mostrarmi il buffet che hanno allestito su un vecchio tavolo già presente in casa.
Il pomeriggio trascorre così tranquillo: chiacchierando, mentre mangiamo salatini e beviamo bibite analcoliche, come se fossimo ancora alle elementari. Anne ed io ci scambiamo da lontano occhiate e accenni di sorrisi ogni tanto, ma nessuno dei due ha il coraggio di avvicinarsi.
-Che palle che siete- sbuffa Nora, affiancandomi.
Siamo in piedi, appoggiati allo schienale del nuovo divano, ancora completamente imballato. Nora ha in mano un bicchiere di quella che sembra Coca cola, anche se l'odore che emana ha qualcosa di alcolico. Fisso il bicchiere e poi il suo viso, sollevando le sopracciglia. Lei fa un sorrisetto impertinente, per poi mostrarmi una fiaschetta con disegnati dei cuori che ha nella tasca della felpa viola.
-Ne vuoi un po'?- bisbiglia troppo vicino al mio orecchio, facendomi venire i brividi.
-Ma sei tutta scema? Ci sono mia madre e mio zio lì, a due passi da noi- la rimprovero.
Solleva le spalle e versa furtivamente un po' del liquido alcolico nel mio bicchiere di aranciata.
-Dai, è per ravvivare questa festa da oratorio. Non se ne accorgerà nessuno, poi tuo zio mi sembra che sia venuto già "bevuto"- ridacchia, indicandolo con un cenno del mento.
Zio Derek ha il vizietto del bere, non è un segreto per nessuno. È facilmente intuibile per via del suo alito che puzza di whisky, nonostante le mentine che ingurgita costantemente.
Sollevo le spalle e bevo un sorso dal bicchiere, che sarà mai un po' di vodka, in fondo? Ho appena compiuto 18 anni e merito di festeggiare.
Nora ride soddisfatta, mi afferra per un polso e mi trascina fuori in giardino.
Osservo il suo viso spensierato mentre corre sul retro della casa, con la mano ancora stretta sul mio braccio. Si è alzata una leggera brezza che le scompiglia i capelli castani, facendoli scontrare sui suoi grandi occhioni verdi.
Proprio al centro del giardino troviamo un noce con una vecchia altalena, costruita con una catena e un copertone. Il nonno era un tipo solitario, mi era capitato solo poche volte di mettere piede in quella casa ma non mi ero mai avventurato fin lì, di conseguenza non ero a conoscenza dell'esistenza di quel gioco per bambini improvvisato.
Indossiamo le nostre giacche, che abbiamo preso prima di uscire, recuperate dalla catasta di cappotti formatasi all'ingresso: non abbiamo ancora acquistato un appendiabiti, quindi gli ospiti sono stati costretti ad ammassarli su delle sedie.
Nora infila le gambe snelle all'interno del copertone e mi incita a spingerla, mentre tira fuori dalla tasca del cappotto un accendino e quella che sembra essere una canna. Ne brucia l'estremità e se la porta tra le labbra carnose, per poi aspirare del fumo.
-Vuoi proprio farci sgamare- constato, mentre gliela sfilo dalle dita per aspirare a mia volta.
Continuo a spingerla lentamente, per poi farla spostare di lato e sedermi al suo fianco. Il copertone è abbastanza grande, ma in due ci stiamo comunque molto sacrificati. Nora solleva le gambe fasciate dai collant neri e le accavalla sulle mie ginocchia. Ha la gonnellina a pieghe leggermente sollevata, ma non le importa minimamente: l'ho vista più volte in condizioni peggiori.
È davvero bella e ammetto di aver avuto una cotta per lei quando avevo 13 anni. Le ho dato anche il mio primo bacio durante una stupida sfida, ma nessuno dei due si è mostrato veramente interessato ad iniziare qualcosa che andasse oltre all'amicizia. Con il tempo ho capito che quello che sentivo per lei era causato dagli ormoni della pubertà, nulla di più.
-Adesso mi puoi dire che cazzo hai fatto alla testa?- indica il centro della mia fronte ed io mi allontanò preventivamente.
Mi fa un po' male, anche se l'alcol ha attenuato il dolore, e non voglio che ci prema nuovamente contro le sue dita.
-Ho avuto un piccolo incidente- confesso, cercando di dare poco peso alla cosa.
Nora scatta in piedi e mi guarda preoccupata.
-Cazzo, Leo, come è successo?
Mi gratto la nuca imbarazzato e cerco di spiegarle l'accaduto.
-Hai investito un tipo??- domanda, alzando un po' troppo la voce.
La zittisco tappandole la bocca con una mano, ma lei me la lecca costringendomi ad allontanarla disgustato.
-E lui dov'è? L'hai ucciso? Non l'avrai abbandonato nel bosco? No, perché sarebbe omissione di soccorso, caro mio. Ormai hai 18 anni quindi scordati il riformatorio- straparla agitata, mentre io la fisso allibito.
-Ti sembra che possa aver abbandonato qualcuno in fin di vita nel bosco? Per chi mi hai preso?
La ragazza sembra tranquillizzarsi, così torna a sedersi al mio fianco.
-Il tipo non si è fatto neanche un graffio, era più preoccupato per il suo stupido Gameboy che per la sua vita- le spiego.
-Gameboy?- chiede lei confusa, probabilmente non sa di cosa si tratta.
-È una console di gioco portatile che si usava negli anni 80/90.
-Stupido, lo so che cos'è. Mi sembra solo assurdo che qualcuno usi ancora quei cosi preistorici.
-Ho pensato la stessa cosa. Tra l'altro aveva anche un lettore CD, ti rendi conto quanto debba essere scomodo andare in giro con quegli aggeggi così ingombranti?
Lei annuisce, concordando con la mia opinione. Fa un ultimo tiro alla canna quasi finita e me la passa.
-Ma poi chi era questo tizio? Una specie di hipster fissato con la roba vintage?- domanda, curiosa.
Sollevo le spalle.
-Era strano forte, sembrava il cantante di una boyband grunge anni 90', con i capelli blu, le converse, pantaloni strappati e giacca di jeans. Per noi parlare di tutti i piercing che aveva in faccia.
-Ma chi cazzo è questo? Non ho mai visto nessuno del genere qui a Silverton ed un figo di questo calibro lo conoscerei sicuramente, anche perché siamo quattro gatti in questa cittadina di merda- riflette, cercando di fare dei collegamenti tra i suoi conoscenti.
-Era bello, almeno?- chiede poi, come se fosse la parte fondamentale del racconto.
Mi gratto le testa a disagio, non sapendo cosa rispondere.
-Ma che domanda è? L'ho investito con la macchina, mica gli ho chiesto il numero per un appuntamento. Poi era un maschio, che ne so...- mi giustifico.
Nora solleva un sopracciglio e mi guarda come per dire "sei tutto scemo".
-Era un bel tipo- sputo poi, esasperato -aveva dei lineamenti delicati e gli occhi eterocromatici.
-Come David Bowie?
Con la coda dell'occhio la vedo guardarmi con aria sognante, probabilmente sta cercando di figurarsi il tizio nella sua mente, facendo chissà quali pensieri sconci.
-O come l'husky di mio cugino.
Le tiro uno schiaffo sulla nuca per farla tornare sul pianeta terra.
-Ahi, cretino!- sbotta, colpendomi a sua volta sulla guancia.
Siamo così presi a litigare che non ci accorgiamo della persona che, con passo quasi felpato, si è avvicinata a noi e ci guarda con aria interrogativa.
-Leo.
La voce di Anne mi spinge a voltarmi ed a mollare la presa dai capelli di Nora. Questa si schiarisce la voce per poi alzarsi ed allontanarsi. La vedo farmi gestacci a sfondo sessuale alle spalle di Anne, mentre si avvia verso l'ingresso di casa.
Scuoto la testa trattenendo a stento una risata.
Torno a concentrarmi sulla ragazza che ho di fronte. Ha i capelli biondi raccolti in una treccia laterale e le gote imporporate dal freddo. Si stringe nel cappotto rosso, mantenendo lo sguardo basso.
Mi faccio coraggio e le sfioro una mano, facendola avvicinare a me che sono ancora seduto sul vecchio copertone. Solo allora alza lo sguardo e i suoi occhi color miele si scontrano con i miei.
-Io... Volevo darti il mio regalo di compleanno- tentenna, mettendomi tra le mani una busta chiusa da un fiocco argentato.
La guardo sorpreso - grazie, non dovevi- farfuglio. Non so mai come reagire quando mi fanno un regalo o un complimento.
-È una sciocchezza- mi avverte mentre ho quasi finito di scartare il pacchetto.
Ne estraggo un portachiavi di acciaio a forma di leone.
-Sai per il tuo nome: Leo/leone- spiega timida -è anche un apribottiglie!
-G-grazie- balbetto, non sapendo proprio cosa dire. Il regalo sinceramente fa un po' cagare, ma è stato carino da parte sua.
Faccio per alzarmi per darle un bacio sulla guancia, ma mi sporgo troppo in avanti, così l'altalena slitta all'indietro e le mie labbra sbagliano mira, finendo proprio sulle sue.
Anne resta un attimo irrigidita, con gli occhi spalancati, ma poi li chiude e approfondisce quel bacio. La sua sfrontatezza nel ficcarmi la lingua in bocca mi lascia al quanto interdetto.
Ci baciamo per qualche minuto, fino a quando non decido di sciogliere quel contatto. Mi sorprendo di me stesso per il gesto, ma quel bacio mi ha lasciato stordito: non era come me l'ero immaginato. Avevo baciato molte ragazze, però nessuna di loro mi era piaciuta davvero come Anne Ryan.
C'era Carol, bellissima ma davvero superficiale; Mary, bella, simpatica, ma con quella fastidiosissima voce nasale; Gale aveva gli incisivi troppo larghi; Holly sbavava come un lama ogni volta che ci baciavamo; Stephany aveva una risata che somigliava ad un grugnito; Pia, beh, lei aveva proprio un nome di merda.
Anne è bella in ogni suo lato, eppure non mi aveva fatto provare nulla. Era come se mancasse qualcosa che non avrei saputo definire.
Tento di scacciare via quei pensieri, probabilmente dovuti alle troppe aspettative che mi ero creato.
La ragazza mi sorride tenendomi ancora per mano.
Non so cosa dire per mettere fine a quella agonia. Voglio solo che se ne vada per restare da solo a riflettere.
Come se mi avesse letto nel pensiero, è lei a rompere quell'imponente e solida lastra di ghiaccio che si è formata tra di noi.
-Forse è meglio che vada, mia madre mi aspetta per cena.
-Certo, anche io dovrei aiutare la mia a mettere in ordine- mi ricompongo.
-Allora ciao, ci vediamo domani a scuola!
Ricambio il saluto, lei finalmente lascia la presa dalla mia mano e si allontana con un sorriso imbarazzato.
Mi lascio trasportare dal movimento dell'altalena mentre mi passo le mani sul volto. Che diavolo mi prende?
Bevo un sorso dal bicchiere che avevo abbandonato sul terreno sperando che mi aiuti in qualche modo. Ovviamente non è così.
Un fruscio di foglie secche alle mie spalle mi fa tendere le orecchie. Sento dei passi avvicinarsi ma non vedo nessuno. Sarà sicuramente quella stupida di Nora che cerca di farmi uno scherzo.
-Cretina, vieni fuori, non sono proprio dell'umore per queste stupidaggini- esalo stanco, senza neanche voltarmi.
Un odore di tabacco mi invade le narici. Nora non ha mai fumato sigarette, quindi a meno che non abbia deciso di iniziare proprio oggi, dubito che si tratti di lei.
-A chi hai dato della cretina, scusa?
Mi volto di scatto nella direzione da cui proviene quella voce che non riesco ad identificare.
Il sole è ormai calato e le uniche illuminazioni provengono dall'interno della casa, mi risulta difficile vedere chiaramente di chi si tratta.
Lo sconosciuto si avvicina lentamente, lasciandosi illuminare da un fascio di luce che sfugge da una delle finestre del piano terra. I suoi colori azzurri sembrano brillare inondati da quella fioca luminosità artificiale. Il tizio dai capelli blu, quello che ho investito qualche ora prima, è ora nel mio giardino. Getta la sigaretta per terra, per poi spegnerla con la suola della scarpa e mi fissa con un ghigno sul volto.
Ehi, ma come si permette di inquinare il mio giardino? Greta Thunberg sarebbe molto contrariata se fosse qui.
Resto senza parole, era proprio l'ultima persona che mi sarei aspettato di trovarmi davanti in quel momento.
Dal canto suo, non interrompe neanche per un secondo il nostro contatto visivo, come se fissare uno sconosciuto negli occhi non lo turbasse minimamente. Non è lo stesso per me, cazzo, il suo sguardo mi mette i brividi e non è per colpa delle sue iridi animalesche, né tantomeno per l'aura da cattivo ragazzo che si è costruito. Le sue pupille sembrano scavarmi dentro, perforarmi la cornea fino a raggiungere il cervello, intaccando tutto il mio sistema nervoso. Ho freddo, ho maledettamente freddo, più di prima, nonostante la vodka che ho in corpo.
-Leo, giusto?- la sua voce cristallina manda in frantumi quel briciolo di lucidità che cercavo di preservare.
Annuisco con la testa, non riuscendo ad emettere parole di senso compiuto.
-Carino il regalo della tua ragazza- dice poi, prendendo dalle mie mani il portachiavi che mi ha regalato Anne.
-A me però, più che un leone, sembri un gattino spaurito.
Quelle parole sembrano farmi tornare in me. Mi alzo di scatto dell'altalena e mi riprendo il regalo, strappandoglielo via con poco garbo. Ancora una volta il contatto con la sua pelle mi fa formicolare le dita.
-Non è la mia ragazza- sbuffo -ma, ad ogni modo, queste non sono cose che ti riguardano.
Lo fulmino in modo truce, risentito per via della sua battuta. Questo tizio non mi piace, si prende troppe confidenze e poi cosa vuole da me?
-Menomale, chi vorrebbe una ragazza che fa regali così stupidi?- dice con un tono da sbruffoncello che mi fa davvero innervosire.
-Anne non è stupida! È la più brava della scuola, è bella e gentile...
-Ma?
Lo fisso con aria interrogativa, non capendo dove voglia arrivare.
-C'è sempre un ma, altrimenti te la staresti già sbattendo dietro a quel cespuglio- solleva un sopracciglio, indicando con il pollice una pianta alle mie spalle che non mi volto neanche a guardare. -Cos'è? Le puzza l'alito?
-No! Non c'è nessun ma. Fatti gli affari tuoi!- sbraito sempre più innervosito.
-D'accordo, ma stai calmo, sono solo curioso.
Alza le mani, mostrandomi i palmi in segno di tregua. Si avvicina nuovamente e si ferma a pochi centimetri dal mio volto. Mi supera in altezza di almeno una spanna ed io sono alto 1,75 m, così sono costretto a tirare su la testa per poter sostenere il suo sguardo. Il suo occhio castano ora è completamente nero e non riesco neanche ad intravederlo, mentre l'altro mi fissa come se fosse fatto di mercurio fuso. Nonostante la vicinanza non riesco a percepire nessun calore provenire dal suo corpo, o dal suo fiato, e la sua pelle non emana alcun odore.
Solleva un angolo della bocca con aria di sufficienza, poi si piega e afferra il bicchiere che avevo riposto di nuovo per terra. Ne beve un sorso e credo di essere davvero brillo perché mi pare che il contenuto del liquido entri dalle sue labbra per poi scrosciare sul terriccio ai suoi piedi.
-Ma che cazzo...- farfuglio.
Lui non sembra nemmeno farci caso e continua a guardarmi divertito.
Provo a riprendere il bicchiere ma le sue dita sono agganciate strette attorno alla carta.
-Chi diavolo sei?- domando, non mollando la presa. La mia mano formicola sempre di più, credo sia per colpa dell'alcol o del freddo.
-Blue- dice in un sussurro.
Mi acciglio confuso.
-Sono Blue. È il mio nome- spiega. Guarda le mie falangi strette attorno alle sue e allenta finalmente la presa dal bicchiere di cui prontamente mi riapproprio.
La sua espressione ora è mutata, non è più sprezzante come prima.
Che nome sarebbe Blue?
-Ti chiami Blue e hai i capelli blu. Sul serio, amico?- domando scettico.
-È il mio colore preferito- scrolla le spalle, per nulla infastidito.
-Sei di queste parti?
La mia curiosità prende il sopravvento. Non so nemmeno io perché mi interessi alla sua esistenza, visto che nemmeno lo conosco e già mi sta altamente sul cazzo.
Annuisce, calmo.
-Che scuola frequenti? Non ti ho mai visto in giro.
-La Silverton High.
-Impossibile, non ti ho mai visto- ripeto, aggrottando le sopracciglia, questo tizio mi sta prendendo per il culo.
-Beh, siamo in due, nemmeno io ti ho mai visto- afferma con molta calma, come se fossi io quello che si sta facendo beffe di lui.
-E dove abiti?
-Qui.
Questo è proprio fuori come un balcone.
-Qui? Che vuol dire qui?
-Prima questa era casa mia- spiega, voltandosi per guardare la mia nuova casa.
-Palle, qui ci viveva mio nonno.
Forse crede che sia davvero stupido, ma si sbaglia di grosso.
-Non ci credi?- domanda con aria di sfida. -Nella seconda camera a destra, al primo piano, c'è un'asse che traballa: è quella vicino alla finestra. Se non ti fidi, lì troverai le prove che non sto mentendo.
Scoppio a ridere in modo isterico, mentre lui mi guarda perplesso.
-È uno scherzo che ha architettato Nora? Perché è davvero cretino. Sul serio, piantala.
-Credi quel che ti pare- sentenzia lui.
Mi volto per tornare sull'altalena, voglio solo restare da solo, non ho intenzione di farmi prendere per i fondelli un secondo di più.
Proprio in quel momento sento la voce di mia madre chiamare il mio nome.
Prontamente mi rigiro in direzione della casa, ma del ragazzo strambo non c'è più traccia. Lo cerco con lo sguardo, sembra essersi volatilizzato nel nulla ed è troppo buio per vedere più in lontananza. Che scherzo di merda, appena beccherò quella stupida di Nora gliene dirò quattro.
Ho freddo e le ombre di quel giardino ora mi fanno accapponare la pelle, così decido di rincasare, sperando di non sembrare troppo sbronzo o troppo fatto agli occhi di mia madre.
Saluto gli ultimi ospiti rimasti, preparandomi psicologicamente a rimettere in ordine quanto lasciato in giro durante i festeggiamenti.
Mia madre ha l'aria stanca, ma sembra essere di buon umore, oserei dire anche un po' alticcia. Deve averci dato dentro con lo spumante mentre ero in giardino, forse è per questo che non si accorge in che condizioni verso o magari fa solo finta di nulla.
Inizio a raccogliere i bicchieri sparsi in giro, ma lei mi ferma.
-Lascia stare Leo, è il tuo compleanno. Ci penseremo domani, tanto qui era già un casino- solleva le spalle, indicando le montagne di scatole ed imballi che ci circondano.
Annuisco più che contento di non dover fare le pulizie. Sono esausto, vorrei solo buttarmi sul letto e dormire per due giorni di fila. Difatti mi lascio sfuggire uno sbadiglio.
-Vai a letto, domani c'è scuola. Le lenzuola pulite sono nella scatola accanto alle scale. Quella con scritto "lenzuola"- spiega, come se non fosse abbastanza ovvio. Mi scompiglia i capelli e mi augura la buonanotte.
Rovisto nella scatola in cerca di biancheria che non abbia sopra delle stampe floreali. Dopo poco riesco a trovare un nuovo completo letto blue elettrico. Cristo, questo colore sembra perseguitarmi, ma me lo faccio andare bene lo stesso.
Il primo piano è composto da tre camere più due bagni. Sulla sinistra ci sono due porte, la prima è la camera da letto di mia madre, nella seconda c'è quello che diventerà il suo bagno personale. Il mio è nella mia camera, la seconda sulla destra; nella prima c'è un piccolo studio già pieno zeppo di libri che appartenevano al nonno.
Apro la porta della mia stanza, che cigola come un maialino agonizzante. Iniziamo bene, domani mi toccherà anche mettere dell'olio sui cardini.
La camera è abbastanza grande, mia madre l'ha già arredata con i mobili nuovi, scelti insieme in un negozio che vende roba di seconda mano. Per essere stati già usati da qualcuno, sono messi abbastanza bene. Sono molto minimalisti, dalle linee moderne, composti da un materiale che imita la texture del cemento.
Il letto è alla francese, sufficientemente spazioso per una persona sola ed è posizionato proprio accanto alla finestra. Il resto del mobilio è composto da una scrivania, varie mensole e un armadio dalle ante scorrevoli.
Faccio per posare le lenzuola sul materasso spoglio, quando mi accorgo di un pacchetto regalo posizionato sopra ad uno dei cuscini. È grosso ed è incartato con dei fogli opachi color carta da zucchero. Un biglietto di auguri porta la scritta "Da mamma: Ti voglio bene. Spero tu abbia passato un bel compleanno." Sorrido, mia madre in realtà non è una da molte smancerie, è apprensiva, ma a parte qualche sporadico abbraccio, le sue dimostrazioni di affetto sono alquanto limitate, è raro che dica "ti voglio bene". Da piccolo la cosa mi faceva soffrire, ma crescendo ho capito che era solo il suo modo di fare: dimostrava di amarmi non facendomi mancare nulla e con un atteggiamento iperprotettivo.
Appoggio la schiena al davanzale della finestra, tra le mani stringo il regalo. È abbastanza pesante e spero proprio che sia ciò che credo. L'avrò tirata scema per tutte le volte che le ho ripetuto di volere la nuova Xbox one.
Il pavimento in legno scricchiola sotto al mio piede. Altro che casa nuova, questa è già sul punto di cadere a pezzi. Poi mi ricordo delle stronzate che ha sparato il tizio dai capelli blu. Parlava di un'asse sollevata vicino alla finestra.
Mi abbasso e noto un'incisione sul legno antico. Sembra una piccola "B" graffiata forse con un chiodo. Tiro fuori dalla tasca il portachiavi/apribottiglie a forma di leone e faccio leva per spostarla. Mi scuso mentalmente con Anne, ma non avevo altri strumenti a disposizione al momento.
L'asse del parquet si sgancia rivelando uno scomparto con degli oggetti impolverati. Ci sono alcuni CD masterizzati con sopra scritti a pennarello i titoli delle canzoni che contengono. Scorgo velocemente alcuni brani dei Nirvana, dei The Clash e dei Sex Pistols, il resto è sempre sul genere punk rock e grunge. Sotto ai CD gettati alla rinfusa, si nasconde quello che sembra un vecchio diario ingiallito. Sfoglio la prima pagina e la cosa che mi salta agli occhi è la scritta
"15 settembre 1991.
Proprietà di Blue Murray.
Caverò le orbite a chiunque si azzardi a ficcanasare nel mio diario.
P.S. Scemo chi legge".
Batto il palmo della mano sulla fronte, maledicendomi un istante dopo: mi ero completamente dimenticato del bernoccolo e adesso ha ricominciato a farmi male.
Nora si è proprio impegnata per costruire questa messa in scena, ha addirittura nascosto uno stupido diario nella mia camera da letto e l'ha riempito di polvere, per farmi crede che sia lì da 30 anni.
Prendo il cellulare e scatto una foto al diario insieme al mio dito medio, per poi inviarla alla mia stupida amica.
LEO
Ah-ah-ah davvero divertente 😒
NORA
?
LEO
Domani ti sculaccerò per bene, così magari la smetterai di fare questi scherzi idioti.👋🏻🍑
NORA
???
Alzo gli occhi al cielo, mandandola mentalmente a cagare. È veramente una cogliona quando fa così. Evito di rispondere perché so già che continuerà a fare la finta tonta.
Abbandono il diario e le altre cianfrusaglie sul comodino: non mi interessa leggerne il contenuto. Torno a concentrarmi sul mio regalo.
Strappo via la carta ed esulto rumorosamente appena scorgo la scritta Xbox stampata sulla scatola.
Finalmente posso andare a letto contento.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro