Capitolo 15 False verità
Stavo correndo. Letteralmente scappando da qualcuno o da qualcosa. Sudavo freddo e mi mancava l'aria. Improvvisamente, una gabbia di vetro spuntò dall'alto e mi rinchiuse. Urlai, ma nessuno riusciva a sentirmi. Urlai, ma non c'era nessuno. Mi guardai le mani, ma non avevo il Miraculous. Così iniziai a tirare pugni sul vetro. Il contatto produceva un rumore che, colpo dopo colpo, diventava sempre più forte. Lo sentivo sempre più chiaramente, finché non mi svegliai. Ma anche con gli occhi aperti lo sentivo. Guardai fuori dalla finestra e Chat Noir era lì, che batteva le nocche sulla superficie per chiedere di entrare. C'era qualcosa che non andava, era tutto così bianco. Da solo fece scorrere la porta ed entrò. – Oh mio dio, Chat, sei impazzito? – era tutto ricoperto di neve e stava tremando. Neve. Quella notte aveva nevicato, a inizio stagione, era... impossibile. Stava battendo i denti, era reale? Lo avrei scoperto presto. – Vieni subito qui, scaldati. – scostai il piumone e lo feci sdraiare di fianco a me. Aveva bagnato le lenzuola e al tocco era molto freddo, non stavo sognando. – Stupido gatto, fa freddo, nevica, c'è la neve alta un metro da terra e sei venuto lo stesso, perché? – alzò gli occhi per guardarmi.
– Un cavaliere rispetta sempre i suoi impegni, principessa. – piano piano si stava scaldando e il suo respiro tornò regolare. Era strano, si vedeva che era esausto e, dal momento in cui aveva appoggiato la testa sul mio cuscino, la stanchezza non gli permetteva neanche di tenere gli occhi aperti. Muoveva la coda su e giù, ma non era sdraiato bene, forse a causa del bastone sulla schiena. Non so quale embolo mi partì, ma glielo sfilai e premetti sulla zampa. L'oggetto si allungò di mezzo metro e poi lo feci tornare piccolo. – Ti piace il mio bastone? Puoi toccarlo e giocarci tutte le volte che vuoi. – mi bloccai. Dopo pochi secondi anche lui spalancò gli occhi e si alzò con la schiena. Lo guardai male, inviperita. – No, non in quel senso! – stava diventando rosso. Ma Chat non arrossiva mai. Non mi importava, feci scattare di nuovo l'arma e lo colpì in testa. Il suono che si propagò somigliò a quello di una sveglia. Mi risvegliai e controllai l'ora, erano le otto del mattino e mi mossi per mettere a tacere la suoneria. Mi sollevai dal materasso e mi guardai intorno, ma di Chat non c'era traccia. Neanche in veranda e, per la cronaca, le nuvole avevano ricoperto il cielo, ma di certo non stava nevicando. Riconobbi di aver fatto un sogno nel sogno e mi chiesi quando ancora sarei stata mentalmente disturbata da questa faccenda.
Ritornare a scuola sembrò così fuori dal comune. Molti sguardi erano puntati su di me, ma quasi non ci feci caso. Ero sui miei passi per raggiungere la mia aula, ma ovunque passassi avrei potuto percepire vociare e brusii. – Guarda chi arriva, l'unica Miss Perfettina che si è lasciata scappare un'occasione d'oro. – mi indicò Chloè. Sbuffai, ancora per quella storia. Il sonno non tanto ristoratore non mi aveva dato le forze sufficienti per ribellarmi, così le camminai semplicemente di fianco, facendo svolazzare i capelli. Almeno io ero stata ripresa. Ero all'entrata della classe, quando Alex uscì disperata. Sempre se lo fosse stata, non riuscivo a decifrare bene le espressioni quella mattina.
– Ehi, Alex! – andai per salutarla, ma non fui io a parlare. Mi girai e dietro di me comparvero Kim e Max. Restai scombussolata con il braccio per aria.
– Che si dice, Deavrez? – pure Alix le batté il pugno sulla spalla.
Finalmente la raggiunsi senza intoppi. Era molto, molto disperata in realtà. – Mi dici che cosa ho combinato in discoteca? – corrugò la fronte. Ripensai alla scena e per un momento mi misi a ridere. – Sul serio, che significa? – si guardò intorno e Nathaniel alzò una mano nella sua direzione.
– Ah, la fama. – sospirai incantata. – Hai fatto amicizia con i nostri compagni, dopo cinque anni di convivenza scolastica. – abbassai il tono della voce. – Sui tavoli. – a quel punto strabuzzò completamente gli occhi.
– Cosa!? – non credo ricordasse qualcosa, per lo meno aveva rimosso i dettagli più imbarazzanti di quella sera. Quella fatidica sera.
– Non ci pensare, passerà. Come la mia tanto reclamata "figura di merda". – scossi la testa, non era poi niente di grave. Stupidi giornalini che ingrandivano sempre troppo le cose. – Oh, ecco Adrien. – sussurrai. Lo vidi salire le scale accompagnato da Nino e Alya. Moralmente sollevata, gli zampettai vicino con il sorriso. Avrei fatto vedere al mondo che un insignificante articolo di stampa non avrebbe di certo messo a tacere la nostra relazione. Feci per aprire la bocca, quando lui mi scrutò con aria truce e mi superò di gran passo. Mi pietrificai sul posto. No, no, oddio no. Fermi tutti. Non avrà creduto davvero a ciò che avevano scritto? Sapeva benissimo che non ci sarebbe stato nessun pericolo per il marchio di suo padre, suvvia. Ma, a quanto pareva, gli importava, eccome.
– Che cosa succede tra voi due? – la rossa venne in mio soccorso, trascinandomi verso il banco. Nessuno, al di fuori di me e Agreste, sapeva ancora la notizia della presunta decisione di Gabriel. Cercai di spiegargliela con parole semplici, ovvero sillabe che uscivano senza chiedere prima il permesso al cervello. Se avessi avuto la voce metallica sarei stata scambiata per un robot. – Ma è ridicolo, non può essere così sottone... ciao Ivan, Mylen... – finché era minorenne dipendeva tutto e per tutto da suo padre, ma speravo che, crescendo, avesse avuto più potere della sua vita. Tanto abbastanza da scegliere con chi poter stare, per lo meno. Invece no, si faceva mettere ancora i piedi in testa per una causa non vera.
– E' più importante la sua reputazione di me. – ammisi delusa. Già, Chat Noir era pronto a rivelarsi piuttosto che farsi odiare da me. Chat Noir. Guardai Alex con stupore. – Che cosa ti ha chiesto Chat Noir? – lei ci pensò su, poi si schiaffeggiò la fronte.
– Fammi indovinare, è venuto a scusarsi. – respirò profondamente. – Sapevo che la ragazza argentina eri tu e non una dalla nazionalità diversa. – alzai le sopracciglia, spaesata. Poi collegai l'aggettivo al colore dei miei capelli e compresi il disguido. – A meno che Adrien non si senta con un'argentina, ma ne dubito. –
– Cosa c'entra lui? – la signorina Mendeleiev sbatté il pugno sulla cattedra e mi spaventai. Non stavamo facendo così baccano, quello era abuso di potere.
– Mi ha chiesto come fare a sbarazzarsi di lui per far colpo su quella ragazza. Tu. – d'un tratto sbiancò e squadrò il modello in prima fila. – Brutto bastardo! – alzò un pelo la voce, ma di poco, così la professoressa la mandò dal preside. Io continuavo ad avere un punto interrogativo sulla faccia.
Senza Alex era difficile continuare le lezioni, ero obbligata ad ascoltare. Scoprii addirittura, per la prima volta, di saper risolvere un'equazione. Al suono della campanella mi fiondai nell'ufficio del signor Damocles per chiedere della mia amica, ma il preside mi disse che era già andata via. Senza salutarmi? Impossibile. La cercai nel viale principale, fino in palestra, per chissà quale motivo. Pensai avesse bisogno di diventare Lupetta per uscire dall'istituto. Ma lì non c'era. Invece, passando davanti agli spogliatoi, sentii uno schianto. Andai a controllare temendo già il peggio, ormai era routine. Mai, mai nella vita mi sarei aspettata di vedere Alex tenere alle strette Adrien. – Avanti, ammettilo che sei tu! – gli diceva, spingendolo contro gli armadietti. Lui la guardava impassibile, senza batter ciglio. Feci un verso di stupore e venni beccata. La rossa si mise a ridere dal nervoso e lo indicò minacciosamente. – E' lui Chat Noir! – e un sorriso di vittoria le contornò il viso. Io guardai prima lei e poi lui a ripetizione. Poi Agreste sbuffò.
– Non essere idiota, ti ho già detto che è... –
– Inconcepibile! – mi intromisi. Guardai il modello e mi restituì un'occhiataccia penetrante. Ah, giusto, non mi voleva più parlare.
– Allora perché ti ostini a non darmi il tuo anello? – continuò Alex, non lasciandogli via di fuga. Adrien osservò il suo gioiello e sbuffò nuovamente, spazientito.
– E' l'ultimo regalo di mia madre, non osare. – scansò la mano della ragazza non appena provò ad avvicinarsi.
– Mi volete spiegare che sta succedendo!? – camminai verso di loro, ma la vicinanza sembrò turbarlo e, come quella mattina, mi oltrepassò, dandomi una spallata.
– Non sono affari tuoi. – mi aggredì e uscì dalla stanza.
– Ti dico che è così! – affermò Alex. Ammetto di averci pensato anche io, era vero, ma le notti insonni e i comportamenti mi deviavano sempre da questa falsa verità.
– Non può essere, ci sono troppi buchi in questa storia, e Chat verrà a farmi visita stasera, com'è possibile se quello là neanche mi degna e poi... –
– Aspetta, ferma, cosa!? – non glielo avevo ancora detto, era stata troppo impegnata a farsi buttare fuori dalla classe. – Spero tu stia scherzando! – alzò la voce, con me. Non lo aveva mai fatto, non così. Non obiettai, ma la mia espressione mi rendeva colpevole. – Cristo, Ckicki, ti ha trattata di merda! Non puoi perdonarlo in questo modo! –
– Non l'ho fatto! Beh, non in questo modo. – deglutii, inutile girarci intorno, l'avevo fatto e basta. Un tipo sexy dentro una tutina nera ti stupra? Chi se ne frega, è figo, lo perdoni. La mia coscienza mi odiava tanto quanto la mia amica in quel momento. Ma avevano ragione, che sciocca sono stata. – Va bene, stasera glielo dirò. –
– Che cosa? –
– Di starmi alla larga. – non avevo scelta, sarei rimasta da sola, senza Adrien e senza Chat Noir. – Senza ulteriori prove non posso accusare l'uno di essere l'altro. – quelle che avevo non bastavano.
– Tu hai delle fette di salame spesse così al posto degli occhi. – e illustrò una distanza di parecchi centimetri dall'indice al pollice. – Credimi. – si sedette sulla panca. – Voglio proprio vedere se lo farai. –
– Giuro. – e nel silenzio il mio stomaco si mise a brontolare. – Usciamo da questa scuola. –
– Ho fame, se i tuoi occhi fossero veramente fatti di salame li avrei già mangiati. – sì, tanto non li usavo, ma si sbagliava.
Fuori dalle scalinate c'era Luka ad aspettarci. – Era ora, stavo per chiamarti. – ma, ripensandoci, stava aspettando solo Alex. Quella mattina il citrullo non si era neanche presentato a lezione.
– Scusa, piccolo contrattempo. – e si baciarono. Era diventata una questione davvero seria tra i due.
– E tu? – fece un cenno verso di me. – Hai risolto il tuo problema urgente? – la chiamata! Alla fine nessuno mi aveva detto perché Couffaine aveva il suo cellulare tra le mani.
– Sì e a te non è suonata la sveglia? – incrociai le braccia.
– Oh sì, la suoneria di Alex è veramente assordante, ma, com'era finita? Ah, mi sono girato dall'altra parte del letto. – rispose pensieroso e con un sorriso strano sulle labbra. Lo guardai con la bocca aperta. – Non lo sai? Ho dormito da lei. Beh, dormito, insomma, l'idromassaggio in piscina non mi aveva fatto venire particolarmente sonno. – gesticolò con una smorfia.
– Sì, va bene, ha capito! – lo fermò la rossa e confermò i fatti. Ero esterrefatta.
Per mia gioia, e puntualmente era ironico, a Villa Agreste il tormento non cessava mai. Per ordine di Nathalie avrei dovuto scrivere una lettera di scuse, in cui avrei completato adeguatamente la fantastica recensione della sfilata. Solo così, parole del signor Agreste, avrebbe chiuso un occhio su questa storia. Sì, senza contare della relazione con Adrien. Unica cosa di cui si preoccupava Gabriel, tenermi alla larga da suo figlio. Infatti, loro due sparirono non si sa dove per tutto il resto della giornata. Il meglio che feci, dopo le mie sentite scuse, fu disegnare nuovi capi d'abbigliamento, come quelli di due settimane prima. Fu facile trovare ispirazione. Anzi, no, per niente. Avevo assorbito fin troppi abiti la sera scorsa che nella testa avevo un affollamento di marchi. Avrei dovuto prestare attenzione o avrei sicuramente copiato qualcosa di già proposto.
A meno di un'ora dalla fine del mio turno il telefono vibrò. Era un messaggio da parte di Alex e necessitava assolutamente l'intervento di Lady Venom, a "La Recyclerie". Mi domandai con tutta me stessa che cosa ci facesse lei in quella fattoria. Ma sarebbe stata la mia alter-ego a scoprirlo. Dieci chilometri furono una passeggiata e non feci neanche poi così tanto ritardo. Il locale non era altro che un ristorante con giardino e fattoria. Atterrata davanti al parcheggio che sembrava una discarica – ed effettivamente davanti c'era il cassonetto dell'immondizia – corsi dentro il locale. Ciò che vidi fu solo una nube di fumo e iniziai a tossire e a far fatica a respirare. – Che cos'è questa puz... ohi! – inciampai su qualcosa e per poco non caddi. Finii a terra l'attimo dopo, quando beccai in pieno un altro ostacolo. Da sdraiata potei benissimo constatare che gli intralci non erano che persone. Mi spaventai e mi accertai non fossero morte. Per fortuna no. Mi allontanai da quello scenario per localizzare altre nuvole putride. Sentii delle voci e le riconobbi. Dentro una serra con piante e vasi Chat Noir e Lupetta stavano combattendo contro una capra. Alla faccia dell'ordine dell'oroscopo cinese, eccola la bestia. I gas-sonniferi e puzzolenti appartenevano a lui, lanciava queste biglie dalla forma ambigua, senza andare nei dettagli erano marroncine. Il felino le deviava con il suo bastone, facendole scoppiare comunque, mentre il lupo evitava di farsi prendere. Avevo in mentre un'entrata in scena a effetto sorpresa, così lanciai la corda sopra un pilastro e mi catapultai in alto, atterrando il ragazzo capra finendogli sulle spalle. Restai pochi secondi in quella posizione, perché venni scaraventata tra i miei partner, ma riuscii a vedere il Miraculous, un chocker nero con un campanellino. Il problema stava nel prenderlo. La capra ci lanciò altre bombe nocive e, per evitarle del tutto, scappammo, con l'intento di seminarlo. Ci nascondemmo sotto il ponte della ferrovia.
– Beh, stare all'aria aperta ci fa bene. – sdrammatizzò Chat. Lupetta lo guardò con ferocia. Quasi dimenticai dell'accusa esternata quella mattina, ma avrebbe dovuto contenersi o si sarebbe fatta scoprire. Sempre se fosse stato Adrien, okay, basta, alla sera gli avrei fatto il terzo grado, avrei ottenuto prove e scoperto la verità. Ma perché dovevano venirmi in mente quei pensieri proprio in quel momento. Sospirai. – Non cantare vittoria, rettilina. – non stavo affatto espirando sonoramente per quello, ma sentirsi dire rettilina di nuovo mi dava un senso di "vecchi tempi".
– Escogitiamo un piano. – prima avrei cambiato argomento e prima avrei obbligato il mio cervello a pensare ad altro.
– Placcaggio e rimozione del Miraculous. – propose il gatto.
– L'effetto a sorpresa è stato già utilizzato e ha fatto schifo. – Lupetta mi guardò, in effetti non era stata una bella mossa.
– Attacco frontale? – continuò Chat.
– Sì, così verremmo messi al tappeto da quella sostanza soporifera! – per l'Angelo, Adrien era molto più intelligente di lui.
– Io direi di tendere una trappola. – Alex sembrò avesse avuto un piano malvagio.
Ci accertammo che la capra fosse ancora nei paraggi e ci dividemmo. Senza farci scoprire lo avevamo circondato, ma solo Chat si fece vedere. – Ehi, Spara-Puzze! Da questa parte! – attirò la sua attenzione e ci riuscii. L'akumizzato ringhiò e si preparò altre biglie, mentre saltava nella direzione del felino. Chat lo stava portando verso Lupetta.
– Tanto non mi prendi. – urlò la rossa e fu lei ad avere la capra appresso, la quale intanto si stava sbarazzando del gatto con la sua arma. Lupetta correva e ghignava, dirigendosi dove io ero appostata, paziente di liberare il kwami. Ero in una grande recinzione, in mezzo a vere capre dall'odore nauseabondo. – Nemmeno se ti dovessi buttare! – Alex attese che l'akumizzato si lanciasse per prenderla, così saltò in aria e io tesi la gamba davanti al ragazzo, facendogli lo sgambetto e guardandolo cadere dentro una mangiatoia auto catturante.
– In gabbia. – gli strappai il Miraculous e usai il mio potere speciale. – Bene. –
– Ricordati ciò che devi fare. – Alex mi batté il pugno.
– Promesso. – nel frattempo era arrivato Chat Noir. – Devo andare. –
– Mh. – Lupetta chiuse gli occhi a fessura.
– A presto, Milady. – ecco un'altra parola che non usava da tempo. Mi trattenni dal non gridare.
Forse il gatto non sarebbe neanche arrivato. Le sue avrebbero potuto essere parole al vento come la maggior parte delle volte. Mi stava venendo l'ansia a furia di guardare fuori dalla finestra e in più temevo in una visita come nel mio sogno. Per distrarmi giocai con il telefono o parlai a Ssashe, ma, cosa più importante, mi preparai un discorso. Gli avrei detto:"Senti, dobbiamo allontanarci una volta per tutte, tu non vai bene per me e io sono innamorata di Adrien. Anche se non ti va particolarmente a genio non mi importa, perché devo starci io con lui e non tu. Anche se al momento non mi parla per via di una disputa con il padre. E poi rimani un demente, per fortuna sei un supereroe. Anzi, questo fa di te un superdemente e, per quanto ti trovi attraente, non potrà mai funzionare. Non so nemmeno il tuo vero nome, chi sei e quant'altro. E' vero, ti ho fermato io in tempo, ma forse non avrei dovuto farlo. Perché, se sei tu Adrien-pezzo-di-merda ti uccido con le mie stesse mani. Ma, in fin dei conti, non può essere. Chiunque può essere in grado di ballare e non per questo l'unico biondo in circolazione deve celarsi dietro quella maschera. Fa che non sia tu, altrimenti la mia vita sarà tutta una menzogna, non voglio sapere la tua vera identità, solo che, sotto quella tutina nera non ci sia il mio modello. Mi basta questo, ciao, adios, I'm done. J'ai fini." Però, punto primo, non mi sarei mai ricordata tutta quella roba e, punto secondo, non appena vidi i suoi occhi limpidi dall'altra parte del vetro persi persino la capacità di pensare. Andai ad aprire, facendo scontare i tacchi sul pavimento e creando rintocchi simili a quelli delle campane che annunciavano un funerale. Tutto da vedere se fosse stato il mio o il suo. – Con permesso. – Chat fece il suo solito inchino con baciamano, ma, quando si rialzò, mostrò la mano che teneva dietro la schiena, nella quale c'era una rosa rossa. La presi con titubanza, meravigliata, facendo attenzione alle spine. – L'ho rubata da un giardino nei paraggi, credo che qui faccia molta più scena. – sta zitto, superdementeroe, non avresti dovuto!
– Grazie, molto gentile! – sorrisi. Sì, esattamente ciò che avevo pensato prima, no? Mi fece l'occhiolino e camminò piano dentro la mia stanza. Stava valutando se fosse stata una buona idea o no. Beh, certo che non lo è, esci subito! – Accomodati. – posai la rosa sul letto e mi sedetti sul bordo. In quel momento coscienza e corde vocali non stavano andando molto d'accordo. Mi immaginai il cervello incazzato con la voglia di prendere a pugni il mio apparato sonoro. Indugiando si mise al mio fianco.
– Come hai passato la giornata? – chiese tranquillamente. Era molto rilassato, sorrideva, inclinava la testa. Oppure era una paralisi temporanea per nascondere nervoso e disagio.
– Solito. – come se lui sapesse già tutto. Non mi pedinava più, questo era un vantaggio. – Scuola, lavoro. – akuma.
– Hai poi risolto con Gabriel Agreste? – perché si doveva sempre parlare di quel tasto dolente?
– Ho solo chiesto scusa per come ho interrotto l'intervista, per il resto non mi voleva vedere, proprio come suo figlio. – abbassai la testa. No, Ckicki, no, non mostrarti debole. Di questo passo il mio cervello avrebbe fatto i bagagli e avrebbe messo l'insegna "chiuso per ferie".
– Credevo andasse tutto bene. – non quel discorso, non di nuovo.
– E' così, infatti! – raddrizzai le spalle e risposi raggiante, finalmente riuscivo a vedere il cervello che tornava indietro dalle vacanze. Avevo attirato la sua attenzione. – Siamo molto uniti e non ci importa di quello che pensa il padre. – continua così.
– Davvero? – persino lui era incredulo. Sì, sì, dannazione sì! Non tradirti adesso!
– S-sì... – ecco che trascinavo le vocali e il mio cervello, dopo tutti i suoi sforzi, si stava schiaffeggiando. Mi sentivo un'espressione da ebete addosso.
– Provami che è quello che vuoi. – ammise serio. Aprii la bocca, non capivo che cosa avesse in mente. – Baciami e se non dovessi provare niente me ne andrò. – la sua voce era ammaliante, già solo così iniziavo a provare qualcosa. Chat stava iniziando a sporgersi verso di me, desideroso di quel contatto e io restai a guardare concentrata. Presto, tira fuori il discorso!
– S-senti, dob-biamo allon... tanarci... – ma i nostri visi erano troppo vicini e le mie parole bisbigliate non ebbero effetto neanche sulla mia coscienza, probabilmente ritirata da qualche parte insieme alla dignità. Il suo respiro mi scaldava le labbra socchiuse. Poi un rumore mi fece sussultare e riuscii a recuperare un po' di lucidità. – Co-cos'è stato? – chiesi preoccupata. Anche Chat aveva alzato il mento, scrutando velocemente l'area attorno a noi. Mi guardai intorno, ma non vidi nessun oggetto per terra e fuori non c'era niente.
– Probabilmente il vento. – sussurrò il biondino e riprese a guardarmi. Ora che mi ero svegliata dalla trance non gli permisi più di avvicinarsi. In più notai che la finestra era aperta.
– Potresti andare a controllare? Mi sentirei più sicura. – giocai la carta della donzella in pericolo e funzionò appieno sulla sua indole cavalleresca.
– Certo. – elegantemente si alzò e andò fuori, saltando sul tetto. Mi alzai sbuffando, un'idea mi ballonzolava in testa e mi diressi verso l'armadio. Spalancai le ante e dentro ci trovai Alex.
– Ma dico io, fai sul serio!? – le urlai, spiazzata.
Al contempo lei mi disse: – Ma cosa ti passa per la testa!? – uscendo e massaggiandosi la testa. – Ahi, che botta! –
– Gli avrei fatto vedere che per noi due non ci sarebbe stato alcun futuro! – già e per fortuna mi aveva interrotta. Non sarebbe andata proprio così e fui sollevata di non averlo dovuto dimostrare.
– Dovresti separare i pensieri dai sentimenti e non puoi ogni volta fare in modo che il tuo amore per lui passi sopra ogni cosa! – era veramente furiosa, possibile che avesse avuto ragione?
– Non sono innamorata di lui! – corrugai la fronte, cercando di trovare scuse plausibili.
– Mi hai comunque mentito e ti sei fidata ancora di lui! – okay, era vero, aveva ragione e il mio mutismo lo stava confermando. – Dio, Ckicki ti ucciderei se non ti volessi bene! – che cos'altro avrei potuto dire? Sospirai, abbassando la testa e sedendomi nuovamente sul letto. – So che ho ragione, anche se non lo ammetterai mai, però vedrai che si risolverà. – nel vedermi in quello stato, Alex abbassò il tono della voce e delicatamente si mise al mio fianco, poggiando una mano sulla spalla. – Sarò sempre qui a sgarbugliare i tuoi intrecci amorosi. – sorrisi. – In più, – si alzò e andò verso la finestra – col cazzo che quel gatto tornerà qui dentro, ora ci sono io e deve solo provarci. – la chiuse così bruscamente che quasi mi dispiacque per lui. Quasi. Moony e Ssashe s'infilarono sotto le coperte, facendosi le pernacchie a vicenda.
– Ssnhha? – aveva proposto di dormire.
– Certo, ci fermiamo per la notte. – Alex, non più scandalizzata dalla parlantina del mio kwami, le rispose e si coricò con il suo lupo.
– D'accordo! – risi e feci lo stesso con il serpente. Chissà che fine aveva fatto quel povero gatto, sperduto, da solo, nel buio.
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