Capitolo 13 Ostacoli critici
Ero su di giri, non potevo crederci, sembrava un sogno. Si era comportato davvero come un genio romantico. Durante l'intero tragitto verso casa mia aveva appoggiato una mano sulla mia coscia e mi sentii realizzata. – Anche io sono innamorata di te. – gli confidai, poco prima di scendere dalla Spider e di scambiarci il bacio della buonanotte.
– Con chi sei stata? – mia madre era davanti alla porta, con le mani intrecciate davanti al viso. Sembrava troppo contenta, avrei dovuto toglierle quell'espressione curiosa dalla faccia.
– Impegni urgenti di lavoro, ero al Grand Paris. – spiegai, prendendo la via per camera mia.
– Non ti ho chiesto dove, ma con chi. – il suo sguardo vispo non mi piaceva neanche un po'.
– Il mio capo. – ridacchiai, vedendola delusa. Ne approfittai per salire le scale e chiudermi nel mio mondo. Mi tolsi le scarpe e piroettai per tutta la stanza, sorridendo e volteggiando. Di colpo mi bloccai, portandomi le mani davanti alla bocca. – Oh no. – Ssashe uscì dalla pochette per vedere cosa fosse successo. La guardai terrorizzata. – Ho detto ad Adrien di essere innamorata di lui. – non sapevo se ridere o piangere.
– Ckicki ssashe Adrien. – diceva che era vero, che lo amavo, ma non appieno come speravo. Rimaneva sempre un piccolo particolare. Abbassai le braccia, così come lo sguardo, e le afferrai all'altezza del gomito.
– You saved me one day, I thought was a fortune, instead you are not who I've known. My mind was awake, a serpent who have fought a monster, it wasn't a dream. – mi venne la pelle d'oca solo a pensarci. Il primo giorno in cui ci siamo incontrati sembrava del tutto diverso. – And I fell in love with you at the first sight, I'm crying:"Please, don't hurt me". And I tried to hold these secrets inside me, once there was a boy in my heart. – prima ero sicura della mia scelta, adesso non più e questo mi affliggeva. La mia voce si affievolì, per farmi realizzare ancora una volta con che mostro avevo a che fare. – I know you want my body, I'm cold can you warm? I'm a troublemaker, but I love you so. Now you're changed, I cry out:"Please, stop, you're scaring me." I can't stand this kind of bipolarism. God damn, right, you should be scared of me. Who is in control? – guardai il mio kwami, con l'umore a pezzi per colpa del mio essere melodrammatica. Sentivo che mi stava capendo, eravamo connesse in un certo modo. – But I can't decide what person I want keep, Adrien or Chat Noir? I'm out. – eccolo il piccolo particolare, quel dannato gatto. Prima mi salva e poi mi uccide. Ero una supereroina, per l'Angelo. Avevo anche io i miei valori e lo avevo dimostrato confrontandomi finalmente con lui. Nelle vesti sbagliate. – I'm Lady Venom, you're nothing if you act like that. Don't try to beg me and gettin' worse when I am mad. I'm Lady Venom, you're nothing if you act like this, stay away from me, before I give you a kiss. – avrei dovuto cambiare il testo della canzone, per il momento non avrei permesso che mi si fosse avvicinato.
– Ckicki, shlsha... – avevo gli occhi chiusi, ma li riaprì subito e parlai prima che Ssashe avesse potuto finire la frase.
– Andiamo a dormire, domani è una giornata importante. – altroché se lo era ed era iniziata nei migliori dei modi, in ritardo. Correvo a destra e a sinistra per velocizzare la mia preparazione. Dopo aver ricevuto una telefonata dalla signora Nathalie, che mi aveva svegliata, in cui diceva in breve "perché non sei ancora qui?", mi impegnai per arrivare puntualmente più tardi a Villa Agreste. Aveva così tanti pensieri per la testa che si era dimenticata di dirmi la cosa più essenziale, la presenza. Indossai gli abiti di scuola, in un certo senso mi mancavano ed ero stufa di farmi vedere sempre con lo stesso look. – Ssashe? – la chiamai, ancora dal bagno per posizionarmi bene il cappello. Lei arrivò sfrecciando. – Shlshashu! – le ordinai e mi trasformai. I benefici di possedere un kwami, tre secondi per attraversare mezza città e ritrovarsi completamente in ordine come se non fosse accaduto nulla. Ritornai me stessa poco prima che la telecamera del citofono mi riprese.
– Presto, si prepari un discorso, dovrà essere impeccabile davanti alla stampa, nessun balbettio o improvvisata. – stranamente la segretaria mi diede del lei, forse per far colpo su Raf Simons e l'uomo che avevo già visto al ristorante, ma cui avevo rimosso completamente il nome. Poi sentii il signor Agreste chiamarlo, durante la loro conversazione e di colpo ricordai.
– Lei è Novak Djokovic, il tennista! – urlai, indicandolo. Tutti e tre si zittirono per fissarmi e realizzai l'ennesima figura di merda con Gabriel. Il serbo mi sorrise, alzando un braccio.
– Ouais. – affermò, imbarazzato. Non me ne intendevo di sport, ma dimenticai che quel ragazzo era a capo del brand Lacoste. Me ne andai con le gote bordeaux, seguendo gli ordini di Nathalie.
– Un discorso su quali basi? – chiesi scioccamente. Avevo capito che avrei dovuto parlare della mia linea, ma senza le domande specifiche non avrei risolto nulla.
– Le domande che interessano al pubblico sono solitamente tre, a che cosa ti sei ispirata, cosa vuoi trasmettere e perché il tuo marchio dovrebbe essere meglio degli altri. Costruisca frasi elaborate e lasci i giornalisti soddisfatti, non avranno modo di prolungare l'intervista. – era il primo consiglio serio che la signora Nathalie mi diede, restai meravigliata, ma, forse, si trattava solo di una scusa per non infangare il lavoro Agreste. Dal momento che ero loro responsabilità avrei avuto il potere di far valere il loro insegnamento. O di rovinarlo, punti di vista.
– Certo. – mi misi nel nostro ufficio, scrivendo periodi di senso compiuto, all'altezza dell'intero evento. Era difficile paragonare la mia linea a quella degli altri, conoscevo lo stile personale di tutti, ma chissà se fossero usciti dalle righe, proponendo qualcosa del tutto diverso. Provai e riprovai le battute a memoria, come se fossi stata interrogata di chimica o fisica. Mi usciva bene parlare di argomenti scolastici incomprensibili, a parte la soggezione delle telecamere, quelle frasi provenivano da me e me la sarei cavata lo stesso.
– Non si dimentichi la lista degli invitati! – si sistemò gli occhiali, scivolati lungo il naso per via del sudore. Il suo viso perlato faceva intendere che alla sera ci sarebbe arrivata dopo tre docce. Io ero ancora tranquilla, avrei dovuto preoccuparmi maggiormente solo per questo motivo. Presi quel dannato appello, insieme all'itinerario, e lo spostai in un luogo più visibile, anche per non dimenticarlo lì.
D'un tratto il telefono prese a squillarmi. Cercai di spegnerlo subito, ma capii che era urgente quando vidi il mittente. Alex non mi chiamava mai di mattina. – Pronto? – feci, bisbigliando.
– C'è qui una zoccola che ci sta provando con Luka. – iniziava bene la conversazione. Sarebbe stata una di quelle emozionanti e soddisfacenti. – Ah, ma puoi giurarci, le farò mangiare la polvere. –
– Mangia... la polv...? Ma dove sei? – balbettai, non capendo la situazione.
– Sono alla gara, al mio maneggio. Te lo avevo detto a inizio mese, ma come al solito la tua memoria viene occupata da altre faccende. – sbuffò. Eh sì, mi ero completamente dimenticata della competizione. – Va beh, ho invitato Luka, così impara a dirmi che non so cavalcare bene, e a quanto pare ho una rivale, non solo nella corsa. – il suo tono si alzò, dimostrando quanto era infastidita.
– Tirale un pugno. – suggerii, prima cosa che mi venne in mente, ma di solito funzionava.
– Vieni qui a fare il tifo, piuttosto. – la sentii molto irritata, ma come avrei potuto essere in due posti allo stesso momento?
– Non posso, sono al lavoro. – le spiegai, roteando gli occhi.
– Così presto? – si sorprese tanto quanto me. Mi consolai, non ero l'unica a pensarlo.
– Sì, lascia stare, deve essere tutto pronto per questo pomeriggio. – e l'intervista quanto sarebbe durata? Non avevo poi così tanto tempo a disposizione, ripensandoci. – Passerò, promesso, fammi solo finire qui. –
– D'accordo, ma se nel frattempo dovessi ucciderla poi non darmi la colpa. – a volte riusciva ad essere così tenera, più di me. Le nostre avventure tragiche ci rendevano più unite. Ci salutammo e ritornai sul mio copione. Prima mi sarei occupata della segretaria impazzita e prima sarei uscita da lì.
Avevo tutto pronto, ero preparata psicologicamente, era il resto che stava andando a male. I capelli, il trucco, i vestiti... quanto avrei voluto una doccia portatile. Ma non avevo tempo, sarei dovuta andare da Alex, avrei dovuto salvare la vita di quella povera e insignificante malcapitata. – Signora Nathalie, sarò al Grand Paris per le 17.00 precise. – l'avvisai, ma, come se avessi bestemmiato Fendi, mi rimproverò con lo sguardo.
– Nient'affatto! Il signor Adrien la verrà a prendere alle 16.00 direttamente a casa sua. Ha un appuntamento con il parrucchiere e l'estetista, privilegio per tutti gli stilisti della serata. – spiegò con serietà, aggiustandosi di nuovo gli occhiali sul naso. Sembrava l'avessi offesa.
– Oh, beh, in questo caso... – mio dio, che figata. Per quale ragione lui non mi aveva avvertita? – Aspetterò il signor Adrien. – trovai buffo quell'appellativo, detto da me. Lo avrei utilizzato più spesso, anche per prenderlo in giro. Scappai da quella casa portandomi via i documenti necessari e lo stomaco brontolante. Grazie all'aiuto di Ssashe rincasai con la stessa velocità dell'andata, permettendoci così di mangiare insieme.
– Ssaahyesathays hsshhiesse Adrien? – aveva ragione, per tutto il tempo che ero stata lì non avevo visto Agreste e non sapevo dove fosse finito. Non mi aveva detto nulla, tra l'altro. Dovunque fosse, prima o poi me lo sarei ritrovato in salotto.
– Non lo so, probabilmente a posare. – il suo lavoro gli portava via tante energie e tempo libero, forse cominciavo a ripensare all'idea di diventare modella anche io. Probabilmente dopo la sfilata gli chiederanno di scattare con la nuova linea del padre. – E se chiedessero anche a me di farlo? – realizzai ad alta voce. Ssashe sgranò gli occhi. Non era un'idea fuori dal comune, infondo.
– Ssashe srahsnshe. – non lo sapeva neanche lei.
– No, che pensiero sciocco, ci sono già Roxanne e Lila, a che servo io? – il mio senso di inadeguatezza si sposava perfettamente con il sarcasmo. Iniziai a muovere le mani e a mimare la loro espressione, facendo ridere Ssashe. – E' quasi mezzogiorno, la gara sta per finire! – realizzai, portandomi una mano sulla fronte. – Impediamo a Lupetta di sbranare qualcuno! – il kwami ridacchiò, ma non si rendeva conto che non stavo scherzando.
– Ckicki sse Alex sseyhtaahs seyassayeaahaseyass. – ci aveva dato delle spericolate, a noi, pff. Sì, era vero. Mi trasformai, sorridendo. Per fortuna, anche se il suo scopo era fare del bene, si stava abituando alle nostre cattiverie. Saltando da un palazzo all'altro raggiunsi il maneggio in un minuto. Ritornai me stessa lungo il sentiero alberato, dove Alex vide per la prima volta Master Fu. Poi andai a sedermi nei posti più alti della tribuna, per osservare meglio. Il campo era rettangolare, con una decina di ostacoli o più, alti circa 150 cm, come barriere, tavole, cancelli, siepi e fossi. Quando arrivai erano rimasti solo cinque fantini in gara, una dei quali era Alex. Sbirciai gli altri concorrenti e notai una ragazza dai lunghi capelli biondi e mossi arrotolarsi una ciocca attorno al dito e mettersi in una posa da sgualdrina. Mi ricordava un sacco Chloè, Roxanne e Lila ogni volta che c'era Adrien nei paraggi. Infatti, il destinatario delle sue mosse era Luka, in prima fila, con le braccia conserte e un sorriso divertito in volto. Riconobbi dunque "la zoccola". Pochi istanti dopo si sentì un fischio e la ragazza bionda andò dal suo cavallo per iniziare la finale. Gli altri, compresa Alex, uscirono di scena. Quella tipa andava forte, cavalcava un Baio Scuro, un cavallo dal manto marrone e crini neri, razza Hannover. I suoi finimenti erano azzurri e la sella marrone scuro. Ogni volta che saltava un ostacolo guardava in direzione del ragazzo e ridacchiava felicemente. Dava fastidio. Una volta terminato il percorso, nel minor tempo possibile, il suo punteggio era di 40.5 secondi. – Ottimo salto, molto bene, ha superato la prova con un ottimo risultato. – stava commentando il cronista, con voce pacata. La biondina saltellò facendo svolazzare la sua chioma a destra e a sinistra, posizionandosi con il suo destriero vicino al moro. La ragazza volle a tutti i costi abbracciarlo. Guardai il campo, ma Alex non c'era, quindi avrei dovuto avvisarla appena ne avrei avuta l'occasione. Il suo turno arrivò per ultimo e, al momento, il tempo migliore era ancora quello della zoccola. – Dulcis in fundus, la prossima esibizione è tenuta da un Olandese raro. – lo stallone della rossa era un Morello, raro perché se ne vedevano pochi con il manto nero. I suoi finimenti erano bianchi e la sella nera. Era intinta con il suo outfit, composto da una polo bianca, pantaloni grigi e stivali alti neri. Iniziò facendo una galoppata attorno alla recinzione per scaldare il cavallo, poi partì con il primo ostacolo, un oxer, superato appieno. Continuò con la gabbia, il muro, ovviamente fatto di polistirolo e non cemento, Ckicki, la verticale sul fosso, la riviera, cioè una pozzanghera con 1 cm di acqua, tranquilla, il fosso con barriere, no Ckicki, se si staccano non rompono una caviglia al cavallo, la siepe con barriere, non rimane incastrato, è fatto apposta, altre barriere, tavole e infine il cancello. Mi stava venendo un'ansia assurda, temevo per il cavallo, se si fosse fatto male. Mi facevo paranoie inutili, avevo il timore che si fosse ferito con le grate. Il tabellone dei secondi segnava quasi 39 secondi e mezzo, impressionante. Ma Alex aveva deciso di rischiare e svoltò per fare un ultimo ostacolo, la triplice. Mi misi le mani in faccia, perché aveva voglia di rischiare così? Il punteggio era eccezionale, il cavallo vivo, se si fosse incastrato tra le due sbarre piccole e fosse inciampato e poi rotolato e infine morto sarei svenuta sul colpo! Ecco perché non guardavo le gare e non partecipavo, volevo troppo bene agli animali. Alex arrivò al traguardo con 40.3 secondi e mi alzai in piedi per esultare. Avrei potuto scommettere, che stupida! Scesi i gradini, avvicinandomi di più al podio, dove la rossa sollevava la sua coppa. Guardai Luka e stava applaudendo. Lo ignorai. Piuttosto, la seconda classificata attirò la mia attenzione. Fissava Alex in cagnesco e poi il moro e poi... si mise a piangere. Okay, era proprio zoccola. Scese dal podio, disperata. Fece per andare da lui, ma egli si spostò, alzando le mani. Così scappò oltre il suo cavallo, nella scuderia. Corsi dalla mia amica, intenta a parlare con Couffaine.
– Allora sei veramente brava, quella è l'unica cosa che sai cavalcare? – arrivai spedita con l'idea di prenderlo a calci, ma la rossa mi fermò.
– Ckicki! Ho vinto, ovviamente! – gridò felice e consapevole della sua bravura. Un secondo prima fulminai gli occhi azzurri di Luka, un secondo dopo saltai dalla felicità con lei.
– Ti ho vista! – urlai, rassicurandola che fossi arrivata in tempo. Un fotografo arrivò di soppiatto e scattò una foto ad Alex, messa in posa con due dita alzate in segno di vittoria.
– La metterò insieme alle altre. – guardò l'oggetto, poi si voltò, sicuramente stava cercando la sua rivale. – Dove si è cacciata quella sfigata di Bethany? Voglio sventolarle il trofeo in faccia. – quindi era quello il suo vero nome. Peccato, mi stavo abituando a interpellarla mediante insulti. Dai box si sentivano dei cavalli nitrire e molti galoppavano verso il paddock, uscendo così dalle loro cabine, sbizzarriti. – Ma che succede? – pensai a quella volta in cui lo stallone di Alex perse la ragione per Wayzz e supposi ci fosse stato una roba simile, ma i kwami non girano liberi a spaventare i cavalli. Poi supposi, ragionando un attimo, che un cavallo avrebbe potuto essere un kwami, o meglio, un'akuma. E se fosse stata proprio...? – Oh, Bethany, non ci credo! – sbuffò Alex, guardando in cielo.
– Ma non ti sembra un po' strano? – chiesi pensierosa alla rossa. – Tutti questi animali avranno pur un ordine ben preciso, no? – usai quel nome comune per non far insospettire Luka, continuamente presente tra le nostre vite.
– Sì, ci stavo pensando da un po', è l'oroscopo cinese. Siamo arrivati al cavallo, ma non mi spiego i primi animali che abbiamo affrontato, alcuni non c'entrano e altri sono in disordine. – intanto che la solita confusione si creava attorno a noi, io e Alex restammo con lo sguardo interrogatorio per capirne di più. – A meno che... – continuò e la guardai. – Papi...no? – fissò Luka, il quale non stava capendo niente. Papino. Stessi per ridere. – Non avesse voluto così...! – okay, parlare in codice era troppo difficile, non stavo collegando nemmeno io.
– Alex, rimandiamo, stasera. – mi espressi come un telegramma, ma la ragazza annuì e ci dirigemmo tutti e tre nel bosco. – Tu vai, ora. – ordinai al moro, ma non si mosse.
– E voi? – alzò un sopracciglio, che noia inventare sempre scuse perché la gente non faceva mai ciò che le veniva detto di fare!
– Andremo a casa mia, dammi solo il tempo di prendere le mie cose. – in qualche modo sembrava lo avesse convinto. Dubbioso si allontanò e noi ritornammo in scuderia. – E' uscita. – realizzò. Bethany non c'era, così come tutti gli altri cavalli. Ssashe e Moony uscirono dai loro nascondigli. – Approfittiamone. – con il potere dei Miraculous diventammo Lady Venom e Lupetta. Uscimmo di corsa per verificare la situazione, quanto sentimmo una risata.
– Era ora che veniste fuori. – una cavalla dalle crini bionde e il manto marrone lanciava un frustino elastico e distruggeva tutti gli ostacoli presenti. Ci mise poco, siccome avevo imparato che erano fatti di plastica.
– Perché ce l'hai tanto con questo maneggio? – chiesi, per ammettere che non ero mai stata lì prima d'ora.
– La competizione è sempre stata il mio forte! – strinse i pugni, piegando i gomiti, davanti a sé. Poi indicò il podio. – Ma l'orgoglio e la superbia me l'hanno portata via! – il gesto di Alex era stato fatto per dignità e boria, non c'era alcun dubbio, ma non le è saltato in mente a questa qui che magari era per mettere in gioco se stessa e fare colpo su Luka, invece che per lei?
– Capita. – si difese Lupetta, facendo stringere i denti a Bethany e partire all'attacco. – Questa battaglia è mia. – mi avvisò. Certo, le avrei lasciato fare tutto ciò che voleva e poi l'avrei finita io. Avevano diversi conti in sospeso e lasciar sfogare Alex era ciò che serviva.
– Dalle tutti i pugni che vuoi. – mi spostai, osservando bene lo scontro, per intervenire solo se fosse stato necessario.
– Non la vai ad aiutare? – Chat Noir, come al solito, sbucò all'improvviso, scendendo dalle nuvole con il suo bastone. Mi fece saltare dallo spavento e mi allontanai di qualche passo.
– No. – risposi semplicemente, con voce ferma e apatica. Non dovevo dargli nessuna spiegazione, era una cosa che riguardava solo chi aveva assistito alla gara. Mi allarmai. E se fosse stato lì? Basta, avrei scoperto la sua identità, costava quel che costava. – Dov'eri? Come hai saputo dell'akumizzata? – lo guardai dritta negli occhi, senza paura alcuna.
– A casa, ma sapevo dove cercare. – mi restituì la stessa espressione. Non me ne importava niente.
– In che senso? – incrociai le braccia e con la coda dell'occhio guardai la lotta. Bethany continuava a lanciare il frustino, mentre Lupetta lo schivava e la colpiva al meglio che riusciva con gli artigli.
– L'oroscopo cinese, ovvero da dove provengono anche i nostri kwami. – spiegò. Lo aveva capito anche lui, ma non era così semplice.
– Il gatto nero non fa parte del... –
– Fareste meglio a informarvi su chi possa essere il prossimo animale. – consigliò, poi fece scattare il suo bastone pigiando sulla zampa di gatto verde. – E ora vado a dare una mano a Lupetta. – se ne andò, immischiandosi tra le due ragazze. Era diventato un sacco più freddo. Sembrava parlasse a Ckicki, non a Lady Venom. Ma a che stavo pensando!? Entrambe eravamo furiose con lui, la mia versione civile di più. Mi sta forse mancando il suo essere spiritoso? No, era troppo, quella era Ssashe a parlare, non io. Quel serpente avrebbe dovuto capire che Chat Noir non sarebbe più stato mio amico o qualsiasi cosa fosse prima dell'incidente. Incidente, proprio. Direi più "atto volontariamente non voluto". Feci sbattere la corda al suolo. Dovevo distrarmi, così pensai al Miraculous del cavallo. Non aveva bracciali, anelli, collane, orecchini, né paraocchi e paraorecchie. Perciò mi venne in mente solo un'altra cosa.
– Lupetta, ribaltala! – le urlai e lei, con piacere, le conficcò gli artigli nel fianco, spingendola a terra e ferendola. Le guardai le scarpe. Come immaginavo, solo uno zoccolo aveva il ferro di cavallo. Così, mi catapultai davanti a lei e glielo sfilai. – Poison Power! – il mio canino velenoso infettò l'akuma, purificandola e facendo tornare Bethany al suo stato originale.
– Mi stavo divertendo, non avevo ancora finito. – mi guardò Alex, con le braccia conserte e l'espressione offesa. Le sue orecchie si rizzarono.
– Che è successo? – la bionda si tastò il fianco e la rossa ghignò.
– No, ferma, è durato abbastanza. – portai un braccio all'altezza dell'addome di Lupetta per fermare qualsiasi azione brusca. – Abbiamo del lavoro da fare. – lei annuì e lasciammo il felino con il kwami e il Miraculous.
– Vai da Fu. – le ordinò Alex. Io ero già sparita tra gli alberi per detrasformarmi.
– Stavamo dicendo. – iniziò la Deavrez alla guida della sua Mini, dopo aver preso le sue cose ed essersi offerta per darmi un passaggio. – Papillon ha come voluto che noi due trovassimo per primi i kwami che non c'entrano niente con l'oroscopo cinese. O quasi niente. – ripensai con calma all'ordine in cui li avevamo battuti: coccinella, volpe, pipistrello, topo, maiale, tigre, cane, drago, gallo, bue. Ottimo, completamente disordinati. Quindi il gatto aveva sbagliato di nuovo. Già, anche la voce di Chat mi vorticava nella mente.
– Non lo abbiamo capito solo noi. Persino Chat sapeva dove trovare la prossima akuma e mi ha detto di cercare il prossimo animale, per essere preparata. Ma questo è impossibile, non è stato rispettato nessun ordine! E' tutto sparso! – alzai le braccia. Decisi di controllare meglio e presi il telefono, andando su internet e digitando "oroscopo cinese". Infatti, tutto sbagliato. – Secondo questa immagine dovremmo scontrarci con una capra. Qui l'unica capra è Papillon, non avrebbe potuto seguire il calendario? – bloccai la schermata e mi misi una mano in fronte. Ero già stanca, non avrei retto sette ore di evento. Aprii gli occhi di scatto. – Non te l'ho detto, Adrien mi accompagnerà al gala. – non sapevo se per colpa di ciò che avevo detto o per via della distrazione, Alex prese il dosso senza frenare, facendoci fare un salto sul sedile.
– Uh, quindi l'appuntamento è andato bene. – fischiettò. Non capivo cosa stava tramando, ma le raccontai la storia. Un altro colpo di dosso non appena arrivai alla parte degli "innamorati senza speranza". E le spiegai anche che era già stato deciso tutto dagli Agreste e che in meno di un'ora si sarebbe presentato a casa mia per portarmi alla spa, o quello che era. Di colpo accelerò e si fiondò nella mia via. – Mi racconterai tutto stasera, per il momento affidiamoci alla supposizione di Chat e, al massimo, chiederò a Fu. – quel vecchiaccio sicuramente sapeva tutto. Annuii. – Passa un buon e rilassato pre evento, io mi assicurerò che Luka non sia a casa mia, invece. – alzò una mano e partì. Quel ragazzo aveva ascoltato troppo. Assolutamente meraviglioso. Corsi in bagno per farmi una doccia, legandomi i capelli per non bagnarli e rovinare una futura acconciatura per la sera.
– Devo portare un cambio? – chiesi a Ssashe, davanti all'armadio. Andare in giro con un abito da sera, alle 15.50 non era una cosa normale.
– Ssi Ckicki shashu ssjhss sse ssjssu. – mi aveva consigliato di indossare una gonna e una maglia, esattamente ciò che avevo in mente. Così ripescai la minigonna nera e il top a fascia, coprendomi le braccia con la solita giacca di jeans e calzando le ankle strap. Al piano di sotto sentii la porta aprirsi. Andai in cima alle scale e urlai. – Dammi ancora qualche minuto, Adrien! – ma da sotto sentii un paio di chiavi poggiarsi sul tavolo e delle buste scrosciare.
– Adrien, il tuo compagno di classe? – mi coprii la bocca con la mano, valutando quanto avrei dovuto sotterrarmi.
– Mamma! Che ci fai qui? – non pensavo rincasasse così presto, avrei dovuto darle spiegazioni e non mi sembrava il caso.
– Ci vivo, tesoro. – ma che spiritosa, mi chiesi da chi avevo preso. – Tuo padre è venuto a prendermi al lavoro e mi ha portato a fare la spesa, non capisco perché tutti i pacchetti di caramelle finiscono subito, non ti sembra di esagerare con gli zuccheri? – guardai la mia Ssashe che sibilò e chiuse gli occhi divertita.
– Ah, c'è anche papà? – fantastico, ci sarebbe stata una presentazione ufficiale tra i miei genitori e il modello in Limousine.
– Sì. – rispose lui, poi il citofono suonò, facendomi balzare dallo spavento. Oh no.
– Vado io! – mi catapultai giù, mancando anche qualche gradino, ma evitando di rotolare come una palla. Troppo tardi, mia madre aveva già aperto e mio padre stava già stringendo la mano ad Adrien. – Ecco, sì, bravissimi, non fategli perdere tempo, povero ragazzo. – avevo dimenticato la borsa con l'abito da sera e le scarpe giuste di sopra, ma come potevo lasciarlo da solo con gli avvoltoi che mi ritrovavo come parenti?
– Sei pronta? – mi fece il modello, con la camicia bianca e dei pantaloni in panno neri. Presi pochi secondi per fissarlo, era così raggiante e bello e quegli occhi erano luminosi, il sorriso perfetto e...
– Pronta per cosa? – mia madre aveva lo stesso sguardo della sera prima, sempre in quella posizione con le mani intrecciate davanti alla faccia e l'espressione vispa.
– Vostra figlia avrà il privilegio di essere coccolata dai miglior parrucchiere ed estetista della zona, per la sfilata. Io sarò il suo cavaliere. – la sua voce ammaliante entrò nelle orecchie dei miei come melodia. Poi il biondo mi guardò. – Avrei voluto dirtelo ieri, ma quel contrattempo me lo ha impedito. – si stava riferendo all'akuma.
– Vi siete visti anche ieri, quindi? – scrollai le spalle e guardai mia madre, fin troppo contenta. – Accomodati, Adrien. –
– No! – mi bloccai, mi ero espressa male. – Non abbiamo tempo, se la signora Nathalie ha organizzato tutto nei minimi dettagli non possiamo permetterci di ritardare. – disse quella che aveva lasciato tutto di sopra e aveva perso tempo per decidere come vestirsi.
– Esatto. – confermò lui. – Purtroppo non abbiamo tempo, ma sarò felice di passare del tempo con voi, in futuro. – ma che stava dicendo? Diventai rossa per l'imbarazzo. – Ah, non dimenticarti gli inviti. – mi fece un cenno e io mi mossi, recuperai tutto e convinsi anche Ssashe ad entrare nella borsa. La stavo viziando troppo.
– Divertitevi. – mio padre ci lasciò andare e quando vide con che auto era arrivato si avvicinò a mia madre. – Mi piace quel ragazzo. – espirai rumorosamente, ma mi accomodai sui lunghi sedili della Limousine, distendendo le gambe e piegando le ginocchia lateralmente.
– Sono simpatici. – commentò il modello. Era di fianco a me e usufruì della mia posizione obliqua per mettermi un braccio dietro la schiena e farmi appoggiare a lui.
– No, fidati, abbastanza inquietanti. – soprattutto gli sguardi di mia madre. Pensai a quello che avevo detto. Ma avrei potuto essere più scema di così? La famiglia di Adrien era un vero e proprio disastro a confronto, con il padre severo e la madre defunta. Quello sì che era inquietante. Che cazzo mi è saltato in testa. Sbuffai, desolata.
– Che c'è? – mi guardò, preoccupato. Evidentemente a lui non faceva più né caldo né freddo. Erano passati tanti anni e non ne parlava quasi mai. Quindi perché avrei dovuto iniziare il discorso io? Non lo seppi, ma lo feci.
– Pensi mai a tua madre? – che tatto, ragazzi. Assolutamente opportuno. Lo sentii irrigidirsi un attimo e scivolò un po' giù dal sedile. – Scusa. – guardai in basso. Stai zitta.
– No, è che... effettivamente avevo smesso di farlo. Credevo che dimenticando il dolore fosse sparito. Invece mi sto accorgendo che nulla potrà mai mettere fine alla mancanza che provo nei suoi confronti. – e io glielo avevo fatto ricordare. Poi rimembrai casa sua e realizzai che, in realtà, era impossibile non pensarci. I quadri erano ovunque. Aveva solo quindici anni quand'era successo, tre anni prima, la memoria avrebbe dovuto essere sì e no offuscata. Anche se, in realtà, sarebbe stata come una mancanza di rispetto cancellarla del tutto. Lo strinsi forte, non sapevo cosa dire e valutai che fosse stato meglio così. Mi prese per il mento e avvicinò il suo viso al mio, baciandomi delicatamente. Provai tristezza, ma sapevo che aveva bisogno di supporto.
– Io sarò sempre qui. – sussurrai e lo feci sorridere. Era così bello. D'un tratto l'auto si fermò, costringendoci a scendere e a spezzare quel momento.
– Le forbisci masciche di Jean Claude al vostro servisio. – un uomo pelato, dai lunghi e folti baffi grigi arricciati sulle punte ci accolse, chinando poco la testa e sventolando due forbici che teneva in entrambe le mani. Con quel camice tutto bianco sembrava più un chirurgo. – Mademoiselle Coeurnoir, si sieda. – fece roteare una poltroncina nera, posizionata davanti a uno specchio gigante pieno di luci bianche che giravano attorno alla cornice. Il ripiano sottostante era imbandito di pettini e spazzole dalla forma più strana mai vista prima, phon e ferri. Ubbidii e quasi sprofondai dalla morbidezza.
– Ulalà, sono Madame Dubois, eccomi qua! – dalla tendina posizionata sul muro dietro uscì una donna pimpante con una veste coloratissima degna di Disegual, una cascata di collane a perla colorate e dei bracciali a cerchio spesso in pandan. I capelli ricci e scuri erano legati con un mollettone. – Mi fascia vedere le sue unghie. – le mostrai i miei artigli, erano nere, lunghe e con la punta a stiletto. – Oh no, no, troppo spente. – avevo paura più di questa che del chirurgo.
– La prego, non me le tagli. – poi mi rivolsi a Jean Claude. – Neanche i capelli. – avevo uno sguardo supplichevole, stavo persino tremando. Ma in che gabbia di matti ero finita? Guardai Adrien, ancora in piedi, davanti alla porta. Lui sorrise divertito.
– La lascio nelle vostre mani. – disse il modello, salutando e ritornando alla macchina. Io non parlai, ma mossi velocemente la testa, in segno di negazione, disperata.
– La troverà incantevole, signor Adrien. – lo rassicurò il parrucchiere. Poi mi girò nuovamente verso lo specchio e ispezionò i miei capelli. Poi mi prese il viso e lo ruotò in tutte le direzioni. – Oui, sci sono! – stavo male.
– Mademoiselle, scelga pure la tonalità che preferisce. – l'estetista aveva portato un tavolino con rotelle, su cui c'erano tutti gli smalti dai colori più sobri a quelli più stravaganti. In più c'erano un sacco di brillantini colorati.
– Beh, io... – erano troppi e non sarei potuta andare in giro con le unghie fluo, tenendo conto del mio stile. – Magari bordeaux o... nero? – delusi Madame Dubois, ma che cavolo, erano le mie unghie. – Va bene, facciamo nero, ma con tanti brillantini argentati. – il suo sguardo triste piano piano si accese. Non era ciò che sperava, ma almeno sarei rimasta me stessa.
– Bien, vada nel camerino e indossi la vestaglia. – l'uomo girò ancora la poltroncina e temetti di vomitare. L'estetista mi prese per mano e mi condusse dietro la tendina. Sulla sinistra c'era una porta chiusa che, una volta aperta, ospitava un grande camerino, con sedie e appendiabiti, fiori e uno specchio a muro.
– Lasci qui la sua borsa. – me la prese per posizionarla su una sedia. Poi mi porse una vestaglia di seta, simile alla mia nera, ma lilla pastello. Mi lasciò sola e, rimasta in intimo, la indossai. Ritornai nella postazione di prima, ma Jean Claude mi tirò verso la zona lavaggio. Usò uno shampoo profumatissimo al lampone e una crema balsamo che mi costrinse a tenere per dieci minuti. Il mio collo stava soffrendo in quella posizione. Mi legò un asciugamano in testa e mi riportò sulla poltrona. Tamponò, massaggiandomi piacevolmente, e usò una fascia elastica per non far muovere l'architettura.
– A lei, Madame. – con un inchino lasciò il posto a Madame Dubois, la quale girò nuovamente la poltrona e mi riempì il viso con una maschera che, lungo andare, si stava solidificando. La tolse un quarto d'ora dopo, spennellando il viso con fondotinta e fard, truccandomi gli occhi e le labbra. Ero curiosa di vedermi, ma una volta rigirata, quando il parrucchiere mi tolse la fascia dalla fronte e slegò l'asciugamano, tutti i capelli mi coprirono la faccia. Solo una volta che me li pettinò all'indietro potei ammirare il capolavoro della donna. Avevo uno smokey eyes sui toni del marrone e viola, con tanto di glitter bianchi. Una linea sottile di eyeliner che terminava con una virgola alta e un contouring che mi faceva acquisire due tonalità di abbronzatura in più. Per lo meno non ero arancione, ma tanto illuminata. Sembravo un lampione. Le labbra erano bordeaux e quelle le amavo. L'estetista non perse tempo e iniziò a togliermi lo smalto per limare le unghie e mettere quello nuovo. Nel frattempo, l'uomo stava tagliando solo le doppie punte. Approvava il mio colore, quindi non interferì con quello. Alla fine lo trovai piacevole, erano un po' psicopatici, ma il loro lavoro lo sapevano fare appieno.
– Et voilà! – dopo che mi asciugò i capelli mi raccolse solo la parte alta, attorcigliandola e puntandola sulla nuca con delle mollette piccole. Sembrava un bouquet di rose. Il ciuffo e le ciocche rimanenti, invece, li rese boccolosi e li lasciò cadere sulle spalle. Mi piacevo tantissimo. – Come si sente? –
– Magnificamente. – risposi sincera. Anche le unghie erano belle, sebbene fossero più limate a mandorla di prima. Ma non importava, sarebbero ricresciute.
– E ora il vestito, ha solo scinque minuti. – la donna mi riportò in camerino, dove mi vestì lei con il mio abito da sera romantico e mi sistemò gli accessori che avevo portato, ovvero una collana con diamantini e pietruzze – economiche, ma sempre luccicanti – pendenti e bracciali dello stesso materiale. – Manca qualcosa. – valutò Madame Dubois. Andò a cercare qualcosa e ritornò poco dopo con una sottile cintura in Swarovski. Mi illuminai più dei diamanti. Lasciai che la posizionò morbida in vita e la ringraziai felicemente.
– Ckicki? – sentii la voce di Adrien chiamarmi da fuori, ma non riuscii a muovermi, continuavo ad ammirarmi. L'estetista sembrò mia madre, con le mani intrecciate sulla guancia e gli occhi lucidi. Non appena il modello entrò in camerino si pietrificò. La signora capì subito e ci lasciò soli, mantenendo lo sguardo su di me. Mi voltai, per guardarlo negli occhi, e notai che mi stava osservando lentamente e ovunque. – Sei... wow. – sorrisi, era sempre bello sentirselo dire da lui. Al suo completo aveva aggiunto la giacca e la cravatta nere. Allungò il braccio verso di me. – Permette di accompagnarla, principessa? – stavo impazzendo, era così perfetto. Appoggiai delicatamente la mia mano sulla sua.
– Ma certo, signor Adrien. – risi, lo avrei preso in giro un po', poi me ne sarei dimenticata e lo avrei trattato come il mio cavaliere. Uscimmo a braccetto e anche Jean Claude si commosse.
– Sono un genio. – bisbigliò tra sé e sé, ma lo sentimmo ugualmente e ce ne andammo sorridendo.
– La lista! La lista! – neanche il tempo di entrare in hotel che la signora Nathalie, con un elegante abito blu scuro, mi mise ansia con la sua cacchio di lista nera. La sventolai, sia per fargliela vedere che per farmi aria. Ero ancora a braccetto con Adrien, dopo essere scesa dalla Limousine non aveva esitato a fare un altro gesto galante. Così, i fotografi e le telecamere posizionate all'entrata, ci avevano ripresi insieme ed ero più che soddisfatta. Nella pochette mi vibrò il telefono. Lo presi, toccando prima Ssashe – mi aveva chiesto di renderla partecipe – e lessi il messaggio. Era mia madre e diceva:"Ti stiamo guardando dalla TV. Sei stupenda." Ah, che bello, niente figure di merda o lo avrebbe visto tutto il mondo.
– Ti mostro come si fa. – il modello mi portò davanti a un leggio, situato lateralmente all'entrata e mi fece sistemare il foglio sopra. – Man mano che gli ospiti arrivano dovrai chiedere il loro nome, meglio se lo sai già, disegni un check sulla riga giusta e prendi l'invito, mettendolo qua dentro. – sotto ai fogli c'era una cassa con un buco, simile al recipiente delle lettere postali. – Ti aiuterò io, finché potrò. – mi mise le mani sulle spalle, posizionandosi dietro di me. Oddio, il suo tocco così caldo. Lo sentii ghignare piano.
– Che hai? – domandai sorridendo, a bassa voce. Non credei avesse sentito, quasi non notai l'orchestra che già suonava.
– Jean Claude sa benissimo che adoro il lampone. – stava sentendo il mio profumo, espirando sul mio collo e facendomi venire i brividi. Quel parrucchiere la sapeva lunga.
A poco a poco gli ospiti stavano entrando e restai un attimo impalata a fissarli. Non riuscivo a parlare, non riuscivo a crederci, erano veramente loro, le persone che credevo di vedere solo attraverso uno schermo. Parlare al telefono con il loro agente era un conto, ritrovarmeli davanti tutt'altro. Una coppia sposata che conoscevo benissimo si fece avanti per prima, con in mano il loro invito e un sorriso sgargiante. Dai, coraggio, parla.
– Buonasera signor Pinault, Madame. – non ce la feci e li accolse Adrien. – Avete gradito il viaggio dalle Hawaii? Vi trovo in forma. – ma come faceva? Prese i pezzi di carta e li imbucò, segnando il loro nome sulla lista. Mi guardarono. Alzai le labbra, a disagio.
– Una splendida vacanza. – rispose la signora Salma Hayek. Fortunatamente non si prolungarono molto e andarono a servirsi al buffet.
– E' stato facile, no? – mi guardò il modello. Certo, per lui era tutto facile. Chiusi gli occhi a fessura. – I prossimi sono i tuoi, faremo a turno. – no, non ero pronta e l'intervista? Stavo dimenticando il copione! Si avvicinò una ragazza, troppo famosa per non essere riconosciuta.
– B-buonasera, signorina Depp. – oh cristo, la figlia di Johnny Depp. Dov'era il padre? Sarei morta se lo avessi visto. – L'invito, p-prego. – non dovevo balbettare, era contro le regole! Me lo porse e in qualche modo sovrannaturale riuscii a imbucarlo senza romperlo o stropicciarlo.
– Si diverta e passi una deliziosa serata. – la salutò il biondino. No, non ce l'avrei mai fatta. Si stava avvicinando lui, il solo, l'unico...
– Jared Leto. – dissi soltanto, verificando se fosse reale. Mi guardò perplesso e continuai con una frase casuale. – E' un privilegio averla qui. – troppo esagerata? Non sapevo dosarmi, o non sufficiente o fuori dalle righe.
– La ringrazio, Mademoiselle. – per l'Angelo, mi aveva rivolto la parola! Adrien, tienimi. Presi il suo invito e nel farlo gli sfiorai le dita. Ohh. Quando se ne andò realizzai che Agreste aveva barato. Mi rivolsi a lui.
– Avevi detto uno per uno! – bisbigliai con enfasi, cercando di non dare nell'occhio.
– E perdermi una scena del genere? Nah. – scherzò e quasi mi venne voglia di tirargli una sberla. Non lo feci perché si stava avvicinando Cara Delevigne. Avrei lasciato parlare Adrien, questa volta. – Incantevole come sempre, miss. – le fece addirittura il baciamano. Non avrei potuto competere, che imbarazzo.
– Spero di vederla sul palco, signor Agreste. – gli rispose. Fantastico, la loro fama precedeva qualsiasi nazionalità.
– Ma certo. – imbucò, segnando anche i nomi che non avevo cancellato dalla lista. – Non distrarti, principessa. – sussurrò e mi baciò dietro l'orecchio. Era impossibile lavorare con lui, ma mi sarebbe servito per forza.
– Gigi Hadid, che piacere. – dissi appena in tempo e Adrien si staccò, permettendomi di non fare figuracce con le star. Continuai così, con Anna Dello Russo, Miroslava Duma, Izabel Goulart, Alessandra Ambrosio, Natasha Poly e Kendall Jenner. Per fortuna la signora Nathalie venne a chiamarmi prima che Bill Kaulitz e Jeffree Star facessero la loro apparizione o sarei dovuta andare di corsa in Sala Rianimazione.
– La stampa. – mi spiegò. – Si ricorda la sua intervista? – okay, un bel respiro, mente locale e annuii. Nadja Chamack era pronta a passarmi il microfono, mentre le telecamere mi riprendevano in diretta mondiale.
– Qui Nadja, in linea con Ckicki Coeurnoir, l'ospite a sorpresa di cui Gabriel Agreste ha parlato. Lei è solo un'apprendista, ma si è già guadagnata il rispetto di uno degli stilisti più famosi di Parigi, le sue considerazioni? – e mi passò la parola. Accidenti, questo non c'era nelle domande della signora Nathalie. Niente improvvisazione o balbettii. Mi venne in mente la sua voce, come un ricordo persistente.
– Ahm, io ringrazio molto il signor Agreste per l'opportunità che mi ha dato, sono lusingata e motivata a farmi valere perché, un giorno, creerò il mio marchio e sarà tutto merito delle persone che mi stanno aiutando in questo periodo. – mi ricordai di respirare e di non fissare un punto preciso della telecamera.
– Non è da tutti cominciare su uno dei palchi più attesi dell'anno, nell'Hotel più prestigioso della città, l'unica Parigi, capitale dell'amore e della moda. Dia libero sfogo alla sua creatività e commenti il suo lavoro. – aveva detto un sacco di cose che non c'entravano, ma collegai quella pseudo domanda all'ispirazione.
– Da qualche settimana, come il notiziario che lei dirige è ben informato, stanno capitando eventi strani proprio in questa città. Strani supereroi si aggirano per salvare Parigi dai soprusi di persone completamente soggiogate da un potere oscuro. Da qui nasce la mia linea che, non solo raffigura il bene, ma anche la sua controparte malvagia. Con questo progetto voglio ispirare e trasmettere al mondo di fidarsi di queste persone e di prendere spunto, nel caso di questa sera mi riferisco agli abiti. – stavo andando bene, mi fermai a fare una risatina per non sembrare un robot. – Sono contenta di sfoggiare insieme ai grandi marchi già presenti da anni. Il mio brand è innovativo, giovanile e soprattutto colorato, senza regole. Vedrete stili diversi in contesti diversi, cosa che mi rende più avvantaggiata rispetto ai capi omogenei degli altri stilisti. – avevo finito, ce l'avevo fatta, non è stato così orribile, dopotutto.
– Una presentazione impeccabile. La sentiremo più tardi per il credito dimostrato sulla passerella. – altri flash mi accecarono, ma la troupe era altrove a importunare altra gente. Adrien mi abbracciò da dietro, così furtivamente da farmi fare un gridolino per lo spavento.
– Sei stata perfetta. – mi diede un bacio veloce sulla guancia e mi prese per mano. – Bevi qualcosa. – andammo al buffet e un senso di fame incontrollata mi invase lo stomaco. Mi buttai sulla degustazione di formaggi e sugli stuzzichini, mentre il modello mi porse un flute di Champagne. Un'apericena divina.
– Mi sento meglio, il cibo è il rimedio a tutti i mali. – e l'alcol, soprattutto l'alcol. Adrien scosse la testa, divertito.
– Non proprio, il rimedio è un'altra cosa. – mise giù il suo bicchiere, prendendo anche il mio.
– E cosa? – iniziai a pensare male, ma non mi sembrava il caso in quell'ambiente. Strinse le mie mani con le sue e mi fece piroettare.
– Il ballo. – rispose, attirandomi a sé. La hall si stava riempiendo di persone, tutte accoppiate per iniziare a danzare sulle note di un walzer viennese. Non ero particolarmente portata per quel genere, specie non avendo mai preso lezioni, ma più mi guardavo intorno e più mi convincevo che non sarebbe stato tanto difficile. Adrien lesse il dubbio nei miei occhi. – Ti dico io cosa fare. – mi sentii subito più sollevata, così, andammo in centro sala, dove i fotografi riprendevano la scena.
– Non voglio finire sul giornale mentre ti pesto i piedi! – sussurrai abbastanza forte per farmi capire. Il ragazzo accennò a una risata, ma si ricompose in fretta.
– Non temete, Madame, con la mia presenza passerete in secondo piano. – alzò il mento e mi prese la mano, poggiando l'altra sul fianco. Aprii la bocca, sbigottita.
– Presuntuoso! – lo insultai, ma inarcai la schiena, spostando il viso di lato e iniziai a girare.
– Passo, passo, giro. Passo, passo, giro. – mi ripeteva intanto. Me la cavavo, sebbene la testa prese a girarmi troppo, a causa della velocità. Con i movimenti formavamo un grande cerchio immaginario. – Side Whisks. – non capivo cosa volesse dire, ma lo ringraziai, perché andavamo lateralmente, prima a sinistra e poi a destra, incrociando le gambe e mi aiutò con le vertigini. Ma poi riprendemmo il solito giro.
– Basta così, ti prego. – lo supplicai. Allora mi fece fare l'ultima giravolta e mi bloccò le mani sul suo petto. L'avevo già vissuta quella scena. Mi immobilizzai un attimo, fissando Adrien con la bocca aperta. No, è ridicolo...
– Tutto bene? – mi chiese, con un'espressione confusa. Assolutamente ridicolo.
– Sì, – mi ripresi – mi fa solo male la testa. – portai una mano sulla fronte, come per fingere di svenire.
– Vieni a bere. – mi portò di nuovo al buffet, dandomi del punch. – Ti senti meglio? –
– Sì, molto, grazie. – ma a che diavolo stavo pensando, è impossibile. D'un tratto mi sentii chiamare e, nel voltarmi, venni accecata da un abito blu in raso, lungo, con le spalline arrotolate e lo strascico laterale. – Alex! – le diedi un bacio sulla guancia.
– Hai un vestito stupendo! – esclamammo in coro. – Sì, lo so. – ci rispondemmo all'unisono. Ghignammo per la coincidenza. Anche il suo abito era stato confezionato da lei, per il suo esame.
– E' un piacere rivederti, due volte lo stesso giorno. – Luka non perse tempo a intromettersi. Anche lui stava bene in smoking, ciononostante lo guardai male comunque.
– Vi siete visti? – Adrien stava fraintendendo tutto, come al solito. Lo percepii teso, era fissato.
– Alla mia gara. – si affrettò a rispondere Alex. – Si sono incontrati lì per caso. – ma lui non la stava a sentire. I suoi occhi verdi erano puntati in quelli azzurri del moro.
– Ehi. – gli bisbigliai dolcemente. – La sfilata sta per iniziare. – lo trascinai letteralmente via, sembrava un segugio. La musica improvvisamente divenne elettronica, le luci si offuscarono e illuminarono solo il palco. Tutti gli ospiti avevano preso il loro posto. Nel frattempo, io e Adrien ci sedemmo di fianco a Gabriel, separandoci da Alex e Luka. Le prime modelle ucraine, del marchio Paskal, scesero le scale e camminarono lungo la passerella, mostrando abiti svolazzanti dai toni rosati e gialli. Ai piedi portavano delle strane ciabatte. Non erano particolarmente truccate e i capelli erano legati con una coda di cavallo. In conclusione, la stilista Julie fece la sua entrata, scatenando applausi sonori. Avrei dovuto farlo anche io, davanti a tutta questa gente famosissima. Iniziavo a non sentirmi più a mio agio. L'ansia e le palpitazioni che avrei dovuto avere a inizio settimana si stavano facendo vive solo in quel momento. La musica cambiò, diventando più tetra, ma sempre ritmata e si presentò la linea di Frowijn. I colori cambiarono, come lo stile, più classico, alternandosi tra il blu e il bianco. L'olandese Liselore, al contrario della sua predecessora, fece un breve inchino, salutando tutti con il sorriso. Bene, avrei potuto fare anche io così. Ma mi sarei giocata l'opportunità di sfilare, in diretta. Live, senza margine di errore, nessun montaggio avrebbe mai potuto tagliare la scena in cui sarei caduta. Ma perché poi credevo di cadere? Altra melodia ancora e il grande Dior prese la scena, con i suoi capi in jeans, neri, eleganti e sobri. O, almeno, alcuni. Quando iniziarono le sfumature di rosso e fucsia, la serietà un po' si perdeva, ma era giusto così. (Per non parlare del grigio metallizzato e le solite ciabatte). Tra le modelle riconobbi Caroline de Maigret, Inès de la Fressange, Jeanne Damas, Camille Charrière, Sabina Socol, Adenorah, Louise Ebel, Adeline Rapon, Lou Doillon, Louise Follain, Lolita Jacobs e Camille Rowe In pratica le migliori del campo francese, dal posto fisso. Raf Simons scese le scale e subito si sentì un boato, seppur decoroso. Ma, invece di proseguire, si fece dare un microfono e si rivolse a noi con il sorriso. – Dopo una lunga e accurata riflessione, ho deciso di lasciare la mia posizione come direttore creativo di Dior. È una decisione basata esclusivamente sul mio desiderio di focalizzarmi su altri interessi della mia vita, soprattutto sul mio brand e sulle passioni che esulano dal mio lavoro. – ci furono molti commenti a riguardo, ma lo stilista salutò tutti e ritornò di sopra, senza ascoltare. Wow, felice di aver preso parte all'ultima esibizione. E poi Lacoste, un marchio più sportivo, adatto a chiunque e per tutti i giorni, senza il timore di sembrare un lampadario che cammina. Prevalevano blu e verde scuri. Novak Djokovic fece il suo ingresso in tutta tranquillità, nel modo più calmo in assoluto. Finalmente si iniziava a ragionare anche per quanto riguardava il belvedere maschile. E chi, se non Lanvin, con i suoi modelli mozzafiato? Ovviamente loro: Fabio Mancini, Alessio Pozzi, Ton Heukels (sarei potuta svenire), Giovanni Bonamy (svenni), Alexandre Cunha, Stephen James, (supertatutato e che braccia), Lucky Blue Smith (oh, crogiolo), Sean O'Pry (basta, sono morta). Stavano divinamente con gli smoking di diversi tessuti, dal più stretch al più morbido e lucido. Alcuni sembravano usciti dai film anni '40-'50. Lucas Ossendrijver sfilò tutto soddisfatto della sua linea uomo, la camicia azzurrina gli stava bene. L'ultimo marchio prima della pausa era Kenzõ. C'erano sia maschi che femmine. I primi iniziarono con abiti eleganti per poi finire con le ciabatte, di nuovo, e i pantaloni a pinocchietto, senza tener conto degli strani occhiali che portavano alcuni. Le ragazze, invece, indossavano abiti più casual, sui toni del rosso e del viola, con un trucco molto dark. Le calze a metà polpaccio a righe bianche e nere però non si potevano vedere. Kenzõ Takada fece la sua apparizione insieme a James Greenfield e Antonio Marras, inchinandosi davanti a tutti. Dopo quattro ore necessitavo di alzarmi, ma sentivo che se lo avessi fatto le mie gambe non avrebbero retto.
– Sei emozionata? – mentre tutti si stavano avviando al buffet o discutevano fra loro, Adrien era in piedi, davanti a me, a porgermi la sua mano.
– Come fai ad essere così tranquillo, a meno di tre ore dell'esibizione? – poi valutai che per lui era una cosa da tutti i giorni e mi sentii più impacciata. Stavo bene, ma continuavo a pensare alle figuracce che avrei potuto fare.
– Questione di abitudine. – decise di farmi tirare su con la forza e, non essendo pronta, barcollai un attimo. Mi abbracciò, continuando a guardarmi negli occhi. – Non temere. – disse in tono lieve e rassicurante. Non ero io il problema, ma quelle due là. Se avessero rovinato qualcosa avrei rovinato loro la faccia e la reputazione.
– Lila e Roxanne... – tentai di esprimere il mio pensiero, ma il modello mi mise l'indice sulla bocca, facendomi tacere.
– Possono essere anche impertinenti, ma non sono stupide. Sanno che se combinassero qualcosa tutto il mondo lo saprebbe, dissestando poi la loro carriera. – in qualche modo mi convinse, non avrebbero potuto fare niente di riparabile in tre ore. Forse.
– Hai ragione. – ammisi, sottovoce. Lo sperai davvero. Tutta quella pressione mi fece venire caldo. – Ho bisogno di un po' d'aria. –
– Usciamo. – ma anche dopo averlo stabilito restammo lì, fermi in quella posizione. Volevo davvero uscire, ma anche osservare così da vicino i suoi occhi. Lentamente si avvicinò al mio viso e sfiorò delicatamente le labbra con le mie. Tutto ciò che ci fu dopo fu un flash. Qualcuno ci aveva scattato una foto, disturbando un momento intimo. Poco più tardi mi vibrò il telefono. Era ancora mia madre. "Che ben di dio" diceva il messaggio, che spiona. Ma pensai si fosse riferita anche agli altri modelli. Non le risposi, ma, rimettendo il cellulare nella pochette, accarezzai Ssashe in segno di scuse per averla scossa con la vibrazione.
– Andiamo. – mi decisi ad uscire, anche per evitare di essere ripresa ulteriormente. Mano nella mano ci dirigemmo verso il concierge, dove Alex e Luka ci aspettavano. – Credo di sentirmi male. – feci alla rossa e le spiegai le mie teorie.
– Ho già detto che ci penserò io nel caso. – batté un pugno sul palmo della mano, come era solita fare in battaglia. – Ti consiglio di andare a controllare. – avevo ancora il tempo giusto per salire in Suite e tenere d'occhio i vestiti. Adrien decise di seguirmi, ma la signora Nathalie ci venne in contro.
– Signor Adrien, suo padre vorrebbe parlarle. – poi guardò me – Signorina Coeurnoir, poco dopo la fine del marchio Versace si dirigerà nelle sue stanze, attendendo il suo turno. – e si dileguò esattamente com'era arrivata.
– Scusami. – il biondo mi prese la mano e baciò il dorso, poi si allontanò. Presi l'ascensore da sola ed entrai nella Suite. Gli abiti erano ancora sul carrello, tutti incellophanati. Li riguardai uno a uno, sperando in bene. Ritornai di sotto a sedermi e guardai la collezione di Valentino, molto appariscente e con tanti glitter, in sfumature calde. L'uomo-mummia salutò tutti allegramente, ritornando poi al suo posto. Georges Vuitton aveva dato il meglio di sé con le pellicce, sia per quanto riguardava i cappotti che gli abiti stessi, aggiungendo pelo alle estremità. La performance successiva fece restare tutti di stucco, perché non furono subito le modelle a scendere, ma delle borsette legate a dei droni che percorrevano tutta la passerella. Solo successivamente le ragazze di Dolce&Gabbana sfilarono, in tutte le loro combinazioni degne di Arlecchino. E anche Karl Lagerfeld, di Chanel, aveva conquistato il palco con le tinte pastello di abiti eleganti e da sera anni '50-'60. C'erano piume, paillettes e cinturoni. In breve tempo realizzai che Donatella Versace sarebbe stata la prossima. Sbaglio o il tempo era passato più velocemente? Continuavo ad agitarmi sulla mia sedia, ero ansiosa. Sentii la mano calda di Adrien rassicurarmi, ma poi la tolse, come se fosse stato colpito da una scarica elettrica. Non riuscivo più a stare lì, me ne dovevo andare. Chiamai l'ascensore e aspettai, correndo poi per il corridoio, ma facendo attenzione al look. Appena entrai in camera notai le modelle che si aiutavano a vestirsi. – Oh, era ora che ti facessi viva. – osservò Lila, mentre si sistemava la coda di volpe sui fianchi. Daphne stava indossando gli ultimi accessori a forma di serpente, Julie si stava legando il kimono, Amélie si posizionava bene i guanti grigi, Charline stava giocando con la campanella e Roxanne si stava tastando le rose.
– Sfilerò bene – iniziò a dire quest'ultima – solo perché il mondo possa vedere come sono aggraziata anche con un abito così ingombrante. – e fece una smorfia. Adrien aveva ragione, la fama prima di tutto. A me bastava, affinché non avesse rovinato niente.
– Ritieniti fortunata Ckicki, l'arancione è il mio colore preferito. – ma guarda un po' la volpe furbetta con chi è andata a schierarsi. Non mi importava, avrebbero dovuto essere impeccabili. Poi pensai al mega errore che stavo facendo.
– Credevo che voi tre aveste dovuto sfilare anche per Gabriel. – mi riferii a Daphne, Lila e Roxanne. Il giorno del casting anche lui aveva scarabocchiato qualcosa sui loro fogli.
– Cambio di programma, il signor Agreste ha preferito Jeanne Damas, Camille Charrière e Sabina Socol. – mi riferì la bionda platino. Le altre due ragazze fecero roteare gli occhi e sbuffarono. Ah, il karma.
– Ma che peccato. – esclamai in tono piatto. Ovviamente valeva solo per le ultime due, povera Daphne. – Comunque, ora che è stato chiarito, dovrete entrare in ordine. La prima sarà Lady Venom, poi Lupetta e a seguire Chatte Noire, Ladybug, Rena Rouge e Chaton Rose. – marcai tanto il ruolo di Lila solo perché aveva detto che "Volpina" sarebbe stato meglio, ridicolo. Provai gusto a mettere le più odiose per ultime. – Bene. – feci un respiro profondo e diressi tutte fuori, fino alla fine della rampa principale, dove ancora c'erano le modelle di Gabriel e, a pochi passi da me, Adrien. Ci guardammo e mi fece un timido sorriso. Che gli era preso tutto d'un tratto? Non feci in tempo a chiederglielo che un nuovo brano partì e la sfilata continuò. Ero curiosa di sapere a cosa si era ispirato suo padre e gettai un occhio sulla passerella. Erano tutte vestite di viola, con il tulle e ali di farfalla. Alcune sembravano delle vere e proprie fate, con sfumature lilla e rosa. Anche Adrien portava una giacca viola con un papillon glicine. Essendo l'unico ragazzo solo lui teneva in mano una specie di bastone da passeggio, nero, esattamente come i suoi guanti. Non appena fece la sua entrata, quasi tutte le ragazze esultarono e applaudirono, facendolo sorridere splendidamente. Gli donava un sacco. Era una di quelle persone che, appunto, sarebbe stato bene anche con un sacco della spazzatura ed era mio. O così continuavo a credere. Stop. Gabriel si presentò e la musica cambiò di nuovo. Oh no. – Tranquilla, Ckicki, ci pensiamo noi. – mi confortò Daphne. Ringraziai di averla scelta, altrimenti sarei morta. E così, una dopo l'altra, portarono i miei lavori sul campo, facendosi abbagliare dalle luci e dai flash. Ero emozionata, stava andando tutto bene. Erano perfette, i miei abiti lo erano, io lo ero. Persino Roxanne era riuscita a far spiccare l'abito ampio e ingombrante. Ma lei era l'ultima, sarei dovuta scendere. Lo feci piano, sorreggendomi alla ringhiera come i bambini. Continuavo a sorridere e mi si stavano arrossando gli occhi per via dei riflettori. Mi portai le mani davanti alla bocca e camminai così fino a metà passerella. Ma che stavo facendo? No, non così! Raddrizzai la schiena e distesi le braccia, avanzando con passo molto più deciso, con lo sguardo puntato all'orizzonte, al futuro. Feci una posa, afferrandomi i fianchi e tornai indietro, insieme alle mie modelle rimaste lì, insieme agli applausi di chiusura.
– Mi sento male! – confessai ad Alex, intenta a supportarmi, mentre delle lacrimucce scendevano sulle guance. – E' stato fantastico. – avevo bisogno ancora di più di aria e uscimmo.
– Adesso calmati, respira. – gesticolava movimenti di respirazione e la imitai, riacquisendo il controllo dell'aria che inalavo. – Brava. – mi girai e, quando constatai di essere sole, feci uscire Ssashe, così come Alex liberò Moony.
– Ckicki hsshhie ehasseyhaseythassahss! – si complimentò, dandomi della grande. Abbracciai come potevo quel piccolo serpentello.
– Hai colto l'essenza di noi kwami! – accarezzai il pelo del lupo per ringraziarlo. Tutto bene quel che finisce bene. Dopodiché sentimmo tre applausi distanziati. Perché stava sempre in mezzo ai piedi?
– Complimenti, davvero singolari. – Luka si posizionò di fianco ad Alex, davanti a me. Gli animaletti si nascosero il più velocemente possibile. – Fai anche i modelli da uomo? – aprì le braccia e sfoggiò un sorrisetto malizioso. Chiusi gli occhi, non lo volevo neanche vedere. – Potrei posare privatamente per te, che dici? – quando li riaprii guardai Alex, con uno sguardo omicida nei suoi confronti. Stesse per dire qualcosa quando una voce furente ci colse di sorpresa.
– Non le devi parlare! – Adrien arrivò a passo spedito verso di noi, prendendo Couffaine per la giacca e spingendolo lontano da noi. Accidenti, come aveva fatto a sentirlo? Si era talmente lanciato che aveva fatto prendere un colpo anche a noi povere donzelle.
– Piano damerino, non vorrai sporcare i vestiti nuovi di papà? – lo sfidò l'altro, ma evitando di mettergli le mani addosso. Non seppi cos'era peggio, la forza o la lingua. La seconda, nel mio caso. Il modello lo strattonò.
– Ti ho detto che la devi lasciare stare! – lo spinse via, abbastanza lontano perché avesse potuto caricare un pugno e colpirlo sulla tempia.
– Adrien, no! – urlai, ma era troppo tardi. Il moro perse la pazienza e gli restituì il gancio.
– Luka! – lo chiamò la rossa, ma i due ragazzi non diedero segno di voler smettere di picchiarsi. Valutai l'idea di mettermi in mezzo, ma sapevo che le avrei prese. Guardai la mia amica, preoccupata tanto quanto me, mentre la situazione stava degenerando. – Adesso smettila! – continuò a dire.
– Adrien, non è da te, ti supplico! – se qualcuno li avesse sentiti sarebbe stata la fine, con tutte quelle persone.
– Non osare mai più rivolgerle la parola, – il biondo gli puntò il dito contro – altrimenti giuro che io... –
– IO LA AMO! – gridò il moro con voce roca. Ci fermammo tutti. Adrien sbiancò di colpo. Io e Alex ci pietrificammo sul posto. Luka, con il naso sanguinante e il respiro affannoso, parlò di nuovo, ma piano. – Alex.... Io... io ti amo. – oh mio dio. Si guardarono, lui ancora affaticato, lei con una strana espressione che non seppi decifrare. Poi la vidi scattare verso di lui e, nonostante il sangue, nonostante tutto, si baciarono. Adrien guardò per terra, accigliato. Non appena girò la testa verso di me io sostenni il suo sguardo, incrociando pure le braccia. Che cazzo ti avevo detto, rimbambito? Notai solo in quel momento che aveva il labbro tagliato. Respirava anche lui a fatica, forse per la sorpresa. Mi si avvicinò a piccoli passi, esausto.
– Ti... ti riporto a casa. – sentenziò, facendo per prendermi la mano.
– No. – gli rispose Alex. – Lei viene a casa con me. – che stava succedendo? Avrei dovuto scegliere se essere scortata dal mio pseudo ragazzo o dalla mia migliore amica.
– I-io... – rimasi imbambolata, finché un suono troppo familiare venne nella nostra direzione. La troupe televisiva con i fotografi era tornata. "Eccola, eccola!" dicevano in coro.
– Signorina Coeurnoir, la sua presentazione è stata soddisfacente come se lo era immaginato? – Nadja arrivò con l'ultima domanda della serata. Nulla era come lo avevo immaginato, mi sarei aspettata una catastrofe, ma era appena, giusto in tempo, iniziata lì fuori. Non avrei dovuto improvvisare, né balbettare, ma continuavo a restare davanti alla telecamera, con lo sguardo assente, senza dire nulla.
– S-sì, credo di sì. – risposi infine, non esattamente all'altezza delle aspettative. Successivamente una mano mi prese e mi trascinò via con forza. – Scusate. – fu l'ultima cosa che dissi alla TV. Vidi Alex, convinta nel portarmi verso la sua auto. Ma quando vidi una Jeep mi ricredetti.
– E' di Luka, è venuto a prendermi lui, non fare domande e sali. – rispose al mio sguardo interrogatorio. Ubbidii e occupai il sedile dietro.
– Dove abiti? – fece il ragazzo, al posto di guida. Non avrei mai pensato di salire in macchina con lui, tanto meno nella sua.
– A casa mia. – mi precedette Alex.
– No, non ce n'è bisogno, davvero. – perché mi sentivo strana? Era per via del comportamento di Agreste? – Rue Augereau. – Luka annuì una volta e mise in marcia. – Alex. – glielo dovevo dire, ma sicuramente mi avrebbe dato della pazza. – Scopri chi è Chat Noir. – sussurrai il nome, cosicché il moro non lo avesse sentito e cambiai leggermente la versione dei fatti.
– D'accordo. – afferrò il concetto. – Ma se hai bisogno di qualcosa chiamami subito. – le sorrisi, annuendo.
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