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Un grande bicchiere pieno di Coca-Cola

È sempre il momento giusto per affogare nel bicchiere.
Martin è cresciuto, suo malgrado, con queste parole nelle orecchie. Ci è cresciuto da quando era piccolo a quando si è trasferito all'università, mettendo una manciata di chilometri tra sé e suo padre. Ma le dure parole del suo papà, quell'affogare nel bicchiere, lo hanno seguito sempre, ovunque sia andato. Hanno praticamente segnato la sua vita, in ogni suo momento.
Bicchieri. Il bicchiere in cui si è persa mamma, i bicchieri in cui si perdeva papà, i bicchieri in cui si infilava Martin all'università, i bicchieri che lo inseguono da sempre, non gli lasciano scampo.

"È sempre il momento giusto, figliolo mio. È sempre il momento giusto per affogare nel bicchiere, sai? Ci si sente bene, qui dentro."

Martin ricorda ancora perfettamente la voce biascicata del padre, le parole che gli uscivano rotolando come sassi pesanti dalle labbra strette.

"Un giorno, quando sarai più grande, lo capirai."

Martin rivede il piccolo Martin, a terra, sul tappeto del salotto, che gioca con le macchinine e ascolta in silenzio il suo papà.

"Quando sarai più grande, figliolo, imparerai che la vita è un merda."

Martin vede il bicchiere di birra in mano al padre, sente la puzza di muffa che emanano le assi del soffitto, l'odore di tabacco misto ad alcool che impregna il divano e suo padre, un tutt'uno di squallore.

"Ci saranno momenti in cui ti sentirai forte. Da adolescente, da nuovo adulto. Sentirai che il mondo è nelle tue mani, che puoi decidere del tuo destino. Tutte balle."

Martin sente l'eco lontana delle eliche appese al soffitto, il ventilatore che sbatte pigramente l'aria piena dell'umidità estiva californiana.

"Poi scoprirai che il tuo prossimo vuole soltanto chiavarti il cervello. Scoprirai che nulla di ciò che ti hanno insegnato a scuola è reale, se non la legge di Darwin: resiste solo il più forte."

Martin alza gli occhi, vede le pupille scure del padre che lo fissano, annegate tra le sopracciglia folte e le occhiaie che dilagano come ecchimosi sul suo viso stanco.

"Dovrai imparare a essere il più forte, figliolo. Dovrai imparare a prendere a pugni gli altri per non farti mettere sotto."

La bocca del padre si muove a rilento, le labbra cercano invano di non ostacolare la lingua, ma sembra quasi che incespichino tra loro, insensibili, ubriache.

"Sai, io non avevo imparato abbastanza, quando ho conosciuto tua mamma."

La testa di Martin scatta verso gli occhi del padre, cerca un bagliore, un luccichio, un sentore di novità e di buone notizie. Ma non lo trova. Ci vede solo quello che ha sempre visto: paura e sconfitta. Mamma non tornerà.

"Mi ha fottuto il cervello, tua madre. Mi ha messo sotto, mi ha incastrato tra lei e il muro, mi ha travolto."

Martin torna a guardare la macchinina rossa che tiene tra le mani: la poggia sul tappeto, forza un po' per cercare di farla scivolare con le ruote, ma il tappeto fa di tutto per fermarla, rallentarla.

"E poi è andata via. E mi ha lasciato qui con te. Cristo, non so proprio cosa fare con te, io. Mai."

Martin spinge la macchinina contro il tappeto, e sa che lo sta facendo con un po' di rabbia. Di rabbia per la mamma, che è andata via e lo ha lasciato lì con il papà e la puzza di muffa.

"Tua madre non si meritava uno come me. E il bello è che io lo sapevo, quando l'ho conosciuta, che non sarebbe mai durata fino in fondo. Ma era stupenda, la tua mamma. E sorrideva sempre. E mi faceva impazzire, con la sua aria da fiorellino di campo."

Martin è tornato a guardare il suo papà. Gli occhi del bambino seguono le pupille grigie del genitore: sono stanche, gonfie, sfinite. Sembrano un mare in tempesta, tanto sono annacquate di lacrime. Martin vede che il suo papà è triste, così si alza e si avvicina. Gli abbraccia un polpaccio, appoggia il mento sul ginocchio, lo guarda.

"Era la sua aria da fiorellino di campo, la cosa che più amavo di lei. Quei suoi occhi azzurri, i capelli scuri, le guance rosse. Sembrava un fiorellino. Il mio piccolo, tenero fiorellino."

Martin accoglie la mano del padre, che cala tra i suoi capelli e li accarezza piano, con amore. Il suo papà è un uomo buono, Martin lo sa. È una persona buona. Non è il papà migliore del mondo, ma gli vuole bene, lo coccola spesso, lo manda a scuola, gli pulisce i vestiti quando si macchiano e gli compra le macchinine per giocare. Sei buono, papà. Io lo so.

"E la tua mamma mi ha fatto il regalo più grande del mondo, sai? Sai qual è, Martin? Lo sai?"

Martin scuote la testa. Il papà toglie la mano dai suoi capelli scuri, la sposta sulle guance. Gli sfiora la pelle con le dita rozze e dure, ancora impiastricciate di calcestruzzo, che odorano lievemente di birra.

"Mi ha regalato te. Sei la cosa più bella che io abbia mai avuto, bimbo. E sì, è vero che non ti so badare bene, ma è vero anche che ti amo tanto. Lo sai, questo?"

Martin fissa le lacrime che corrono sul mento del suo papà. Corrono veloci, biglie trasparenti contro la pelle resa scura dal sole, e scendono fino al collo. Il padre prende Martin per mano, se lo fa salire in grembo, lo stringe con forza contro il suo petto sudato, contro la maglia umida e pregna di fumo.

"Ti amo, Martin. Ti amo come se non ci fosse altro al mondo. Sono un pezzente, è vero, che lavora tutto il giorno in cantiere e il resto del tempo lo passa ad annegare nel bicchiere. Ma ti amo, ti amo più della mia vita. E cerco di darti il meglio, per quanto possibile, anche se mamma non c'è più e ti sono rimasto solo io, qui. Ti mando a scuola, ti porto a fare i compiti da Mary. Ti piace, Mary, vero?"

Martin sfrega la testa contro le spalle del papà, per dire che sì, Mary gli piace. Gli piace tanto, la dolce Mary, la ragazza con la pelle scura che lo aiuta con la scuola ed è sempre tanto gentile con lui.

"Mi puoi fare una promessa, Martin?"

Martin si tira indietro, guarda il papà negli occhi, annuisce.

"Studia. Diventa grande e forte. Fatti strada. Non fare come me. Diventa un uomo vero, Martin. Fallo per me. Prometti che lo farai."

Martin ha promesso, in quel torrido pomeriggio estivo. Martin ha promesso che avrebbe studiato, in quell'afosa calura californiana. Nella casa in mezzo al grano, tra le pareti ammuffite e piene di fumo, Martin ha promesso a suo padre che sarebbe diventato grande, e che sarebbe diventato diverso da lui.

Martin è grande, ormai. Ha quarantadue anni. Ora che ci pensa, circa la stessa età che aveva suo padre quando gli faceva quei discorsi, l'estate prima di andarsene anche lui.

Si è perso nel bicchiere, alla fine - continuava a ripetersi Martin, in orfanotrofio. Si è tuffato dentro il bicchiere e si è perso. Non tornerà. Come mamma. Si sono persi in grandi bicchieri. Speriamo solo che siano dei grandi bicchieri pieni di Coca-Cola. A me piace tanto, la Coca-Cola.

Ora Martin è grande. È adulto. Ha studiato, è cresciuto, è diventato forte, si è fatto strada. È diventato diverso da suo padre.
Ma ormai ha capito di averlo fatto nel modo sbagliato. Suo padre, quel pomeriggio, intendeva dire che avrebbe dovuto essere forte dentro, non fuori. Diverso in modo migliore, non peggiore.
Martin però lo ha capito solo ora, che ha sbagliato. Ha tentato per una vita intera di essere diverso dal padre, ma lo ha fatto nel modo errato. Ha cercato di non farsi calpestare, di essere duro, forte, rigoroso, tenace. Ha cercato di diventare l'opposto di ciò che era suo padre, l'opposto di un uomo distrutto.
Però suo padre era anche un uomo buono, profondamente buono. Martin invece è diventato un uomo di ghiaccio, uno sciacallo, un uomo profondamente cattivo.

Martin è diverso da suo padre, opposto. Ma nel modo sbagliato.

E ora sta guardando un bicchiere, pieno di una vischiosa sostanza trasparente di cui sente l'odore da mezzo metro di distanza. Martin si perde nei bicchieri, quasi ogni sera. In bicchieri piccoli o grandi, in lattine o bottiglie. Ma si perde sempre. E mese dopo mese fa sempre più fatica a tornare a casa. È un uomo profondamente cattivo, che ha appena perso il lavoro che si era guadagnato con i denti e la cattiveria, e ora non ha nemmeno amici, conoscenti, persone vicine. È cattivo, e si è fatto il vuoto attorno.

Finirà come papà e mamma, prima o poi, lo sa bene. Finirà a perdersi nel bicchiere più grande di tutti. Ci affogherà dentro, a quel bicchiere, senza più riuscire a uscirne. Finirà dentro la vodka, o la birra, o il whisky, o il burbon. Ci finirà dentro di testa, e non riuscirà più venir fuori. Ci si perderà dentro, come mamma e papà.

Martin vorrebbe solo che quel bicchiere non fosse pieno di alcool: sogna di perdersi in un grande bicchiere pieno di Coca-Cola. Gli piace tanto, la Coca-Cola.

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