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Simon

premetto che questo è un lavoro che ho fatto per la scuola e poi ho sistemato. La frase in grassetto è quella da cui dovevamo iniziare ( poi ci avevano detto che Simon era cambiato e dovevamo spiegare cos'era successo e come ne era uscito) Spero che il racconto vi piaccia.

p.s. per chi non lo sapesse il gioco "dire fare baciare lettera testamento" è un gioco in cui quello scelto ad occhi chiusi tocca le dita della mano di un compagno, scegliendone uno: le cinque dita della mano corrispondono a dire, fare, baciare, lettera, testamento. Una volta scelto il dito i compagni decidono la pena.

Tutto era iniziato a ottobre, un mese dopo l'inizio della scuola. La terza F era uscita in cortile per aspettare il suono della campanella e subito un gruppetto si era allontanato dagli altri, sfuggendo all'attento controllo della professoressa. Simone era tra questi. Per la prima volta dall'inizio delle scuole medie, i ragazzi avevano deciso spontaneamente di accoglierlo nella loro cerchia senza che li obbligassero i genitori. Simone non sapeva perché tutto d'un tratto avessero deciso di renderlo partecipe dei loro giochi, ma ne era felice, quindi non gli interessava.

Il gruppetto si avvicinó al muretto che delimitava il cortile e Carlo, il capo, prese la parola: - Per chi non sapesse cosa stiamo per fare,- e qui posó il suo sguardo su Simon, -giocheremo a "Dire, fare, baciare, lettera, testamento" - Spiegó velocemente le regole ed il gioco iniziò. Simon non era certo di aver compreso appieno le regole, ma non le richieste, credendo che avrebbe capito durante lo svolgimento. Arrivò il suo turno e Simone si preparó, col sorriso in faccia, a scegliere la sua "penitenza". La scelta gliela pose davanti Carlo, allungando la sua mano. Simone scelse in fretta, senza pensarci, ed era così euforico per poter finalmente partecipare al gioco, che non si accorse delle occhiate e dei sogghigni che si scambiarono i compagni. O forse le vide ma non le interpretò correttamente. Carlo si rigiró verso Simone e annuncio:- Baciare. Devi baciare- si guardó intorno e Simone immaginò che stesse pensando a chi fargli baciare, senza sapere che in realtà il compagno stava recitando. - Sara! Bacia Sara!- Simon si voltò verso di lei e le sorrise. Chiuse gli occhi, arricció le labbra e si sporse in avanti verso di lei. Simone non aveva mai baciato una ragazza e si immaginava come sarebbe stato. Di sicuro non credeva che sarebbe finita così. Uno schiaffo secco colpì Simon sulla faccia, facendogli aprire gli occhi. Vide il volto di Sara deformato dal disgusto e dallo schermo, prima di essere sbattuto contro il cancello sopra il muretto. Simon vide davanti a sé Carlo che, insid alla sua banda, lo guardava sghignazzando. Poi il capo gli sputò in faccia e gli chiese: - Ma davvero credevo che ti avremmo fatto baciare Sara? Ma chi ti credi di essere? Non sarai mai parte di questo gruppo, strambo! Devi solo morire!- Carlo gli tiró un calcio e subito tutti gli altri si unirono a lui, sbeffeggiando e colpendo il povero ragazzo. Simone voleva fare smettere tutto questo e costretto contro al cancello se dimenava, tentando di liberarsi, ma i due ragazzi più forti della classe, Mike e Davide, gli tenevano ferme le faccia, impedendogli di muoversi. Simone non sentì quando finirono,, ma ad un certo punto si ritrovò per terra a tossire nel cortile vuoto. Si affrettó a prendere lo zaino da terra e poi corse a casa, per quanto glielo permettesse il dolore che provava per tutto il corpo. Arrivato a casa si fiondò in camera, ignorando le domande apprensive della madre.

Rimase chiuso in camera per quasi un mese, uscendo solo per andare in bagno. Non mangiava più. Non parlava più. La madre tentava di smuoverlo, di capire cosa avesse, ma ogni volta che Simone tentava di aprirsi, gli tornavano in mente le mani di Mike e Davide sulle spalle che lo tenevano attaccato al muro e i pugni e i calci. Ma soprattutto ciò che aveva provato. Oltre ad un forte dolore fisico, lui si era sentito tradito. Aveva sperato che l'avrebbero accettato, che gli avrebbero permesso di essere uno di loro. Invece gli avevano fatto capire che non lo volevano li. Né nel loro gruppo, né nella loro vita. Quando era passato il tradimento, era arrivato l'odio. Verso se stesso per essersi anche solo illuso di essere considerato " normale". Aveva sempre avuto fiducia in se stesso, ma adesso non era più sicuro di niente e ora dopo ora, giorno dopo giorno, la frase di Carlo si faceva piano piano strada nella sua testa: -"Devi solo morire, devi solo morire"- andando a tornando. fino a quel giorno, in cui si fermò lì e non se ne andò più. Quel giorno, Simon uscì per la prima volta dall'episodio successo con i compagni.

Uscì dalla camera e salutó la madre che, nel sentirlo dopo tanto tempo, quasi non riconobbe la sua voce arrochita dal lungo periodo di mutismo. La donna si stupì di vederlo fuori, ma non lo diede a vedere, felice che suo figlio fosse finalmente riuscito a liberarsi dei suoi demoni, così si limitò a salutarlo con un- A dopo, Simo- al quale il ragazzo evitó accuratamente di rispondere.

Per tutto il tragitto, Simon pensó ad una sola cosa:" Hanno ragione". Quelle due parole si ripetevano continuamente, precedute da tutti gli insulti ricevuti quel giorno. "Strambo! Hanno ragione. Rifiuto! Hanno ragione. Sei inutile! Hanno ragione. Pure tuo padre ti ha abbandonato perché non sei normale! Hanno ragione." E poi la voce più forte: "Devi solo morire! HA RAGIONE!" Si avvicinó al bordo del ponte, le urla che gli rimbombavano in testa bloccando qualsiasi altro suono. Si issò sul bordo e guardó giù, senza realmente vedere l'acqua che sotto di lui scorreva velocemente creando dei vortici quando incontrava delle rocce sporgenti. Poi una voce si sovrappose alle altre. Parole gridate, ma non di disgusto, né di odio, bensì frasi preoccupate. Simon ci mise un attimo a capire che non erano nella sua testa, ma c'era davvero una ragazza che gridava.

-Simon, scendi da lì! -

Il ragazzo si giró, trovando una sua compagna a chiamarlo. La sua voce non esprimeva una grande emozione, ma i suoi occhi spalancati rivelavano quanto in realtà fosse spaventata. Simon la osservó ancora per qualche istante, poi fece come gli era stato chiesto e scese lentamente dal bordo del ponte.

-Cosa ci fai qui, Zoe?- la sua voce era monotona, senza traccia di emozione.

Lo sguardo della ragazza cambiò repentinamente e la sua voce si tese, lasciando trasparire una vena di rabbia:- Cosa ci faccio IO qui? Dovrei chiederlo a te! É più di un mese che non ti vedo a scuola, poi mentre passeggio per i fatti miei ti trovo su un ponte che cerchi di buttarti e ti fermo per un pelo! Sono io che pretendo delle spiegazioni, non tu!" La voce della ragazza si spezzó sull'ultima frase e calde lacrime iniziarono silenziose a rigarle le guance - Non sapevo dove fossi. Non mi hai detto nulla. Un giorno c'eri e quello dopo no. Sono venuta a cercarti a casa, ma non hai risposto. Tua mamma mi ha detto che non volevi uscire, né vedere nessuno. Perché mi hai fatto questo? Ero la tua migliore amica...- lo sguardo di Zoe era disperato e davanti a lei, davanti a colei che non l'aveva mai dimenticato, Simon finalmente trovó il coraggio di parlare di quel fatidico giorno di ottobre. Quando finí di raccontare, la ragazza si asciugò le lacrime e lo guardò decisa:- Devi raccontarlo a qualcuno. Ti aiuterò io-.

Ora Simone è tornato a sorridere, ha ripreso le lezioni di chitarra e ha ripescato i pantaloni arancio dall'armadio. Il gruppetto di ragazzi è stato sospeso per una settimana e molto probabilmente verranno bocciati. A Simone però non interessa: a lui importa solo avere vicino sua madre e la sua migliore amica, per il resto, lui è perfetto così com'é.

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