Tenebris
Mi chiamo Ismaele e frequento il terzo anno di superiori. Ismaele? direte voi... Si, mi prendono in giro ogni giorno. Io, però, sono completamente indifferente ai loro scherni e prediligo l'occulto alla compagnia. Passo gran parte del tempo in camera a studiare vecchi grimori di magia nera, anche se sono tutte stronzate (le chiamo stronzate perché ho provato a maledire delle persone ma non è successo niente, purtroppo sono ancora tutti vivi e vegeti). Scherzo, non farei mai del male a qualcuno, neanche se mi prendesse in giro ogni minuto della mia inutile vita.
Ho scoperto proprio oggi che serve il luogo giusto per mettersi in contatto con l'oscurità, con i fantasmi e varie presenze demoniache. Non so perché, ma provo una forte attrazione riguardo queste cose proibite, se così vogliamo chiamarle. A volte ho paura di finire in qualche dimensione anormale, o di addormentarmi e non svegliarmi più, ma fino a ora non ho trovato niente che possa farmi credere che sia pericoloso. E' un gioco, o almeno così credo e ho sempre creduto.
Mi vesto, prendo lo zaino e mi do una sistemata a casaccio per rendermi possibilmente presentabile; oggi esco in gruppo e tutti hanno accolto la mia richiesta senza ribattere. Per fortuna queste persone sono mie amiche... Non farei mai del male ai miei amici. Dobbiamo andare in una scuola abbandonata, che paura eh? Ma io di paura non ne ho, faccio dei sogni strani tutte le notti ed è meglio che non li descriva in questo racconto, potrebbero farvi accapponare la pelle o urtare la vostra sensibilità. Afferro in fretta il mio grimorio preferito (Spettri, dei, demoni e dove trovarli, scritto da un luminare dell'occulto e del paranormale). Oggi ho intenzione di trovare qualcosa che vada oltre la realtà, che non sia concreto come la nostra pelle e che non abbia un'esistenza normale e monotona come la mia. Sono sicuro che ci sia qualcosa oltre questa vita, ma devo scoprire se questo qualcosa è oscuro come credo o rappresenta più un paradiso classico, come quello descritto nella bibbia. Se i miei incubi non mentono, al di là del mondo c'è qualcosa che vorrebbe imprigionarci, una presenza che potrebbe prenderci e tenerci con sé per l'eternità. Con eternità intendo il significato vero e proprio della parola: per sempre. Io non voglio passare il resto della mia non-vita accanto a qualcuno che non conosco, che non percepisco e di cui non capisco le intenzioni. E se poi mi rende schiavo? Non ho intenzione di lavorare e sudare una volta morto, a questo ci pensa già la vita. Ma sono stufo di pormi domande senza risposte, di pensare a qualcosa che non posso concretizzare nei miei ragionamenti, devo trovare qualcuno o qualcosa che possa rispondermi con sincerità e che sia parte della dimensione della morte. Mi devono dire cosa accade, cosa provano, che cosa diavolo c'è e che si può fare dall'altra parte. Sono sicuro che se tutto è come piace a me li raggiungerei in men che non si dica! Non pensiate che io voglia morire, sia chiaro, ma se non esistesse sofferenza dall'altra parte? E se la vita rappresentasse solo un minuscolo passaggio in confronto all'eternità dell'aldilà? Che domande per un ragazzino della mia età; ma non temete, mi reputo strano pure io.
Siamo appena arrivati di fronte alla scuola, che su quattro piani si staglia verso il cielo con il tetto appuntito e decadente. La maggior parte delle finestre sono rotte, con le persiane scolorite, stessa cosa per le numerose porte che forano il complesso. Il colore bianco con cui era stata dipinta adesso è ingiallito e marcio, in alcuni punti si vedono le infiltrazioni d'acqua e pure l'edera si è appropriata dei suoi mattoni. Il cancello è arrugginito, enorme, chiuso con un catenaccio in fretta e furia. Si vede una vecchia chiesa sconsacrata, con il portone aperto, posizionata sul lato destro dell'edificio, mentre piane ulivate e trascurate circondano la struttura che si impone sopra un colle verdognolo. Rimango affascinato da quella visione.
«Ma non hai paura?» il mio amico nerd, con gli occhi scuri, la schiena ricurva e i capelli rossicci mischiati alle lentiggini, mi guarda tremante. «Che posto orribile».
Io ricambio lo sguardo e faccio un sorrisetto enigmatico: «Devi abituarti Fabri: una volta che saremo morti questi saranno i paesaggi di cui godremo per l'eternità».
Vedo la sua pelle accapponarsi mentre scuote il capo per liberarsi dalle mie parole meschine. Non capisco perché siano cosi restii e spaventati di fronte al trapasso, eppure tutti dovremo affrontarlo prima o poi, tanto vale abituarsi subito, no?
Mi incammino per primo e Fabri si dispone in fondo alla fila, mentre Marta, Luca e Mika rimangono dietro di me. Marta, la ragazza che condivide alcuni dei miei pensieri più profondi, è attratta dalla desolazione di quel luogo e per questo ha portato con se una macchina fotografica. A me piace da impazzire. La sua carnagione bianchissima in contrasto ai capelli neri come la notte la rendono ancor più bella per i miei occhi. Indossa sempre vestiti neri, si trucca di nero, si aggiusta i capelli in modo da sembrare ancor più ribelle di quello che è. E' fantastica.
Luca è un ragazzo spavaldo, ma non ha mai permesso agli altri, quando era con me, di portarmi in giro. Mi dice sempre che il mio nome è simpatico e mi rispecchia, mi lusinga quando mi sento brutto e mi porta con se in ogni avventura. Io faccio lo stesso con lui, abbiamo un rapporto grandioso, ma i suoi occhi verdi, i capelli castani, il fisico gradevole e il sorriso da cattivo ragazzo lo rendono molto ambito nel nostro gruppetto, perciò la mia gelosia verso Marta mina spesso i nostri rapporti.
E che dire di Mika... E' arrivata da poco in italia ma parla abbastanza bene. Il suo accento dell'est la rende simpatica, tuttavia non ho ancora capito se sia russa, ucraina o bielorussa, ma poco importa. E' alta, bionda, magra, molto magra, con un portamento sensuale e al tempo stesso elegante. La reputo una persona molto intelligente nonostante non capisca pienamente i miei concetti di morte e oltretomba.
Siamo appena arrivati di fronte al cancello e lo scavalchiamo aiutando le ragazze. Fabri è più impacciato di loro. Arriviamo di fronte alla chiesa dove qualcuno si fa il segno della croce, mentre io sorrido e saluto il Dio cristiano come fosse un vecchio amico, o semplicemente un'ottusa invenzione. Non temo tutti questi Dei inventati dagli stessi uomini, piuttosto ho paura di quello che vedo nei miei sogni, ma che spero di placare trovando un tramite fra la morte e la vita. Indico una stanza, al piano di sopra, che sembra soddisfare le mie aspettative: «Vi piace quella?» domando euforico. «Sarebbe perfetta per quello che dobbiamo fare».
«Io mi sento male, ho un po' di mal di pancia», Fabri mi guarda stranito e si piega in due simulando un dolore inesistente. «Forse è meglio tornare un altro giorno».
«Forza Fabri, forza!» Lo esorta Luca, dando un forte pugno sulla sua spalla. Il ragazzo rossiccio si ricompone, poi mette d'istinto una mano sulla parte colpita. «Vedi», continua Luca, «ora ti fa male la spalla non più lo stomaco: possiamo andare!»
Quando il mio amico si comporta così io non posso far altro che ammirarlo. Se fossi da solo avrei impiegato ore per convincere Fabri a entrare, invece a lui basta meno di un minuto. E cosi entriamo, tutti quanti, mentre Fabri dalle retrovie ci avverte continuamente che ha un brutto presentimento.
«Stai tranquillo", lo rassicuro paziente. «Non succede nulla te lo dico per esperienza. Ho provato più di una volta a mettermi in contatto con qualcosa e mai ho trovato riscontri. E' tutto un gioco, un'invenzione».
«Se è un gioco perché provare, allora?» ribatte lui, mantenendo un tono altezzoso.
«Magari stavolta troviamo davvero qualcosa che possa svelarci cosa ci aspetta dopo la morte». Voglio fargli paura, mi sta stancando con le sue lamentele.
«Oppure moriremo», aggiunge Luca gesticolando animatamente. «Potrebbe anche accoltellarci un barbone lì dentro».
Il timore di un concetto così concreto attanaglia le budella di Fabri, che stavolta prova vero dolore mentale. Mi chiedo come possa provare paura per queste cose futili, io, fossi in lui, temerei più la vita che la morte in sé. D'altronde, basta un affondo di coltello e tutta la sofferenza finisce. Proprio per questo voglio, devo, scoprire cosa cazzo ci aspetta! Subito!
Mi dirigo verso la stanza incriminata e apro la porta cigolante, che gratta sul pavimento simulando il gracchiare delle rane, poi si accascia contro il muro con un sibilìo fastidioso. Intanto attorno a noi regna un silenzio tombale. Delle gocce si infrangono sul pavimento, decorato con le classiche mattonelle che usavano le scuole di circa una quarantina d'anni fa. Sul soffitto noto le infiltrazioni d'acqua, il muschio, alghe verdi che pendono come uomini impiccati, spostandosi a destra e poi a sinistra, a destra e poi a sinistra, silenziose, viscide. Il fluido cola dalle loro estremità ed è quello che provoca il rumore sul pavimento; sembra sangue che sgorga da un corpo putrefatto. Chiudo immediatamente le persiane che riescono a impedire alla luce di entrare, mentre Luca pensa a serrare la porta, sogghignando nel vedere le reazioni spropositate di Fabri: «No, ragazzi dai!» strilla di rabbia. «Almeno la porta lasciatela aperta non ci si vede nulla!»
«Infatti non dobbiamo vedere nulla!» lo correggo. «Se non c'è oscurità non possiamo evocare gli spiriti».
«Ma quali spiriti! Ora basta, io me ne vado». Fabri si avvia verso la porta ma questa non si apre. «Che è, uno scherzo?»
Vengo improvvisamente avvolto dall'eccitazione e lo scanso per provare in prima persona: non si apre, non si apre davvero. Luca prova a tirarla con la sua forza incredibile; Mika cerca di pensare a un modo per uscire dalla finestra, ma è troppo alta; e Marta si mette a fotografarci mentre a turno proviamo ad aprirla. Lei sembra divertita, con il suo apparecchio immortala tutto quel che accade attorno a noi. Ha con se una polaroid, e io aspetto con ansia di vedere se in quell'oscurità abbia catturato qualcosa sulla pellicola. «Posso controllare?» le chiedo gentile, accostandomi dolcemente al suo corpo. «Sia mai che hai fotografato un fantasma!»
Lei mi guarda e sorride, toccandomi, sento il suo calore talmente vicino alla mia anima che provo eccitazione. «Prima tu, se trovi qualcosa voglio essere la seconda persona ad aver visto uno spirito», dice.
Annuisco e la guardo con una falsa superiorità, ergendomi come intenditore ed esperto di paranormale. In effetti, quando poso lo sguardo sulla foto quadrata noto che accanto alla porta sembra esserci un'ombra, un'ombra molto alta che osserva i nostri tentativi da un angolo buio della stanza.
«Non ne sono sicuro, guarda un po'...» Le indico l'anomalia mentre il gruppo ci raggiunge e ci mettiamo in cerchio, ognuno con il naso sopra l'immagine.
«E' un'ombra?» chiede Marta, cercando consensi negli sguardi degli altri.
«No, non credo», presume Luca. «Sembra solo una macchia nera, penso sia dovuta al muro che è pieno di muffa e incrostazioni».
Mika si sporge e vede tutto quanto grazie alla sua altezza: «No no, ha ragione Ismaele: questa è proprio un'ombra umana!»
Fabri sta cercando di aprire la porta, la tira con tutta la forza che ha in corpo, ma la maniglia si muove senza sbloccare la serratura. Sta cedendo al panico; spero vivamente che non ci dia problemi durante la nostra avventura che pianifico da giorni. Se dovesse rovinarla non lo chiamerei più, sono stufo di avere dei codardi appresso.
«Fabri, i gessetti». Gli ordino, facendo capire il mio disappunto sulla sua pavidità. «Li hai portati, vero?»
Lui si gira verso di me e ripete che siamo bloccati lì dentro, ma nessuno vuole ascoltare i suoi deliri poiché tutti crediamo che sia solo una coincidenza, volenterosi di provare qualche sensazione forte. Poi ci avrebbe pensato Luca, al momento giusto, a tirarla giù con un calcio. «Ce li ho i gessetti», mi ringhia contro. «Ma abbiatene cura perché sono quelli che non stridono quando si scrive alla lavagna, senza questi non potrei farmi interrogare a scuola. Odio quel rumore».
Glieli tolgo di mano, poi mi metto subito a disegnare cinque cerchi. Il gesso raschia il pavimento con uno stridulo ronzio. «Non hai detto che erano silenziosi?» gli domando con un sorriso.
«Lo erano!» tuona lui, guardandomi torvo.
Continuo a disegnare fino a farne un sesto al centro, più grande, dove ripongo con cura il mio grimorio. «Prendete posto», intimo agli altri, mentre l'atmosfera e i loro animi cominciano ad assorbire la paura come le pareti fanno con l'umidità. Sono l'unico che non prova terrore, ne sono certo, ma se gli altri lo provano potrebbero attirare i predatori più oscuri, quindi ciò che voglio trovare. Apro il libro in una pagina particolare, dove riposano frasi in latino che parlano di questi uomini d'ombra. Quando leggo ad alta voce la prima parte tutti puntano la porta, preoccupati, e Marta comincia a sbirciare fra le fotografie mentre si rannicchia all'interno del suo cerchio. «Guarda», mi esorta ad avvicinarmi, poiché non ho preso ancora posto mi appoggio a lei con dolcezza. «Questo sei tu e l'ombra sembra toccarti le spalle».
Io sorrido, di gusto, poi osservo gli altri guardarmi inorriditi: «Dai, ragazzi, non crederete mica a queste stronzate?» Non ricevo risposta da nessuno e noto che la mano di Marta trema mentre tiene la foto a mezz'aria. «Va bene, va bene, iniziamo subito che è meglio».
«No», stavolta Luca si alza e mi guarda storto. «Non iniziamo Ismaele. La cosa si sta facendo pericolosa. Pensavo venissimo qui per divertirci ma quelle foto mi fanno paura, devo aprire la porta e poi torniamo a casa. E' chiaro?»
Io non rispondo, tanto se lo facessi mi griderebbe contro e mi obbligherebbe ad ascoltarlo. Sa sempre cosa fare e non permette agli altri di scavalcarlo. Molto bene, penso, che vada così. Tornerò da solo stanotte se ce n'è bisogno e di certo non mi faccio spaventare da queste stupide idiozie. Aspetto che apra la porta, ma quando afferra la maniglia per strattonarla o sfondarla, vedo che questa si apre come spinta da un alito di vento. Le mani di Luca rimangono immobili assieme al suo corpo, mentre l'uscio, che cigola più di prima, si apre lentamente e gradualmente introducendoci nel corridoio oscuro, più buio del solito.
«Cosa succede?» Domando, felice di vedere che qualcosa stia accadendo. «Non era giorno quando siamo entrati?»
«Ismaele è uno scherzo dei tuoi?» Luca mi punta con rabbia e stringe i pugni. «Non farmi incazzare».
«No, io non c'entro», i miei nervi si tendono come corde di violino e all'interno dei miei pensieri si fa spazio qualcosa di concreto. «Aspetta, fammi leggere». Prendo il libro e controllo quello che recita:
«Fammi capire», mi spinge Luca con irruenza. «Tu ci hai portato qui per evocare questa roba? Ma sei fuori di testa?»
Io gliel'avevo accennato e mi meraviglio di quanto stia facendo lo spavaldo: «Ti avevo già avvertito, vi avevo avvertito tutti che volevo parlare con i morti». Gli rispondo a tono tenendo ben stretto il libro fra le mani. «Io vi ho portato qui per questo e non ho mentito a nessuno».
«Ma io credevo fosse uno scherzo! Sta succedendo qualcosa veramente Ismaele, cazzo!» lui mi agguanta e mi scuote le spalle, puntando il mio libro con gli occhi grondanti di rabbia.
Marta scatta un'altra foto, stavolta riprendendo il corridoio che sembra diverso rispetto a quello in cui siamo passati mezz'ora fa. La scuote, ancora tremante, e mostra a tutti ciò che ha appena immortalato:
«Merda!» esclamo, stavolta impaurito perché c'era un'ombra con un cappello. Ho finora pensato che fosse tutto uno scherzo e che i miei incubi fossero stupide soggezioni dovute a quel grimorio, ma scopro amaramente che ciò che vedo nei sogni è reale. «L'ho visto, l'ho già visto», borbotto inorridito, lasciando uscire le mie parole come un sospiro. «E' lui, è Tenebris!»
Quando pronuncio quella maledetta parola la porta si chiude improvvisamente, con un tonfo secco che rimbomba in tutto l'edificio. Mika guarda all'esterno per gettarsi dal secondo piano, ma è buio. Non c'è niente di ciò che conosciamo. Lei mi guarda e mi scuote, Luca grida tirando pugni alle pareti, Marta continua a fare foto sventolandole per aria, provocando quel fastidioso rumore di plastica in attrito all'atmosfera. E Fabri? Dov'è Fabri? Era uscito prima che la porta si chiudesse, ora solo Tenebris sa in quale dimensione sta puzzando di paura. Lo avrebbe trovato, ma quando provo ad aprire la porta questa è di nuovo bloccata. «Che facciamo?» chiedo spaesato. Luca prova a tirarla giù con dei calci potentissimi, che anch'essi rimbombano per tutto l'edificio, tuttavia l'unica soluzione plausibile per uscire dalla stanza è calarsi dalla finestra, che stranamente non sembra poi così alta, ma pare piuttosto che si adagi su un tappeto oscuro o su un pavimento lucente di puro buio.
«Cosa c'è scritto in quel libro?» Si impone Luca. «Guarda se c'è qualcosa che reciti come tirarci fuori da questo incubo!» Si mette le mani nei capelli prendendosi a schiaffi, così forte che si arrossa le guance. Comunque, io so che siamo svegli e stiamo vivendo realmente ciò che ci sta capitando. Lui ha voluto conferma e l'ha appena trovata. Sfoglio il libro in fretta saltando la parte del rituale, fino ad arrivare al punto in cui si spiega come poter concludere il rito, per poi rispedire il Dio all'interno della sua dimensione di sentimenti rubati:
«Bene, non perdiamo tempo», dice Luca scavalcando il davanzale. «Andiamo a cercare quell'imbecille e riportiamolo a casa».
Stavolta non ribatto, ha ragione e forse ho esagerato nel provare a evocarlo. Ma io cosa ne sapevo? Per me fino a un momento fa erano tutte storie inventate. Usciamo dalla finestra con cautela mentre il buio ci circonda come un oceano. Dalla stanza in cui eravamo esce una fioca luce, ma in lontananza, come prigioni, ne vediamo altre che brillano meno della nostra. Ci avviciniamo a una dove sembra esserci del movimento e Marta continua a fotografare. Una volta raggiunta, mi accorgo che è troppo buio per vedere all'interno, perciò esorto la mia cotta a immortalare tutto quanto così che il flash possa illuminarla:
Quello è Fabri, quell'imbecille di Fabri che se ne sta rannicchiato in un angolo in posizione fetale. Che orrore vederlo, mi vengono i brividi; per la prima volta in vita mia ho paura. Che gli ha fatto quel mostro di Tenebris? Quando lo penso, improvvisamente la porta che Fabri ha davanti si chiude sbattendo. Il colpo lo fa tentennare, tuttavia si accorge di noi. I suoi occhi sono sbarrati, le sue mani tremano, mentre sui calzoni c'è una macchia che sembra proprio essere urina.
«Vieni», Luca lo afferra sporgendo le mani all'interno della finestra. Lo carica in spalla e lo porta fuori, dove il pavimento di buio attutisce la sua morbida caduta. «Cos'è successo Fabri?» gli chiede serio, con gli occhi che cercano di nuotare in quelli del mio amico nerd.
«Era nero... Con un capello...» Fabri borbotta, non si capisce granché. «Mi ha preso con quelle mani orribili e quegli occhi rossi fiammanti. Mi ha rinchiuso lì dentro. Vuole catturarci tutti quanti».
Immediato do un colpo a Luca sulla spalla e gli faccio cenno di portarlo all'interno della nostra finestra. Ma quando passiamo di fronte ad altri davanzali, sentiamo delle grida per poi vedere che ci sono persone intrappolate all'interno. Devono essere le anime che Tenebris ha portato con sé. E quando lo penso, anche stavolta, la finestra in cui ci stiamo sporgendo si chiude e la mano di una donna si spalma sul vetro, calando lentamente verso il basso. Il rumore che la sua pelle ematica fa sulla lastra è un sibilìo inquietante. Poi di nuovo il silenzio.
«Non pensate a lui e non dite il suo nome, ne nella mente ne di fronte agli altri», ammonisco tutti e mi raccomando con lo sguardo di ascoltarmi. «Non possiamo salvare queste persone ma ora possiamo salvare noi stessi, abbiamo ancora tempo!»
Marta mi guarda e non mi riconosce: «Vuoi lasciare tutta questa gente in questo posto? Sei un animale!» Mi odia, ne sono sicuro.
Ma Luca si frappone fra me e lei: «Ha ragione Ismaele, non possiamo perdere tempo o ci prenderà tutti. Meglio noi che loro!» Mika è d'accordo e annuisce compulsivamente mangiandosi le unghie, mentre attorno a lei è così buio che non smette di guardarsi dietro le spalle.
Torniamo finalmente nella nostra stanza, poi disegno i cerchi velocemente ma con precisione. Dopo aver riposto il grimorio al centro, inizio ad esortare tutti a prendere posto. Nel frattempo Marta fotografa la porta, che ormai non vediamo più perché troppo buio; improvvisamente comincia a tremare. Sentiamo l'uscio aprirsi cigolando lentamente, mentre il suono della polaroid echeggia sulle pareti.
Le goccioline che sentiamo cadere da quando siamo entrati, adesso diventano un incessante rumore, come se l'infiltrazione stesse aprendosi un varco nella parete.
Poi, in mezzo a noi vediamo una candela che si accende. Intanto ci sentiamo bagnati.
Ecco che dalla porta il debole flash illumina una figura, una figura abbastanza familiare a parer mio. Attorno a noi però c'è silenzio, non si sentono le voci degli altri se non lo scattare della macchina e il girare del rullino subito dopo.
Infine il buio scompare improvvisamente e tutti si guardano negli occhi stupiti. Marta, con le mani tremanti, lascia cadere la polaroid a terra, che tonfa nelll'acqua caduta dal soffitto. Luca si guarda attorno, arrancando per arrivare alla porta e assicurarsi che tutto sia in regola. Fabri sospira, impaurito, traumatizzato, mai più avrebbe fatto cose del genere. Mika, che della sua intelligenza ne ha fatto un vanto, si mangia le unghie con foga come se stesse vivendo in un'altra dimensione.
E io? E io dove sono? Sono mai stato lì assieme a loro? Credo di sì, fino a poco fa. Ma lascio intendere a voi perché io stia pensando tutto questo. Voglio mostrarvi l'ultima foto che ha scattato Marta e che penso abbia ritratto proprio me:
E' stato bello provare tutte quelle emozioni, quelle sensazioni, e sentirmi di nuovo vivo dopo un'eternità passata a girovagare nel buio. Ora capisco perché mi sentivo strano e attirato dall'occulto, e comprendo cosa il grimorio voleva intendere con: "I rari fortunati che lo portano dentro". Ora è tutto chiaro. E come sono nato muoio tornando a lui, stavolta per sempre. Spero che la mia piccola stanza sia almeno meno buia delle altre.
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