Somnium - Parte Seconda
Dopo quell'esperienza non dormii per due giorni, impaurito, ma cercai di capire cosa stesse succedendo informandomi qua e là. Su internet non trovai gran che nella mia lingua, ma scoprii un sito italiano dove si parlava di Somnium, un'antica divinità romana adorata in segreto di cui la storia non lasciò traccia se non negli archivi di un comunello toscano. Si leggeva che i romani lo conobbero e lo chiamarono in tal modo dopo essersi impossessati di manufatti rubati in battaglia, o almeno così la leggenda chiariva la situazione. Difficile crederci, ma il Dio in questione dovrebbe risalire a qualcosa di più antico, che già dai primi culti umani venne adorato con massima devozione. Issarono alcuni templi, ma erano così vecchi da non essere sopravvissuti al medioevo; quest'ultimo periodo storico però ne portava con se qualche aneddoto. Comunque era una presenza che non si vedeva in casa dietro al comò, o in un angolo buio della cantina in procinto di spaventare qualcuno per tutta la vita e la morte, no. Somnuim, anche se non dovrei pronunciarlo così vagamente, si vedeva solo nei sogni. Io collegai i miei incubi a quella "cosa" inizialmente, ma non volli crederci per giorni, mentre avevo completamente abbandonato la mia routine. Dovevo cercare e trovare qualcosa di concreto. Poteva mai esistere una divinità simile? Poteva realmente incarnare un vero Dio nel mondo degli uomini? E se mai fosse, mi avrebbe fatto del male? Questo pensiero mi tormentava a morte e non seppi cosa potesse aver causato la rabbia di quella cosa, se di rabbia si parlava, perché non aveva detto una parola ed era solo luce informe. Che Dio era? Sembrava piuttosto un demone. Io di demoni non ne avevo mai visti ma non volli rischiare oltre, e mi rivolsi a uno psicoterapeuta. Ovviamente lui scartò la mia teoria e mi sottopose a terapie poco funzionali, fino a consigliarmi uno psicologo, che a parer suo avrebbe potuto aiutarmi più concretamente; nemmeno lui riuscii a sbloccarmi. Pensai proprio che avevo a che fare con qualcosa di orribile e vero, così vero da poterlo sentire. La mia escoriazione era guarita finalmente e provai a riaddormentarmi di nuovo, terrorizzato dal pensiero di chiudere gli occhi. Quando mi svegliai nel suo mondo vidi una foresta dagli alberi altissimi di un colore biancastro, mentre il sottobosco era rosso come il fuoco e quel colore lo si vedeva anche nel cielo, che tetro sfumava di viola. C'erano delle nuvole di un colore strano, forse arancione, ma brillavano di tonalità perlacee. Di astri non se ne vedevano e ovviamente non sentivo niente che silenzio, neanche i rami che calpestavo facevano rumore perché soffici come lana. Improvvisamente sentii un fruscio. Qualcosa di molle si stava muovendo scuotendo gli alberi, stavolta velocemente. Dal panorama che mi circondava vidi un bagliore dorato che si avvicinava come un enorme pepita d'oro che rotolava giù dal monte. Era impossibile scappargli perché ricopriva una superficie così vasta, che neanche sapevo qual era il capo o la coda. Montare su un albero? Pensai d'istinto, ma erano troppo alti e il bagliore mi avrebbe raggiunto; allora correre nella direzione opposta scappando da lui? Corsi. Così veloce che mi distanziai parecchio dalla sua posizione e avevo la fortuna di non poter sentire la stanchezza essendo in un sogno. Ci mancava solo quella! Dopo tutto quello che stavo passando non mi meritavo di sentirmi stanco, diamine! Non so per quanto scappai esattamente ma credo fosse un'ora, o due, se almeno di ore si trattava, poiché nel mondo onirico il tempo non esiste. Non sapevo cosa fare e dove andare perciò cercai un posto profondo dove gettarmi per non essere preso. L'ambiente non era molto carsico, ma c'erano delle insenature all'interno degli alberi e decisi di stiparmi in una abbastanza grande per contenermi. Quegli attimi in cui aspettai furono interminabili e sentii solo il suo strisciare che si avvicinava, ora così lentamente da aumentare la tensione che già straboccava dai miei nervi. Quando mi passò accanto la luce si fece insopportabile, ma il mio tronco era talmente spesso che non filtrava, o almeno filtrando non toccava la mia pelle. Aspettai un po', vedendo il bagliore bruciante strisciare, illuminando tutta la zona attorno a me. Quei posti erano bellissimi, eppure erano abitati da una presenza così orrenda e malvagia. Non so quanto impiegò ad allontanarsi, ma rischiai di svegliarmi almeno dieci volte poiché il sogno stava diventando lungo. Passò e mi superò, e sentii un profondo disagio interiore che mi veniva dal cuore. Decisi di uscire. Quando mi affacciai notai che tutti gli alberi erano diventati neri e il cielo dopo il suo passaggio era orribilmente scuro, come se avesse cancellato ogni traccia di quel posto. E se lui stesse cancellando i miei sogni? Dentro quel mondo cominciai a pensare e a ricordare che quei posti li avevo già visti. Quei posti erano i miei sogni più belli, dove condividevo storie incredibili con gli amici e amori passionali con ragazze meravigliose. Proprio in quel luogo ricordai di aver affrontato un'avventura assieme a un uomo, un uomo svizzero di nome Heinz. Avevamo una capanna lì vicino nella foresta e lui mi stava sicuramente aspettando all'interno. La trovai, non so come ma la trovai, ed era anch'essa devastata dalla furia di Somnium, completamente annerita dal suo fuoco. La porta era socchiusa e appena mi avvicinai udii dei gemiti. Non sarei dovuto entrare... Infatti vidi Heinz steso a terra, martoriato dalle fiamme invisibili di quell'essere orribile. Oddio quanto era carbonizzato; gli vedevo i denti bianchi far capolino da quella che era la bocca. Gli occhi non esistevano più, erano sciolti, cotti come uova, mentre il suo respiro debole gonfiava il petto al quale si erano attaccati i vestiti. E se quel mostro mi avesse fatto una cosa del genere? Sarei morto! Cercai di aiutarlo in qualche modo ma nemmeno riusciva a parlare, probabilmente le corde vocali si erano attaccate alla laringe o a qualsiasi suo organo vicino. Era nero come la pece. Che visione tremenda. Mi buttai fuori dalla porta per vomitare e mi svegliai ricoperto di vomito su tutto il corpo. Stavo perdendo il controllo di me stesso.
Contattai "First" e i miei compagni italiani spiegando loro cosa stava accadendo e solo uno ne seppe qualcosa, era Fabrizio, uno storico locale appassionato di archeologia, disciplina che non poteva studiare ma che esercitava illegalmente. Mi disse che aveva sentito qualche cosa riguardo Somnium, ma erano leggende e cose ormai perdute anche se, com'è ovvio, per liberarsene bisognava restituire ciò che gli apparteneva. Distruggerlo avrebbe causato la simbiosi fra me e il Dio stesso, quindi sarei morto. Da quel momento in poi mi accaddero cose strane nei sogni, cose che mi facevano diventare sonnambulo ma che riuscii a controllare. Era ormai chiaro che mi trovai più di una volta con un martello in mano con sotto di me la moneta lucchese. Avevo tanto sperato che non fosse quella ma era ormai inevitabile, da quando la portai a casa iniziarono i sogni. Quello stesso giorno prenotai un biglietto per l'Italia e portai la moneta con me. Se l'avessero trovata sarei finito in galera probabilmente, anche se nel mio paese era legale avrebbero indagato per scoprire se ne fossi l'effettivo proprietario. Per fortuna il controllo passò senza troppi problemi, poiché la gettai nel portafoglio assieme agli spiccioli comuni. Forse la signora imbronciata che gestiva il computer era annoiata a tal punto da farsela scappare. Comunque arrivai in Italia e Fabrizio mi accompagnò a restituire quella reliquia, dalla quale separarmi sarebbe stato come morire. Il pezzo più importante, raro e ben conservato della mia collezione; un sogno avverato, bramato da quando ero un infante; il simbolo della mia passione finalmente saziata. Sarebbe andata persa, del tutto; e io mai l'avrei avuta indietro perché nessun altro esemplare sarebbe esistito, ne sono sicuro. Ero a pezzi, sia per essere diventato insonne sia per aver perso la mia moneta, la mia bambina. Che peccato... Pensavo solo a quello. Tornare nel punto esatto in cui la trovai fu un'impresa giacché la strada era franata circa una settimana fa, lasciando detriti e tronchi caduti. Il complesso fortificato era completamente sotterrato, di nuovo, e mi fu subito chiaro che non avrei sconfitto il mostro se non prima di dormire almeno per due o tre notti, tempo necessario per dissotterrare l'edificio. Ci raggiunsero anche "First" e il resto del gruppo, volenterosi di aiutare un amico in difficoltà e completamente succubi della mia storia, tanto da chiedermela più di una volta la prima notte di fronte al fuoco. Raccontarle fu terribile e loro, per la prima volta forse, ebbero paura. Mi videro sfiancato, ematico e dall'aspetto malato. Ero pure dimagrito. Si accorsero che qualcosa mi stava mangiando dentro ed erano sicuri che fosse proprio Somnium, fedele alle leggende che raccontavano in frammenti di pergamena.
Il giorno dopo iniziammo immediatamente gli scavi e nessuno parlò. Non scoprii il perché fino a tarda sera, quando Fabrizio si decise a raccontarmi che ognuno di loro aveva un sogno infranto dall'orrore, cosi lo chiamavano loro. Esposito, che aveva perso una figlia anni fa, se la vide bruciare davanti agli occhi, in lontananza, ma decise comunque di scappare sapendo che non l'avrebbe più rivista dopo aver chiuso gli occhi per dormire. Leggevo nel suo sguardo quanto volesse morire dopo quell'esperienza; era un uomo solo, solitario e lunatico, gli unici bei momenti che coltivava erano quelli con sua figlia e non vedeva l'ora di addormentarsi per vederla ancora e ancora, ormai sfumata nei suoi ricordi da sveglio. Era distrutto. Gli altri non vollero raccontarmi cosa avevano sognato ma capii che tutti avevano subito un trauma e potevano immedesimarsi nella mia continua sofferenza durata tre anni. Scavammo come ruspe, velocemente e precisamente, issando delle travi che avrebbero sorretto le pareti dello scavo. Nessuno si aspettava che fosse così in profondità e la seconda notte arrivò. Avevamo provviste e acqua, ma ci guardammo negli occhi tutta la notte senza voler dormire.
La mattina eravamo stanchi; scavammo ma non raggiungemmo niente di concreto e dalla terza notte qualcuno cominciò ad addormentarsi: "Dobbiamo dormire e recuperare le energie, non possiamo scavare in queste condizioni è pericoloso. Lasciamo perdere le suggestioni riguardo questo Dio tanto decantato. Purtroppo la realtà è una sola".
Nessuno rispose a Claudio, tanto sapevano che da un momento all'altro avrebbe gridato, e così accadde. Si svegliò improvvisamente con le gambe ustionate, si vedeva la pelle rossa che pulsava, ma non scarificata a tal punto da creare un disagio mortale. Lui, di fatti, pensò immediatamente alla lontananza dall'ospedale. Chi lo avrebbe curato? Nessuno aveva portato qualcosa oltre al kit di primo soccorso e se avessimo chiamato i soccorsi montani avrebbero capito cosa stavamo facendo, perciò qualcosa di molto, molto illegale. Tutti stavano fremendo dall'indecisione ma lo stesso Claudio decise di non chiamare nessuno: lo avremmo curato con quel che avevamo e il risultato fu impressionate: sopravvisse. Lo bendavamo come potevamo e ogni ora cospargevamo le sue ustioni con dell'aloe vera, che cresceva poco distante in una radura privata di qualche enorme villa. Entrammo proprio dal cancello scavalcandolo e lasciammo che le telecamere riprendessero solo dei volti coperti.
Il terzo giorno scavammo più lentamente, mentre Claudio cercava di non chiudere gli occhi poiché il sonno andava oltre il tremendo dolore. E la notte stessa ci ritrovammo di fronte al fuoco, inorriditi, mentre io ero abituato a non dormire e loro no. Prima si accasciò Fabrizio, poi "First", Esposito, Claudio e Marcone, così detto. Stavano dormendo tutti e io no, ma non provai a svegliarli visto che i nervi erano a fior di pelle per gran parte della giornata causando tremendi litigi fra di noi. Quella maledetta moneta era ancora in mio possesso e quella notte, quando le mie palpebre cominciarono a cedere, riuscì a percepire qualcuno che si avvicinava con un enorme masso fra le mani.
"Chi sei?" Gridai improvviso, e vidi Marcone che stava per avventare la roccia sulla reliquia.
"Devo distruggerla", sospirò, "ha cancellato ogni mia possibilità di rivedere mia madre e mio padre. Li ho visti bruciare di fronte a me, ho visto la loro pelle scarificata dal fuoco!". Fortunatamente gli altri si svegliarono e riuscirono a togliergli il sasso dalle mani, ma sembrava impazzito e si allontanò nel bosco. Nessuno era abbastanza energico da poterlo inseguire, perciò lo lasciammo andare a malincuore.
"Se morirà? Non è in sé..." Ringhiò Esposito guardandolo da lontano.
"Allora raggiungiamolo!" Io ero convinto di poterlo salvare e volevo assolutamente salvarlo. Mi ci ero affezionato, era un amico.
Ci lanciammo in una corsa affannosa, estenuante, nella quale rischiammo di svenire almeno due volte. Alla fine lo vedemmo. Si girò verso di noi con il volto solcato dalle lacrime e si gettò in un burrone socchiudendo gli occhi, a braccia aperte, di fronte a noi, e quello non era un sogno cazzo! Mi morì davanti agli occhi e quando fece per cadere d'istinto scattai, mi si mossero i nervi, ma era troppo tardi. Era caduto in un dirupo scosceso e il tonfo flaccido che fece il suo corpo scricchiolò abbastanza per farci capire che non c'era più niente da fare. Io piansi. Il mio amico si rannicchiò in posizione fetale, incapace di reagire. Gli altri ci raggiunsero dopo poco e capirono che qualcosa era andato storto, mentre Claudio, ancora dormiente e con le gambe fasciate, era da solo. Tornammo subito da lui ed era sudato fradicio, in piedi, che si scaldava le mani al fuoco. Ci guardò sorridendo facendoci capire che era fuggito di nuovo da quella presenza, ma eravamo tutti d'accordo che non era possibile indugiare oltre: scavammo. Era notte, una notte fredda e ventosa, ma riuscimmo a tirar fuori le fondamenta con le ultime forze che ci erano rimaste. Riposi la moneta all'interno della fessura, più o meno precisamente, poi la coprii maledendola e maledendo me stesso per averla presa. Le feci un piccolo funerale mentalmente, mentre gli altri stavano discutendo se chiamare qualcuno per Marcone o se fuggire facendo finta di niente. Sicuramente avrebbero avviato delle indagini una volta trovato il corpo, e la notizia ai parenti doveva giungere da uno di noi poiché sapevano che era uscito con il nostro gruppo. Dopo averla sotterrata pensieri orribili mi arrivarono in mente, catalizzai il fatto che uno dei miei amici italiani era realmente morto. Ormai ero sicuro che ci avrebbero anche arrestati. Comunque, una volta completato quel rituale, ci accasciammo a terra ormai illuminati dall'alba e tutti quanti ci addormentammo.
Dopo tre anni di sofferenza sognai cose bellissime: paesaggi ancestrali, burroni ricolmi di gelato, monete d'oro che cadevano dal cielo. Ma dentro di me c'era sempre un leggero brusio, qualcosa che non mi permetteva di sognare felicemente. Cos'era? O chi era? Ero in un campo arato in mezzo alle campagne senesi, dove gli uccelli cantavano e la mia fantastica moglie stava correndo incontro a me. In quel momento sentii il brusio più vicino, proprio dietro di me. Mi girai: era Marcone e mi disse chiaramente che non mi avrebbe mai più abbandonato. Stava brillando di una luce dorata che toccandomi mi bruciò la pelle. Mi svegliai di soprassalto, gridando, ma scoprii amaramente che eravamo circondati da almeno dieci agenti della Forestale che mi intimarono di sdraiarmi a terra e mettere le mani dietro la schiena. A quel punto capii che le leggende su Somnium erano sbagliate. Fu tutto inutile; e mi resi conto che se realmente avevo a che fare con un Dio, di certo non lo avrei placato con il solo restituire la reliquia che avevo sottratto. Lui mi avrebbe perseguitato comunque e io sarei andato in galera, completamente solo. Quale migliore occasione per distruggermi definitivamente? Stavolta aveva vinto lui.
Ora, dopo aver scritto le mie ultime parole ed essere fuggito per anni dalla sua luce, mi addormenterò per l'ultima volta. Perciò: addio!
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