Somnium - Parte Prima
Collezionare nobilita l'anima. E io colleziono da quando avevo sei anni.
Se dovessi descrivervi tutte le monete in mio possesso dovrei stilare un altro libro per intero e non sarebbe una buona idea. Piuttosto, voglio raccontarvi di quello che mi è accaduto nel fiore degli anni, quando per me collezionare significava dare un ricordo a ogni reliquia che mi capitava fra le mani.
Quella volta andai in Italia nella bellissima Toscana, la regione più bella a parer mio, che allo stesso tempo nasconde molti misteri. Ovvio che interessandomi al folclore italiano avrei potuto dire la stessa cosa per ogni regione, poiché ognuna è fantastica a modo suo, ma quel che trovai in Toscana mi rende sicuro che sia una delle più misteriose. Sì, ne sono più che sicuro.
Volli dare il significato di una memorabile avventura alla moneta che avrei cercato, una delle più rare emesse dalla zecca di Lucca, e quelli di mia conoscenza sapevano dove trovarne una anche se i metodi sarebbero stati illegali. In Italia, purtroppo, non ci si può appropriare di beni archeologici poiché appartengono allo Stato, ma in tanti se ne infischiano e io avevo intenzione di fare lo stesso.
Mi ritrovai in un casolare in Versilia, situato nei colli che sfilano sulla costa splendente di centinaia di colori. Dalla finestra del rustico potevo vedere un panorama fantastico che rendeva giustizia al valore di quello che volevo trovare. Sul tavolo c'era una mappa, affiancata da antichi documenti in lingua originale risalenti al 1200 d.c. Su di essi vi era indicata la posizione di un deposito appartenuto alla zecca medievale lucchese, nel quale si raccoglievano pagamenti per dogana e pedaggio, che presidiava un ponte molto importante all'epoca. Gli archeologi ne indicarono la posizione ma nessuno ebbe mai il coraggio, o le disponibilità economiche, per intraprendere una campagna di scavo nel luogo, nonché isolato e roccioso. Mi fecero controllare le mappe e mi accorsi che sul picco di un monte sorgeva un antico castello a controllo della strada. Il deposito doveva trovarsi nei paraggi del ponte, posizione pratica per riscuotere pagamenti e lasciare permessi di passo.
Comunque ci dirigemmo lì, equipaggiati a dovere e completamente menefreghisti riguardo la legge italiana, che dai miei compagni veniva paragonata a un enorme buffonata. Si chiedevano perché non ci fosse una regolamentazione sul ritrovamento di beni archeologici, senza dover ricorrere a burocrazia e perquisizioni domiciliari, a volte anche di notte. Mi raccontarono infatti che un loro amico fu denunciato e multato per aver conservato delle monete lisce, così le chiamarono. Essendo italiani sapevano sicuramente più di me dar un giudizio alle proprie istituzioni, ma io feci come esempio l'Inghilterra e la sua legislazione riguardo i ritrovamenti con il metal detector. Gli dissi chiaramente che nel mio paese era legale, regolarizzato e pure fruttuoso, poiché portava guadagno.
Salimmo sulla parete della montagna, guidati da quello che conosceva il territorio. Si chiamava Primo, soprannominato da me "First", la traduzione del suo nome nella mia lingua. Ci portò fino alla posizione indicata dalla mappa e ci accorgemmo di fatti che roccia e terra erano franati su un vecchio edificio, del quale si intravedevano parti di muratura. Nessuno aveva mai scavato lì, a meno che non fosse passato un predatore nel lontano 1700 d.c. Ci armammo di tende, pale e picconi, per poi liberare quella perla storica dalla terra che ne copriva la memoria. Quando la costruzione venne scoperta, di un marroncino chiaro a causa della terra incrostata, si mostrò a noi un edificio quadrato che sicuramente doveva aver avuto più di un piano; al momento però ne era rimasto solo uno. "First" e gli altri accesero i metal detector e cercarono in ogni pezzo di terra mappando tutta la zona; io diedi una mano e devo dire che trovammo un ripostiglio medievale intatto. Uscirono fibule, fibbie, posate, ciotole di bronzo, cocciame vario e decine di monete. Fra queste, di fatti, c'era proprio quella che volevo io e che mi avevano promesso in cambio di ricettare parte del tesoro in Inghilterra. Quella era una moneta unica. Ne esistevano solo tre esemplari al mondo e quello era il quarto, sicuri di trovarla in quel luogo poiché storicamente documentato che avvenne un pagamento tramite un numero considerevole di quelle monete. Il suo colore affascinante splendeva di un giallo dorato, che si avvicinava al colore del Sole quando illuminato. I rilievi che presentava erano marcati perfettamente, come se fosse appena uscita dalla zecca e perciò fior di conio. Devo ammettere che l'oro si conserva ottimamente rispetto agli altri metalli, ma quella reliquia era grandiosa. Era il mio pezzo più bello.
Riuscii a portarla a casa tramite una rete di pescherecci e traghettatori, dove sapevo che la Guardia di Finanza non avrebbe ficcato il naso. Mi risultò abbastanza facile ricettare la merce, ma per il denaro fu un problema anche se andò tutto come doveva andare alla fine. Io riuscii a impossessarmi del mio desiderio più grande e posi la moneta con cura nella piccola camera blindata, dove riposavano sul velluto gli altri gioielli della mia collezione. La tirai fuori più volte per vederla e studiarla e ogni volta me ne innamoravo. Divenne una vera e propria ossessione, tanto che pensai per un periodo di murarla nelle pareti, per essere sicuro che nessuno la trovasse. Forse stavo impazzendo, ma anche la notte cominciai a sognarla, incessantemente, e ogni volta mi veniva tolta, o andava perduta, o mai era stata mia. Io ne sentivo il possesso. Era così forte... Comprai decine di libri per studiarla fino in fondo ma la mia era così bella che non l'avrei cambiata per niente al mondo. Venderla al museo mi avrebbe fruttato tanti soldi, veramente tanti, ma preferivo assaporarla e viverla in prima persona.
Le notti però divennero presto insopportabili. Non sognavo più la mia moneta perduta, ma cominciavo a vagare in strane dimensioni dove il tempo sembrava non scorrere. Non c'era rumore, brusio, ma solo silenzio. Un assordante silenzio. Poi erano così reali che li percepivo come veri, ne sentivo il fragore dentro di me nonostante stessi dormendo. Una volta, quando mi addormentai prima del solito perché stanco, il mio viaggio iniziò su una lunga scogliera scoscesa, a strapiombo. In un posto del genere, tipico del mio paese per coincidenza, doveva esserci vento, cosi tanto da rischiare di farti cadere, e invece non ce n'era. Era cosi tremendamente silenzioso come ogni mio sogno, che pensavo di esser morto. Ecco, proprio quello doveva succedere una volta morti: vuoto e silenzio. Anche se i miei sogni tanto vuoti non erano: quella volta sulla scogliera decisi di avvicinarmi al dirupo e mentre mi aspettavo di vedere il mare mi si palesò d'innanzi una foresta dagli alberi grigi, quasi argentei. Nonostante la terra e le rocce fossero nere e il cielo di un blu notte, senza astri, quella boscaglia sembrava diversa. Era come se fosse viva rispetto alla desolazione che aveva attorno, poiché le chiome si muovevano danzando, ma non era vento, ve lo assicuro. O all'interno c'era qualcosa di enorme che si stava muovendo, o qualche strana luminescenza dava dei riflessi al fogliame in modo che creasse un effetto ottico. Ma tanto era un sogno, no? E mi lanciai dalla scogliera con le braccia aperte, conscio che mi sarei svegliato. Invece caddi. E sentii tanto dolore da maledire la mia scelta avventata. Quando alzai gli occhi per vedere, poiché curiosità era di gran lunga superiore a dolore, notai che il sottobosco aveva lo stesso colore con qualche eccezione giallognola, o bluastra, o addirittura porpora, sbocciando in dei fiori stravaganti. Ricordo proprio che sbocciarono davanti a me quando passavo per inoltrarmi nella foresta. In quanto agli alberi non saprei dirvi di che specie fossero, ma se dovessi descriverli con parole di questo mondo potrei accostarli ai salici piangenti. Molto suggestivi. Proseguii nel bosco sperando di non svegliarmi improvvisamente. Non sentivo aria sulla pelle o acqua che la bagnava, ma stavo provando un'adrenalina onirica incredibile e quel sogno era reale come tutti gli altri, non per caso la sofferenza che provavo durante il sonno la portavo con me per tutta la giornata, fino a sognare di nuovo.
Nel fitto del bosco sentii un rumore, soffocato, come un sibilìo. Mi accorsi che effettivamente la boscaglia si muoveva, almeno le chiome degli alberi, e quando guardai meglio vidi come una presenza invisibile e silenziosa che la attraversava. Era grande quanto tutta la foresta, quindi un'infinità, ma non sapevo cosa fosse. Cercai di arrampicarmi su un tronco e arrivai a toccarla, questa mi trascinò via. Dalla mano mi agguantò il braccio e cosi via, fino a inghiottirmi completamente in un viscido abbraccio materno. Mi ritrovai in un deserto di sabbia rossa, come il sangue, mentre il cielo era una piatta tavola nera. E sentii il vento; ma non dovevo ancora svegliarmi. Fremevo, sentivo qualcosa che mi diceva: devi uscire! Il tuo corpo ha bisogno di te. Ma la ignoravo. Ero talmente curioso... Volevo capire, far cessare quegli incubi di puro silenzio e smuovere qualcosa nel mio subconscio in modo che potessi stare meglio. Il vento caldo portava in una direzione e decisi di seguirla fino a scoprire che lo stesso vento era la presenza che avevo già conosciuto. Mi prese di nuovo, mi trasportò in un tunnel d'energia senza colori e senza tempo, qualcosa di indescrivibile, poi mi scaricò come spazzatura su una distesa rocciosa, dove le pietre erano violacee e porose simili a funghi in escrescenza. L'aria che aleggiava attorno a quel posto era densa e colorata, di un verdognolo malato, ma anche lì c'era vento, più forte rispetto a quello nel deserto. Convinto di fuggire da quella presenza cominciai a saltare da un masso all'altro, cercando di non slogarmi una caviglia. Trovai un luogo abbastanza stretto dove rintanarmi e sentivo chiaramente che lì non avrebbe potuto raggiungermi. Mi rannicchiai come un infante. Non so quanto tempo passò, ma il mio corpo aveva bisogno di me e non lo stavo ascoltando. Solitamente mi sarei svegliato, ma pensai che il proseguimento di quel sogno fosse una conseguenza della mia divorante curiosità. Andai avanti saltando da un'insenatura all'altra e raggiunsi la base di quella collina su cui ero arrivato. In lontananza, da una roccia più alta delle altre, vidi un ponte. Che strano, pensai, proprio un ponte. Ma dovevo attraversarlo. Mentre mi apprestavo a raggiungerlo mi sentii bagnato, sudato, stavo male. Il mio meccanismo mentale mi riportò alla realtà improvvisamente e scoprii a mio malgrado che me l'ero fatta sotto.
Aspettai con ansia la notte seguente mentre menavo fra le mani la mia meravigliosa moneta. La guardai quasi tutto il giorno, tanto di lavoro ce n'era poco in quel periodo. Quando mi addormentai il mio sogno cominciò da dov'era finito, come un gioco. Credevo fosse solo suggestione e continuai imperterrito ad avvicinarmi al ponte fino a raggiungerlo. Il vento era molto forte in quel punto e sicuramente mi avrebbe toccato, dovevo tentare? Nonostante fossi così vicino non avevo altro da fare che buttarmi senza pensare, tanto era solo un sogno. Il vento mi catturò appena misi piede fuori dall'insenatura e ovviamente mi teletrasportò in un altro luogo, stavolta più bizzarro. Mi trovavo nel letto di un grandissimo fiume morto, con i sassolini azzurri che divenivano massi enormi allontanandosi. Di acqua non ve ne era traccia, ma pensai subito che poteva esserci un ponte li da qualche parte. Stavolta andai controvento e notai che questo rombava più rumorosamente mentre lo facevo, come se volesse imprecare contro di me. Per dispetto continuai e finalmente vidi il ponte. Mi trovavo sotto di esso e non sapevo come salire perché il passaggio attraversava una zona vastissima, di cui non conoscevo ne inizio ne fine. Quando mi avvicinai abbastanza per vederne i particolari, da lontano una figura sproporzionata cominciò a scendere verso di me. Inizialmente pensai fosse dell'acqua, invece era qualcosa di amorfo ed ambiguo. C'era solo un particolare che notai più degli altri: sembrava risplendere di un colore dorato, il più brillante che avessi mai visto. Il suo luccichio sfumava ulteriormente la sua forma che rotolava più che scorrere, ma lo faceva all'interno del fiume ed era così grande da ricoprire tutta la sua superficie. Ancora nessun rumore, nessun suono familiare, sentivo solo il vento passarmi continuamente sulla pelle. Ignorai quest'ultimo e attesi l'arrivo di quell'ammasso misterioso. Avrebbe dovuto bloccarsi di fronte al ponte poiché ostruiva il suo passaggio. Man mano che si avvicinava notai quanto fosse viscida e quanto si muovesse bene sui sassi arrotondati, sembrava che stesse camminando in casa sua. Il suo colore splendeva sempre di più, rifletteva la poca luce presente e quasi mi accecava. Ma era un colore o un luccichio? Mi domandai inesorabilmente quando si avvicinò. Forse avevo captato diversamente ciò che percepivo. Quello non era un colore, era pura luce. Un ammasso viscido e lento di luminosità. Rimasi a guardarlo ancora, stupendomi, e mi meravigliai di nuovo di quanto fossero reali quei maledetti sogni. La paura mi prese all'improvviso. Non mi sentivo sicuro a passare del tempo vicino a quella cosa che lentamente, come di suo solito, mi raggiunse con la sua luce. Inizialmente provai sollievo, come se qualcosa mi stesse proteggendo, poi d'improvviso il terrore si impossessò di me: la mia pelle stava bruciando. Sentivo un calore così forte e pungente che gridai e mi svegliai gridando, con l'avambraccio che pulsava quasi scarificato. Possibile che quella ferita fosse accidentale? O coincideva col mio sogno?
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