Fluctus - Parte Terza
Mi trovavo sotto la tuga ma ero confuso; solo la voce di Noah mi riportò alla realtà: «Luce avvistata! Luce avvistata! Tutta a tribordo!»
«Virare a tribordo!» mio zio colse l'attimo e gridò, anche se Chedad e i suoi compagni erano di fianco a lui. Ovviamente il rumore della bestia era più forte di ogni voce umana, ma potevano comunque sentirlo: non era necessario urlare.
La sua tattica era voltare la nave verso destra in modo che potesse sfruttare la corrente per uscire dall'incrociarsi delle onde. «Chedad! Vira!» la sua voce mi rimbombò nei timpani. Il timoniere marocchino masticò qualche parola per far capire che la barca era ormai alla deriva, incontrollabile. Tuttavia ci avvicinammo alla luce. Inizialmente sembrava biancastra come quella della Luna, invece si rivelò verde pulsante, proveniente dalle profondità più oscure degli abissi marini. Di fronte a noi di fatti, mentre la barca calava di nuovo a picco scendendo dalla cresta di un'onda, c'era un gigantesco vortice che aveva inglobato qualsiasi pezzo di legno devastato dalla tempesta. I barili, gli alberi, i cadaveri e i moschetti giravano al suo interno fino al collo dell'imbuto, che nero più del petrolio conduceva in un luogo sconosciuto. Sembrava avere le sembianze di un buco nero, ma era possibile trovarne uno in mare? Ve lo dico io: no! Non era possibile. Non era immaginale. Non era prevedibile. Mai ci saremmo aspettati di trovare uno squarcio nelle dimensioni presidiato da una bestia millenaria e immonda, che a detta di Chedad ricopriva un ruolo divino nelle credenze dei marinai. A qualcuno poteva sembrare un onore incontrare la divinità delle correnti, delle tempeste marine e delle onde anomale, ma io non volevo di certo morire a causa sua. E se mi avesse trascinato negli abissi? In quel buco vorticoso oscuro che rilasciava fasci di luce verdastri simili all'aurora boreale? Ero irrimediabilmente terrorizzato e ormai appeso alla tuga, usai le mie ultime forze per conciliarmi con il mio povero zio.
Guardandolo in faccia notai quanta forza impiegava per tenere il timone assieme a Chedad; vedevo i suoi occhi puntare quella voragine oscura con immensa disperazione, sia per la perdita della vita che del carico. Ma inaspettatamente la corrente ci trascinò sull'orlo del vortice e la barcobestia cominciò a ruotargli attorno, volteggiando contemporaneamente su se stessa. La mia testa in quel momento vorticò e non capii più niente, mentre la spuma e gli schizzi d'acqua non mi lasciavano respirare. La nave si ingavonò, mentre la chiglia imboccò le correnti del mulinello scendendo gradualmente nel suo fondo.
«Abbandonare la nave. Abbandonare la nave. Abbandonare la nave!» il capitano gridò le sue ultime parole e subito dopo mi agguantò per il colletto fradicio: «Augusto devi salvarti, non permetterò che Fluctus ti porti con sé! Chedad!» chiamò il timoniere: «Raduna i sopravvissuti e cercate di fuggire. Non chiedermi in che modo, ma fallo, conto su di te: porta mio nipote a casa sano e salvo».
Capii che quello era un addio e prima che potessi rispondere il timoniere mi agguantò per il braccio, pratica comune afferrare le persone sulla barcobestia di mio zio, per condurmi al di sotto della tuga. Impiegò pochi minuti per avvertire tutti suonando la campana, mentre Noah, Nobu e qualche marinaio si radunarono attorno al boccaporto. Notammo che le scialuppe erano scomparse e nel frattempo il fianco di babordo venne spaccato dai blocchi di marmo, liberi dalle funi che li trattenevano. Sperai con tutto il cuore che il peso dei massi avrebbe almeno ferito quel mostro, ma sentivamo solo un profondo ruggito provenire dal mulinello. Vedemmo una moltitudine di occhi verdi guardarci dalle pareti coniche. Il fatto che ognuno battesse le palpebre, ovviamente verticali, senza avere una simbiosi con gli altri, faceva paura. Era un solo mostro o più di uno? Ed era veramente un mostro o solo una presenza? Il suo corpo sembrava pura acqua.
«Augusto, aggrappati alla catena», mi ordinò Chedad, mentre indicava gli anelli metallici di un'ancora che pendeva dall'alto, incagliata nel fianco della nostra nave. Se la barca non stava sprofondando era proprio grazie a quella casualità, ma io ne approfittai e cominciai a salire seguito dal timoniere, dal cambusaro e dalla vedetta esperta. Altri marinai cercarono di salvarsi ma quando qualcuno, o qualcosa, si accorse del nostro tentativo di fuga, il mulinello cominciò a chiudersi su sé stesso partendo dal fondo.
Impiegai una forza inumana per aggrapparmi e tirarmi verso l'alto, saltando da un cerchio all'altro; il rumore era intollerabile. La spuma delle onde assieme alla forza della corrente volevano travolgermi in ogni istante, tuttavia riuscii a raggiungere la superficie che risultava alquanto vicina. Vidi l'ancora calata dal fianco del vascello fantasma, che sull'orlo del vortice volteggiava per allontanarsi. Quella era una vera e propria imbarcazione, probabilmente catturata da un'antica tempesta di Fluctus e rimasta intrappolata fra le sue nubi divenendone l'araldo. La stessa voleva allontanarsi ma il peso della barcobestia in caduta non gli permetteva di farlo. Non so quanto avrebbe resistito, ma in un impeto di speranza feci un balzo e mi aggrappai al parapetto di babordo, per poi lanciarmi su una tavola legnosa poco distante, che si stava alienando dalla tempesta ormai indebolita.
A quel punto respirai; riempii i polmoni d'aria e tossii fino a vomitare acqua di mare. Lo stomaco si accartocciò, mentre le gambe erano in preda a tremolii persistenti causati dal freddo e dal terrore. Ero sicuro di essere rimasto solo, di nuovo, ma una mano si innalzò dalle acque, poi agguantò la zattera facendola dondolare. I capelli crespi e corti fecero capolino prima del volto olivastro di Chedad, che affannante si trascinò sulle assi. Vedevo il suo petto gonfiarsi e sgonfiarsi velocemente, senza un ritmo preciso. La carnagione mulatta era pallida, probabilmente per la paura che lui stesso provò.
Nel frattempo il fianco del vascello fantasma venne estirpato dell'ancora, che fischiando cadde all'interno del vortice per accompagnare la barcobestia. Il mulinello, che stava chiudendosi in fretta, inghiottì mio zio, la sua merce e il sogno di una vita intera. Solo il vascello rimase sull'orlo, inerme, e sicuramente avrebbe adempito al suo dovere di araldo fino alla fine del mondo intero.
«Augusto...» Le parole di Chedad uscirono flebili dalla sua gola. «Prendi questo». Mi diede una vecchia bussola dorata e graffiata appartenuta a mio zio, l'unico ricordo rimasto del suo carattere esuberante e della sua spiccata abilità nel comandare. Ero sicuro che mia madre mi avrebbe maledetto per tutta la sua esistenza dopo aver saputo di quel fosco evento, ma ora dovevamo pensare a metterci in salvo; intanto la tempesta allontanò le sue nubi.
Sulle acque sbiadite dalla Luna calò il silenzio. Chedad doveva recuperare le forze, io mi accorsi di avere un brutto taglio sul braccio, tuttavia eravamo sopravvissuti alla furia dì una divinità e se l'avessimo detto nessun marinaio, o nessun capitano, ci avrebbe mai creduto; anche se, come le leggende del mare dicevano: Fluctus lascia sempre in vita qualcuno per raccontarlo.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro