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Amentia - Parte Seconda

L'oscurità ci nasconde, ma riporta a galla gl'incubi peggiori.

Ezechiele De Dominico

Dondolavo avanti e indietro con le mani giunte sulle ginocchia. Mi guardavo attorno terrorizzato percependo ombre nell'oscurità che mi stava avvolgendo. La pioggia batteva forte sulla vetrata, come se piccoli uomini stessero bussando per entrare, mentre le saette tranciavano il cielo per raggiungere una superficie rigida su cui sfogare la propria rabbia. Tremavo, avevo freddo, l'umidità mi stava congelando le ossa. Non avevo mai provato sensazioni così forti e le provai a causa degli incubi che mi stavano tormentando da quando incontrai Abruptum.

Mi trovavo nella Chiesa di San Frediano, vicino alla salma rugosa di Santa Zita. Ero completamente solo e nemmeno le candele volevano accendersi per darmi conforto; pensavo che lo stesso Dio cristiano in cui gli italiani credono da millenni mi avesse abbandonato.

«Tenebris rivoltatum occultatem, tenebris rivoltatum occultatem! Tenebris, ti evoco nella dimora di Dio, vieni a me e ascolta la mia richiesta». Il silenzio calò lento come il sangue che cola. Avevo paura che il prete potesse entrare e vedermi nell'atto di evocare i demoni più oscuri mai esistiti, ma la mia ambizione superava il terrore di essere cacciato da un luogo sacro.

«Tenebris, ti evoco nella dimora di Yahweh, vieni a me e ascolta la mia richiesta!»

Mi guardai attorno spostando lo sguardo sulle pareti affrescate, sui colonnati di marmo opaco e sulle tombe dei vescovi che giacevano sotto il pavimento. Nessuno rispose al mio verbo.

«Tenebris! Ti evoco!»

Improvvisamente, un fulmine violaceo creò un blackout in tutta la città e la chiesa fu illuminata solo dai lampi. Pensavo che di lì a poco avrei visto un'ombra gigantesca palesarsi di fronte all'altare, ma notavo solo l'espressione imbalsamata della santa, che beffarda si prendeva gioco di me rimanendo immobile mentre profanavo il suo santuario. La guardai con tale disprezzo che ero sicuro lo avesse percepito dall'oltretomba. La sua religione e i santi che ne derivarono erano una creazione impuramente umana, fabbricata per controllare le masse di ignoranti che credevano in una vita di devozione per trovare un'eternità di pace. Invece, mentre loro se ne stavano buoni, i padroni e i signori governavano con irruenza ponendosi come presenze divine incarnate, mentre erano solo uomini più furbi degli altri. Quanta sofferenza avevano creato le religioni, quante divisioni e quanto sangue versato. Se avessi potuto avrei cancellato quelle istituzioni in un batter d'occhio, con uno schiocco di dita, condannando alla stalla di Imperius chiunque avesse creduto a quelle bugie drogate dalla speranza.

Rinunciai al mio tentativo in un sospiro rumoroso. Non ero certo di aver utilizzato il metodo esatto per chiamare un Dio e avevo studiato che, facendolo in un santuario cristiano, sarei stato protetto dalla fede di milioni di persone. Irrimediabilmente arrivò la nausea, causata dall'odore acre dell'incenso. Oltre agli ospedali odiavo anche le chiese, ma in quel frangente era l'unica garanzia che impediva a Tenebris di inghiottirmi nella sua dimensione di pura oscurità.

Aggiustai l'impermeabile e drizzai le gambe, guardandomi attorno per assicurarmi di essere solo. Mossi i primi passi verso l'uscita e lasciai che il rombo dei fulmini andasse a ritmo con i miei stivali. L'aria gelida si insinuò nelle intercapedini del grande portone, socchiuso, immobile. Agguantai la maniglia e lo aprii.

Mi ritrovai a camminare su un pavimento di sabbia finissima, mentre il buio dell'oscurità mi avvolse completamente, lasciando spazio solo al bagliore opaco del suolo. Ero nella dimensione di Tenebris, non più protetto dalla sacralità della chiesa. Afferrai d'istinto la pistola nella fondina da petto che celavo sotto la giacca, pronto a puntarla verso il divino; un proiettile non lo avrebbe scalfito, tuttavia era un deterrente a cui aggrapparsi. Girandomi vidi che il portone era svanito, e poco distante notai qualcosa muoversi di scatto, talmente veloce che sfumò nel buio come quando si fotografa qualcosa in movimento. Percepii quella forma come una faccia biancastra, con le fessure degli occhi e della bocca completamente scure. Vidi chiaramente una mano scheletrica che si mosse in cenno di saluto, ma era un movimento inquietante e mi fece venire di nuovo la nausea. Ultimamente non stavo bene, né fisicamente né mentalmente, tuttavia niente e nessuno avrebbe potuto arrestare la mia discesa verso Imperius.

«Tenebris», mormorai. Pronunciare il nome della divinità che si evoca causa in lei una reazione istintiva: alcuni granelli di sabbia iniziarono a galleggiare nell'aria. «Sono qui per restituire un oggetto che ti appartiene e per svelare a te, sommo Dio della notte, la dimora di chi te l'ha sottratto». Tastai il mio corpo in cerca della borsa a tracolla e aprii le cinghie con estrema lentezza; tirai fuori il grimorio che possedeva Ismaele, libro che ricevetti grazie a uno dei suoi amici che avevano assistito in prima persona alla sua scomparsa. «Luca non ti teme», continuai, vedendo che nessuna risposta era ancora pervenuta. «Si beffeggia di te idolatrando la loro fuga dalla dimensione di un Dio, vantandosi di quanto sia stato facile e additandoti come uno sciocco che si è fatto sfuggire dei ragazzini... Sono venuto per renderti giustizia, ma ho bisogno di un favore da parte tua».

Una ventata attraversò il mio corpo; udii un sussurro all'interno del suo sibilio: «Sei un folle».

Tentennai e le mani si bloccarono nel gesto di porgere il libro a qualcosa di invisibile. Con gli occhi arrancavo nell'oscurità per vedere, tuttavia il bagliore del suolo non era abbastanza per distinguere i veloci movimenti che notavo attorno alla mia persona. Percepivo qualcosa ma non riuscivo a vederlo, perciò decisi di rendere lo scambio più allettante: «Probabilmente non sono stato chiaro», la mia voce echeggiò nel silenzio. «Luca si sta prendendo gioco di te e il povero Ismaele, ovvero una tua piccola parte, non è a conoscenza della sua relazione con Marta».

D'improvviso lo spazio cambiò e la sabbia andò a vorticare nell'oscurità formando una serie di anelli concentrici che emettevano luce chiara. Strano che un Dio del buio si manifestasse tramite un bagliore, infatti vidi in lontananza una figura che poteva assomigliare a quella di un ragazzino, proprio al centro del fascio luminoso. Ma dietro di me, un sospiro profondo mi fece sobbalzare.

«Quello che dici è vero?» una profonda vibrazione investì la mia spina dorsale.

Non volevo voltarmi, tuttavia dovetti farlo per pormi come di consueto a un divino. Posai le pupille dilatate su qualcosa di informe, che inizialmente non riuscii a memorizzare, ma che poco dopo assunse l'aspetto di qualcosa che avevo già visto da qualche parte, forse negli incubi più oscuri. Sembrava una lunga donna emaciata, scheletrica, con una malconcia veste strappata che si stendeva su tutto il corpo. In mano teneva un bastone, o uno scettro, e nell'altra stringeva a mezz'aria una sfera di pura oscurità, che pulsava come un cuore umano. Dalla specie di corona cornuta che vidi sul suo capo, capii irrimediabilmente che mi trovavo di fronte a Tenebris, mostratosi a me nella forma in cui ogni uomo lo aveva venerato nell'antichità. Sapevo che in realtà aveva un altro aspetto, però non avrei potuto distinguere gli angoli e la profondità del suo vero profilo.

«Guarda tu stesso se non mi credi», commentai, trattenendo il tremolio delle mani che stringevano il grimorio. «Raggiungi la sua essenza tramite questo libro. Lo ha custodito da quando Ismaele è tornato a te».

Sentii qualcosa di impercettibile che stava tirando il manoscritto e lasciai che potesse prenderlo. Lo vidi fluttuare a mezz'aria fino a raggiungere il petto del divino, posizionandosi proprio sotto i suoi occhi vitrei, quasi invisibili. Cercavo nel frattempo di distinguere ogni suo particolare, ma sfumava in scatti compulsivi come un'immagine olografica, impedendomi di inquadrarlo completamente. Creava fastidio osservarlo più di qualche secondo e sentivo che il mio stomaco veniva rivoltato ogni volta che lui respirava. Una moltitudine di corvi fumosi andò a circondarlo durante la lettura, che venne decorata da vibrazioni in lingue sconosciute. Qualche istante dopo, dalla sfera di luce oscura che teneva in mano, vidi Luca e Marta passeggiare per strada.

«Li prenderò molto presto», l'oscillazione con cui parlava echeggiò nella mia mente. «Per un'offerta un premio, per un favore un altro favore...» Il suo proferire mi ricordò la storia di Tempus e capii che aveva apprezzato il mio dono più di quanto potessi prevedere. «So cosa vuoi da me e so che vuoi raggiungere Imperius tramite la dimensione onirica ed eterea, ma hai bisogno di un velo oscuro che copra la tua anima occultandola ai predatori...»

Io annuii.

«Avrei potuto concedere il mio favore solo per l'anima di Marta, ma avendo portato sia Luca che il grimorio, stavolta grazierò la tua vita e non chiederò una parte del tuo corpo in cambio. Anche se... Per contrattare con un Dio ci vuole coraggio e devozione... Cosa saresti disposto a offrirmi?»

Deglutii un amaro boccone e catalizzai il fatto di dover pagare un pegno costoso. Avevo studiato a fondo le relazioni fra gli uomini e gli Dei, i sacrifici umani, la carne e il sangue in cambio della salvezza, quindi afferrai di fretta il pugnale che celavo nello stivale. Senza rimorso, approfittando della lama appena affilata, tagliai il mignolo della mano destra. Era l'arto che usavo maggiormente e quello che mi permetteva di sparare, difendermi, leggere e compiere qualsiasi cosa che potesse essermi utile. Per quanto fosse piccolo, un mignolo apparteneva comunque alla mano dominante. «Che sia di buon auspicio assieme alle anime che ti ho appena donato», mormorai dolorosamente, mentre una scia di sangue scuro cominciò a colare dal dorso della gemella. «Non ho altro da poter offrire, ma sai che quello che dico è verità, perciò puoi fidarti di me ed ergermi come sacerdote divino, se tu vorrai». Cercai di trattenermi ma dovetti tamponare la ferita con un pezzo del mio impermeabile. Avevo le mani piene di sangue.

Tenebris godeva della mia sofferenza e dagli spasmi che emanava capivo che ne traeva molto piacere. «Sei un uomo utile», affermò aprendo le braccia e richiudendo il libro, mentre il mio mignolo rotolò verso di lui attirato da una forza magnetica. «Sei libero di andare, ma ricordati di me quando sarai di fronte a Imperius. Se spodesti una divinità devi trovare un buon sostituto per il trono del mondo».

Non feci in tempo a rendermi di conto di quello che aveva appena detto che mi ritrovai in mezzo alla strada, lontano una decina di metri dalla Chiesa di San Frediano. Una macchina sfrecciò a gran velocità su una pozzanghera e mi bagnò completamente. Il dolore era insopportabile, perciò corsi verso casa per tamponare la ferita e fare in modo che nessun ospedale dovesse curarla al posto mio.

Qualche giorno dopo lessi il quotidiano e vidi una notizia direttamente dalla città di Pietrasanta, luogo in cui Luca viveva con Marta e in cui Tenebris soggiogò Ismaele; era un riquadro di cronaca nera. Mi accorsi della testimonianza di un genitore scritta in grassetto: "Non l'avrebbe mai fatto! E' mio figlio, lo conosco da quando è nato, sono sicura che non sia stato lui! Ci scommetterei l'anima!"

Luca, durante la notte del giorno in cui parlai con Tenebris, si era impiccato sulle assi del soffitto di casa sua. Marta, invece, era sparita nel nulla. Nonostante altre persone fossero morte a causa mia, ero finalmente pronto per addormentarmi e raggiungere Imperius, approfittando del favore delle tenebre che il divino mi aveva concesso. Sapevo che dopo aver affrontato il Governatore Occulto del Mondo avrei dovuto combattere contro chi desiderava il trono del nostro pianeta, ovvero tutti gli altri Dei esistenti, fra cui Tenebris, che era a conoscenza delle mie intenzioni assieme ad Abruptum.

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