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La volpe (OS 5/9/22)

Faceva molto freddo e la ragazza si strinse ancora di più nel suo mantello: non era molto sicura in quale preciso punto si trovasse, ma poteva essere certa del motivo per cui quel posto si chiamasse la foresta di ghiaccio. Le avrebbe volentieri aggiunto "e di tenebre" o qualcosa di affine, ma non era la responsabile della nomenclatura dei posti che visitava.

Gli alberi intorno a lei si ergevano minacciosi, più simili a tronchi bruciati che a una vegetazione vera e propria, la luce proveniente dalla torcia che portava in mano creava ombre ancora più grottesche delle figure originali e il vento ululava forte e minaccioso. Le mancava un sacco il parchetto dentro alle mura del castello, e il verde rigoglioso della Radura Incantata.

Sospirò, e la giovane donna affianco a lei si voltò per osservala: «Tutto ok, Elizabeth... cioè Elly?»

«Sì, va tutto bene Ametista. Chiamami come vuoi, non mi fa alcuna differenza.»

«Sceglierò Elizabeth, suona meglio. Elly sembra un soprannome troppo infantile, senza offesa.»

«Nessun problema, è che questo posto mi inquieta.» Spiegò, spiando la reazione della compagna.

«Capisco, a molti dà soggezione. A me no.» Roteò tra le mani in bastone con cui sondava il terreno prima di camminarci «O vi fate mettere in soggezione dall'ignoto oppure vi ci gettate a braccia aperta.» Sbuffò divertita e infastidita allo stesso tempo «Voi umani non conoscete mezze misure.» Sulla sommità della stecca di legno, era appuntata una pietra rossa, simile a un rubino, che emetteva una luce simile a quella del fuoco. Era stata una trovata geniale, constatò la prima delle due, in un unico oggetto avevano racchiuso un supporto, un'arma e un lume. 

Proseguirono per una decina di minuti, era sempre buio, come le aveva raccontato la giovane fata prima di entrare, all'interno era quasi impossibile orientarsi senza un'illuminazione artificiale. L'unica cosa che avrebbe permesso loro di vedere era la neve sotto ai loro piedi, che risplendeva di una luce celeste durante il giorno. Ormai era sera, o almeno, aveva dedotto ciò basandosi sulla sua stanchezza e il brontolio della pancia, ma la sua ipotesi fu presto confermata dall'altra.

«Il manto ghiacciato è spento: è passato il tramonto, ci conviene cenare adesso.» Osservò la seconda.

Elly annuì estraendo alcune provviste dallo zaino: tirò fuori una scatola di metallo argentato, non troppo grande e simile per dimensioni a un piccolo cofanetto e lo passò all'adolescente, che ci posò sopra il palmo destro e bisbigliò una frase sentita dall'umana almeno un milione di volte ma di cui ancora non riusciva a capire le parole. Il coperchio si illuminò, splendendo come colpito dai raggi solari, mentre gli intricati simboli incisi diventavano rossi. Dopo un po', prima il colore delle scritte e successivamente quello dello sfondo, incominciò a svanire e il contenitore riacquistò il suo aspetto originale. La ragazza non poté fare a meno di non notare che gli occhi della fata, di colore verde smeraldo, si erano illuminati, assomigliando a due fari. Da quello che sapeva, era un fenomeno comune in tutte le persone che compivano incantesimi e che variava in base a quanto fosse complicato lo stesso, ed Evocare oggetti di qualsiasi tipo lo era, ma la cosa trovava spaventosa e anche inquietante. Forse era complice anche il buio che l'avvolgeva. Del resto, Ametista era diversa da lei in moltissime altre cose, oltre che al luogo di origine e alle sue abilità: la semi-umana infatti aveva la pelle molto più scura della sua, abbronzata fino ad avere una sfumatura color nocciola, in netto contrasto con l'epidermide chiarissima della compagna, il volto era incorniciato da una folta, riccia e lunga chioma di capelli rossastri, al contrario di quello dell'amica, biondi e solo leggermente mossi, e che li teneva sempre ordinati in una crocchia bassa. Inoltre era anche un po' più bassa di lei, nonostante fosse maggiore di qualche luna rispetto all'altra. Tuttavia, era un aspetto normale per le persone provenienti da quelli che erano chiamati "regni bassi". 

«Allora, mangi o ti sei imbambolata?» La interruppe la fata.

«Mi ero distratta, scusami.»

«Saresti in grado di distrarti anche se un leone ti provasse a mangiare.» Borbottò, stendendo un telo a terra e fissando le fronde degli alberi sopra di lei «E datti una mossa, prevedo una tormenta per questa sera. Devo montare la tenda o diventeremo ghiaccioli. E allora, non credo arriveremo molto bene al centro della foresta.»

«Scusami, mi sbrigo.» Mormorò lei mangiando in silenzio il suo panino: quanto le mancava il cibo di casa sua!

Dopo aver terminato il pasto, le due provvidero a sistemare un posto in cui dormire e qualche fiocco di neve incominciò a cadere.

«Cosa ti avevo detto?» La rossa udì un rumore proveniente dalla sua destra «L'hai sentito?»

«Cosa?»

«Zitta! C'è di nuovo.» Bisbigliò la riccia «Dovremmo andare a controllare.» Il suo tono sembrava incerto, ma Elizabeth era sicura che non le avesse posto una domanda. Si alzarono in piedi e incominciarono ad avvicinarsi all'origine del suono.

Un piccolo ruscello, quasi certamente uno dei tanti affluenti del Fiume Dorado, scorreva placidamente tra i due argini rocciosi. A un certo punto, era sovrastato da un tronco di un albero appoggiato sui due estremi delle rive e che sembrava un ponte. Era coperto di neve, probabilmente ghiacciata, e un'ombra si muoveva impacciata per attraversare il corso d'acqua.

«Guarda, una volpe!» Esclamò la ragazza meno alta entusiasta.

«Bella, non ne avevo mai vista una dal vivo.»

«Davvero? Strano.»

«Da noi non ce ne sono molte, ma a volte ne ho viste alcune impagliate.»

«Allora le hai viste!»

«Sí, ma erano bianche.»

«Forse erano di una specie diversa.» Ipotizzò la fata. Rimasero a osservarla in silenzio «Mi piace così tanto: è piccola, sarà ancora un cucciolo, eppure si avventura maestosa. Sembra quasi la regina di questo posto.» Sospirò.

«Un giorno andremo nei boschi vicino alla mia città e ne cercheremo una vera.» Affermò Elly «E questa volta, prometto che sarà un viaggio di piacere.»

«Lo spero.» Disse l'altra «Ma adesso andiamo a dormire: abbiamo ancora molta altra strada da fare.»

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