Edgar
ATTENZIONE:
Questo racconto è una collaborazione con solocioccolataelibri, che ringrazio infinitamente per avermi concesso il suo tempo per assecondarmi, supportarmi e sopportarmi.
Buona lettura.
Un abbraccio,
Jack
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Le foglie tremavano. I raggi solari, timidi, si celavano dietro ai nembi cenerini. L'umidità incrementava e poco a poco la pioggia cantava sui tetti la più dolce e malinconica delle melodie. Il terriccio del prato dei Jones donava ai passanti quel suo tipico odore pungente. Le mele fuji si sporgevano oltre il muretto, ed io decisi di agguantarne una, modestamente sviluppata. Mi sorprese un ragazzo che abitava oltre il panificio a Kenton street. Lo riconobbi perché portava sempre lo stesso berretto, color rosso vermiglio. Sorrise, come al solito, con un'espressione simile a quella che avrebbe potuto avere il portatore di una paresi facciale. Risposi con un semplice cenno di capo, poi mi allontanai dal "luogo del crimine", dirigendomi invece verso la chiesa. Percorsi la via che mi pareva meno affollata, così da giungere il prima possibile.
Varcai la soglia del luogo di culto. Nessuna perpetua a fare domande, solo il pastore, che sedeva accanto all'altare con le mani a sostenere la testa ripiegata in avanti.
La pioggia si fece più intensa, acclarato dai rombi impetuosi che superavano le crepe dei muri in pietra e le vetrate sfarzose.
- Qualcosa non va, reverendo? - sussurrai. Egli mi guardò perplesso. Non sospirò nemmeno. In realtà, non poteva sospirare. Era finito anche lui.
Cautamente, provvedei ad abbassargli le palpebre. La temperatura non era scesa eccessivamente, di conseguenza intuii fosse spirato da poco tempo.
La posizione era bizzarra; i muscoli della schiena si mostravano appena contratti. Indice di una morte innaturale: troppo presto per il rigor mortis.
"Avvelenamento" dedussi: " evidentemente, Edgar ha colpito come aveva promesso". Notai un cartoncino infilato nella manica della veste pastorale. Lo estrassi attentamente. Si trattava di una carta dei tarocchi. Di quelli con i ritratti decorati a dovere. Dal profumo esotico e il pigmento curiosamente acceso. Il retro della carta riportava un motivo semifloreale vermiglio, viola e nero; il fronte, il Foolish Man (il "Vagabondo").
"Rappresenta la vita che esorta ad un nuovo inizio, una nuova avventura, ed è inoltre sinonimo di pazzia e alienamento" ricordai circa il significato.
Guerra dichiarata.
Riposi il cartoncino colorato in tasca e mi diressi verso l'uscita, deciso ad affrontare l'acqua. Rincasai fradicio. Dalla cucina, mia moglie mi osservava con occhi carichi di preoccupazione, mentre io mi svestivo e la salutavo con un bacio.
- Dove sei stato, Paul? - domandò.
- In chiesa... Ma non l'ho trovato uno spettacolo gradevole - feci, abbassando lo sguardo. Ebbe un attimo di esitazione.
- Perché? -
- Edgar... - sussurrai. Poi, la fissai intensamente, per cercare un appiglio di comprensione in un oceano di tormenti.
- Lui... Lui è morto. Che stai dicendo? - il suo tono era infastidito e leggermente titubante.
- Morto? No. -
- Paul, è morto da quasi un anno. Che cazzo stai dicendo? - la voce si temprò più alta, grattando i miei timpani.
- Ascoltami, Kate. Edgar si era finto deceduto, - tentai di convincirla pacatamente.
- Ma se abbiamo visto la salma con i nostri occhi! Hai bevuto, Paul? Perché menti? - gridava.
- Non ho bevuto. - Non mi credeva, ovviamente. Lo appuravo dal suo sguardo impassibile, le gote rosse e la testa alta, mentre si arrabbiava sempre di più.
- Hai visto un'altra donna? - era serissima.
- Nessuna. Sono solo stato in chiesa, te lo giuro -.
Catturai le sue pupille. Sospirò.
- Andiamo a letto, Paul - disse infine, rassegnata.
Aveva costantemente paura che io la tradissi. La fiducia nei miei confronti era sfumata, bruciata, svanita, da quando morì Jimmy.
Jimmy McColeman, un suo excollega. Un uomo sempre sorridente, biondo, alto e con gli occhi chiari. Si era dichiarato pubblicamente omosessuale e, secondo quanto affermava, soleva frequentare Gay Pride e manifestazioni antisessiste e anticlericali. Era venuto a mancare in seguito ad aver contratto l'HIV, causa della Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS). Era un grande amico di mia moglie. Lei amava stare con lui. E credo provasse qualcosa in più rispetto a della semplice, ottima amicizia. Tuttavia, lui aveva altri tipi di ambizioni passionali.
Probabilmente, Kate si ingelosì maggiormente per due motivi: il primo di questi fu che si sentiva abbandonata e temeva di perdere anche me, il secondo, invece, che si rese conto di ciò che provava per lui ed ebbe il terrore che anch'io potessi fare altrettanto per una donna all'infuori di lei.
Giacevo al suo fianco, sotto le medesime coperte, ma mi avvolgeva il gelo. Il tepore tra lei e me si era volatilizzato, raffreddato, e il vuoto che ne rimaneva faceva male. Molto male.
Edgar... Edgar è tornato...
Avevo paura. Non dormii. Passai la notte a rimirare gli angoli della stanza tenuemente bagnati dalla Luna. I mobili corvini e gli specchi incantatori che danzavano per la camera al mio dimenarmi, sudato.
La mattina seguente, scesi per far colazione prima di uscire a lavorare. Riuscii a non svegliare Kate con un ben riuscito passo felpato. Tè e biscotti. "Colazione dolce, mediterranea, per oggi" mi dissi. Uscii.
Mi presentai da Alex con almeno mezz'ora di anticipo, ma lui non si offese; anzi, era oltremodo raggiante che io non fossi, come capitava il più delle volte, in ritardo. A confermare la mia tesi, la sua risata fragorosa e una veemente pacca sulla spalla. Ma, forse, il semplice fatto che egli possedesse delle mani enormi, proporzionate ai suoi 2 metri e 15 dei quali spesso si vantava con noi "normoalti", mi aveva ingannato sulla reale violenza del suo gesto giocherellone.
Mi diressi al reparto di neurologia fianco a fianco ad Alex, che stringeva con energica saldezza una cartella al petto.
- Chi è? - domandai interessato. Non mi rispose ed entrò nel suo ufficio. Ebbi un attimo di esitazione mentre fissavo la porta. Poi, mi diressi anche io al mio, appena accanto a quello di lui. La mattinata fu abbastanza scorrevole, senza intoppi a renderla odiosa, almeno fino alle 11:50.
Fece il suo ingresso una donna sulla trentina d'anni, mano nella mano con una bambina. Era visibilmente scossa, pallida e tremante. Capelli scompigliati, castani; una maglia rossa e nera e la borsa ricolma di oggetti. La bambina pareva spensierata.
- Buongiorno, dottore -.
- Salve - e, guardando la presunta figlia, la salutai: - e ciao anche a te -. Sorrisi, la piccola ricambiò. La madre, no.
- Si sente male, signora? -. Tacque. Non seppi come comportarmi al suo silenzio e rimasi a squadrarla, ammutolito analogamente. Ripetei la domanda.
- S-sì - mormorò. Mi consegnò un fascicolo contenente un'analisi sanguigna, una TAC e una visita oculistica.
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