Prendi un bel respiro e continua a correre. TRACCIA A1.
Non mi volevano perfetto.
Non mi volevano imperfetto.
Non mi volevano.
Poi mia mamma è morta e lui non ha fatto altro che odiami.
Me ne sono andato per tante ragioni: l'insofferenza mi stava per catturare, la mia città sembrava troppo piccola per contenere le mie emozioni, i miei tormenti, le mie paure.
Inizio flashback
"Non contarci. Non andrai via, fosse l'ultima cosa che ti impedirò prima di morire." Urlò mio padre dal piano superiore.
"Sempre a pensare alla tua morte, alla tua ricchezza, al tuo buon nome, al tuo posto di lavoro. Sai cosa? Non mi interessa niente di te, di questa società che troppo pretende e che nulla regala. Non mi interessa se tu sentirai la mia mancanza, se guardando la porta della mia stanza proverai rimorso, non mi interessa se un giorno starai male anche tu, non mi interessa se tu un giorno morirai, non mi interessa niente di questa città, di questi edifici in marmo e diamanti. La ricchezza è quello che di buono porti dentro, i valori e i principi che di giorno in giorno diventano motivi di vita e tu, papà, sì, tu, non sai niente, non puoi capire niente di quello che ho detto perchè su questo punto di vista sei autistico, perchè ti ostini a ritenere la ricchezza economica motivo di felicità, non la ricchezza interiore. Ti auguro il peggio, papà, perché tu non sei mai stato in grado di ascoltarmi."
Fine flashback
Sono passati tanti anni da quella maledetta serata, per la precisione quattro. Quattro anni. Ho vent'anni, ora. L'insofferenza da cui sono scappato, in realtà non mi ha mai abbandonato. Sto sempre peggio, sempre col rimorso ad accompagnarmi. Quelle parole rimbombano ogni giorno nella testa, quasi a dire:"Hey, ora ti senti meglio? Hai distrutto l'orgoglio di un genitore sofferente più di quanto possa esserlo tu."
Sono a New York ora e sto cercando di riflettere su tutta questa maledetta situazione. Sto facendo jogging e sono appena le quattro di mattina.
Sforzati, coraggio. Riduciti ad uno straccio, ad un maledetto straccio. Riduciti a brandelli, fa sì che le tue gambe cedino, fa sì che la testa ti scoppi per i troppi pensieri, fa' in modo che tu possa sentirti male.
Accellero il passo, gli Iron Maiden nelle orecchie con le loro canzoni assordanti.
Sei una maledetta nullità, il mondo non sa che farsene di gente schifosa come te.
Vedo gli alberi scorrere velocemente ai lati della mia testa, percepisco il mio corpo tagliare il vento come se fosse in perfetta sintonia col mondo, incastro perfetto di un puzzle costruito con tessere di dolore e felicità, di sorrisi e di lacrime.
Sii ciò che vuoi.
Salto, salto e rido, corro verso casa, apro il portone, butto tutto all'aria, mi spoglio ed entro nella doccia.
Soffri. Tu meriti questo. Sei artefice del tuo male.
Apro l'acqua, fredda come questo marmo e crollo sul pavimento. Le gocce scorrono su tutto il corpo e, come se fossero dannose, le tolgo con le mani. Tolgo l'acqua come se potessi rimuovere questo dolore profondo e malvagio.
Esco, asciugo il mio corpo, indosso degli indumenti comodi, rimetto in ordine la mia casa, prendo foglio e penna e mi dirigo a Central Park. Mi siedo su una panchina, di fronte ad un piccolo laghetto e inizio a scrivere.
Hey, papà,
come ti senti?
Ti scrivo perché il dolore mi sta logorando, il rimorso mi fa percepire breve un lasso di tempo che in realtà è molto più lungo ed è sbagliato, dannatamente sbagliato. Non trovi anche tu?
Mi hanno detto che Allegra è alta, che ora ha i capelli lunghi, biondi e che ha un sorriso splendido.
Mi hanno detto che non sa chi io sia, che si considera figlia unica.
Mi hanno detto che tu hai i capelli sale e pepe e che hai più rughe rispetto all'ultima che ti ho lasciato su, in cima alle scale marmoree di casa nostra.
Mi hanno detto che dovrei venire a salutarti, che Allegra sente sempre di più che tu non stai bene, che ti spegni ogni giorno di più.
Mi hanno detto che ascolti ancora le mie canzoni preferite dei The Fray con quel disco che comprammo assieme quel 4 luglio di dieci anni fa.
Sai, non è vero ciò che ti ho detto quando sono andato via.
Non è vero che non mi importa di te, del tuo rimorso e del tuo dolore.
Non è vero che ti auguro il peggio, perché il peggio l'ho scelto io, per me.
Sai, stanotte ti ho sognato. È stato strano, mi sono sentito oppresso dal senso di colpa per qualcosa di cui non dovrei preoccuparmi, credo.
Tu stavi bene, nella tua fortezza e io pure quando me ne sono andato da te.
In questo sogno c'eri tu, una bambina - credo sia Allegra - e un ragazzo: me, quando ero piccolo.
Parlavi dei tuoi sogni adolescenziali, di tutto quello a cui hai rinunciato tempo addietro, alla tua malattia che non ti ha mai veramente abbandonato e a come avevi perso mamma.
Parlavi con gli occhi di chi spera in un miracolo che non può avverarsi.
Guardavi un punto fisso, come se potesse diventare qualcosa di più di un semplice ricordo.
Non guardavi me, è questo che forse mi ha fatto male.
Non mi hai mai guardato negli occhi, mai uscite dalle tue labbra parole come il famigerato "ti voglio bene", non ho mai trovato nelle tue braccia un rifugio perché ne ignoravo l'esistenza.
Ora sono passati quattro anni da quando ho chiuso la porta di casa tua, ma a mancarmi non è la tua casa e tantomeno i tuoi soldi, bensì sapere di averti e di non poterti chiamare. Sai, molta gente litiga, va via e non ha la possibilità di parlarsi e chiarire.
Io voglio essere l'eccezione.
E non per ambizione di presunzione, bensì per ambizione di buonsenso.
Voglio poter dire un giorno ai miei figli che non è l'amore la prima cosa al mondo, che senza amore non si vive, certo, ma è il perdono ciò di cui non si può fare a meno.
Vorrei poter dire un giorno che nella mia vita ci sono stati dei punti fissi, sempre e dovunque, come quel merlo dal becco arancione nel parco pubblico vicino casa nostra e quel pezzo malandato di tronco vicino alla panchina che noi abbiamo definito nostra.
Parlavamo poco, è vero, ma solo ora so che la tua sofferenza è stata anche la mia e che il nostro allontanamento è stato conseguenza di una mancata discussione fra me e te.
Avrei preferito mille volte di più parlarti che ignorarti.
Sono incoerente, malato d'orgoglio ed è sbagliato, lo riconosco.
Vorrei solo poterti abbracciare e magari chiederti scusa per tutte le parole buttate fuori dalle labbra senza essere pesate.
La mia vita è fatta più di cazzate che di cose intelligenti e ti chiedo perdono per il coinvolgimento.
Perdona questo mio carattere: so che ho sbagliato, ma volevo vivere anch'io, sperimentare la libertà tanto celebrata da tutti.
Perdona tuo figlio, papà.
Perdonateci, tutti voi.
Louis, uno dei tanti.
N. Parole: 1177
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