6. ABBANDONO 🖤
Sola, navigavo nel fiume.
Seduta inerme su una ruvida barca di legno.
Mi sospingeva verso l'ignoto e oscuro orizzonte.
L'acqua nera era torbida e acquitrinosa.
Dalla superficie evaporava una leggera e candida foschia.
La luna illuminava il mio volto cereo, sciupato e spento come quello di un fantasma.
Attorno a me la nera vegetazione riposava serena, avvolta in un perpetuo silenzio.
Mi lasciai cullare dalla pacata marea.
Non avevo più voglia di vivere, non avevo più voglia di lottare.
Basta!
Volevo solo annegare.
Volevo solo che la corrente mi portasse via lontano, per sempre.
Mi distesi.
Chiusi gli occhi e mi lasciai andare negli abissi della mia sofferenza.
Non dimenticherò mai la profonda, immensa, serena pacatezza, di questo fiume, nascosto tra le alte montagne.
In quella notte umida e fredda.
Il cielo era blu, velato di nuvole grigie, svelò timidamente le prime stelle argentate.
La notte oscura andava calando a valle.
Le vette dei monti si unirono al color del cielo. Abbracciarono il fiume che riposava tranquillo, cullato dall'aria fresca del pineto.
Un pesce guizzò fuori dalla superficie.
Mi ridestai, spaventata.
Uno stormo di neri corvi si disperse tra i fitti boschi.
Le barca ondeggiò e si fermò in mezzo al fiume.
Le fronde verdi dei salici piangenti si inchinarono davanti al lago.
Due trasparenti lacrime rigarono il mio volto.
Ero persa, sola e abbandonata.
Avvertii un sordo gorgoglio, seguito da un sussurro lamentoso.
Appoggiai le mani ai bordi della barca.
La luna era scomparsa dietro il manto di nubi plumbee.
I cespugli, attorno a me, presero a ondeggiare all'unisono.
Dai loro rami giungevano rauchi grugniti
Due occhi verdi romboidali si spalancarono di fronte a me.
Un raggio di luna illuminò un'ombra frastagliata a prua.
Sotto la barca udii un tonfo.
Sobbalzai e mi protesi in avanti. I miei occhi si incrociarono con un altro paio di sfere verdi.
Mi allontanai piano, cercando di non far oscillare troppo la barca.
Davanti a me si aprì un esercito di una miriade di iridi maligne.
Erano qui che mi scrutavano, immobili.
Non sapevo che creature fossero e perché erano lì, mi fissavano con tale insistenza.
Avvertii un altro tonfo, più forte e deciso.
A destra della barca vidi spuntare una zampa nera e pelosa, coperta da una fila di grosse ventose vitree e pulsanti.
Sgranai gli occhi e indietreggiai fino a poppa.
La miriade di occhi si stava lentamente avvicinando.
Un raggio di luna squarciò le nuvole rivelando i contorni delle oscure creature.
Avevano la pelle rugosa e frastagliata coperta da infinite squame quadrate incastonate le une sulle altre come i pezzi di un mosaico. Il muso allungato era scavato da profonde e nere narici. A ogni soffio spruzzavano zampilli d'acqua.
Mi vennero incontro e mi circondarono.
Un'altra zampa si insinuò nella barca.
L'avevano bloccata in mezzo al fiume.
Un profondo rantolo echeggiò nella notte.
Davanti a me un coccodrillo si levò dall'acqua mostrandosi nella sua totale bruttezza e mostruosità.
Era un gigante, aveva le zampe di una tarantola velenosa.
Spalancai la bocca, ma non uscì alcun urlo.
Ero troppo stanca. Il mio fiato era diventato lento e impercettibile.
Ero troppo stanca. Avevo il corpo indolenzito, ogni mio arto stava perdendo forza e vitalità.
Ero troppo stanca. Volevo piangere, ma non avevo più lacrime.
Mi sentivo malata.
Il mostro si pose sopra di me, con sguardo minaccioso, pronto a sfidare ogni mio movimento.
Le sue ventose strisciarono lungo le braccia e le gambe, si attorcigliarono attorno al mio bacino e al mio petto.
Mi strinsero forte, mozzando il mio respiro.
Volevano strapparmi la pelle.
Serrai gli occhi, implorando di non provare troppo dolore.
Un grido acuto e sconosciuto squarciò la notte.
Il coccodrillo mi lasciò andare e insieme agli altri si allontanò veloce, rintanandosi nei cespugli sulle sponde del fiume.
Mi protesi verso la prua. Nell'acqua potevo vedere solo il mio diafano e smorto riflesso.
Dov'era la felicità e il mio caldo sorriso?
Una goccia cadde dal cielo, un'altra picchiettò sulla murata della barca. Una bagnò il dorso della mia mano sinistra.
Il cielo plumbeo piangeva tristi lacrime, aveva preso il posto dei miei occhi.
Un solitario faggio scheletrico perdeva le sue secche e nere foglie.
Un vento gelido si levò, soffiando verso l'ignoto occidente.
Sospinse la barca a proseguire lungo il fiume.
Le nuvole dense e candide abbracciavano le aride e bruni terre in un manto di nebbia fredda.
Veniva un lamento dai campi. Veniva un singulto di solitudine.
Sussultai. Mi portai una mano al petto.
Veniva un pianto di dolore.
Sulle cime innevate delle colline i corvi gracchiavano inquieti.
Veniva ancora, un pianto di morte.
Navigavo sola, persa, abbandonata al mio destino. Avevo smarrito la via.
Giacevo immobile, coccolata solo da un manto di grigia e umida nebbia.
Il silenzio donò un lieve e fugace conforto alla mia anima rotta.
Venni invasa da un forte dolore alle tempie. Gemetti. Mi presi la nuca fra le mani.
Nella mia mente implose un tremendo caos: rumoroso, assordante, incessante.
Aveva il colore delle profonde tenebre. Le onde schiumose dei miei infiniti pensieri si infrangevano sulle tempie, non cessavano di pulsare.
Le idee si dissolsero come granuli di cenere, scomparendo nel gelido vento.
I sentimenti si impigliarono nelle vaporose e bianche ragnatele, marcirono lenti.
Ero frastornata da mille emozioni diverse e discordanti.
Non comprendevo più... Non sapevo più chi ero. Non sapevo più cosa volevo. Non ero più io.
L'ansia stava consumando la mia linfa vitale. L'angoscia rendeva affannoso il respiro.
Non avevo più forza, né coraggio di combattere.
La via di casa era ormai lontana e dimenticata.
Non mi stupivo più, non gioivo più. Non volevo più sognare, non amavo più.
Mai più!
Volevo essere nessuno: un leggero fantasma dimenticato dal mondo.
La mia anima sprofondò lenta e silenziosa in una soffice coperta.
Ero straziata da immortale sofferenza, logorata dall'eterno Male. Imprigionata in un Inferno infinito di lacrime soffocate.
Avvertii una sibilo serpentino sussurrami qualcosa all'orecchio.
Era lì che mi fissava, aveva sbiadito il mio riflesso.
Aveva un viso dai lineamenti dolci e aggraziati.
La pelle liscia e pallida. Labbra cremisi e vellutate di una rosa appena sbocciata. Due tondi occhi screziati di viola. Una chioma platinata e liscia le copriva i nudi seni. Era un incanto ammaliante.
Dentro di me nacque un forte desiderio di possedere la sua eterea bellezza.
D'istinto, allungai un braccio per afferrarle il collo.
Rispose con un ghigno perfido e scattò in avanti, infastidita.
Si trasformò in orribile bestia.
Indietreggiai fino a poppa, ma lei fu più veloce. Mi acciuffò e si pose sopra di me, intrappolandomi in un abbraccio freddo e viscido.
La sua coda d'anguilla si attorcigliò attorno alle mie gambe, trattenendole salde e strette.
Con una mano palmata mi prese per il collo. Le sue unghie aguzze e giallognole bucarono la mia pelle. Rivoli di fresco sangue presero a scendere lungo il mio petto e le mie spalle.
Spalancò la bocca in un sorriso malefico, rivelando due fila di affilati denti come lame.
Dall'oscurità della sua gola, fuori uscì una striscia di lingua biforcuta. Mi leccò una guancia, lasciandomi appiccicata una scia di bava verdastra.
Voleva possedermi.
Mi abbandonai alla sirena, al suo potere, ma lei si ritrasse e guizzò via. Scomparve nelle nere acque del fiume.
La notte era sempre più oscura, più nera delle Tenebre.
Un coro di grilli cantava fra gli steli d'erba.
L'assiolo bubbolò in cerca del suo amore.
Un bagliore di speranza scaturì dalla mia anima, vedendo un leggiadro pipistrello volare verso l'alto.
Andò incontro alla cerea Luna. Lo inghiottì nel suo urlo disperato, dissolvendo la sua vita, per sempre.
Un soffio d'aria fresca mi accarezzò il viso.
Altre plumbee nubi sopraggiunsero minacciose, ferendo il firmamento. Un bagliore improvviso riaccese la notte.
Accecata, caddi. Immobile. Silenziosa.
Distrutta dalle perfide e sibilanti voci dei demoni dentro il mio cervello, una cella impolverata in cui un popolo di orripilanti tarantole tessevano altri mille pensieri maligni.
Rotta dagli artigli del Diavolo che aveva deciso di rapirmi e condurmi fra i Maledetti e i Dannati.
Senza speranze, senza coraggio, senza voglia di combattere.
Un'anima rotta senza cuore, incapace di amare.
Senza felicità, senza musica, senza colori. In me regnava il profondo vuoto.
Con il tempo la Speranza si era dissipata come polvere. Il vento della tempesta l'aveva liberata e cacciata via dal corpo.
La pioggia giunse incessante malinconica. Andò a inzuppare i miei capelli e i brandelli del mio abito.
Un tremendo ruggito squarciò il cielo, piangeva incessanti lacrime di un'anima sola, persa e abbandonata.
Il dolore stava consumando lentamente il mio debole corpo e prosciugando la dolce e vermiglia linfa, di una vita che attende solo la Morte Nera.
Mi lasciai adagiare sulle assi di legno, sotto questo piangente e tetro cielo.
Sempre più vicina al nero orizzonte, dove il fiume pareva cadere in un abisso di un oscuro e profondo infinito.
Dalla superficie riaffiorarono una esercito di famelici pesci carnivori.
Assalirono la barca. Presero a morderla con i loro affilati denti brillanti come diamanti.
Mi dimena con forza e provai a scacciarli via, ma mi presero e mi morsero i polpacci e le braccia.
L'acqua era inzuppata di un vivo rosso.
Stavo lentamente annegando.
Il mio corpo terrorizzato e dolente stava annaspando nel fiume, in cerca di aria, in cerca di un appiglio.
Stavo soffocando nel mio denso sangue.
Sopra di me vidi incombere un'oscura ombra voluminosa con sette teste.
La più grande si protese verso di me e mi inghiottì.
Caddi nell'oscurità.
Abbandonata alla mia crescente malattia.
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