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Madeline correva nel buio della notte, scappava da ombre che parevano inseguirla, turbinare intorno a lei . Un senso di angoscia soffocante le opprimeva il petto, la sua testa scattava continuamente per guardare se i suoi passi venissero seguiti da qualcuno. I suoi occhi guizzavano da una parte all'altra a un ritmo troppo veloce perché lei potesse controllarli. Che fare? Dove andare?
Qualsiasi rumore o luce lanciava il suo sguardo a indagare nel buio, a scrutare nell'oscurità, l'ansia distorceva le sue percezioni, le tenebre danzavano intorno a lei. Ansimava come un cane col guinzaglio troppo stretto, il ritmo concitato del suo respiro le impediva di pensare lucidamente.
Non avrebbe saputo quantificare da quanto tempo stesse correndo, tutto ciò che importava a Madeline era fuggire in un posto sicuro, le luci le sembravano accecanti, benché fosse immersa nel silenzio trovava assordante l'assenza di alcun rumore, inquietanti persino le ombre gettate dai lampioni sull'asfalto sforacchiato. I rami degli alberi spogli si stiracchiavano verso il cielo come braccia di scheletri emersi dalla terra, le loro ossa scabre erano agitate da una corrente fredda che faceva tichettare i bastoncini tra loro, i cespugli più bassi frustavano il viso di Madeline e si impigliavano tra i suoi capelli tirandoli selvaggiamente. La paura le aveva messo le ali ai piedi, ma il suo corpo cominciava a dare segni di cedimento. Cercò di ignorare la fatica, non poteva fermarsi, non DOVEVA fermarsi per nessun motivo.
Il sudore gocciolava dalla sua fronte, sentí improvvisamente il sapore ferroso del sangue toccare la sua lingua. L'acido lattico stava entrando in circolo e sentiva le gambe sempre più pesanti.
Il suo fiato pesante si condensava in nuvolette che superava velocemente, come gas di scarico emesso da un'auto.
Non sarebbe resistita ancora per molto se non si fosse fermata, interruppe la sua folle corsa e respirò a pieni polmoni appoggiandosi a un albero. Pregò Dio che nessuno l'avesse vista, il battito del suo cuore le rimbombava nelle orecchie come una grancassa da fanfara, fastidioso e terrificante per la sua velocità, tuttavia era l'unico suono che era in grado di udire. Le sagome degli alberi circostanti erano immerse nelle tenebre e la fioca luce dei lampioni e della luna rendeva visibili solo  contorni sfumati di tronchi inscheletriti. L'aria fredda penetrò con forza le sue narici e la sua bocca, come una lama di coltello immersa a fondo nella trachea.
Cercò disperatamente di ordinare i pensieri, tentò di imporsi di calmarsi ma un senso crescente di urgenza e angoscia tornò a opprimerle il petto. Si sentiva soffocare, l'ansia non le lasciava scampo e stringeva il suo collo come strangolandola. Si sedette alla base dell'albero, le radici dure sotto di lei le ricordarono che non aveva tempo di riposarsi, avrebbe dovuto continuare a correre. Madeline si prese la testa tra le mani, non aveva nemmeno la forza di piangere. Tutto intorno a lei rimase immobile e immerso in un enigmatico silenzio fino a quando il vento non prese ad agitare vorticosamente la boscaglia intorno a lei. Madeline si frizionò le braccia per il freddo e si accorse di avere le dita sporche di sangue, non avrebbe saputo dire se il suo o quello di Steve.
Quando appena un'ora prima aveva affondato un coltello nel suo fegato non aveva immaginato che ci potesse essere un tale spargimento di sangue e budella. Il picco di adrenalina era stato raggiunto, ora l'eccitazione stava cominciando a scemare. Le tenebre circostanti apparivano macabre e inquietanti, ora che il vento agitava le poche foglie ancora disperatamente aggrappato ai rami la luce era frammentata e guizzante in mille scintille impazzite.
Il vento parve diminuire il suo furioso soffiare e Madeline si concesse di tirare un sospiro se non di sollievo , almeno di apparente quiete.
Improvvisamente sentí il sangue gelarsi nelle vene, udì un rumore che somigliava molto, troppo, a quello di un rametto spezzato.
Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa: un animale, un albero scosso dal vento. Si alzò in piedi di scatto e frugò nel buio con gli occhi spalancati, per un attimo temette che le stessero per schizzare fuori dalle orbite.
"Chi va là?" chiese guardinga.
Le tenebre non risposero, tutto era tornato a giacere in un inquietante silenzio. Madeline si cristallizzò sul posto come una statua di sale, rimase immobile a osservare terrorizzata il buio circostante aspettandosi di veder sbucare qualcosa o qualcuno in qualsiasi istante. Tese l'orecchio, ma l'unico suono che fu in grado di percepire fu il suo respiro sempre  più affannoso e il rimbombo del suo battito cardiaco. L'ansia dell'attesa per l'ignoto la logorava, aveva i nervi a fior di pelle e l'adrenalina le stava rientrando in circolo.
Dopo un tempo che le parve indefinito si arrese e decise che qualunque cosa fosse stata doveva essere innocua per lei. Madeline si accasciò ai piedi dell'albero e si mise finalmente a piangere, la tensione si sciolse e le lacrime fluirono abbondanti dai suoi occhi. Quando ebbe finito di sfogare le emozioni che l'avevano oppressa riprese a guardarsi intorno. Il buio doveva avere una fine, probabilmente prima o poi sarebbe sorto il sole e quella tremenda notte eterna sarebbe finita. Il tempo scivolava lentamente, come un boa che avvinghia la preda tra le sue spire. D'un tratto Madeline notò una cosa curiosa: uno strano ramo aveva attaccata una foglia sorprendentemente grande, si alzò quanto velocemente le consentì il suo corpo intorpidito. La foglia sembrava avere la forma di una scarpa, perplessa Madeline la osservò meglio e si avvicinò ulteriormente. Trovò davvero strano che non l'avesse notata prima, l'albero era praticamente spoglio. Magari il buio le aveva impedito di guardare bene.
Ormai aveva raggiunto la strana foglia quando Madeline mutò la sua curiosità in orrore. Non era una foglia, era una scarpa vera, e la scarpa era attaccata a un piede che era attaccato a una gamba che era attaccata a un corpo che oscillava tristemente al vento, appeso per il collo tra i rami magri dell'albero come un macabro spaventapasseri.
L'urlo di Madeline fu talmente violento da far tremare tutti i cespugli nelle vicinanze.

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