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"Leandro, dove sei?"
Urló quelle parole che caddero inesorabilmente nel vuoto, vennero stracciate e spinte qua e là dalle raffiche prima di essere per sempre disperse nell'aria umida.
Il vento spirava dal mare tempestoso, freddo e pungente graffiava il volto della fanciulla affacciata al balcone. I giorni passavano lenti e tediosi, un'agonia dolorosa aveva intriso ogni fibra del suo corpo, la nostalgia non le lasciava pace e trascorreva il tempo a desiderare un segno. Uno qualsiasi, anche un lume sarebbe bastato, un messaggio, un volto, una parola.

Leandro era partito da mesi per attraversare il braccio di mare che li divideva, doveva tornare a casa, laggiù avevano bisogno di lui. Certe volte lei non riusciva a reprimere un'acuta e malcelata gelosia, come poteva essere più forte il desiderio di tornare a casa della voglia di restare con lei? Che bisogno poteva avere di lui la sua famiglia ora che era indipendente?
Diverse volte lui aveva fatto trascorrere diverso tempo tra un incontro e l'altro, ma poi era sempre tornato da lei, amabile come un'onda gentile e fedele come un cane.

L'ultima volta che lo aveva visto aveva un sorriso splendente come il sole, raggiante di gioia l'aveva stretta tra le braccia, l'aveva baciata fino a farle venire le gote rosse e aveva cantato per lei a squarciagola. Ora Leandro se n'era andato e di lui non rimaneva che qualche pallida eco, una veste buttata in un angolo, un fiore che le aveva donato, la cetra che le sue dita avevano accarezzato, un libro di poesie che amava recitare...
Anche se la casa era sua ogni cosa non faceva che ricordarle che Leandro era stato lì, che l'aveva amata e le aveva giurato di essere suo per sempre.

La fanciulla chiuse gli occhi e sospirò, il vento freddo giocava coi suoi lunghi capelli, l'inverno stava arrivando e sarebbe stato sempre più difficile vedere il suo amato. Si disse che sarebbe tornato, che non avrebbe tradito la sua promessa. Forse la sua famiglia aveva davvero bisogno di lui e aveva deciso di fermarsi al di là del mare più a lungo, sì doveva essere così . Per nessun motivo al mondo l'avrebbe abbandonata. Sarebbe tornato da lei non appena gli fosse stato possibile, si sarebbe lasciato cullare dalle sue braccia e avrebbe lasciato che le dita della fanciulla si incastrassero nei ricci neri.

Sorrise. Per gli dei, quanto amava Leandro. Lui era il suo sole,la sua luna e tutte le sue stelle, la sua presenza la sostentava come un cibo e il suo amore le scaldava il cuore come fuoco in inverno. Talvolta si ritrovava a pensare che per una fanciulla non era per nulla decoroso amare qualcuno tanto spregiudicatamente: versava su di lui ogni stilla del suo amore, ogni piccola goccia della sua considerazione e del suo affetto erano rivolte a lui. Tuttavia le era impossibile trattenere un sentimento tanto forte, certe volte quando la stringeva si sentiva così felice che avrebbe potuto morirne. Leandro era un giorno quieto dopo mesi di tempesta, era un cielo sereno in mezzo alla burrasca. Quando la baciava le sembrava di volteggiare a un metro da terra e le pareva impossibile che gli dei le avessero riservato una tale fortuna. Cosa aveva fatto per meritarsi tale benedizione? Leandro le apparteneva e le pareva di essere la fanciulla più ricca del mondo. Leandro le apparteneva e lei si sentiva invincibile. Leandro apparteneva a lei e a nessun altro, niente avrebbe potuto tenerlo lontano da lei per sempre.

Un tuono rimbombò distante.
Leandro, dove sei?
Si chiese di nuovo.
Passarono le stagioni, venne inverno, e non ci fu il calore del sorriso del ragazzo a ravvivare le sue giornate buie, non ci fu l'ardore dei suoi baci e dei suoi abbracci, non ci fu il suo corpo a scaldarla sotto le coperte. Non ci fu la sua voce ad allietare le notti buie, non ci fu il suo braccio ad avvolgerla per farla sentire protetta e sicura, non ci fu il suo grido alla vista della neve e non ci fu nemmeno il suo sguardo malinconco rivolto al mare grigio.

Venne la primavera e di Leandro ancora nessun segno. La fanciulla pianse, pianse così tanto che credette di morirne, le passò l'appetito e il sonno, certe notti vagava per la casa come uno spettro tenendo in mano un lume e chiedendo alla luna:" Leandro, dove sei?"
Naturalmente la luna non le rispondeva, la lasciava crogiolarsi in un crudele ed enigmatico silenzio versando sui prati e sul mare la sua luce argentea.
Venne la primavera e non ci furono le risate di Leandro alla vista degli uccelli che s'inseguivano nel cielo, non ci furono passeggiate in riva al mare, non ci furono mazzi di fiori o ceste di frutta consumate insieme mentre scendeva la sera, non ci furono canti o danze per festeggiare la bella stagione.
La fanciulla si graffiava il volto in preda al furore della sofferenza.
"Leandro, dove sei?" Chiese un giorno disperata al suo riflesso nello specchio, quante volte si erano rimirati mentre si abbracciavano, belli come dei. Quante volte aveva desiderato che la loro immagine si fermasse e rimanesse impressa per sempre sulla superficie.

Venne poi l'estate e l'animo della fanciulla era consumato dal dolore. Leandro non venne neanche nei caldi e soleggiati mesi di giugno, luglio, agosto. Venne il sole cocente e non ci furono i freschi tuffi nell'Egeo quando, folli di gioia, si lanciavano tra le onde spumeggianti. Vennero i tramonti e non ci furono le braccia di Leandro a circondarla mentre osservava il sole annegare in mare, non ci furono racconti di miti e storie mentre osservavano il formicolio delle stelle in cielo, non le furono offerte conchiglie in dono, lucenti di madreperla. Una tiepida notte estiva la fanciulla, non più in grado di staccare gli occhi dalle costellazioni, supplicò anche le stelle di darle una risposta, un segno, una visione.
"Leandro, dove sei? Ti prego, rispondimi" disperata si accasciò a terra e pianse tutte le lacrime che le erano rimaste. Tutto il dolore per l'assenza di lui fluiva in lei come una linfa velenosa, un'accidia indolente invase la sua vita. Desiderava solo che la sua anima si staccasse dal suo corpo per prendere il volo e poter superare il mare. L'Egeo che aveva tanto amato ora costituiva una muraglia insormontabile, il confine della sua prigionia, insopportabile senza Leandro. Claudicante per la debolezza si aggirò ancora una volta per la casa, ancora una volta invocando gli dei, la madre, il mare, qualsiasi cosa avesse vita sulla terra. Implorava che le fosse restituito Leandro, supplicava con tanto fervore che avrebbe commosso il tiranno più crudele, i suoi occhi, animati da una scintilla di follia, luccicavano di lacrime perlate. Cadde sulle ginocchia, un urlo lacerante scosse la sua gola e tutta la terra. La fanciulla affondò le dita nei suoi morbidi capelli.
"Leandro, dove sei?" Le sue urla, non più suppliche di pietà ma vere e proprie grida di battaglia, spaventavano gli uccelli. Corse come una baccante invasata dal dio, pazza di dolore. Svuotata di ogni umanità, percepiva solo sofferenza, come se il cuore le fosse stato brutalmente strappato dal petto, tormentata da un'agonia furiosa.
"Leandro, dove sei?" Si ostinava a chiedere la voce che non possedeva più nulla di umano, simile a quella di una creatura dell'Ade, produceva suoni e singhiozzi scomposti, sospiri e gemiti.
Non una creatura vivente le dava risposta, non un dio, non una ninfa, un satiro, un animale, una pianta. Ogni cosa era chiusa in un enigmatico silenzio, ostinato e impenetrabile. Pareva che il mondo non volesse darle risposta e porre fine si suoi tormenti, le sarebbe bastato un cenno, una parola, un suono, qualsiasi cosa. Invocava ora il suo nome come quello di una divinità riempiendo di amore agonizzante ogni sillaba e versando lacrime amare su ogni lettera.
"Leandro, dove sei?"
Non potendo più sopportare la sua assenza il suo corpo decise per lei. Si recò con inerte accidia alla scogliera, gridava a ogni passo e barcollava come una nave scossa dal vento.
Caracollando verso il punto più alto capí che senza di lui non era possibile vivere, invocando il suo nome per l'ultima volta, Ero si lanciò in un tuffo disperato annaspando tra le nuvole per atterrare dolcemente tra i flutti del mare. Gli dei misericordiosi fecero del blu intenso dell'Egeo la sua splendida tomba.
Talvolta ascoltando le onde scagliarsi disperatamente sulla roccia si può udire l'eco lontana delle sue suppliche.
"Leandro, dove sei?"

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