Capitolo Dodici.
CAPITOLO 12.
Il viaggio in macchina con quei tizi sembrò interminabile, nel corso del tragitto riuscii a malapena a scorgere qualche particolare fuori dal finestrino, cercando però in tutti i modi di farmi notare il meno possibile.
Grazie ad un cartello visto dopo dieci minuti di viaggio, capì che avevamo lasciato New York, e soprattutto che ci stavamo dirigendo in un paesino sconosciuto a non molti kilometri dalla Grande mela.
Nonostante sentivo continue battute su di me da parte di Garrett, cercavo di far finta di dormire, in modo da captare quante più informazioni potevo.
E per quanto vi potrà sembrare assurdo, funzionò!
Sentì parlare il guidatore di una festa, una specie di ricevimento che si doveva tenere quella sera stessa nella residenza in campagna di Garrett.
Assorta nei miei pensieri,mi accorsi tramite una brusca frenata, di essere arrivata a destinazione. Mi alzai lentamente e scesi dalla macchina, scortata da quelle scimmie ben vestite che erano i suoi collaboratori.
Entrammo nella casa, lussuosa come poche, al centro padroneggiava una grossa scalinata che conduceva ad un meraviglioso soppalco al secondo piano della casa. Molti quadri, sia riproduzioni d'arte che fotografie di famiglia, decoravano le ampie e alte pareti.
Vidi alcune foto di Harry da piccolo, mentre imparava ad andare a cavallo, ed altre dove addirittura aveva vinto dei premi in gare nazionali.
Il mio sguardo però fu magneticamente attratto da un'enorme quadro che occupava quasi un'intera parete della casa, a causa della sua spropositata grandezza.
Lo fissai con aria incuriosita, sapevo benissimo il suo nome.
L'arte era sempre stata una mia grandissima passione, mio padre è stato il primo a trasmettermela, il suo lavoro è quello del restauratore, principalmente di statue, ma avendo frequentato l'accademia d'arte era un esperto in qualsiasi campo.
Io invece, come una spugna, avevo assorbito tutte quelle nozioni che lui mi spiegava volta per volta, diventando una vera esperta ed appassionata.
Ricordo in maniera davvero nitida il primo quadro di cui mio padre mi parlò, quello che era il suo preferito, e che divenne ben presto anche il mio, la "Gioia di vivere" di Henri Matisse.
Sicuramente voi, come tutti quelli che lo guardano la prima volta, potreste rimanerne delusi, visivamente non assomiglia ai grandi e perfetti elaborati del cinquecento, ma la sua storia colpisce chiunque sia abbastanza attento da riuscirla a percepire.
Il quadro risponde ad una semplice ma interessante domanda.
Perchè siamo così felici di vivere?
Per ognuno di noi il motivo sarà diverso, legato a questioni personali, per Matisse la gioia della vita erano i colori.
Dal giallo al blu, dal verde al rosso, Matisse vedeva in loro la meraviglia della vita, la felicità che il nostro occhio captava in quelle mille sfumature.
Potrei parlarvene all'infinito di quel quadro e di cosa esso significa per me, ma i mille pensieri che mi riaffiorarono guardandolo si interruppero improvvisamente.
Rimasi immobile, quasi senza fiato, fissando il quadro con occhi sgranati.
Dovete sapere, che tutte le riproduzioni di quadri, false ovviamente, non hanno mai la firma del pittore originale, essendo delle semplici "fotocopie".
Eppure quel quadro aveva un'enorme firma che padroneggiava l'angolo destro.
"H.Matisse"
Un solo strano pensiero frullava oramai nella mia testa, possibile che quel quadro fosse vero?
Lo aveva rubato?
Avrei scommesso tutto quello che avevo in quel momento che quel quadro si trovasse nel museo di Philadelphia, lo avevo visitato da piccola, ed ero sicurissima che non fosse mai stato in vendita.
Il mio sesto senso non mi ingannava, quello non era un falso, e ne ebbi la conferma toccandolo, riuscendo a sentire le pennellate e i vari strati di pittura che lo componevano, dandogni una superficie piuttosto ondulata.
<< Bene bene, vedo che ti piace l'arte >>
Sobbalzai allontanando la mano dal quadro. Martin Garret era entrato nell'enorme atrio della sua casa, intento a togliersi il suo lungo giaccone nero.
Si avvicinò pian piano a me, con uno sguardo meravigliato, sempre fisso sull'enorme dipinto.
<< Notai a casa tua una riproduzione di un quadro di Matisse, allora immaginai egli fosse il tuo pittore preferito, ecco perché ho scelto lui per iniziare. >>
<< Per iniziare cosa? >> Chiesi io perplessa ed intimorita.
<< Quello per cui sei qui >>
Non capivo, per cosa ero lì?
Avevo davvero tanta intenzione di chiederglielo ma lui mi interruppe, continuando il suo discorso.
<< Vedi Amber, per quanto tu mi stia mettendo i bastoni tra le ruote da più di due mesi, ti ritengo un'ottima agente, molto talentuosa. È per questo che ho deciso che tu, da oggi, smetterai di lavorare per l'FBI >>
<< Certo, e lo ha deciso lei al posto mio signor Garrett? >>
Risposi ridendo.
<< Certo che si >> Disse lui tranquillamente << O meglio, aiuterai me nella mia missione, mandando piste del tutto diverse al tuo ufficio di lavoro. >>
<< E cosa le fa credere che io accetterò tutto questo? >> Risposi spavalda.
<< Oh, si che lo farai Amber. Lo farai per Harry >>
<< Non metta in mezzo suo figlio! >>
<< La storia di mio figlio te la spiegherò un altro giorno, non vorrei rovinarti le mille sorprese che ti attendono. Ah, dimenticavo, ti ho riservato una camera, lavati,vestiti e preparati in maniera decente che questa sera avremo ospiti >>
Il mio sguardo era sconcertato.
Era per caso impazzito?
Voleva farmi lavorare per lui come trafficante d'arte?
E poi pretendeva anche che io partecipassi ad un'ipotetica festa come se niente fosse, come se io e lui fossimo amici da anni!
Tentai di esprimere il mio disappunto, spiegando e sbraitando che non mi sarei mai abbassata a tanto, ma purtroppo le mie proteste furono inutili, tanto che fui costretta ad accettare.
Mi colpì nel mio punto debole.
Non potevo mettere Harry in pericolo, io me la sarei cavata in qualche modo, sarei riuscita a scappare, dopotutto non era la prima situazione del genere in cui mi trovavo, ma non potevo permettere che lui venisse ridotto come la scorsa volta a causa mia.
Uno strano signore, vestito in giacca e cravatta si avvicinò a me, mettendomi un sottile braccialetto dorato alla caviglia.
<< Oro dodici karati Amber, consideralo un regalo >> Disse Garrett sorridendo
<< Credi sia così ingenua da non aver visto che è un localizzatore? >>
Risposi sfacciata, sorridendo.
Lui si girò, guardandomi e ricambiando il sorriso, con un'espressione estasiata.
<< Ho sempre saputo fossi una in gamba >>
Dopo aver pronunciato queste parole, andò semplicemente via, raccomandando una povera signora che lavorava come domestica di accompagnarmi nella mia stanza.
Il suo nome, da quel che potetti sentire, era Maria, e man mano che si avvicinava verso di me potevo intuire che in realtà era giovanissima.
Il suo viso era solcato da mille vicende, e le raccontava tutte, nonostante avesse lo sguardo triste ero stranamente convinta che non avesse più di vent'anni.
Lei mi accompagnò gentilmente su per le scale, portandomi all'interno di una camera enorme, tutta sui toni e sulle sfumature del marrone, con un'enorme scatolo bianco poggiato sul letto.
Entrammo entrambe all'interno della stanza e, mentre io fissavo i dettagli esterrefatta, Maria aprì le grosse e pesanti tende, facendo filtrare la leggera e fredda luce invernale.
Mi sedetti sul letto, poggiando la borsa su di esso,mentre fissavo quella ragazza come una bambina curiosa.
<< Maria? >> Esordì io rompendo il ghiaccio.
<< Si, signorina? >> Rispose timidamente.
<< Non chiamarmi signorina, ti prego, Hailey va più che bene. >>
Lei mi sorrise dolcemente, come se nessuno mai le avesse parlato con un tono come il mio, caldo e cordiale.
<< Sembri giovanissima, quanti anni hai? >> Continuai.
<< Ventidue appena compiuti, lo scorso mese! >>
Lo immaginavo, era più giovane di me, lo potevo capire dal suo dolce viso, che mi ricordava da impazzire quello di una bimba. Iniziammo a parlare, la feci sedere sul letto, parlando del più e del meno.
Era una ragazza intelligentissima e davvero cordiale, tanto che in poco tempo l'imbarazzo che circondava i primi minuti, sparì definitivamente.
Lei mi raccontò di come il Signor Hadid, o almeno lei lo conosceva con questo nome, le diede aiuto nel corso degli anni, sia per lei che per la sua famiglia.
Dopo pochi minuti spesi a chiacchierare, uscì fuori il carattere frizzante che aveva, non riusciva più a smettere di parlare e di raccontarmi tutte le sue vicende, probabilmente a causa del tanto tempo che aveva passato da sola rinchiusa in questo posto a lavorare.
Dopo una lunga sessione di chiacchiere, decidemmo insieme di aprire il grande scatolo al centro del letto, quasi divorate dalla curiosità.
L'intera scatola era bianca, con una scritta nera e semplice al centro: VALENTINO.
Aprendola rimasi esterrefatta, ma perplessa al tempo stesso.
Un lungo tubino rosso era piegato al suo interno, tra tantissimi strati di carta velina che lo proteggevano,quasi fosse un tesoro.
Lo scollo a barca metteva in risalto il décolleté e le spalle, mentre il resto della stoffa scendeva stretta, fasciando la forma a clessidra del mio corpo.
All'interno del pacco notai anche un paio di scarpe e qualche gioiello, che a causa della luce del sole risplendeva all'interno di tutta la stanza.
<< E questi cosa sono? >>
Chiesi perplessa.
<< L'occorente per il ricevimento di questa sera, a cui tu parteciperai >> Rispose la solita voce familiare.
Mi girai e Garrett era lì, sull'uscio della porta. Possibile che quell'uomo avesse l'abilità di spuntare sempre nei momenti meno opportuni?
Maria, estremamente intimorita, balzò in piedi, uscendo immediatamente fuori dalla stanza.
<< Parteciperò ad una sola condizione, che tu mi escluda dalla tua idea malata di traffico d'arte. >>
<< Qui le regole le detto io, sappilo. Tu parteciperai al ricevimento questa sera, e poi potrai tornare a casa, opportunamente controllata s'intende, non vorremmo che spifferi casualmente tutto ai tuoi amici. >>
Mi sorrise con la sua solita aria spavalda, mentre si avvicinava alla porta, intento ad uscire.
Si fermò lentamente appena sull'uscio, ri-girandosi e fissandomi nuovamente.
<< Ovviamente avrai delle spie addosso, racconta tutto ai tuoi amici e puoi salutare per sempre mio figlio. Come si dice, a buon intenditor poche parole >>
La sua sagoma scomparve dietro la figura di legno della porta, mentre io ero lì ferma, immobile e ammutolita per la prima volta nella mia vita.
Ero costretta a fare momentaneamente quello che mi chiedeva, in seguito avrei pensato al resto, a cosa fare per raccontare tutto a Luke e Emma.
Anche se controvoglia andai a lavarmi, intenta ad essere pronta per quell'odioso ricevimento.
Avrebbero festeggiato il furto di un quadro, i miei complimenti, immagino gli invitati siano persone per bene tanto quanto lo era il signor Garrett.
Con l'aiuto di Maria e di un'altra ragazza, mandata appositamente per controllare me, mi preparai in tempo per le nove di sera.
Dovetti ammettere che, nonostante non ero un'amante della moda e dello stile in generale, quell'abito era mozzafiato.
Sensuale al punto giusto, senza sfociare in alcun tipo di volgarità.
In men che non si dica l'orologio segnò le otto e trenta, orario d'inizio di quello strano evento.
Mi sentivo estremamente a disagio, sembravo una donna d'alta classe, con quel vestito fantastico, i capelli mossi, il trucco e i gioielli.
Eravamo tutti nell'atrio, potevo contare più di una cinquantina di persone, tutti ad aspettare l'uscita trionfale di Martin Garrett che da un momento all'altro sarebbe dovuto scendere per le scale.
Non appena vidi la folla agitarsi e applaudire come se non ci fosse un domani, riuscì a scorgere la chioma brizzolata del papà di Harry, intento ad atteggiarsi come una celebrità.
Ricordo poi che balzai improvvisamente quando sentii una grossa mano poggiarsi violentemente sulla mia spalla, tirandomi all'indietro verso il portone.
Uscendo dalla casa, sentii il portone sbattere, mi girai di scatto, vedendo il viso di Harry visibilmente nervoso.
Mi fissava incredulo, un'espressione difficile da decifrare, sembrava sapesse qualcosa.
<< Cosa diamine ci fai tu qui?>>
Mi urlò in faccia, talmente tanto da farmi assumere un'espressione da vero e proprio cane bastonato.
Cavolo.
Cosa sarei stata capace di inventare ora?
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