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Mister Pizza

Parcheggio lo Scooter davanti al portone del palazzo Collina Verde ai Parioli.

Forza, faccio questa consegna e poi vado a casa, penso tra me sbuffando e ruotando il polso: il mio smartwatch si illumina mostrandomi che sono già le ventidue e trenta.

Con un dito scorro i cognomi sul citofono, eccolo.

Neeee sento premendo il tasto.

Nessuna risposta. Scuoto la testa.

Premo di nuovo: Neeeeeeee.

"Chi è?" risponde una voce femminile strascicata che distinguo appena tra la musica di sottofondo.

"Servizio pizze da asporto Mister Pizza, scende?" dico tutto d'un fiato.

"Terzo piano" sento interrompere la comunicazione e lo scatto dell'apertura.

Fisso il citofono. Fanc... trattengo l'insulto.

Stacco la borsa termica dal portapacchi.

Dai, è l'ultima, va bene, salgo al piano anche se non è previsto, consegno e me ne torno a casa dalla mia Titty che mi starà aspettando accoccolata accanto alla ciotola.

Spingo il portone di legno scuro intarsiato caricando tutto il mio peso sulla spalla destra.

Sorreggo con entrambe le braccia la borsa termica contenente le cinque pizze e socchiudo gli occhi quando la luce automatica illumina le pareti bianche dell'androne.

Entro controllando con la punta delle sneakers che il pavimento di marmo lucido non sia anche scivoloso.

Ecco l'ascensore a destra.

È già qui, mi tiro indietro con la schiena per far sbucare da sotto la borsa termica l'indice della mano sinistra, schiaccio il tasto di chiamata, si aprono le due porte scorrevoli, entro e con la stessa tecnica del dito sporgente seleziono il pulsante del terzo piano.

Sbuffo voltandomi a guardarmi nello specchio. La borsa termica mi copre fino alle spalle.

Ho ancora il casco in testa e sento che i miei capelli si stanno incollando alla nuca. Avverto il sudore sulla schiena che mi bagna la t-shirt sotto il giubbotto giallo catarifrangente.

Forza, mi ripeto, dopo questa consegna andrò a casa e mi spoglierò, mi fionderò sotto la doccia e mi godrò lo scroscio d'acqua ghiacciata prima sulla testa e dopo su tutto il corpo.

Esco sul pianerottolo, ci sono tre porte, la musica a tutto volume mi suggerisce che l'appartamento della consegna è questo di fronte a me.

Sì, è questo il cognome, poso la borsa termica sul pavimento e suono il campanello.

La porta si spalanca, di fronte a me una ragazza all'incirca della mia età, guardo il suo top a fascia nero, il piercing gioiello del suo ombelico, i piedi scalzi.

"Buonasera, ecco le pizze" le dico chinandomi per aprire la borsa termica.

"Aspetta qua" mi dice con un broncio sulle labbra.

Lascia la porta aperta e scompare a sinistra ondeggiando i boccoli biondi "Marcooo, le pizze sono arrivate!" la sento urlare sopra la musica.

Oh, abbassa il volume, menomale, penso vedendola con la cosa dell'occhio tornare e maneggiare il telecomando.

Scorro lo sguardo sull'interno della stanza: qui dall'uscio non ho una buona visuale ma noto che il divano di pelle nera è ricoperto da vestiti ammucchiati, il tavolino di fronte ha il ripiano pieno di bicchieri e bottiglie, forse ci sono anche dei piatti con avanzi di cibo.

La pianta nell'angolo a destra è un ficus, anzi, era un ficus. Ora è un insieme di foglie gialle e marroni.

Il mobile alla base della tv è beige, stile modernariato credo, per averne la certezza dovrei guardare meglio sotto i libri e le riviste accumulate sopra.

Osservo la tv sessantacinque pollici attaccata alla parete: trasmette un video di musica Heavy metal.

Ma quanto ci mette, penso tra me, non ce la faccio più, mi manca l'aria, la visiera inizia anche ad appannarsi.

Mi sfilo il casco, inspiro l'aria del pianerottolo, menomale entra un po' di vento dalla finestra a destra, scuoto i capelli per allontanarli dal collo.

Mi chino per appoggiare il casco sul pavimento lucido che anche qui è in marmo.

"Su, dove sono queste pizze, cazzo, ho una fame che muo..." mi alzo e fisso lo sguardo sul ragazzo fermo sotto la porta.

Mi osserva accarezzandosi il mento rasato, poi si appoggia allo stipite della porta e mette la mano sinistra nella tasca dei bermuda verdi, con l'altra, infilata sotto la maglietta grigia, si accarezza la pancia.

Le sue labbra si stendono in un sorriso che non riesco a interpretare.

Mi chino di nuovo, apro la borsa termica e tiro fuori le cinque pizze, sento il calore dei cartoni sotto i palmi delle mani, li porgo al tizio.

Lui non accenna a muoversi, glieli protendo ancora di più.

"Vieni, mettili qui" mi dice scansandosi dalla porta per farmi passare e facendomi strada nella stanza.

Lo seguo sbuffando e scuotendo di nuovo i capelli appiccicati alle guance. Poso i cartoni delle pizze su un mobile a destra che da fuori non avevo visto.

"Sono quaranta euro, grazie" dico con un tono professionale voltandomi verso il tizio.

"Stai scherzando? Per cinque pizze?" mi chiede aggrottando la fronte "Te ne do trenta e siamo a posto" aggiunge squadrandomi dalla testa ai piedi.

"No, mi dispiace, ci sono anche le spese di consegna: sono quaranta euro" dico con tono deciso.

"Non se ne parla proprio, poi la consegna è arrivata con trenta minuti di ritardo, tieni venticinque" dice lanciando i soldi sul mobile e prendendo le pizze.

"No, sono quaranta euro, se no la differenza la devo mettere io" insisto deglutendo.

"Dì, magari sono trenta e la differenza te la intaschi tu" afferma sarcastico, lascia le pizze e si volta a fissarmi posizionando entrambe le mani sul fianchi.

"No, ecco lo scontrino" dico porgendogli un pezzo di carta che sfilo dalla tasca posteriore dei jeans.

Lui non si muove, mi fissa con quegli occhi che solo ora noto essere di un azzurro glaciale.

Guardo le pizze, valuto se riprenderle e portarmele via. Mio padre capirà quando domani alla pizzeria gli racconterò com'è andata.

"Ma lo sai che sei proprio carina?" mi dice interrompendo i miei pensieri.

Il suo sguardo mi percorre per intero, si sofferma sul mio viso e insiste sulle labbra.

Spalanco la bocca dallo stupore e sento un'ondata di calore salirmi da sotto il giubbotto fino a farmi quasi esplodere.

Mi guardo intorno in cerca di una risposta adeguata.

"Oh Marco, ora basta su, l'hai presa in giro abbastanza, dalle i quaranta euro... come se ti mancassero i soldi" dice un ragazzo irrompendo nella stanza e scuotendo la testa con un sorriso sul viso.

"Ti stiamo aspettando di là, se continui a perdere tempo festeggiamo il vostro anniversario di fidanzamento dell'anno prossimo. Guarda che Giulia è incavolata nera" aggiunge.

Il tizio, Marco, mi porge i quanta euro dondolando la testa.

Li strappo dalle sue mani e vado con passo deciso alla porta, mi chino, raccolgo il casco e la borsa termica.

"Dai tesoro, scherzavo" lo sento gridare mentre mi precipito giù per le scale.

Esco dal palazzo, attacco la borsa termica al porta pacchi, metto il casco e salgo sullo Scooter.

Guardo verso l'alto e lo vedo. Lui è lì, affacciato al balcone e mi fissa dall'alto. Non riesco a distinguere bene l'espressione del suo viso, ma mi sembra che rida.

Accendo lo scooter e do un'accelerata per immettermi nella strada.

Dopo duecento metri metto la freccia a destra, esco dal flusso del traffico e accosto, prendo i quaranta euro dalla tasca del giubbotto: trenta li metto nella cassa pizzeria dello Scooter e dieci nel mio portafogli personale...gliel'ho fatta, penso sorridendo e sospiro ripensando a quegli occhi azzurri.

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