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La mamma è sempre la mamma

Guardò la sua bambina giocare con le formine sulla sabbia. Era quasi ora di cena, il sole stava calando e cominciava ad abbassarsi la temperatura. Erano da poco arrivate nella casa al mare, ma invece di sistemare i pochi bagagli che avevano, erano uscite in giardino dove c'era una piccola zona con la sabbia. 

Le aveva promesso che avrebbe potuto giocare con le formine per tutto il tempo che avrebbe voluto. E lei manteneva sempre la parola, soprattutto con la sua bambina.

La proprietà si trovava vicino a una piccola spiaggetta che non conosceva praticamente nessuno ed era circondata da alte siepi. Le piaceva la privacy. 

Si toccò i capelli corti, un nuovo tic che aveva acquisito da solo qualche ora. Il taglio non le donava, lo sapeva, e neanche il colore così scuro che andava a coprire il suo biondo cenere naturale, ma era stato necessario fare un cambiamento. 

Si avvicinò alla sua bambina, la bambina che aveva desiderato avere da tanto tempo. Si sedette di fianco a lei, incurante delle scarpe da tennis e dei jeans neri che si sarebbero riempiti di sabbia e  allungò la mano per prendere una formina. Era gialla e a forma di stella marina. Era nuova, c'era ancora attaccato l'adesivo col codice a barre. Lo staccò con le sue unghie corte e se lo mise in tasca.

<Facciamo una stella marina?> disse rivolta alla bambina, sorridendole incoraggiante.

La piccola smise di giocare e la guardò. I suoi occhioni nocciola si fecero sempre più grandi e si riempirono velocemente di lacrime pronte a rotolarle giù sulle guance paffute.

<Mamma!> gridò la bambina, piangendo.

Le si sciolse il cuore. Era sempre stato un suo desiderio quello di essere chiamata mamma e finalmente era diventato realtà.

<Sono qui, tesoro. La mamma è qui> disse allungando le braccia, pronta a stringerla.

<Mamma!> continuò a gridare la bambina.

<Sono qui, amore. Sono qui> le disse stringendola al petto.

La bambina continuò a piangere e cercò di divincolarsi da quell'abbraccio, ma Monica non la lasciò andare. Cercò di cullarla e di calmarla, mentre con la mente tornò a qualche giorno prima.

Era estate ed era seduta su una panchina al sole. Quelle all'ombra erano tutte troppo lontane e non riusciva a vedere bene la sua bambina. 

Prese un elastico rosso dalla borsa marrone che aveva con sé e raccolse i suoi capelli lunghi biondo cenere in una coda bassa.

Andava tutti i pomeriggi al parco alle 16, puntuale. Non era molto grande e non ci venivano molte mamme con i loro bambini, il che era un bene: non le piaceva la confusione. Come lei, c'era anche un'altra donna, bionda, che veniva tutti i giorni alle 16.

Il giardinetto, anche se piccolo, aveva tutto quello che serviva: scivolo, altalene e soprattutto il quadrato di sabbia. La sua piccola lo adorava, passava tutto il pomeriggio lì dentro e non voleva mai venire via. Quando si rialzava era sempre piena fino ai capelli di sabbia, ma a lei non interessava. Appena arrivate scendeva dal passeggino e con le gambine paffute e malferme e le braccia tese in avanti correva fino al quadrato, gli occhi nocciola che le brillavano. 

Le sembrava la bambina più felice del mondo e lo era anche lei, quasi come quando aveva saputo di essere incinta e istintivamente a quel ricordo portava sempre le mani ad accarezzare la pancia piatta.


<È una femmina. Congratulazioni!> disse la dottoressa mostrandole il monitor dell'ecografia.

Una bambina, la sua bambina.

Si girò per guardare negli occhi suo marito, ma rimase sorpresa di trovare uno sguardo freddo.

Sapeva che lui avrebbe preferito avere un maschietto, ma l'importante era che fosse sano, di qualsiasi sesso fosse. Aveva provato a dirglielo, ma lui non l'aveva ascoltata e aveva preso in mano il telefono. Si era rigirata a guardare la sua bambina sullo schermo e la dottoressa le aveva porto la foto dell'ecografia. L'aveva presa e se l'era stretta al petto. Sua figlia.


Guardava Fortuna giocare con le formine. Così l'aveva chiamata: Fortuna, perché era stata fortunata a trovarla. La sua piccola aveva capelli corti castano chiaro, grandi occhi nocciola e guance paffute. Aveva imparato da poco a camminare. Si muoveva un po' malferma, ogni tanto cadeva, ma lei non piangeva. Si rialzava e riprendeva a camminare. Era forte la sua bambina.

Guardò l'orologio al polso sinistro. Segnava le 16:10. A quest'ora sarebbe dovuta essere nello studio della sua psicologa. Sua: in realtà non l'aveva neanche mai vista. Erano stati i suoi genitori a fissarle l'appuntamento. La accompagnavano loro, la lasciavano davanti al portone d'ingresso e tornavano a prenderla dopo un'ora. Ma lei dalla psicologa non era mai andata.

Dopo esser scesa dalla macchina e aver salutato i suoi genitori, aspettava che svoltassero l'angolo, attraversava la strada e si sedeva su una panchina, sempre la stessa, del giardinetto.

Come le altre mamme.

Dicevano che doveva parlare con qualcuno, che doveva affrontare la situazione, ma lei stava bene così. Le bastava avere Fortuna. Solo loro due.

Guardò il cielo e vide in lontananza delle nuvole candide. Non sembravano minacciose, ma come aveva imparato sulla sua pelle, dopo il sereno arriva sempre una tempesta, forte, crudele che spazza via ogni cosa.


<Mi dispiace, Monica. Ha perso il bambino.>

Quattro parole. Erano bastate quelle quattro parole a distruggere tutti i suoi sogni, le sue speranze.

Si era toccata istintivamente la pancia, ormai vuota. Si era chinata su sé stessa stringendosi le braccia attorno a sé e lacrime calde avevano iniziato a cadere dai suoi occhi.

Suo marito, seduto di fianco a lei, si era irrigidito. Aveva desiderato con tutta sé stessa un po' di conforto da parte sua, ma niente. Non le aveva messo nemmeno una mano sulla spalla.

Non era mai stato un uomo molto amorevole e quella notizia aveva peggiorato il loro rapporto, fino a portarlo, non troppo tempo dopo, a chiedere il divorzio.

Aveva preso l'abitudine di stare tutto il giorno nella stanza rosa che sarebbe stata della sua bambina, al buio, con lo sguardo rivolto a quella culla vuota.

Finché un giorno i suoi genitori le avevano fissato il primo appuntamento dalla psicologa.


<Salve>

Quella voce aveva riportato Monica bruscamente al presente. Aveva distolto lo sguardo da Fortuna e si era resa conto che accanto a lei si era seduta la donna bionda.

<Salve> le aveva risposto.

<E' da qualche giorno che la vedo sempre qui al parco e volevo presentarmi. Piacere, Laura> si era presentata la donna.

<Marika> le aveva risposto, dandole il nome con cui la chiamava sempre il suo capo.

<Anche lei porta qui sua figlia? La mia bambina è quella laggiù nella sabbia. Si chiama Alice> disse indicando Fortuna che stava giocando con un'altra bimba.

<Anche Fortuna sta giocando con la sabbia> le aveva risposto con un sorriso forzato.

La conversazione aveva proseguito parlando dei bambini e di consigli da mamme.

<Le dispiace tenermi d'occhio un attimo la bambina?> le aveva chiesto la donna ad un tratto. <Vado un attimo al bar a scaldarle il latte.>

<Sì, certo> aveva acconsentito lei.

La donna si era allontanata.

Nel parchetto era rimasta solo Fortuna e la bambina con cui stava giocando. Poco più in là c'era sua madre che la osservava.

Un boato era esploso in cielo. L'altra donna si era diretta velocemente dalla figlia, l'aveva presa in braccio ed erano corse via, prima dell'arrivo della pioggia.

Erano rimaste sole.

Lei e la sua bambina che continuava a giocare con le formine.

Sì era avvicinata, si era chinata e le aveva accarezzato amorevolmente i capelli.

<Ciao, piccola. Sai che ho una casa al mare? Vuoi venire a giocare con la sabbia con me?>

La bambina aveva alzato lo sguardo, le aveva sorriso e aveva teso le braccia verso di lei.

<Vieni, piccola. Vieni dalla mamma.>

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