Camminai lungo la strada sterrata che mi conduceva regolarmente alla mia fidata panchina.

Ancora ricordavo il giorno in cui mi ci si ero seduta la prima volta.
Mi ero da poco trasferita in quella parte della città e mi ero imbattuta in quello spazio verde mentre vagavo tra i vicoli del quartiere.

Era stato subito amore a prima vista.
La luce che filtrava attraverso i rami della quercia di fianco era perfetta, la posizione non era né troppo isolata né troppo affollata, e soprattutto, non c'era traccia di bambini.
Un vero e proprio paradiso dove poter disegnare in santa pace, evitando le distrazioni del mondo.

Quel giorno, però, uno di quei bambini spuntò dal nulla, minando tutte quelle mie consolidate certezze.
Lo vidi dirigersi verso di me come un missile; ebbi l'impressione che si stesse tutto svolgendo a rallentatore come nei film, ma non fui ugualmente abbastanza pronta per schivarlo.
Per poco non finii a terra, salvata ancora una volta dalla mia solida panchina di legno.

Presa a rimproverare il bimbetto che stava scorrazzando a tutta birra con la sua bicicletta rossa fiammante, non mi accorsi subito di cosa stesse accadendo alle mie spalle.
Quando mi voltai per recuperare il mio blocco da disegno che era finito rovinosamente sul terreno impolverato, lo ritrovai tra le mani di uno sconosciuto.

Mi affrettai a recuperarlo, piuttosto alterata da quell'inatteso fuori programma, e nel farlo, sfiorai le dita di quell'uomo così familiare.

Un contatto appena accennato, involontario e accidentale che tuttavia riuscì ad alterare la regolarità dei miei battiti.
E lo fece ancora, inaspettatamente, quando mi chiese di uscire con lui.

Presa alla sprovvista da ciò che stava succedendo fuori e dentro di me, mi ritrovai ad accettare con un sorriso spaesato sul volto.