Cuore | 𝐿𝑢𝑖
Fu quasi un riflesso spostarla verso di me per impedire che la urtassero, come non ero riuscito a fare quel giorno al parco.
L'esitazione successiva nel ritrarmi fu però una mia scelta.
Avevo ricordato la prima volta che l'avevo incontrata, quel suo fissare la coppia poco più avanti.
Senza volerlo, ci eravamo trovati nella stessa identica posizione; stringere la mano intorno a lei e guardarla come se fosse la mia donna avvenne piuttosto naturalmente.
Tutto ciò che avvenne quel giorno fu piuttosto naturale.
Così quando spinse verso di sé la Nikon che tenevo al collo e i nostri volti si avvicinarono come mai prima, non mi irrigidii per la sorpresa ma mi godetti la complicità e la confidenza che si stava istaurando tra noi.
La lasciai esaminarmi con disinvoltura attraverso l'obiettivo e sorrisi quando si decise a scattarmi una fotografia.
Quella sua iniziativa mi mise la coscienza in pace: non ero più il guardone che l'aveva tenuta d'occhio con la scusa di dover completare un lavoro.
Eravamo pari.
L'audacia che aveva manifestato fino a quel momento svanì in un sol colpo quando si accorse che il poco spazio che ci separava equivaleva alle dimensioni ridotte della mia reflex.
Tuttavia non ritrovai alcun segno di imbarazzo sul suo volto, nemmeno la più piccola sfumatura di rosso; in compenso, però, la vidi sbattere le ciglia compulsivamente.
Sorrisi di nascosto, compiacendomi di avere già immagazzinato qualche mezzo per riuscire a decifrarla.
Mi propose di fare una passeggiata in quel parco che a sua insaputa era stato l'inizio di tutto, e io accettai senza riserve.
Avevo preso la decisione di confessarle il significato di quel mio farmi avanti, lì per lì il luogo non mi era sembrato importante.
Cambiai idea quando il sentiero ci presentò un bivio.
Approfittando del fatto che fosse distratta dalla conversazione, la indirizzai verso la solita strada e la convinsi a sistemarci sulla stessa panchina sulla quale era solita passare alcune ore ogni giorno.
Lasciai che mi spiegasse quanto fosse importante per lei quel luogo, non avevo ancora raccolto abbastanza coraggio per confessarle che avevo imparato a conoscerla proprio tra quei sentieri.
Passammo l'intero pomeriggio tra risate e racconti, completamente immersi nei suoni naturali che lei stessa mi aveva insegnato ad ascoltare.
Con l'arrivo della pioggia, però, fummo costretti a spostarci al chiosco.
Decisi che quello sarebbe stato il momento e il luogo più giusto per parlarle.
Passai al banco e la signora, mia complice, mi consegnò ciò che aveva gentilmente custodito in mia assenza.
La raggiunsi al tavolo e mi sedetti di fronte a lei, lasciando al centro, tra i due caffè, un tulipano screziato.
Non sarei in grado di descrivere come mi sentii nel riconoscere il senso di quel suo frenetico battito di ciglia.
Non feci resistenze nel spiegarle per filo e per segno tutto ciò che solo io conoscevo di quei giorni trascorsi insieme a sua insaputa.
E alla fine, quando le sue espressioni avrebbero convinto chiunque della brutta piega della situazione, la vidi soffocare una risata, così dal nulla.
Non sembrava arrabbiata, spaventata o sul punto di scappare, al contrario, parve inspiegabilmente divertita.
Quando il suo volto ritornò serio all'improvviso, fui davvero sul punto di pensare che ci fossimo trovati: persone lunatiche e strambe come noi avrebbero solo potuto che andare d'accordo.
Mi passò il suo blocco da disegno, così di punto in bianco, quello stesso quaderno che mi aveva letteralmente strappato dalle mani al nostro primo incontro ufficiale.
Lo presi senza esitazione e iniziai a sfogliarlo con impazienza, pagina dopo pagina.
I miei movimenti divennero sempre più lenti e meno frequenti, man mano che riconobbi le situazioni riprodotte nei suoi schizzi.
In quelle pagine vi erano le riproduzioni in bianco e nero di tutto ciò che avevo fatto in quelle settimane: ero intento a scattare fotografie, di spalle al banco del chiosco, seduto sulla panchina con le cuffie alle orecchie e il libro sul volto.
Tutto ciò che era successo, tutti i momenti che avevamo condiviso in quelle settimane erano racchiuse in quell'insospettabile blocco da disegno.
Alzai il viso per guardarla e non riuscì a contenere quella felicità, in un secondo mi sporsi verso di lei e la baciai senza più alcun freno.
Come lei mi aveva insegnato, lasciai i sensi liberi di vivere totalmente quell'istante: così il suono delle gocce d'acqua m'invase i timpani, il calore della sua guancia si disperse nel palmo della mia mano, l'odore floreale della sua pelle si insinuò nelle mie narici e gustai il sapore di mandorle e peperoncino che proveniva dalla sua bocca.
Tutto si incastrò perfettamente, in un compendio di emozioni che faceva capo a quel qualcosa di più profondo e sfuggente che si stava rivelando attraverso il ritmo ininterrotto dei nostri battiti.
La quintessenza della vita si era silenziosamente impossessata di tutto ciò che ci apparteneva.
Non c'era più alcun lui, alcuna lei.
Solamente noi.
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