Diciotto anni, sono persino troppi per tutte le sofferenze subite, troppi. 

La gente che non ti capisce, tutti quei pettegolezzi. 

Eppure che avevo di diverso dagli altri?  

"Ecco Billy il grassoccio!" "Ecco Billy lo scemo!" e così via. 

Ma doveva finire. 

Mi buttai di sotto, giù dal ponte,
Mi schiantai sugli scogli, era ciò che volevo. 

Ma nonostante tutto ero ancora vivo, ancora cosciente, almeno così sembrava.
Caddi in acqua, e mentre perdevo lentamente i sensi la corrente mi trascinava via. 

Mi svegliai.

Un incubo come al solito.  Mi alzai dal letto, indossai la mia maglietta preferita… ovvero una maglia a mezze maniche totalmente nera e dei pantaloni del medesimo colore:  già, sono di pochi gusti.  

Mi misi le mie Converse All star rosse e scesi le scale, mamma stava già portando il mio fratellino di sette anni alle elementari e papà era già a lavoro.  

Avevo preparato tutto, naturalmente di nascosto, tutto nel bagagliaio della macchina, il biglietto d'addio  l'avevo appena lasciato davanti alla porta, potevo partire finalmente. 

Uscii di casa  e corsi al parcheggio a prendere la mia macchina, una Fiat panda, che gran classe…

Entrai, misi in moto e partii. 

Fu un viaggio lungo, non mi ero neanche accorto ch'era giunta la sera… ok, lungo fino a un certo punto ma già buio era impossibile,  eppure non sentivo neanche i morsi della fame, ma forse questo era per  l'emozione.  

Tutto così buio, la strada era appena visibile solo grazie ai lampioni o ai fari della mia macchina. 

"Certo che l'oscurità ha un ché di poetico" pensai.  I fari o i lampioni, tutte cose che noteresti appena il giorno. 
Una notte magnifica, sbirciai per un secondo  fuori dal finestrino.  Il cielo, le stelle, magnifiche. 
Qualsiasi cosa brilla di più durante la notte, e come ho detto prima la luce dei lampioni la noteresti appena durante il giorno, quindi forse è proprio il buio a dare importanza alla luce.

Già mattina?  C'era qualcosa che non andava ma feci finta di nulla. 

Non percepivo la fame né la stanchezza, nulla. 

Fermai il veicolo e scesi, fuori da qualsiasi città ormai, da qui dovevo proseguire a piedi.  

Forse dovrei spiegare qual'era la mia meta… beh, vi sembrerà strano, la mia meta era una foresta. 

Quella appena  fuori città, là potevo pensare solo a  me e a nessun'altro, solo io con il fruscio del vento, il fiume e il cinguettio degli uccelli. 

Là potevo ignorare il mondo, ignorare tutto e pensare finalmente a me stesso. 

Ero arrivato, i piedi non mi facevano neanche male, non sentivo nulla. 

Finalmente.    

Contemplai per una mezz'ora il fiume, ma mi accorsi di non avere lo zaino con me, eppure lo avevo in spalla pochi minuti fa,  "Ora che ci penso… quando ho parcheggiato prima di raggiungere questo posto,  mi sono voltato e la mia macchina…semi trasparente. Nah, il caldo mi sta facendo un brutto scherzo"  

A ogni modo dovevo tornare indietro a prendere lo zaino. 

E credetemi, ci provai, ci provai con tutte le mie forze ma era come se un qualcosa di invisibile mi trattenesse in quel punto lì, e io non potevo resistergli, non volevo resistergli, era lì che volevo stare.  

Forse avevo fatto una cavolata, i miei genitori erano sicuramente preoccupati, e chissà come lo era il mio fratellino, ma in quel momento non ci pensavo. 

In fondo quanto potevo vivere in una foresta, una settimana? 
Poi l'acqua e il cibo sarebbero finiti, non avevo certo intenzione di bere dal fiume e di campare a frutti!   

E ancora quella forza sovrannaturale che mi bloccava, guardai in basso, nel fiume. 

Il corpo di un ragazzo, quasi irriconoscibile, probabilmente aveva picchiato sugli scogli sotto il ponte in  città  e la corrente lo aveva portato lì, riconobbi la sua maglietta però, era identica alla mia. 

Adesso avevo capito. 

Finalmente potevo stare nel mio luogo da sogno, nel mio  paradiso, potevo ignorare il mondo poiché non facevo più parte di esso. 

Questo è il mio posto