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Ovunque ci sia tu

Da quando avevo messo piede all'interno del ristorante, non avevo ancora emesso alcun suono.

Durante il viaggio in auto, tra me, i miei genitori e Meredith era calata una forte tensione, la quale aveva raggiunto il suo apice una volta seduti al tavolo.

-Ariel, va tutto bene?- spezzò il silenzio mio padre, mentre la cameriera si allontanava con le nostre ordinazioni.

Per niente.

Non andava tutto bene; da quando avevo parlato con Noah, mi sembrava di essermi rinchiusa in una bolla, isolata dal resto del mondo.

Sospirai rumorosamente, chiudendo gli occhi.

-Più o meno- risposi infine, con voce flebile.

-Puoi spiegarci?- irruppe quindi mia madre, che era rimasta in silenzio fino a quel momento, senza però riuscire a nascondere la sua curiosità.

Inarcai un sopracciglio, fissandola interrogativa.

-Cosa, esattamente?-

In tutta risposta, lei sbuffò, poggiando il calice di vino sul tavolo in un gesto fin troppo irruento.
Quello era indice del fatto che stesse perdendo la pazienza, ma non avevo assolutamente intenzione di assecondarla.
Ero sempre stordita da ciò che era successo e desideravo, anzi, pretendevo, di passare una serata tranquilla, senza soffermarmi troppo sul mio tumulto interiore.

-Come, cosa? Forse chi era quel ragazzo e cosa voleva da te?- ribatté, con aria di sufficienza.

Inspirai bruscamente, incamerando quanta più aria possibile, per impormi di non dare di matto e rimanere calma.
Mio padre si schiarì la voce, mentre Meredith si mordeva il labbro e percorreva con lo sguardo l'orlo della tovaglia.
Era chiaramente in imbarazzo, per cui mi irritai ulteriormente con mia madre, dato che la tensione aleggiante al tavolo era soprattutto causata da lei.

-Mamma- la richiamai, esasperata, -Sono cose personali, se permetti- spiegai, con più calma di quel che pensassi di possedere.

Lei strinse le palpebre, assottigliando gli occhi.

-Lo sarebbero, se solo non avessi cambiato completamente atteggiamento da quando l'hai visto- rispose, con l'aria di chi la sapeva lunga, -Era lui Noah? Il famoso ragazzo che ti ha spezzato il cuore?-

Arrossii inevitabilmente, portandomi le mani sul volto.

-Tesoro, credo che non sia il luogo, né il momento adatto per parlarne- intervenne in mio soccorso mio padre, poggiandole una mano sul braccio.

Lei se la scrollò di dosso, voltandosi per affrontarlo.

-Davvero?- fece, ironica, -Quindi non ti interessa che questo ragazzo sia in realtà un uomo? E non vorresti sapere come lo abbia conosciuto? Oppure perché fosse presente alla cerimonia di consegna dei diplomi?-

Strabuzzai gli occhi, incontrando lo sguardo di mio padre.
Lui sospirò, massaggiandosi la base del naso.
Sapevamo entrambi che, una volta partita per la tangente, niente l'avrebbe fermata.

-Lo avete visto?- chiesi loro, sorpresa.

Non pensavo che quel giorno si fossero accorti della sua presenza, e soprattutto non credevo che in tal caso l'avrebbero riconosciuto.

-Sì, lo abbiamo visto- rispose mia madre per tutti e due, -Ho avuto dei sospetti quando avete parlato da soli, ma quando ho chiesto a Sarah chi fosse, lei ha parlato di un supplente che vi aveva fatto lezione al posto del professor Davis. Non ho certo pensato che potesse essere lui, quel Noah-

Oh, cazzo.

Mai avrei creduto che i miei genitori sarebbero arrivati a scoprire di me e Noah.
Ormai le carte erano state scoperte, era inutile continuare a mentire.
Lanciai un'occhiata a Meredith, la quale sollevò un angolo della bocca in un sorriso incoraggiante.

-Va bene- dissi, alzando le mani, -Adesso vi spiegherò ogni cosa. Però, ve lo chiedo per favore, non arrabbiatevi inutilmente-

Ripercorsi con la mente tutto ciò che avevo raccontato a Meredith la sera prima, omettendo molti particolari e riassumendo parecchio ciò che era successo.
Non raccontai della nostra ultima notte insieme, né di tutte le volte in cui mi ero fermata a casa sua di nascosto, ma lasciai intendere che il nostro rapporto fosse stato serio e profondo.
Quando raccontai del funerale di nonna Maggie, vidi un lampo di consapevolezza passare negli occhi di mio padre.
Probabilmente, si era ricordato di averlo visto anche in quell'occasione.
Era quasi passato un anno da quel giorno, e realizzarlo mi fece impressione.

-Ariel...- gemette la mamma, -Un professore-

-Supplente- la corressi, alzando gli occhi al cielo, -E lo è stato solo per tre mesi-

-Perché è venuto alla cerimonia, allora?- chiese mio padre, con sincero interesse.

Sorrisi, imbarazzata, abbassando lo sguardo sul mio piatto.
Mentre raccontavo loro i miei trascorsi con Noah, erano arrivate le nostre ordinazioni, ma il mio stomaco era troppo su di giri per avere fame.

-È venuto a congratularsi con noi studenti- finsi nonchalance, quando in realtà sapevo bene che fosse lì solo per vedermi.

-Da Boston a Jacksonville solo per delle congratulazioni?- commentò mia madre, scettica.

Alzai gli occhi al cielo, ma sorrisi.

-Okay, forse non solo per quello- ammisi, -Mi ha anche fatto un regalo- sussurrai l'ultima frase, toccando la collana che indossavo.

I miei genitori seguirono il mio movimento e misero a fuoco il ciondolo che portavo al collo.

-Carina- commentò la mamma, -Cos'è, un'elica colorata?-

Ridacchiai, scuotendo la testa.

-È la riproduzione del DNA- spiegai, stringendola tra le dita, -Condividiamo la passione per la scienza, mi ha voluto regalare qualcosa che avesse un significato oltre al materiale-

Meredith si lasciò scappare un sospiro e sorrise dolcemente, inclinando il capo di lato.

-E adesso? Perché è tornato?-

Guardai mio padre e riflettei sulla sua domanda.
Niente di nuovo, ovviamente, dato che stavo cercando la risposta fin da quando Noah aveva messo piede nella mia stanza.

-Vuole portarmi a cena fuori, domani sera-

Lui sorrise a bocca chiusa, come se fosse a conoscenza di cose che io ignoravo.

-Be'- cominciò mia madre, -Adesso sei un'universitaria, lui non è il tuo professore. Per quanto questa storia mi abbia scioccato, non vedo perché dovresti evitarlo solo per continuare a soffrire-

Sbattei le palpebre, perplessa dal suo comportamento improvvisamente docile.

-C'era della droga, nel vino?- domandai, aggrottando la fronte, facendo ridere mio padre.

-Non fare la scema- mi ammonì lei, -Sto solo dicendo che sei abbastanza grande per prendere le tue decisioni-

Abbassai lo sguardo sul tavolo, riflettendo sulle sue parole.
Sì, lo ero, ma avevo una paura incredibile di ciò che sarebbe successo.

Non facevo altro che domandarmi se avessi fatto la scelta giusta, mi chiedevo se sarei riuscita a guardarlo negli occhi senza sentirmi scoppiare il cuore e, soprattutto, morivo dalla voglia di sapere cosa avesse in mente.

-Quindi, ci andrai?- mi chiese Meredith dopo qualche minuto.

Strinsi le labbra in una linea, prima di emettere un sospiro tremante.

-Gli ho detto di sì, ma adesso non ne sono più così convinta-

Cambiammo argomento e finimmo di cenare.
Meredith raccontò della sua infanzia e dei suoi genitori, ci confrontammo sulle nostre scelte di vita e su cosa avremmo voluto fare una volta laureate.
I miei genitori riempirono la testa della mia nuova amica con aneddoti imbarazzanti sul mio conto e parlammo anche di nonna Maggie.
Ormai riuscivo a sorridere pensando a lei, ne parlavo con gioia e mi si illuminavano gli occhi.
Quando mi guardavo indietro e ripensavo a tutto ciò che avevo passato nell'ultimo anno, non potevo fare a meno di pensare che non avrei cambiato neanche una virgola delle mie azioni.

Una volta giunti davanti al dormitorio, Meredith si congedò ringraziando i miei con un sorriso e un abbraccio per la serata appena trascorsa, poi sparì all'interno dell'edificio.

Stavo per entrare anche io, quando mio padre mi trattenne.

-Ariel, sappi che per noi andrà bene qualunque cosa deciderai di fare. Non sei più una bambina, nonostante tu sia sempre giovane, ma voglio solo dirti di pensare bene a quello che fai. Non agire con orgoglio, ma non essere neanche superficiale. Tua madre ed io ci siamo accorti di quanto tu abbia sofferto in questi mesi, ci siamo passati prima di te-

La mamma annuì con fare esperto, stringendomi al suo petto.

-Se questo Noah è quello giusto ed è ciò che ti rende felice, va bene. Cerca solo di avere la testa sulle spalle-

I loro consigli mi scaldarono il cuore e mi sentii improvvisamente investita da un'onda di determinazione.
Avrei affrontato Noah con tutta me stessa, mi sarei fatta valere e avrei scavato a fondo per capire cosa lo avesse spinto a comportarsi in quel modo.

-Quindi, andrai a cena con lui?-

Mi mordicchiai l'interno della guancia, poi seppi esattamente cosa fare e perché.

-Sì, ci andrò-

Il mattino seguente, io e Meredith ci svegliammo di buon'ora per andare a fare un giro in città.
La scusa era quella di visitare il posto e cercare qualche locale che avremmo potuto frequentare nel periodo in cui avremmo vissuto al college, ma la vera motivazione risiedeva in una giornata di shopping.

Mi ero fatta convincere da lei che dovessi comprare un bell'abito per la cena con Noah.
La sera prima avevo passato in rassegna tutti i vestiti che mi ero portata, ma nei miei piani non c'era di sicuro un'uscita galante quando li avevo scelti.

Tornammo in stanza dopo pranzo, in tempo per, citando Meredith, "tirarti a lucido fino a farlo morire".
Sopportai la ceretta, le pinzette sulle sopracciglia e la miriade di creme che mi obbligò a cospargermi addosso, mentre, più si avvicinava il momento, più aumentava la mia agitazione.

A metà pomeriggio, decisi di fare una videochiamata con i miei amici per ricevere supporto morale.
Avevo raccontato loro cos'era successo la sera prima tramite messaggi, ma avevo bisogno di sentire la loro voce.

-Ehi, sirenetta!- mi salutò Mike, mandandomi un bacio virtuale attraverso lo schermo del computer.

Sarah e Jennifer mi salutarono agitando una mano, dalle rispettive camere.

-Come va, Mikey? Lucy come sta?- gli chiesi, sorridendo felice.

Alzò il pollice nella mia direzione, per indicare che andasse tutto bene.

-Voglio presentarvi Meredith, la mia compagna di stanza al dormitorio- la introdussi, passandole un braccio attorno alle spalle per attirarla a me e renderla più visibile dalla telecamera.

Lei sorrise, imbarazzata, salutando i miei amici, i quali ricambiarono il gesto con entusiasmo.

-Se ti sta simpatica non farti ingannare, scappa finché sei in tempo!- mi prese in giro Jennifer, rivolgendosi alla mia nuova amica.

Le feci la linguaccia, ridacchiando.

-Devi sapere che fino a qualche mese fa ci odiavamo- spiegai, facendo spallucce.

-Ah, sì?-

-Certamente!- intervenne Sarah, -La chiamavamo Regina George-

-E basta con questa storia!- protestò Jennifer, alzando gli occhi al cielo.

Risi sotto ai baffi, seguita da Mike.

-Veniamo alle cose serie- irruppe Jennifer, -Facci vedere il vestito per stasera-

Lo recuperai dall'armadio e lo mostrai alla telecamera, ricevendo fischi di apprezzamento.

-Meredith, sei stata tu ad aiutarla, vero? Non ha questo buongusto- commentò Sarah.

-Grazie dei complimenti- ribattei ironica, riponendo nuovamente l'abito.

-Spiegaci nei dettagli cosa è successo ieri- mi spronò Mike, impaziente.

Presi un respiro profondo e cominciai a raccontare.
Era palese che non sapessi cosa pensare del ritorno di Noah e che la confusione mi stesse offuscando la mente, ma ero emozionata di passare una serata con lui.
Non avevamo mai avuto l'occasione di incontrarci come due persone normali, cenare fuori, poter essere noi stessi in pubblico.
In quel momento, invece, era proprio ciò che stava per accadere.

-Mi è sembrato davvero sincero, quando mi ha cercata- disse Jennifer.

-Ma non capisco perché adesso- obbiettò Sarah, pensierosa.

Dillo a me...

-Io, invece, non capisco cosa ci faccia a New Haven. Dove insegna?- rifletté Mike, arricciando le labbra.

Mi strinsi nelle spalle.

-Be'... lo scoprirò-

Li salutai, con la promessa di raccontare tutto il giorno dopo, e tornai alla preparazione per l'appuntamento.

-Cosa c'è, adesso, sulla lista?- chiesi a Meredith, sofferente.

Lei sbucò dal bagno con una boccetta di smalto.
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando.

-Addirittura?- mi lamentai.

-E non siamo neanche a metà del lavoro!

Il risultato finale non mi dispiacque per niente.
Lanciai uno sguardo all'orologio che portavo al polso e cominciai a camminare nervosamente per la stanza.

-Potrei avere un futuro come personal stylist- disse Meredith, mentre sgranocchiava un biscotto, seduta sul tappeto posto tra i nostri due letti.

-Sicuramente- la assecondai, lisciandomi il vestito.

-Te l'avevo detto che saresti stata bellissima. Ovviamente il merito è anche mio, ma la materia prima non era male...-

Riuscì a farmi ridere, dissipando un po' della tensione che mi attanagliava lo stomaco.

-Credo che morirò dall'ansia-

Lei mi raggiunse, prendendomi per le spalle.

-No, non morirai- scosse la testa, -È normale che tu ti senta così, sarei anche io in ansia al posto tuo-

Alzai gli occhi al cielo, pronta a ribattere, ma mi fermò con un'occhiataccia.

-Ma- esclamò, -C'è un ma. Non credi che questo voglia dire qualcosa?-

-Cioè?- feci la finta tonta, sistemandomi i capelli dietro le orecchie.

Meredith aveva armeggiato con il ferro per capelli per un tempo che mi era sembrato infinito, ma le morbide onde che aveva creato ne erano sicuramente valse la pena.
Le avevo dato carta bianca su tutto; ma il trucco leggero, consistente in un po' di mascara e ombretto, era opera mia.

-Cioè che se ti senti così vuol dire che provi ancora qualcosa. E, diamine, fammi finire- mi ammonì nuovamente, -Probabilmente anche per lui non è finita, altrimenti non ti avrebbe cercata-

Sospirai, sconfitta, davanti all'evidenza.

-Tutto ciò che hai detto è vero, ma non voglio passare per quella che non ha fatto altro che aspettarlo per tutto questo tempo-

-Però è così- puntualizzò lei, inarcando un sopracciglio.

Era ovvio che fosse così, non ero riuscita ad interessarmi ad altri ragazzi, a parte la breve parentesi durante l'ultimo semestre del liceo, quando ero uscita con un amico di Josh, il ragazzo di Sarah.
Le cose non erano andate bene e la colpa era solo mia.
La motivazione era sempre la solita, e cominciavo a stufarmi di essere bloccata in quel limbo dal quale non sapevo come uscire.

-Ma lui non deve saperlo!- protestai, scuotendo la testa.

Meredith alzò le mani, tornando a sedere per terra e ai suoi biscotti.

-Va bene, tigre, su questo posso darti ragione- mi concesse, -Però, sii razionale senza esagerare-

Più facile a dirsi che a farsi.

Un leggero bussare alla porta mi bloccò il respiro e, prima di aprirla, mi rimirai un'ultima volta al grande specchio a parete, che avevo montato assieme a Meredith.

L'abito che avevo scelto non era impegnativo, argentato ma dal taglio molto semplice. Le maniche erano corte e la scollatura appena accennata, fasciava il mio corpo in modo morbido fino a metà coscia.
Le scarpe, che non avevo comprato, dato che le avevo portate da casa, erano dei semplici stivaletti grigi che si intonavano bene al colore del vestito.
Indossavo un trench bianco leggero, che copriva tutta la mia figura fino alle ginocchia.
Lo allacciai e, dopo aver preso la borsetta argentata che mi aveva prestato Meredith, mi affrettai ad aprire la porta.

Noah era sempre meraviglioso, c'era poco da dire.
Indossava una camicia bianca sotto la giacca di pelle e dei pantaloni neri, il tutto completato da anfibi del solito colore.

Mi squadrò da capo a piedi, per poi incatenare gli occhi ai miei e sorridere.

Oddio, lo odio quando fa così.

Ricambiai con un sorriso che, però, uscì come una smorfia.

-Posso dirti che sei bellissima o rischio di essere picchiato?-

Feci una risatina secca e poco divertita e mi voltai per salutare Meredith.

-Non ti aspetterò sveglia, ho capito- disse lei, riservando a Noah una lunghissima occhiata.

La fulminai con lo sguardo, mentre lui ridacchiava.

Al diavolo la razionalità.

-Scusa, ieri non ci siamo presentati. Sono Noah Carter-

-Oh, so chi sei!- lo bloccò lei, allungando la mano per stringere la sua, -Io sono Meredith Parnell, la compagna di stanza di Ariel-

Battei ritmicamente il piede a terra, impaziente.

-Possiamo andare?- lo esortai, indicando il corridoio con un cenno del capo.

-Oh, certamente. È stato un piacere, Meredith, spero di rivederti presto- si congedò lui, con un cenno di saluto.

Chiusi la porta in fretta, non abbastanza da coprire la risposta della mia nuova amica.

-Credo proprio che succederà!-

Chiusi gli occhi, scuotendo la testa.

E menomale che Meredith voleva aiutarmi!

Con quell'atteggiamento, non faceva altro che dimostrare che Noah avesse ancora una forte influenza su di me e, in generale, su gran parte dell'universo femminile.
Ed era un grosso problema, dal momento in cui non avevo intenzione di dargli alcun vantaggio su ciò che sarebbe successo quella sera.

-Molto simpatica, la tua amica- mormorò, seguendomi verso l'uscita del dormitorio.

Gli risposi senza voltarmi.

-Sì, lo è, ma non ho intenzione di parlare di queste cose- tagliai corto, in tono duro, -Mi devi un sacco di spiegazioni-

Lo sentii sospirare e continuò a seguirmi in silenzio, fino a che non varcammo il cancello dell'edificio.

-Andiamo a piedi?- gli chiesi, guardandomi attorno nella strada, mentre mi stringevo nella giacca.

-No, ho parcheggiato qua vicino- rispose, incamminandosi verso una via secondaria.

Inarcai un sopracciglio, ma non dissi niente e lo seguii, mentre riflettevo.
Cosa ci faceva Noah con la sua auto nel Connecticut?
Che fosse davvero rimasto a vivere nei paraggi?
E, in tal caso, perché si trovava a New Haven?
Boston non era certo distante anni luce, ma, comunque, avrebbe dovuto attraversare uno stato e viaggiare talmente tanto, per raggiungermi, che sarebbe stato preferibile un treno.
Non ebbi il tempo di chiedergli niente, perché si fermò davanti ad un SUV bianco, che mai avevo visto.

-E la Golf?-

Mi sorrise in modo enigmatico, facendo scattare la sicura con il telecomando della chiave.

-L'ho venduta- rispose, aprendo la portiera dal lato del passeggero per farmi salire.

-Oh... okay- risposi, senza indagare oltre, -Molto gentile- lo ringraziai, per il gesto galante.

Non mi sfuggì l'occhiata che riservò alle mie gambe, mentre salivo sull'automobile, e me ne compiacqui internamente.
Ero contenta di non essere la sola ad avere ancora delle debolezze.

Mi accomodai sul sedile, mentre Noah raggiungeva il lato del guidatore, sbirciando nell'abitacolo per carpire quante più informazioni possibili.
Non era un'auto nuova, ma sembrava comunque non appartenergli.
Non c'era il suo profumo all'interno, né qualcosa che potesse rimandare a lui.

-Vuoi chiedermi qualcosa?- mi chiese, in tono divertito.

-Eh?- mi uscì d'istinto, ancora troppo concentrata sui miei pensieri, -Cioè, come, scusa?- cercai di rimediare, dandomi un tono.

Ridacchiò, scuotendo il capo, mentre accendeva il motore e si immetteva sulla strada.

-Non hai detto una parola. Vuoi sapere perché ho venduto la Golf?-

Lo volevo sapere?

Oh, sì.

Glielo avrei chiesto?

Oh, no.

Strinsi le labbra tra loro, raddrizzando la schiena.

-Non l'ho rubata- mi prese in giro, riferendosi al SUV sul quale stavamo viaggiando.

Alzai gli occhi al cielo, sbuffando.

-Non sono cose che mi riguardano-

Schioccò la lingua sul palato.

-Strano- disse, -Avrei giurato di sì, invece-

Il suo continuo provocarmi mi irritò a livelli stratosferici, perciò strinsi i pugni e mi voltai verso di lui, che aveva il viso rivolto verso la strada in un'espressione più che rilassata.

-Se continui a comportarti in questo modo, scendo e torno a casa-

Non mi sarei mai aspettata ciò che successe subito dopo.
Noah inchiodò, facendomi balzare il cuore nel petto.
Mi aggrappai al sedile, ringraziando la cintura di sicurezza che mi teneva ben salda allo schienale.
Si accostò a lato della strada e spense il motore.
Spostai lo sguardo nel suo, pronta ad urlare e offenderlo, per poi scendere dall'auto e andarmene, ma i suoi occhi mi bloccarono.
Non gli avevo mai visto un'espressione tanto irritata e allo stesso tempo determinata.
Mi fece venire i brividi e non riuscii a spiegarmi il perché.
O forse lo sapevo benissimo, ma non volevo accettarlo.
Come potevo accettare di essere ancora totalmente innamorata di una persona che mi aveva fatto tanto male?

-Avevo intenzione di arrivare almeno al ristorante- cominciò in tono pacato, in netto contrasto con i fulmini che saettavano nelle sue pupille, -Però vedo che non riesci neanche a starmi accanto. Puoi andare, se vuoi. Non ho intenzione di obbligarti a cenare con me-

Rimasi a bocca aperta.
Come si permetteva, proprio lui, di trattarmi in quel modo?
Di farmi sentire in colpa, come se fosse la vittima?
Sembrava che non si ricordasse ciò che era successo, quindi decisi di dargli una rinfrescata alla memoria.

-Ti meravigli del mio atteggiamento? Cosa diamine sei venuto a fare qui, dopo quasi un anno da quella notte? Dopo che sei stato a Jacksonville senza dirmi niente, quando finalmente mi trasferisco e sono pronta a ricominciare da capo- mi bloccai, respirando affannosamente, -Tu vieni qui e mi inviti a cena fuori?-

Un lampo di colpevolezza gli attraversò lo sguardo, ma fu un attimo; lo scacciò e contrasse la mascella.

-Ti ho detto che ti avrei spiegato tutto, ti ho detto un sacco di cose che non hai mai ascoltato da quando ti conosco- ribatté, in tono duro, -Felice di sapere che non sei cambiata neanche un po'-

Sgranai gli occhi, fuori di me.
Niente mi avrebbe distratta dalla scenata melodrammatica a cui avevo dato inizio.
Mi sentivo in colpa per averlo trattato con sufficienza da quando ci eravamo visti il giorno prima, ma faceva tutto parte di un meccanismo di difesa.
Non ero ancora riuscita a lasciarmi andare, perché il sentimento a lungo sopito nel mio cuore si era risvegliato, e non era felice di essere stato messo da parte per così tanto tempo.

-Vuoi che me ne vada, Noah?- gli chiesi, gelida, -Vuoi che me ne vada di nuovo?-

E tanti saluti alla mia maschera di indifferenza.
Sentivo le guance in fiamme e gli occhi pizzicare, ma non avevo intenzione di piangere davanti a lui.

-Io non l'ho mai voluto- ribatté, in tono acceso, -Non avrei mai voluto svegliarmi da solo nel letto dopo la notte più bella della mia vita, non avrei mai voluto trovare quello stupido corsage sul tavolo, a ricordarmi che era tutto reale!-

Inclinai il capo verso il tettuccio dell'auto, per contrastare le lacrime che minacciavano di uscire dai miei occhi.
Come poteva non capire che il problema risiedesse in tutto il tempo nel quale avrebbe potuto cercarmi e non l'aveva fatto?

-Mi hai spezzato il cuore, Noah. E non quella notte, ma tutte le seguenti- ammisi, sussurrando, -Perché io lo sapevo che non potevamo farci niente, e sono scappata prima che ti svegliassi, altrimenti non sarei riuscita a lasciarti. Allora mi chiedo, come mai non sono andata avanti? Sono stati i mesi peggiori della mia vita, e tu sei sparito-

Il suo sguardo si addolcì e d'istinto mosse una mano verso il mio viso, facendola però cadere a metà tragitto.

-Neanche io sono andato avanti- confessò, senza staccare gli occhi dai miei.

Io, però, non lo ascoltavo, troppo presa dal rivivere le emozioni che mi avevano sopraffatta in quei mesi.

-E poi, alla cerimonia di consegna dei diplomi, ecco che sbuchi dal niente e, cazzo, mi regali una collana?- continuai, in tono sdegnato, -Sì, Noah, l'ho indossata. Non me la sono mai tolta, ma hai idea di come mi sia sentita? Avrei voluto buttarla nel cestino, ma non sono riuscita a fare neanche quello-

Lo vidi sorridere, intenerito, mentre guardava l'oggetto che portavo al collo.

-Ariel, per questo volevo parlarti...-

-Non ho finito!- lo interruppi, -Sai che ti ho visto al Black Swan, un mese fa? Sei tornato a Jacksonville. Perché non mi sei venuto a cercare?-

-Fammi spiegare, per favore- parlò in tono cauto, come se avesse paura di vedermi andare in mille pezzi.

-No!- sbottai, alzando la voce, -Adesso mi ascolti, e la smetti di fare lo splendido con le tue battutine, la tua super macchina e il tuo aspetto da playboy-

Aggrottò la fronte, confuso.

-Aspetto da cosa?-

-Lo sai benissimo!- risposi, decisa, -Pensi di poter venire qui e trovarmi come mi hai lasciata? Potrei avere un fidanzato-

Noah si lasciò sfuggire una risata, beccandosi un'occhiataccia che lo fece ammutolire.

-Ce l'hai?- mi chiese, quindi, in tono ironico.

Lo uccido!

Gemetti, frustrata, alzando gli occhi al cielo.

-No, ma il punto non è questo! Tu sei qui, davanti a me, come se non fossero passati mesi, come se fosse tutto come prima, e questo mi fa incazzare!-

Nel frattempo, si era avvicinato pericolosamente a me, tanto che i miei capelli gli sfioravano la spalla.

-E perché ti fa incazzare?- sussurrò, in tono di sfida.

Sapevo dove volesse arrivare, con quelle domande.
Noah aveva capito il perché del mio comportamento, si era reso conto che tanto astio aveva origine dal forte sentimento che provavo ancora per lui, e voleva farmelo ammettere ad alta voce.
Ed io ero stanca di fare finta di niente, stanca di stargli lontana e stanca di tenermi le cose dentro.

-Perché è vero! Perché per me non è cambiato niente, perché ci ho provato con tutte le mie forze, ma tu sei una specie di maledizione e non riesco a farti uscire dalla mia testa! E adesso piombi anche nella mia vita!- mi sfogai, ormai fuori controllo.

Avevo temuto e atteso così tanto quel momento, che non sapevo come gestire le emozioni che mi scoppiavano dentro al cuore.

Noah scosse il capo, abbassando lo sguardo.

-Non devi farmi uscire dalla tua testa, né dalla tua vita-

-Cos'è cambiato, Noah? Dimmi perché adesso- lo implorai, confusa e stanca di non capirci niente.

-A cosa ti riferisci?-

Lo guardai male, assottigliando gli occhi.

È diventato scemo?

-A questo- sbottai, allargando le braccia, -A questa cena, al tuo piombare alla mia porta senza un motivo apparente-

Lui sorrise enigmatico, poi fece spallucce.

-Mi serviva qualcuno che conoscesse il posto, oppure qualcuno con cui scoprirlo-

-Ma stai scherzando? Vuoi che ti molli uno schiaffo?- esclamai, indignata.

Non capivo il senso delle sue azioni, né delle sue affermazioni, ma ero troppo sopraffatta per poter analizzare ciò che diceva.

-Hai sentito cosa ti ho detto?- ribatté lui, afferrando il mio polso per impedirmi di gesticolare.

-Ho capito che hai dei seri problemi. Ti sto chiedendo come mai sei qui e mi dici che non sapevi dove né con chi diavolo andare a cena, e hai chiesto a me?-

La sua vicinanza mi fece avvampare, e mi ritrovai a respirare affannosamente.
A quel punto, scoppiò a ridere.
La sua risata mi riportò ai bei momenti passati insieme e la mia espressione corrucciata si ammorbidì lentamente, fino a lasciarmi disarmata.

-Insegnerò ad Hamden, Ariel-

Inarcai un sopracciglio.

E a me che importa?

-Congratulazioni...?-

-È ad otto chilometri da qui-

-Oh...- sussurrai, cominciando a connettere i fili del discorso.

-Già- annuì lui, -È questo che volevo dirti, e pensavo di farlo a cena, ma avrei dovuto immaginare che sarebbe andata così. Hai una grande vena melodrammatica, ti sono sempre piaciute le scenate- mi prese in giro, sorridendo.

Sbattei le palpebre più volte.

-Non mi piacciono le scenate- riuscii solo a sussurrare, in tralice.

Noah mi circondò le guance con le mani, obbligandomi a incatenare lo sguardo al suo.
Ciò che ci lessi mi capovolse lo stomaco, dall'intensità che mi colpì.
Speravo con tutto il cuore di non aver capito male, ma ancora non riuscivo a reagire.

-Sono qui, Ariel. Sono qui e non me ne vado, non stavolta. Ho preso un appartamento e l'auto l'ho comprata ieri. Ci ho messo dei mesi per organizzarmi, ho venduto la Golf a Jacksonville. Il mio posto è qui, è ovunque ci sia tu-

Le labbra mi tremarono e le morsi per trattenere un singhiozzo.
Non mi aveva dimenticata, mi aveva seguita fino a Yale.
Tutto il dolore, le paranoie, il senso di colpa e di sconfitta, si dissolsero nei nostri respiri avvicinati.

-Noah...- sussurrai, tremando, -Perché non me l'hai detto? Ti avrei aiutato, io...- mi bloccai, senza sapere come proseguire.

-Non potevo rischiare, c'era la possibilità che non riuscissi a trasferirmi. E se avessi deciso di non partire per restare con me? Accontentarti non è ciò che desidero per te, non l'avrei mai permesso. Ho pensato che, agendo da solo, tu avresti continuato per la tua strada, fino a che non fossi riuscito a raggiungerti. Ed eccomi qui-

Scoppiai a piangere, affondando il volto nel suo petto e stringendo la sua camicia così forte che temetti di strapparla.
Lui mi cullò, lasciandomi dei leggeri baci tra i capelli e sussurrandomi dolci parole all'orecchio.

-Avresti dovuto dirmelo- sussurrai, una volta che mi fui calmata.

Capivo il suo discorso e capivo anche le sue motivazioni, ma ciò che non riuscivo a comprendere era l'inutilità del dolore che entrambi ci eravamo provocati.
Noah sospirò, sciogliendosi dall'abbraccio per potermi guardare negli occhi.

-Quando ci siamo conosciuti, non avrei mai creduto di poter compiere delle azioni tanto importanti, ma più passava il tempo, più sapevo che non avrei rinunciato a te tanto facilmente. Non ti ho mai lasciata davvero. Ho chiesto di te a chiunque potesse darmi notizie. Mio zio, Jennifer, Sarah e Mike... li ho implorati di non dirti niente, volevo solo sapere se stessi bene e se mi avessi dimenticato. All'inizio ero davvero convinto che dimenticarci l'uno dell'altra fosse la decisione giusta, ma col passare del tempo la situazione non migliorava e mi mancavi sempre di più. È stato alla cerimonia, quando ti ho vista, quando ci siamo parlati e ho avvertito il legame che ancora ci univa, che ho capito di dover fare qualcosa. Ho cominciato a cercare degli impieghi qua vicino, ho fatto colloqui su colloqui, ho visitato appartamenti e poi sono tornato a Jacksonville prima di trasferirmi definitivamente. Ho ricevuto l'incarico di professore al liceo di Hamden pochi giorni fa, quindi sono subito corso da te-

Le sue parole mi immobilizzarono, trattenni il fiato e poi lo lasciai andare.
Mi era mancato da morire e mi sentivo al settimo cielo all'idea che potessimo finalmente stare insieme, ma c'erano ancora delle cose che non mi tornavano.

-Sei un pazzo. Ti sei trasferito qui, ma non hai mai pensato che potessi dirti di no?- indagai, distogliendo lo sguardo dal suo.

Noah aveva compiuto dei gesti sconsiderati.
Lo avevo atteso per tutto quel tempo, ma lui come poteva esserne sicuro?

-Devo essere sincero? No, non l'ho mai pensato- rispose immediatamente, sorprendendomi, -E non si tratta di presunzione, ma del fatto che ho visto come mi guardavi, a giugno. Ti ho vista al Black Swan, ma non era il momento di parlarti. Non sapevo ancora se il mio progetto fosse possibile, se avesse delle basi solide, ma ho sentito comunque il tuo sguardo su di me, mi bruciava la pelle-

Con le dita cominciò ad accarezzarmi il volto, percorrendo il profilo degli zigomi, la fronte, il naso e, infine, le labbra.
Ebbi un sussulto, ma non demorsi, allontanandomi dal suo tocco ipnotizzante.

-Questa non è una giustificazione per il fatto di non avermi messa al corrente di quello che avevi intenzione di fare. Sai quanto dolore mi avresti risparmiato?-

A quel punto, passò i pollici sotto ai miei occhi, per cancellare il trucco colato che mi macchiava la pelle.
Socchiusi le palpebre, beandomi di quel contatto.

-Dio, ti ho fatta soffrire così tanto, come avrei potuto rischiare di farlo ancora? Volevo che fosse tutto perfetto, che non ci fossero più ostacoli tra noi. L'ho fatto perché ti amo, cazzo, se ti amo. Ti amo ancora più di prima, perché mi sei mancata come l'aria ogni giorno-

Riaprii gli occhi, con sguardo vigile.
Il cuore rombò nel petto, un calore familiare, troppo a lungo sopito, mi investì in tutto il corpo e non potei fare a meno di arrossire.

Noah mi guardava, impaziente, indagando con lo sguardo per captare qualsiasi mia reazione.
Non ebbe tempo di chiedermi niente, perché accorciai la distanza tra le nostre labbra, fino a farle unire in un bacio.

Avevo immaginato la sua bocca sulla mia un migliaio di volte, in quei mesi, ma nessuna fantasia reggeva il confronto con la realtà.

-Ti amo anche io,- sussurrai, tra un bacio e l'altro, -ancora-

Lui strinse una mano attorno al mio fianco, cercando di avvicinare il più possibile i nostri corpi, ma la posizione scomoda in cui ci trovavamo non glielo permise.
Mi allontanai, sbottonando il trench e lasciandolo scivolare sulle spalle.
Noah rimase a bocca aperta.

-Vuoi farmi morire- commentò il mio look, deglutendo.

-È esattamente ciò che voglio- risposi, sorridendo maliziosamente.

In un attimo, salii a cavalcioni su di lui, in modo tutt'altro che leggiadro.
Quell'auto era spaziosa, ma con la mia goffaggine non era stato facile scavalcare il cambio delle marce e posizionare le gambe ai lati delle sue.
In più, sentivo un dolore lancinante alle ginocchia, premute contro la carrozzeria interna.

Nonostante tutto, però, le mani di Noah su di me cancellarono qualsiasi fastidio, trasportandomi in un'altra dimensione.

-Sei sempre più bella- sussurrò, risalendo con la mano lungo la mia coscia, fino ad oltrepassare l'orlo della gonna dell'abito, -Non sai quanto mi sia costato trattenermi alla cerimonia, o al Black Swan. Ad un certo punto, pensavo davvero di mandare tutto al diavolo e trascinarti a casa mia-

Sorrisi sulle sue labbra, stringendo i suoi capelli in una mano.

-Probabilmente ti avrei dato un calcio nei gioielli, ma forse dopo ti avrei seguito- scherzai, ridacchiando sulla pelle del suo collo.

-Forse? Devo per caso ricordarti quando...-

Lo bloccai con un bacio famelico, mordendogli le labbra.

-Fai poco lo spiritoso, posso sempre scendere dall'auto e tornare a casa- lo minacciai, senza riuscire a mantenere un tono duro.

In risposta, mi lasciò un leggero bacio sulla punta del naso.

-A proposito... ci conviene andarcene, non credo sia appropriato appartarsi a lato della strada- ammiccò, aiutandomi a tornare sul sedile del passeggero.

Io, però, avevo ormai le idee chiare.
Dopo aver provato di nuovo le emozioni meravigliose che i suoi baci mi trasmettevano, non avevo intenzione di fermarmi.

-E così... hai un appartamento- buttai lì in tono vago, mentre mi sistemavo il vestito a coprirmi le gambe.

Noah accese il motore, poi mi rivolse uno sguardo mozzafiato.

-E devo sempre arredarlo. Vuoi venire a darmi una mano?- mi provocò, sfiorandomi la coscia mentre ingranava la prima.

-Adesso? E la cena?- mi finsi dispiaciuta, per non dare proprio l'idea di quanto avessi voglia di mandare al diavolo il ristorante e seguire Noah a casa sua.

Speravo non fosse tanto evidente, ma mi bastò un'occhiata allo specchio dell'aletta parasole, per constatare gli alti livelli di rossore sulle guance e gli occhi lucidi.
Ed ero illuminata solo dalla debole luce artificiale dell'auto!
Sicuramente se n'era accorto anche lui, perché sbuffò una risata, mentre eseguiva un'inversione di marcia lungo la strada.

-Sai quante cene ci aspettano? Credo che si possa rimandare... per una buona causa-

Le mie labbra si incresparono in un sorrisetto furbo.

-E sarebbe...?-

-Devo spiegartelo a parole o preferisci che te lo dimostri?-

-Stiamo sempre parlando dell'arredamento, vero?-

Noah rise, poi scosse la testa, con una scintilla maliziosa negli occhi.

Mi abbandonai al silenzio, sospirando soddisfatta, mentre dal finestrino guardavo gli edifici e le case scorrere davanti ai miei occhi.
Per un po' non parlammo, poi mi sorse un dubbio.

-Secondo te, questo è il nostro per sempre felici e contenti?-

-Il nostro cosa?- ripeté lui, lanciandomi una breve occhiata mentre continuava a guidare.

-Ma sì!- lo spronai, agitando una mano, -Il momento in cui sappiamo che andrà tutto bene-

Lo osservai mentre rifletteva, pensando che fosse davvero bellissimo.
Cosa avevo fatto di tanto sconvolgente per meritarmelo?

-Be'- cominciò, svoltando in una stradina e spegnendo il motore, -So che stanotte saremo entrambi molto felici e contenti-

Alzai gli occhi al cielo, sorridendo.
Era la verità.
Potevo continuare ad interrogarmi sul nostro futuro, oppure potevo vivermi il momento senza alcun freno.

-Potresti essere più romantico- lo rimbeccai, incrociando le braccia al petto.

-Va bene!- alzò le mani, in un gesto di resa, -Allora diciamo che, d'ora in avanti, saremo felici e contenti tutte le notti-

Me lo feci bastare, e pensai che fosse il più bel lieto fine di sempre.

Eccoci qui.
Sono un po' frastornata dalle varie emozioni che questo finale mi ha suscitato mentre lo scrivevo e, successivamente, nella rilettura.

Come avrete constatato, si tratta di un finale molto leggero. Non ci sono grandi promesse o gesti eclatanti, ma abbiamo capito cosa ha architettato Noah in tutti quei mesi.

Ariel lo avrebbe aspettato sempre, non avrebbe mai potuto fare altrimenti.
Ci sono cose difficili da spiegare e che si danno quasi per scontate, ma non è per forza una cosa negativa.
L'amore che lei prova per lui non è stato scalfito da niente, in più, scoprire che avesse fatto di tutto per poterla seguire e starle accanto, le ha definitivamente aperto gli occhi sulla persona che aveva davanti.

Noah, ovviamente, ha preferito fare le cose di nascosto, ma questo per il semplice fatto che sarebbe potuta andare male. Non era detto che riuscisse ad ottenere l'incarico, né che potesse trasferirsi.
E, conoscendola, se si fosse riavvicinato senza niente di concreto tra le mani, Ariel avrebbe anche potuto considerare l'idea di rinunciare a Yale.
Ma questo Noah non l'avrebbe mai permesso, un'altra grande prova dell'amore che sente per lei.

Non ho molto altro da dire... ho una sensazione un po' dolceamara di fronte a quest'ultimo capitolo.
Spero che abbiate capito i pensieri e le emozioni dei protagonisti e che siate riusciti ad immedesimarvi nelle loro scelte!

Ora è ufficiale: manca l'epilogo, e poi la storia sarà completa.
Ho intenzione di inserire dei ringraziamenti appena avrò pubblicato l'ultima parte, quindi non mi dilungherò oltre.

So che questo capitolo è immenso, ma ho seguito il cuore e doveva assolutamente essere un pezzo unico.
Spero che ne sia valsa la pena.
Sono rimasta indietro con le risposte ai commenti degli ultimi due capitoli, ma prometto che in questi giorni provvederò!
Vi ringrazio tantissimo per essere arrivati fin qui...
Fatemi sapere cosa ne pensate di questa fine.
Nei prossimi giorni arriverà l'epilogo, potrebbe addirittura venire anticipato a prima del weekend. Vedremo!

Un bacio ♥️

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