Nulla è perduto
Camminavo lungo il corridoio con un grande sorriso stampato in faccia.
Dietro di me, i miei genitori mi stavano aiutando con le cose che avevo deciso di portare nella mia nuova stanza, all'interno dei dormitori del college.
Il viaggio da Jacksonville a New Haven non era stato particolarmente stancante, dato che avevamo preso un aereo.
Andare in auto sarebbe stato troppo scomodo, considerati i più di mille e settecento chilometri di distanza.
Avevamo, inoltre, riempito quattro enormi valigie che avevano viaggiato nella stiva, più una valigia ciascuno, più piccola, che avevamo imbarcato insieme a noi.
Ovviamente, non ero riuscita a portare tutte le mie cose, ma le avrei prese con calma quando sarei tornata.
Il tassista, all'aeroporto, ci aveva aiutati a trascinare tutti quei bagagli e ci aveva tranquillizzati, raccontandoci che un sacco di studenti erano costretti a fare la stessa cosa, a causa della distanza da casa al college.
Giunti davanti a quella che sarebbe stata la mia camera per gli anni successivi, strinsi la presa sul manico della valigia, prima di varcare la soglia.
Il mio sorriso si accentuò ulteriormente, quando notai un'altra persona all'interno.
La ragazza si voltò e smise di riporre i suoi abiti nell'armadio, scrutandomi e ricambiando il mio entusiasmo.
-Ariel!- esclamò, raggiungendomi per abbracciarmi.
Rimasi sorpresa dal suo atteggiamento così amichevole, ma in modo positivo.
Dalla foga, la valigia che stringevo saldamente, cadde a terra.
Dopo un'incertezza iniziale, ricambiai la stretta.
-Ciao, Meredith, è un piacere conoscerti- le dissi quindi, voltandomi verso i miei genitori.
Dopo le dovute presentazioni, Meredith uscì dalla stanza con una scusa per permetterci di sistemarci in intimità.
Sentivo gli occhi lucidi, ma non potevo non essere elettrizzata davanti all'avventura che mi aspettava da quel momento in poi.
Mia madre tirò su col naso e si aggrappò al braccio di mio padre, il quale mi sorrise tristemente.
Li abbracciai e li strinsi forte, scattando un fermo immagine nella mia mente da ricordare nei momenti difficili.
-La mia piccola... ci mancherai- sussurrò mia madre tra i miei capelli.
Anche voi, da morire.
-Vi voglio tantissimo bene. Se sono qui è grazie a voi e a tutto quello che avete fatto per me-
-Sei il nostro orgoglio, lo sai?- sussurrò mio padre, senza riuscire a nascondere una nota tremante nella voce.
Annuii commossa, mentre una lacrima sfuggiva al mio controllo e scendeva lungo la guancia.
-Non piangere, tesoro. Staremo qui per altri tre giorni- mi rassicurò mia madre, anche se mi ero accorta del suo grande sforzo per non crollare.
-Lo so, ma poi...- cominciai, venendo però subito bloccata dal suo sguardo dolce.
I miei genitori avevano deciso di fermarsi qualche giorno a New Haven, dato che per accompagnarmi avevano dovuto prendere un aereo, quindi ne volevano approfittare per una piccola vacanza.
Sospirai, ricomponendomi.
-Avete ragione, godiamoci questi giorni. Andate a fare un giro per la città, io intanto mi sistemo-
A quel punto, dopo avermi salutata, i miei genitori si congedarono e rimasi da sola all'interno della stanza.
Mi guardai attorno, pensando a come avrei potuto decorarla per renderla più mia.
Provavo un grande senso di soddisfazione e responsabilità, nel pensare che avrei trascorso gli anni a venire sotto un tetto diverso da quello dei miei genitori.
Certo, mi sarebbero mancati, ma quello sarebbe stato l'inizio della mia indipendenza.
E, anche se avevo sempre immaginato quel momento in compagnia di nonna Maggie in un appartamento solo nostro, me lo feci andare bene.
Dopo quella che mi sembrò una mezz'ora, durante la quale avevo iniziato a sistemare i miei effetti personali, Meredith comparve nuovamente all'interno della camera.
-Come sono carini i tuoi genitori!- disse, sorridendo apertamente.
La ringraziai, ridacchiando.
-Sì, non sono male- finsi un tono di sufficienza, scherzando, -E i tuoi? Sei arrivata ieri, giusto?-
Io e Meredith ci eravamo sentite sui social e scambiate il numero di telefono ancora prima di incontrarci, non appena ci era stato comunicato che avremmo condiviso la stanza al college.
Ero felice del legame che si era instaurato fin da subito, e avevo buone ragioni per credere che il nostro rapporto si sarebbe intensificato in poco tempo.
-Sì, i miei sono già tornati a Washington- si strinse nelle spalle, sconsolata.
-Anche per me è un'avventura nuova- la rassicurai, raggiungendola sul letto ad una piazza sul quale si era seduta, -Sono sicura che ci divertiremo molto- le feci un occhiolino, tirandola su di morale.
Era una ragazza molto carina e dolce e le avevo fin da subito invidiato i capelli neri e lunghi fino al sedere.
Le chiesi che tipo di shampoo utilizzasse e parlammo del più e del meno, entrando in confidenza come avevamo fatto nelle settimane precedenti tramite messaggi e chiamate.
-Una di queste sere potresti venire a cena con me e i miei, prima che se ne vadano- le proposi, notando subito dopo lo scintillio sorpreso nei suoi occhi.
Annuì vigorosamente, abbracciandomi in un moto d'affetto.
D'altra parte, Meredith si trovava nella mia stessa situazione e volevo che si sentisse a suo agio insieme a me.
Mi appuntai mentalmente di organizzare una cena l'indomani, dopo aver avvertito i miei genitori.
Passammo il resto della giornata a mettere a posto e decorare con i nostri effetti personali tutta la stanza.
Il risultato finale ci soddisfò notevolmente.
Non avevamo molto da fare, dato che le lezioni sarebbero cominciate la settimana dopo.
-Credo che andrò a fare un giro per il dormitorio, vuoi venire?- le chiesi, indossando la giacca di jeans.
Lei scosse la testa.
-Passo, per il momento, sono troppo stanca. Devo chiamare il mio fidanzato e i miei genitori. Semmai ti raggiungo più tardi-
La salutai ed uscii nel corridoio, senza una meta precisa, ma curiosa di conoscere ogni angolo del mio nuovo mondo.
Mentre passeggiavo nel giardino che circondava l'edificio del dormitorio, sentii vibrare il cellulare in tasca.
Lo estrassi e sorrisi alla vista del mittente.
-Ehi!- salutai, stringendomi la giacca al petto.
-Su, non perdiamoci in convenevoli e dimmi subito se hai conosciuto qualche figo-
Scoppiai a ridere, alzando gli occhi al cielo.
-Jen, sono arrivata da poche ore. Piuttosto, che mi dici di te? Hai conosciuto qualcuno a New York?-
La sentii sbuffare.
-Qui all'accademia la fauna maschile si è estinta. Forse non c'è proprio mai stata-
Trattenni un'altra risata, scuotendo la testa.
-E i coinquilini?- le chiesi, curiosa.
Jennifer aveva preso un appartamento a New York insieme ad altri studenti di varie università, preferendolo alle residenze messe a disposizione dal suo istituto.
-Non li ho ancora conosciuti tutti. C'è una ragazza che è davvero la copia di Regina George, dovresti vederla. Ti ricrederesti sul mio conto-
-Mmh- mormorai, -Non credo sia probabile, ma mi fido della tua parola-
Parlammo qualche altro minuto di come ci sembrassero le città nelle quali avremmo dovuto vivere per i successivi anni, poi la sentii sospirare.
-Ariel, devo chiederti una cosa-
Non seppi perché, ma la sua richiesta mi allarmò e capii che non mi avrebbe fatto piacere.
-Spara- la spronai, sentendo l'ansia montare dentro di me.
-Siamo amiche, vero?- azzardò poi, in tono incerto.
E questo cosa cavolo vorrebbe dire?
-Sto per riattaccare- la minacciai, socchiudendo le palpebre anche se non poteva vedermi.
-Rispondi-
Sbuffai, alzando gli occhi al cielo.
-Sì, lo siamo. Perché me lo chiedi?-
-Voglio solo che tu lo tenga bene a mente- si giustificò lei, sulla difensiva.
-Non me la bevo. Stai architettando qualcosa-
-Assolutamente no. Però ricordatelo in questi giorni... per favore-
Ero perplessa e anche leggermente irritata dal suo comportamento evasivo, ma sapevo che non mi avrebbe detto niente di più.
-Ci sei?- mi richiamò.
Respirai profondamente e chiusi gli occhi.
-Sì, va bene. Me lo ricorderò-
-Perfetto. Adesso devo andare... ma ci sentiamo più tardi!-
La salutai, poi riposi il cellulare in tasca.
Mi sedetti su una panchina, cercando di capire cosa volesse dire con quella frase.
Perché Jennifer avrebbe dovuto sentirsi in colpa verso di me?
Cosa aveva fatto?
Sicuramente qualcosa che non mi avrebbe fatto piacere.
Sì, ma cosa?
Entrai nella mia stanza dopo aver bussato.
Meredith si era già messa il pigiama e si stava facendo una maschera al viso.
-Allora, che ne dici di domani sera per la cena con i miei?- le chiesi, mentre mi toglievo la giacca.
Ero stata in un ristorante con mia madre e mio padre e mi avevano riaccompagnata al dormitorio.
Avevo chiesto loro di poter portare con noi Meredith il giorno dopo e avevano accettato molto volentieri.
Lei sorrise e annuì.
-Va benissimo!- esclamò, mentre mi cambiavo e indossavo il pigiama, -Grazie, davvero-
-Figurati! Ci fa molto piacere- minimizzai, con un gesto della mano.
-Che ti ha detto Sean?- le chiesi poi, raggiungendola sul suo letto.
Sean era il suo fidanzato, aveva la nostra età e avrebbe frequentato anche lui l'università di Yale, ma sarebbe giunto in città per l'inizio delle lezioni.
-Che gli manco e tante altre cose- ridacchiò Meredith, mentre si toglieva la maschera e massaggiava la pelle del viso, -E che non vede l'ora di conoscere la mia simpaticissima nuova compagna di stanza- ammiccò nella mia direzione.
Portai una mano al petto con fare teatrale.
-Con tutta questa aspettativa rischio di fare una brutta figura- ironizzai, sorridendo divertita.
-Vi piacerete. Potremmo anche uscire insieme ogni tanto, se ti va- mi propose, felice, -A proposito, potrei chiedergli di presentarti qualche suo amico-
Il sorriso sul mio viso si spense e abbassai lo sguardo.
I ragazzi non rientravano tra le mie priorità, non finché la mia testa e il mio cuore non si fossero liberati di una persona.
-Magari...- mormorai, esitante.
Meredith si accorse del mio comportamento e strinse le palpebre.
-Chi è lo stronzo che ti ha spezzato il cuore?-
Scoppiai a ridere davanti alla sua schiettezza, ma sentii lo stomaco attorcigliarsi.
-È una lunga storia- sussurrai, scuotendo la testa.
-E io ho molto tempo- ribatté lei con un sorrisetto.
Forse parlarne mi avrebbe fatto bene.
Dalla cerimonia di consegna dei diplomi, Noah non si era più fatto sentire, né io lo avevo cercato.
Lo avevo incontrato una sola volta, al Black Swan, quell'estate.
Ero rimasta sorpresa, dato che non sapevo fosse tornato in Florida, ma ero sgattaiolata via prima che potesse vedermi.
Sarah e Jennifer avevano capito la situazione, quindi mi avevano riaccompagnata a casa.
Non avevo smesso di pensare a lui, in più, trovarmi in Connecticut aveva aumentato la speranza di poterlo incontrare, sempre che fosse rimasto da quelle parti.
Presi un profondo respiro e cominciai a raccontare tutto a Meredith.
Parlai della prima volta in cui ci eravamo visti, della discussione che avevamo avuto sulla formazione delle coppie per il progetto di biologia, della punizione in biblioteca per lo schiaffo a Jennifer e del funerale di nonna Maggie.
Continuai a raccontare, dalla scenata di gelosia per Cameron Right fino al pranzo nel parco durante il quale avevamo deciso di allontanarci.
Mi soffermai sulle emozioni che avevo provato quando ero stata a casa sua, sapendolo malato, e sulla delusione di aver scoperto che usciva con la professoressa Cooper.
Ripercorsi le sensazioni paradisiache del nostro primo bacio e delle settimane passate insieme, fino al punto di rottura e alla fatidica sera del ballo invernale scolastico.
Sapevo che Meredith sarebbe rimasta sorpresa dalla mia storia, ma non immaginavo la sua reazione.
Alla fine del racconto, la sua mascella poteva quasi toccare terra, tanto era spalancata.
-Aspetta- mi fermò, gesticolando, -Tu non l'hai più visto?-
Strinsi le labbra tra di loro, imponendomi di non crollare sotto alla miriade di emozioni che avevo riesumato dal cassetto del mio cuore.
-È venuto alla cerimonia dei diplomi, mi ha regalato questa- sussurrai, giocherellando con la collana che non mi ero mai tolta.
Meredith emise un verso strozzato.
-E cosa è successo?-
-Abbiamo parlato, tutto qui. Mi ha fatto le congratulazioni per l'ammissione a Yale e poi se n'è andato- spiegai, stringendomi nelle spalle.
-E basta?- esclamò, palesemente delusa dal finale della storia.
-L'ho intravisto in un locale un mese fa, ma sono scappata- confessai, facendo spallucce.
-Ma il problema era la distanza! E lui insegna qui vicino, no? Okay, non vicinissimo, ma sempre meglio di duemila chilometri!-
-Non so dove insegni adesso- mi limitai a rispondere.
-Com'è possibile? Non vuoi rivederlo?- mi chiese lei, senza essere sgarbata.
Era solo sinceramente curiosa e forse non capiva il perché del mio comportamento.
Certo che avrei voluto vederlo, ma non sapevo come e soprattutto non sapevo se fosse andato avanti.
-Cosa avrei dovuto fare?- mi lamentai, sdraiandomi sul letto e coprendomi il volto con le mani.
Lei mi raggiunse, scostandomi le braccia dal viso.
-Non ti abbattere. Sono sicura che non sia tutto perduto- cercò di incoraggiarmi, senza successo.
Sorrisi, scettica.
-L'ho sempre pensato anche io, ma a questo punto credo di dovermi arrendere di fronte all'evidenza. Sono passati altri tre mesi dalla cerimonia e, nonostante sia tornato in Florida, non mi ha cercata-
Passammo il resto della serata a mangiare biscotti, gentilmente offerti da Meredith, ed a giocare a carte, gentilmente offerte da me.
Parlare con lei di Noah aveva risvegliato un senso di riscatto che non credevo di possedere, e, nel frattempo, la luce della speranza si era nuovamente accesa nel mio cuore.
-Meredith!- esclamai, dal piccolo bagno che avevamo nella stanza, -Devono essere i miei genitori. Puoi aprire, per favore?-
Avevo sentito bussare alla porta, ma dovevo ancora finire di truccarmi.
Meredith andò ad accogliere i miei genitori e li sentii chiacchierare per qualche minuto finché non fui pronta.
Uscii dal bagno ed andai subito ad abbracciare mia madre e mio padre.
-Com'è andata oggi? Avete visto qualcosa di bello?- chiesi loro, mentre afferravo la giacca e la borsetta.
-Sì, siamo andati a Boston con il treno. È stato molto divertente- rispose mio padre, lanciando un'occhiata dolce alla mamma.
-Bene, possiamo andare- dichiarai, pronta ad uscire per andare a cena con loro e la mia nuova amica.
-Hai davvero preso tutto?- mi chiese mia madre, inarcando un sopracciglio.
In effetti, no.
Lei sapeva bene che ogni volta mi scordavo qualcosa.
-Il telefono, non lo trovo- mi lamentai, frugando nella pochette.
-Forse è rimasto in bagno?- azzardò Meredith, trattenendo una risata.
La fulminai con un'occhiataccia.
-Vado a controllare-
Non appena varcai la soglia del bagno, sentii nuovamente bussare alla porta.
-Aspettavate qualcuno?- sentii chiedere da mio padre.
-In realtà no...- disse Meredith, probabilmente avvicinandosi alla porta per aprirla.
Io continuavo a cercare il cellulare, senza successo.
Nel frattempo, sentii il cigolio della porta che si apriva e frasi confuse che non riuscii a captare, troppo concentrata sulla mia ricerca.
Finalmente, trovai il telefono nella tasca dell'accappatoio, esultando mentalmente.
-Ariel!- sentii esclamare mia madre, -C'è un ragazzo che ti cerca-
Arricciai le labbra in un'espressione confusa, ma non feci in tempo ad uscire dal bagno che mi ritrovai Meredith davanti.
-Okay, niente panico- sussurrò, prendendomi per le spalle, -Sono quasi certa che quello di là sia il tuo professore-
Cosa?!
Scoppiai a ridere di gusto, davanti alla sua assurda conclusione.
-Ma se non lo conosci nemmeno- risposi, cercando di superarla per tornare dai miei genitori, -Sarà il tutor. In questi giorni dovrebbe venire a farmi visita-
Lei scosse la testa.
-È più grande, non può essere sempre uno studente. E poi, è davvero figo e ha chiesto di te come se ti conoscesse-
Cominciai a sudare e il battito cardiaco aumentò improvvisamente.
La scansai e raggiunsi in pochi passi l'ingresso della stanza.
Il respiro mi si bloccò nel petto e ne uscì un verso strozzato.
Noah Carter era sulla porta, guardava i miei genitori e l'ambiente circostante con curiosità e teneva le mani nelle tasche dei pantaloni.
Si accorse subito di me e, quando il suo sguardo incontrò il mio, temetti di non riuscire a reggermi in piedi.
-Noah?- mormorai, con voce tremante.
-È proprio lui!- esclamò Meredith, come se stesse assistendo ad un colpo di scena mentre guardava un film.
-Lui è Noah?- si intromise mia madre, con un'espressione sconvolta che avevo visto poche volte nella mia vita.
Tutto ciò che sapevano i miei genitori di lui era che si era trasferito e che era più grande di me, e l'avevano saputo quando era tutto ormai finito.
-Emh...- disse lui, schiarendosi la voce, -Sì, sono io-
Non riuscivo a parlare, tanta era la sorpresa.
E, soprattutto, non riuscivo a credere che il mio corpo e il mio cuore reagissero ancora in quel modo quando me lo trovavo davanti.
-Che ci fai qui?- gli chiesi, in un sussurro appena udibile.
Vidi mio padre passare lo sguardo da me a Noah ripetutamente, inarcando un sopracciglio.
-Sarà meglio avviarsi alla macchina, tesoro- disse, rivolgendosi a mia madre, la quale annuì con foga, -Meredith, vieni con noi?-
La mia nuova compagna di stanza si avvicinò ai miei genitori e, dopo avermi riservato un sorriso incoraggiante, li seguì fuori dalla porta.
-Come hai fatto a trovarmi?- dissi, una volta rimasti soli.
Noah mi fissò, imperscrutabile, senza rispondere.
All'improvviso, capii tutto: era stata Jennifer.
Lui l'aveva sicuramente cercata per chiederle se mi fossi già trasferita e, soprattutto, in quale camera del dormitorio mi trovassi.
Ecco il perché del suo strano comportamento al telefono, il giorno prima.
-Mi sono informato- mi rispose, stringendosi nelle spalle.
-Ho capito- lo anticipai, -Hai cercato Jennifer-
Luì non negò, compiendo qualche passo verso il centro della stanza.
Era bellissimo, come sempre.
Aveva un atteggiamento sicuro e determinato, mentre affondava con le iridi blu nelle mie.
Si guardò attorno per qualche secondo, poi riportò lo sguardo nel mio.
-È molto carina- commentò, riferendosi alla camera.
Anche tu lo sei.
-Già, piace molto anche a me- ribattei, incrociando le braccia al petto, -Come mai sei qui?-
Mi guardò, inarcando un sopracciglio.
-Anche per me è bello vederti- ironizzò, schioccando la lingua contro il palato.
Venni scossa da una forte ondata di rabbia e strinsi le mani a pugno, conficcando le unghie nei palmi per calmarmi.
-Se è uno scherzo, non fa ridere- lo ammonii, a denti stretti.
Noah sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso.
-No, non lo è- rispose, -Mi odi così tanto?-
Sbattei le palpebre, presa alla sprovvista.
No che non lo odiavo, anzi, ma era proprio il fatto di non riuscire a farlo che mi faceva arrabbiare.
-Non ti odio- sussurrai, scuotendo la testa, -È solo che non capisco cos'altro tu voglia da me-
Si passò la lingua sul labbro inferiore, distogliendo lo sguardo dal mio.
I miei occhi catturarono quel movimento, seguendolo attentamente.
-Vorrei invitarti fuori a cena-
Scoppiai a ridere di gusto, bloccandomi quando incontrai la sua espressione seria.
Che richiesta era mai quella?
Mi stava chiedendo un appuntamento?
-Potrei avere altri impegni- lo sfidai, inclinando il capo di lato.
Sbuffò una risata, avvicinandosi a me di qualche passo.
-Mi sono informato anche su questo... e so che stai mentendo- affermò, in tono sicuro.
Cosa voleva dire?
Sicuramente Jennifer gli aveva dato più informazioni di quel che credessi.
Cercai con tutte le mie forze di resistere al suo sguardo, eludendo la sua richiesta.
-Senti, mi stanno aspettando per andare a cena. Ho da fare- tagliai corto, sistemandomi la giacca di pelle sulle spalle.
Noah, però, mi bloccò prima che potessi raggiungere la porta, parandosi davanti.
-Voglio solo una risposta- insisté, deciso.
Il suo atteggiamento autoritario fu l'ultima goccia che fece traboccare il vaso, già colmo, della mia pazienza.
Assunsi un'espressione fredda, gelandolo sul posto con uno sguardo.
-Come ti permetti di venire qui dopo tutto questo tempo e pretendere che ti assecondi?- sibilai, digrignando i denti, -Come puoi dare per scontato che io non ti abbia dimenticato?- sussurrai poi, tradendo il mio stesso tono di voce, che da determinato sfociò in una specie di supplica.
Non capivo davvero cosa ci facesse lì, nel dormitorio del college che avrei frequentato, in un momento che per me non era quello giusto.
Non sapevo se effettivamente potesse esistere un momento giusto, ma non potevo fare a meno di chiedermi perché non mi avesse cercata prima.
Perché non si era fatto avanti quando eravamo ancora in Florida?
C'era davvero bisogno di percorrere duemila chilometri?
Sarebbe davvero cambiato qualcosa?
-Perché so che non è così, e anche perché indossi ancora il mio regalo-
Le sue parole distrussero il muro di indifferenza che avevo cercato di erigere tra di noi, l'atteggiamento menefreghista che avevo assunto si dissolse e i miei pensieri vorticarono senza raggiungere una meta precisa.
Perché mi fai questo? Perché adesso?
-Noah, per favore, ho sofferto davvero tanto... non posso continuare così. Non possiamo- mormorai, abbassando lo sguardo sul pavimento, mentre passavo una mano tra i capelli.
-Ho bisogno di parlare con te. Ti chiedo solo di accettare una cena, una cosa che non abbiamo mai potuto fare insieme- mi pregò, in tono speranzoso.
Aveva ritrovato la sicurezza con la quale si era presentato davanti alla mia porta, mentre le mie certezze si sgretolavano davanti ai suoi occhi.
Avevo tanto sperato che arrivasse quel momento, ma trovarmi in quella situazione non mi permetteva di pensare lucidamente.
-Non lo so...- esitai, mordicchiando il labbro inferiore.
Noah sospirò, passandosi una mano sul viso.
-Pensaci, per favore. Domani alle otto passerò a prenderti qui- disse infine, allontanandosi verso la porta, -Ti spiegherò ogni cosa-
Ero confusa, sconvolta e anche spaventata dalle emozioni che mi avevano travolta.
Non riuscii a fare altro che annuire, mentre lo guardavo uscire e allontanarsi da me.
Estrassi il cellulare dalla borsetta e avviai in fretta una chiamata, mentre mi apprestavo a raggiungere Meredith e i miei genitori all'esterno dell'edificio.
Jennifer rispose al terzo squillo.
-Ehi- mi salutò, in tono incerto.
-Sono davvero incazzata- esordii, in preda all'agitazione, -Noah è appena stato qui. Come hai potuto fare tutto alle mie spalle? Avresti dovuto avvertirmi!- la rimproverai.
-Ti giuro che all'inizio l'ho mandato al diavolo, ma era così disperato e aveva assolutamente bisogno di sapere dove fossi- si giustificò, incespicando nelle parole, -Non ho potuto fare altrimenti, non avevo intenzione di farti alcun torto e lo sai-
Sospirai, calmandomi lentamente.
Aveva ragione; lei non c'entrava un bel niente.
Mi avrebbe trovata lo stesso, Jennifer gli aveva solo facilitato le cose.
-Va bene, ma adesso io cosa dovrei fare? Mi ha invitata a cena fuori, domani sera- protestai, spaventata da ciò che sarebbe successo.
-Devi solo ascoltarlo, Ariel, poi deciderai cosa è meglio per entrambi, ma soprattutto per te-
Non potei che assecondarla nuovamente, dato che il suo discorso non faceva una piega.
Avrei ascoltato cosa aveva da dirmi, senza farmi influenzare da nessuno.
Eravamo stati lontani quasi un anno, pensavo davvero di essere andata avanti.
Allora perché mi sembrava di essere tornata finalmente a respirare?
Eccomi qui, finalmente!
Scusate il ritardo, ma ho avuto dei giorni pieni di impegni!
Piccolo regalo... ho spezzato questo ultimo capitolo in due parti, quindi sabato prossimo arriverà l'ultima parte prima dell'epilogo.
Ci sono ancora delle cose da chiarire...
Non mi dilungo ulteriormente perché è tardi e ho sonno, ma ci tengo a ringraziarvi per la vostra pazienza ♥️
Cosa pensate che accadrà?
Perché Noah è tornato solo adesso?
E cos'ha in mente?
Vi piace Meredith? È un personaggio che mi sta molto a cuore, rappresenta il cambiamento di Ariel e l'inizio della sua nuova avventura al college ❣️
Ci aggiorniamo la prossima settimana, buonanotte a tutti, e ancora grazie per aver intrapreso insieme a me questo viaggio ❤️
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