Epilogo - Fin dal principio
Tre anni dopo
-Brandon! Smettila di giocare in casa con quella stupida palla!-
Non riuscii a trattenere una risata di fronte alla scena che avevo davanti: Summer, la moglie di Matt, il fratello di Noah, stava rincorrendo suo figlio per tutto il salotto.
Brandon, dal canto suo, non sembrava avere alcuna intenzione di obbedire agli ordini della madre.
-Scusate, ma ultimamente è davvero euforico, soprattutto da quando sa che sareste venuti- si scusò lei, scostandosi una ciocca di capelli dal volto.
-Non ti preoccupare, abbiamo intenzione di farli stancare parecchio, oggi- la tranquillizzò Noah, ammiccando nella mia direzione.
Mi affrettai ad annuire.
-Oh, sì! Abbiamo già stilato un elenco di giochi molto faticosi, ci sono persino dei premi!- lo assecondai, facendo dondolare la busta di cartone che avevo tra le mani.
Summer ci ammonì con lo sguardo, poggiando le mani sui fianchi.
-Siete qui per festeggiare, non per fare i babysitter-
-Ma noi adoriamo fare i babysitter!- le assicurai, in tono più che convincente.
La verità? Non è che ci sentissimo proprio al settimo cielo all'idea di addomesticare quelle bestiole che loro chiamavano figli, ma non era poi così male.
Una volta addormentati, la sensazione di pace e soddisfazione superava qualsiasi sforzo.
Nel frattempo, i due marmocchi erano spariti dal salotto.
-Ehi, guardate chi c'è!- irruppe Matt, sbucando dalla cucina, -Zio Noah e zia Ariel!-
Sophia e Brandon ci corsero incontro e io mi piegai sulle ginocchia, per accoglierli meglio tra le mie braccia.
Non capivo da dove fossero sbucati, ma non me lo chiesi neanche, conscia del fatto che non sarei mai riuscita a sapere come potessero apparire e sparire a loro piacimento senza farsi notare.
-Ma come siamo cresciuti!- esclamai, stringendoli entrambi, -Soph, hai dei capelli bellissimi! E, Brady, sei davvero alto!-
I miei nipotini acquisiti ridacchiarono e mi trascinarono a giocare con loro.
Brandon aveva sette anni, mentre Sophia ne aveva compiuti da poco undici.
Erano in un'età particolare e mi accorsi della gratitudine di mia cognata Summer, quando accettai di giocare se solo si fossero preparati per il pranzo imminente.
-Okay, ma intanto ci prendiamo lo zio Noah- negoziò il più piccolo, ancorandosi al braccio del mio fidanzato.
Noah si strinse nelle spalle.
-Immagino di non avere molta scelta- commentò, ricevendo un cenno di dissenso molto inquietante da suo nipote.
-Ragazzi, tra cinque minuti è pronto, tornate in tempo- ordinò Summer, in tono autoritario, mentre sparivano tutti e tre al piano di sopra.
Sospirai e mi lasciai ricadere sul grande divano bianco nel salotto.
-Siete stanchi per il viaggio?- mi chiese Matt, accomodandosi sulla poltrona di fronte a me, -Oppure mio fratello non ti ha fatto dormire stanotte?-
Ero talmente abituata alle sue battutine, che non arrossivo neanche più.
La risposta risiedeva in entrambe le motivazioni, ma questo non glielo avrei detto.
Gli lanciai un'occhiata esasperata, mentre sua moglie lo colpiva con uno strofinaccio.
-Sei sempre il solito deficiente- gli disse poi, scuotendo la testa, -Adesso corri a controllare l'arrosto. Ci parlo io con la nostra cognatina-
Matt si defilò, non prima di avermi lanciato un occhiolino.
Ridacchiai e scossi la testa.
-Il viaggio è andato bene?- mi chiese Summer, premurosa.
-Oh sì, tutto a meraviglia!- risposi, sorridendo.
Trovarsi a Miami significava poter andare a trovare Mike e Lucy e la cosa mi rendeva davvero felice.
Con Sarah e Jennifer era più semplice, dato che non eravamo troppo lontane e riuscivamo ad organizzarci abbastanza bene per passare del tempo insieme, ma la lontananza di Mike era un impedimento notevole per i nostri contatti.
Nonostante tutto, però, non mancavamo mai di chiamarci al telefono o su Skype e di messaggiare su WhatsApp.
-Allora, tesoro, come va la convivenza?- mi chiese ancora Summer, accavallando le gambe.
Istintivamente, le mie labbra si incresparono in un sorrisetto sognante.
-Dalla tua faccia, deduco che sia una meraviglia-
-Ovviamente è troppo presto per dirlo, ma... credo che funzioniamo davvero bene insieme- ammisi, stringendomi nelle spalle.
-E te ne accorgi solo ora?- ribatté lei, inarcando un sopracciglio.
-È che un conto è stare insieme, un altro è vivere la quotidianità l'uno dell'altra- spiegai, mordendomi le labbra, -Non è facile non mandarsi al diavolo almeno una volta al giorno-
Io e Noah avevamo deciso, dopo più di due anni di relazione, che potesse essere il momento per me di lasciare il campus del college, trasferendomi con lui ad Hamden.
Il bisogno di passare le serate insieme mi aveva già portata a dormire da lui almeno tre volte a settimana, e solo perché me lo ero imposto come limite massimo.
Era inutile continuare ad usufruire della stanza nel dormitorio, quando era chiaro che preferissi mille volte dormire con Noah.
Però, non era tutto rose e fiori.
Le discussioni erano all'ordine del giorno e riguardavano sempre stupidi argomenti legati all'organizzazione della nostra vita insieme all'interno dell'appartamento.
-Ma è per questo che esiste il lavoro, o nel tuo caso l'università, i club del libro, la palestra, le uscite con gli amici...- si interruppe, per assumere una finta espressione addolorata, -Prima che nascano i marmocchi, ovviamente. Da quel momento in poi, puoi dire addio alla tua vita sociale-
Scoppiai a ridere, sapendo che stesse scherzando.
Summer e Matt erano completamente assorbiti dai loro ruoli di genitori, ma non avrebbero per niente al mondo desiderato una vita diversa.
-Seguirò i tuoi consigli di madre disperata- la presi in giro, dandole un leggero colpo sul piede con il mio.
Lei mi fece un grande sorriso, poi si apprestò a richiamare l'attenzione dei suoi figli e del mio splendido fidanzato.
Noah scese le scale con Brandon e Sophia attaccati alle braccia e con la maglietta macchiata.
Trattenni una risata, coprendomi la bocca con la mano, mentre lui fulminava con lo sguardo i suoi nipotini.
-Ma cosa avete fatto?- li rimproverò Summer.
-Volevo truccare lo zio Noah, ma non ha voluto e mi è caduto tutto il lucidalabbra alla ciliegia sulla sua maglia- rispose Sophia, con espressione irritata, -È colpa sua, se stava fermo non succedeva-
Vidi mia cognata aprire la bocca per ribattere, alzando l'indice verso sua figlia, quando Matt ci raggiunse e le bloccò il braccio.
-Non correggerle i verbi o non si siederà mai a tavola- le sussurrò a denti stretti, fingendo di sorridere verso i bambini.
Lei si ricompose e annuì lentamente.
-Okay, hai ragione. Da' a tuo fratello qualcosa da mettersi, mentre io e Ariel facciamo sistemare i mostri a tavola-
Il loro siparietto mi fece sorridere e mi sentii a casa.
Ci trovavamo a Miami per festeggiare il trentesimo compleanno di Noah insieme alla sua famiglia, della quale ormai rimaneva solo suo fratello, con la moglie e i figli.
Eravamo stati a trovarli spesso e una volta eravamo persino riusciti ad andare in vacanza assieme.
I bambini erano stati affidati ai genitori di Summer e noi quattro avevamo optato per una tranquilla gita in Messico.
Era lì che avevamo appreso la triste notizia della morte di Frank.
Non era stato facile superarlo, ma sapevamo tutti che, alla veneranda età di novantacinque anni, sarebbe successo presto.
Matt raggiunse Noah, superandolo per poi sparire sulle scale.
Ne tornò dopo qualche secondo con una t-shirt nera, che lanciò in faccia a suo fratello.
-Bella presa- lo sfotté, -Se hai questa reattività a trent'anni, non immagino alla mia età. Ariel, sei sicura di voler stare con questo vecchietto?-
Morsi l'interno della guancia per non scoppiare a ridere, di fronte all'espressione oltraggiata del mio fidanzato.
Stavo per intervenire, quando Noah si sfilò la maglia macchiata e la gettò ai piedi di suo fratello.
-Però tu non avevi un fisico come il mio neanche alla mia età- lo provocò, indossando con lentezza studiata la t-shirt pulita.
Eh, vabbè.
Mi resi conto di aver trattenuto il respiro, quando sentii i loro occhi su di me.
Matt sembrava vagamente divertito, mentre Noah aveva sfoderato uno dei suoi soliti sguardi pieni di malizia e promesse indecenti.
Mi schiarii la voce, fingendo nonchalance.
-Continuate la vostra battaglia all'ultimo testosterone senza di me, vi aspetto a tavola- mi congedai, con le guance in fiamme.
Una volta raggiunta la sala da pranzo, sospirai di sollievo nel notare che Sophia e Brandon fossero già seduti.
Andai in cucina e aiutai Summer con le portate da servire a tavola.
Matt e Noah ci raggiunsero poco dopo e, insieme, ci sistemammo a sedere.
-Cosa ci ha preparato, stavolta, il cuoco?- chiesi, sporgendomi per vedere cosa ci fosse all'interno della pirofila.
Matt sorrise, pieno di sé, mentre serviva il cibo nei piatti.
-Filetto alla Wellington- rispose, allungandomi il piatto pieno, -Solo il meglio per il mio fratellino-
Ammiravo la perfetta sinergia che Matt e Summer erano riusciti a raggiungere, nel prendersi cura di due figli e di una grande casa, nonostante entrambi lavorassero tutto il giorno.
Infatti, durante la settimana, quando i bambini uscivano da scuola, avevano una babysitter che li teneva fino a che i genitori non tornavano da lavoro.
Non erano felici di non poter passare tanto tempo con i loro figli, ma non potevano fare altrimenti, se volevano mantenere lo stile di vita che avevano, e nessun dei due avrebbe mai rinunciato al lavoro per stare a casa.
Mangiammo tra risate e buffi aneddoti, poi Matt e Summer ci congedarono dalle faccende domestiche per distrarre i bambini.
Ci spostammo in salotto, pronti per una faticosa sessione di giochi.
Dopo due ore e mezzo di cacce al tesoro, nascondino e guardie e ladri, finalmente i marmocchi cedettero.
Sophia si addormentò sul divano, mentre Brandon optò per il morbido tappeto in pelliccia sintetica.
Io e Noah esultammo in silenzio, battendo il cinque.
-Se non abitaste dall'altra parte del paese, vi obbligherei a vivere qui- sussurrò Summer, in piedi sulla porta del salotto, con la testa poggiata al petto di Matt.
-Ed è proprio per questo che abitiamo dall'altra parte del paese- rispose Noah, sorridendo furbo.
-Noi due andiamo a riposarci- disse Matt, stringendo il braccio attorno ai fianchi della moglie, -Sistematevi pure nella camera degli ospiti. Stasera al ristorante ti daremo anche il regalo- si rivolse a Noah, strizzando un occhio.
-Altrimenti me lo prendo da solo- scherzò lui, salutandoli con un cenno del capo.
Dato che avevamo fatto un lungo viaggio, saremmo stati ospiti di Matt e Summer per qualche giorno.
La sera saremmo andati ad un ristorante per festeggiare il compleanno di Noah, mentre i bambini sarebbero andati a casa dei genitori di mia cognata.
Mi alzai da divano senza fare rumore.
-Amore, andiamo a riposarci anche noi?- gli chiesi, sfinita.
Noah annuì in silenzio, alzandosi a sua volta e recuperando le valigie che avevamo lasciato nello sgabuzzino al piano terra.
Varcammo la porta della camera e lo sguardo ci cadde sul grande letto a baldacchino, che era comodissimo e noi lo sapevamo molto bene, dato che ci avevamo già dormito altre volte.
Scambiammo un'occhiata di intesa e, senza dire una parola, ci lanciammo a peso morto sul materasso.
Mi accoccolai al suo petto, accarezzando il torace di Noah da sotto la t-shirt.
-Che fisico notevole- sussurrai, maliziosa, -Per essere un trentenne- conclusi, trattenendo un risolino.
Lui mi afferrò il polso e mi trascinò sotto il suo corpo, la bocca ad un soffio dalla mia.
Adoravo stuzzicarlo, provocando la sua reazione di uomo ferito nell'orgoglio.
-Ma guarda un po'- ribatté lui, intrufolandosi con la mano sotto alla gonna del leggero vestitino a fiori che indossavo, -Non ti sei mai lamentata-
Avevo bramato un contatto con lui per tutto il giorno e, in quel momento, ritrovarci da soli sul letto in camera, non lasciava spazio a molti scenari.
-E non comincerò di certo adesso- risposi alla sua insinuazione, inarcando la schiena e offrendomi completamente alle sue attenzioni.
Lui chiuse la mia bocca con un bacio, un tocco leggero che presto si trasformò in un disperato contatto famelico, mentre continuava a dedicarmi delle carezze scandalosamente intime e profonde.
I miei gemiti morivano sulle sue labbra, mentre mi intimava di non fare rumore.
Io e Noah funzionavamo davvero bene, insieme.
Mi staccai, con il fiato corto e le guance in fiamme.
Nel suo sguardo liquido di bramosia ci rividi il mio, e dovetti fare appello a tutta la mia forza di volontà per scivolare dalla presa salda del suo corpo.
Noah lanciò un verso di protesta, accomodandosi a sedere sul letto.
-Non mi hai ancora dato il tuo regalo- mi ammonì, -Ho bisogno di te da ore ormai, non puoi fare così- si lamentò, senza però riuscire a trattenere un sorriso esasperato.
Mi sistemai a cavalcioni sulle sue gambe, circondando il suo viso con le mani.
-Volevo solo proporti una doccia in compagnia- rilanciai, facendo ben attenzione ad incastrare perfettamente i nostri bacini.
Il suo sguardo furbo mi inchiodò, arpionò i miei fianchi con le mani e si alzò in piedi.
Repressi un gemito di sorpresa, incrociando le gambe dietro la sua schiena per non cadere.
-È un sì?- gli chiesi, ridacchiando.
Rispose catturando le mie labbra con le sue, senza bisogno di alcuna parola.
Mi trascinò nel piccolo bagno della camera degli ospiti, poggiandomi sul ripiano del lavandino.
Fece scorrere il mio abito verso l'alto, e io alzai le braccia per facilitargli il compito di sfilarmelo.
Si prese quei soliti istanti per osservarmi con occhi di fuoco, come faceva ogni volta in cui ci spogliavamo.
All'inizio, i suoi sguardi mi mettevano in soggezione, ma con il tempo erano diventati la linfa vitale che riusciva ad accendermi come una miccia.
Senza indugiare oltre, si tolse la maglietta e la gettò a terra, poi aprì la manopola della doccia impostandola sul lato dell'acqua calda.
Mentre gli sbottonavo i jeans, lui mi sganciò il reggiseno, facendo scivolare lentamente le spalline lungo le mie braccia.
Si liberò dei pantaloni con un calcio e ben presto i miei slip e i suoi boxer fecero la stessa fine.
-Hai un'ossessione per le docce- mi sussurrò nell'orecchio, mentre l'acqua bollente investiva i nostri corpi brucianti di desiderio.
-Tu ce l'hai per le scrivanie...- risposi, allacciando le gambe ai suoi fianchi, -Ad ognuno il suo- conclusi, accogliendo la sua lingua nella mia bocca.
Il suo petto tremò sotto il peso della sua roca risata, un suono che mi colpì dritta al ventre.
Mi inarcai sempre più verso il suo corpo, fino ad accoglierlo completamente con il mio.
Fu intenso, bagnato, silenzioso e lento.
Quando finì, ci avvolgemmo negli asciugamani di spugna appesi alla parete e ci sdraiammo sul letto, ancora ansanti.
-Non mi stancherò mai- sussurrò, malizioso, avvolgendo il mio corpo con le sue braccia.
-Lo spero- lo minacciai, ridacchiando subito dopo.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, soddisfatti ma esausti, poi mi alzai e andai a frugare nella valigia che avevamo posizionato davanti all'armadio.
-Che fai?- mi chiese, puntellando i gomiti sul materasso per sollevare il busto.
Gli lanciai un'occhiata e non potei fare a meno di rimanere senza fiato.
Era una visione celestiale, con l'asciugamano attorno ai fianchi e i capelli bagnati che gocciolavano sulla pelle.
Recuperai ciò che stavo cercando e lo raggiunsi nuovamente sul letto.
Noah inarcò un sopracciglio alla vista della busta che tenevo in mano.
-Il tuo regalo- spiegai, stringendomi nelle spalle.
La sua espressione curiosa si tramutò in una maschera di dolcezza.
Mi afferrò una mano, se la portò alle labbra e la baciò delicatamente.
-Ne avevamo già parlato, prima scherzavo- protestò debolmente, -Sei una studentessa, non mi devi fare regali-
Sbuffai, incrociando le braccia al petto, in un comportamento davvero poco maturo.
-Per favore, già è dura sapere che mi mantieni, non posso neanche farti un regalino? Non vedo l'ora di cominciare a lavorare sul serio per poterti dare quello che meriti-
Avevo accettato di vivere con lui, perché non vedevo soluzioni che mi rendessero più felice, ma non era facile sapere di dover vivere grazie al suo stipendio.
Io studiavo e avevo deciso di non accettare più soldi dai miei genitori, se non quelli per la retta del college.
Mi ero trovata un lavoretto come barista vicino al campus, il che mi permetteva di organizzarmi bene con lo studio, ma non guadagnavo abbastanza da poter contribuire in modo equo assieme a Noah.
-Non voglio più sentirti dire queste cose- disse, implorante, -Sei la mia fidanzata, studi e hai deciso anche di lavorare. Sai benissimo che per me non ci sarebbero problemi se volessi lasciare il bar, ma non voglio privarti della tua indipendenza. Però, per favore, cerca almeno di essere felice con me senza sentirti un peso-
Mi mordicchiai il labbro inferiore, riflettendo sulle sue parole.
I miei genitori non erano rimasti entusiasti della nostra decisione di vivere insieme, consci del fatto che non avrebbero potuto pagarmi un affitto se avessi vissuto con il mio fidanzato.
Sarebbe stato alquanto strano.
Allo stesso tempo, però, mi avevano incoraggiata a contribuire alla vita di coppia con un lavoretto che mi permettesse di togliermi qualche sfizio.
Sospirai, rilassando le spalle.
-Va bene, scusami. Cercherò di non pensarci- concessi, annuendo, -Però, adesso, aprilo- insistetti, colpendolo con la busta.
Mi lasciò un dolce bacio sulla fronte, poi iniziò a scartare il pacchetto che c'era all'interno.
Ero emozionata e anche un po' preoccupata per il regalo che gli avevo fatto.
Una delle ultime volte in cui eravamo stati a trovare suo nonno Frank, lui mi aveva trattenuta per consegnarmi un oggetto.
Era un orologio, con il cinturino di pelle spessa, completo di fasi lunari e molto dettagliato.
Frank mi aveva spiegato che apparteneva a Victor, il padre di Noah e Matt, e che lo aveva tenuto lui fino a quel momento.
Quando me lo consegnò, con la promessa di darglielo al suo trentesimo compleanno, capii che di lì a poco sarebbe arrivata la sua fine.
Infatti, poche settimane dopo, la casa di riposo ci contattò per darci la triste notizia.
Eravamo tornati a Jacksonville per il funerale e avevamo soggiornato a casa mia, ospiti dei miei genitori, per qualche giorno.
Non era l'unico regalo, dato che quello era da parte di Frank e mai me ne sarei presa il merito, ma ciò che mi preoccupava era la reazione di Noah di fronte a quell'oggetto, non davanti al bracciale d'argento che gli avevo comprato.
All'interno del pacchetto, Noah trovò due cofanetti.
-Due?- mi chiese, sorpreso, -Addirittura?-
-Non perdere tempo e aprili!- lo esortai, divorata dall'ansia.
Avevo sistemato l'orologio all'interno di un sacchetto di velluto blu scuro, e quello fu il primo che Noah aprì.
Quando lo estrasse dall'involucro, vidi la confusione attraversare i suoi occhi.
Dopo un istante lo riconobbe, perché trattenne il respiro.
Mi lanciò un'occhiata veloce, immobile, come se quell'oggetto lo avesse inchiodato al letto.
Poi, vidi le sue labbra tremare e il mio cuore si strinse in una morsa dolorosa.
I suoi occhi si fecero lucidi e d'istinto lo abbracciai, incastrando il suo volto nell'incavo del mio collo.
Avevo già visto Noah piangere, quando aveva saputo della morte di Frank, ma quella volta fu diverso.
Fu diverso perché le sue labbra si incresparono in un sorriso e le lacrime scesero silenziose lungo le guance.
Noah era felice.
-Mi dispiace dartelo solo adesso, ma Frank mi aveva fatto giurare di aspettare i tuoi trent'anni, e io non sapevo come fare... ma poi ho deciso di rispettare le sue volontà- mi giustificai, in tono incerto.
Lui mi guardò con occhi scintillanti, poi mi baciò a lungo, infilando una mano tra i miei capelli per inchiodarmi alle sue labbra.
-Sei un angelo- mi sussurrò, facendomi sprofondare il cuore nel petto.
Tutto l'amore che mi dimostrava, tutte la attenzioni che mi dava, non le avrei cambiate per niente al mondo.
Ero completamente sua, abbandonata al suo volere, e lui si prendeva cura di me con tutto l'amore del mondo.
Noah indossò l'orologio al polso e lo accarezzò delicatamente, come se avesse paura di danneggiarlo.
-Ricordo questo orologio. Sapevo che appartenesse a mio padre, ma lo avevo sempre visto a nonno Steve, suo padre. Non sapevo che lo avesse tenuto Frank per tutto questo tempo- sussurrò, emozionato.
-E non è finita qui!- esclamai per stemperare la tensione, indicandogli l'altro cofanetto.
Noah riportò lo sguardo nel mio e sorrise, aprendo anche il mio regalo.
Quando estrasse il bracciale dalla scatolina, percepii chiaramente il suo stupore.
Era dal taglio semplice, in argento.
La cosa speciale risiedeva nei caratteri che ci avevo fatto incidere, all'interno.
-Sei impazzita- bisbigliò, rigirandoselo tra le mani, -Ti avevo detto...-
-Niente di esagerato, lo so- lo interruppi, poggiando le mani sulle sue, -Ma ho lavorato tanto e messo i soldi da parte, perché volevo fosse un regalo unico-
Mi riservò uno sguardo che mi fece sentire, per l'ennesima volta, la ragazza più fortunata al mondo.
-Non so come tu faccia, ma riesci sempre a stupirmi- disse, scuotendo la testa.
-Guarda all'interno- gli consigliai, incrociando le gambe sul materasso.
Lo girò immediatamente, avvicinandolo al viso per leggere meglio.
-"A e N, fin dal principio."- lesse, con voce roca.
Gli sorrisi timidamente, stringendomi nelle spalle.
-Allora, ti piace?- gli chiesi, impaziente.
-Scherzi? È meraviglioso, tu sei meravigliosa, io non so che dire...- parlò con foga, incespicando nelle parole.
Scoppiai a ridere, saltandogli al collo.
-Ti amo- bisbigliai al suo orecchio.
-Anche io, da morire- mi rispose, in tono flebile.
-Ti ho lasciato senza parole, è incredibile- lo punzecchiai, aiutandolo ad agganciare il bracciale al polso.
-Con tutte le volte in cui sono io, a lasciarti senza parole, ti posso concedere qualche piccola vittoria- ribatté lui, sornione.
-In questo momento, per esempio, la vista di te, nudo, con il mio regalo addosso, mi lascia abbastanza senza parole- lo provocai, allentando la chiusura dell'asciugamano che mi avvolgeva il corpo.
Noah reagì tirando un lembo e facendomelo scivolare via.
-Dico davvero, amore mio. Grazie- disse, con una sincerità disarmante.
-Ti meriteresti molto di più, ma per quello c'è tempo- sussurrai, ad un soffio dalle sue labbra.
Si riprese in fretta, sollevando un angolo della bocca in un mezzo sorriso, mentre mi avvolgeva i fianchi con il braccio.
-Quanto tempo, esattamente?- mi chiese, trascinandomi sul letto.
Lo ammirai, mentre mi perdevo nel suo sguardo e mi beavo delle sue carezze.
In quel momento, capii per l'ennesima volta che, qualsiasi cosa fosse accaduta, il mio cuore sarebbe sempre stato suo e viceversa.
-Tutta la vita- risposi, prima di suggellare quella promessa con un bacio.
Ed eccomi qua, per l'ultima volta.
Non posso dire altro se non grazie di cuore a tutti, ma per questo vi rimando al prossimo capitolo dei Ringraziamenti.
Spero che questo epilogo vi abbia dato le emozioni che ha dato a me scrivendolo.
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