Contare fino a dieci(mila)
La mattina mi svegliai con un mal di testa terribile e un po' di fame. La cosa positiva era che almeno riuscivo a provare qualcosa.
Buongiorno un caz- no. Positività, Ariel, oggi c'è il sole! Sarà meglio chiudere le persiane.
Il giorno prima era stato un disastro, ero rimasta in camera a fissare il soffitto per tutto il tempo, fino a che, verso le dieci, mi ero addormentata. Non potevo certo cambiare drasticamente umore nel giro di poche ore. Mi sentivo ancora triste, ma ero sicura di essere in grado di affrontare quella giornata
Nonna non sarebbe per niente felice di sapermi qui incapace anche solo di alzarmi dal letto.
Avevo pensato per tutto il giorno prima, e avevo capito che rimuginare non serviva a niente. Mia nonna mi avrebbe voluta vedere sorridere, reagire, non deprimermi in quel modo. Ed io avevo intenzione di farlo per lei, anche se sarebbe stato difficile.
Okay, riproviamoci. Buongiorno mondo, sono pronta a conquistarti! No, forse è troppo... diciamo che sono pronta ad uscire di casa. Ecco, così è più realistico.
Interruppi le mie elucubrazioni mentali e compii l'eroico gesto di prepararmi per uscire. D'altra parte, un po' eroina lo ero, dato che mi avevano dato il nome di una principessa Disney.
Dopo una breve colazione, accompagnata da qualche frase di circostanza con i miei genitori, finalmente misi piede fuori dalla porta di ingresso.
Mi incamminai verso la scuola, sempre nel mio mondo fatto di musica, e in pochi minuti mi trovai davanti al cancello: quella volta in perfetto orario. Scorsi i miei amici vicino all'ingresso e mi avvicinai velocemente a loro.
-Ariel!- esclamò Sarah, con tono sollevato.
-Perché non rispondi alle telefonate?- mi chiese Mike, furioso.
Bella domanda. Perché sono un'amica stronza ed egoista.
Mi sentivo davvero in colpa per come stavo trattando gli amici più cari che avessi, il cui unico obiettivo era quello di starmi vicini e consolarmi.
-Non ho sentito il cellulare- mentii, scrollando le spalle.
-L'hai sentito, invece, e ci hai fatti preoccupare da morire- mi rimproverò Sarah.
Abbassai lo sguardo, colpevole fino al midollo, e mi avviai dentro l'edificio verso il mio armadietto, mentre loro mi seguivano e la campanella segnava l'inizio dell'orario scolastico.
-Avete ragione, ragazzi, scusate se vi ho fatti preoccupare, è solo che...- non trovavo le parole -Non so, mi sento strana in questi giorni- conclusi, mortificata.
Sarah e Mike si guardarono incerti e poi mi sorrisero.
-Ascolta, siamo noi a doverci scusare, non vogliamo essere invadenti, vogliamo solo che tu stia bene- spiegò Mike, prendendomi una mano e accarezzandola.
Sarah mi cinse le spalle con un braccio e mi baciò sulla fronte.
-Esatto, d'ora in avanti non ti staremo più con il fiato sul collo... promesso-
Come sempre, mi rassicurarono e sentii un piacevole calore vicino al cuore. Erano delle persone meravigliose.
-Grazie, vi voglio bene-
Li abbracciai riconoscente e poi aprii il mio armadietto.
-Allora... cosa è successo quando me ne sono andata, ieri?- chiesi, prendendo il libro di storia.
-Beh, niente... Carter ci ha chiesto come mai te ne fossi andata e nessuno ha saputo rispondere, poi abbiamo continuato la lezione- rispose Mike, appoggiandosi agli armadietti adiacenti al mio.
-Carter?- ripetei io, confusa.
-Sì, Noah Carter, il nuovo professore di biologia-
Mi tirai uno schiaffo sulla fronte. Mi ero scordata di quella figuraccia.
Che giornata meravigliosa, ora sì che posso andare a nascondermi sotto il letto e non uscire mai più, nutrendomi di acqua e merendine.
-Quel ragazzo?-
-Esattamente. Quel gran figo.- confermò Sarah, annuendo e facendomi scoppiare a ridere.
-Ma che pensieri fai?- la rimproverai divertita.
Lei fece spallucce.
-È un dato di fatto. E poi è giovanissimo! Ha solo ventisei anni!- esclamò eccitata.
-Ancora non riesco a credere che abbia sostituito il professor Davis... comunque, grazie ragazzi. Per non aver detto niente, intendo-
Chiusi l'armadietto con uno scatto, poi mi voltai verso di loro.
-Adesso scusate, ma alla prima ora ho la Turner, e se arrivo tardi mi uccide-
-Allora ti conviene correre- ironizzò Mike.
-Esatto... ci vediamo dopo!- li salutai con un cenno del mento, che ricambiarono, strinsi forte al petto i libri che avevo tra le braccia, come per darmi coraggio, e mi voltai, camminando per il corridoio. Ero sicura che la professoressa fosse già in classe dietro la cattedra che aspettava i ritardatari per rimproverarli. Sarebbe stata molto sorpresa se una di quelli fossi stata io, per questo accelerai il passo e svoltai nel corridoio che dava sulle scale, ormai deserte.
Non riuscivo a togliermi dalla testa quello che mi aveva detto Sarah. Possibile che avessimo un professore di biologia così giovane? Possibile che non avesse esperienza e che quindi fosse un disastro totale come insegnante?
Sei la fiducia verso il prossimo in persona, Ariel.
Se non altro, io non potevo certo giudicarlo, dato che non avevo ancora assistito ad una sua lezione.
Salii i gradini senza neanche alzare la testa, perciò andai a sbattere contro qualcuno e caddi rovinosamente con il sedere per terra, gemendo per il dolore.
-Merda!- sibilai in tutta la mia finezza, massaggiandomi la base della schiena.
-Oddio, signorina, mi scusi!-
Accettai la mano della persona che mi aveva travolta e alzai lo sguardo.
Ecco, parli del diavolo...
-Ariel White?- chiese il professor Carter, stupito, alzando un sopracciglio.
Arrossii per la figuraccia appena fatta, mi schiarii la voce, imbarazzata, e mi alzai in fretta, stirandomi la camicetta con le mani.
-Già- confermai, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Mi presi un istante per osservarlo meglio e notai quanto fosse bello e giovane.
Ma quando si è laureato? Ieri?
Indossava una camicia celestina arrotolata fino ai gomiti con sopra un gilet senza maniche e una cravatta allentata, con dei pantaloni e delle scarpe neri che completavano quell'abbigliamento dall'aria trasandata e sexy. Aveva i capelli disordinati e scompigliati che gli conferivano un'aria selvaggia e i suoi occhi blu mi stavano squadrando insistentemente.
Respira, cretina. Di' qualcosa!
-Sta bene?- mi chiese, preoccupato.
Annuii ma non trovai la forza di rispondere, colpa dei suoi occhi così magnetici.
-Ieri se n'è andata senz-
-Sto benissimo, grazie- lo interruppi ritrovando la voce, per poi chinarmi a recuperare i libri e le schede ormai sparse per le scale.
Si inginocchiò accanto a me e mi aiutò a raccogliere tutta la roba, stupendomi con quel gesto gentile che nessun altro professore in quell'edificio si sarebbe preso la briga di compiere, infine mi porse il tutto.
-Grazie- sussurrai con voce appena udibile, spiazzata dalla sua gentilezza.
-Si figuri. È sicura di stare bene?- chiese di nuovo, poco convinto.
Annuii e mi rialzai in piedi.
-Comunque io sono il professor Carter. Si faccia dare gli appunti su ciò che abbiamo fatto ieri, magari- mi informò, aggiustandosi il nodo della cravatta.
Quando rialzò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono i miei, trattenni il fiato per l'intensità che avevano. Li socchiuse e inclinò impercettibilmente la testa di lato, fissandomi dall'alto in basso e provocando un sacco di brividi lungo la mia schiena.
-Arrivederla, signorina White. Ci vediamo domani a lezione- mi congedò poi, con un cenno del capo, allontanandosi.
Poi si bloccò e incontrò di nuovo il mio sguardo, con un sorrisetto divertito assolutamente inadatto ad un professore.
-A meno che lei non voglia saltare anche quella- aggiunse, irritandomi e dandomi un coraggio e una forza di volontà per reagire che non sapevo neanche di possedere.
-Oh, stia tranquillo, non mancherei mai alla sua prossima lezione. Dovrò pur farmi qualche risata, non crede?- ribattei, mordendomi la lingua subito dopo per la mia stupidità.
Dai, Ariel, a questo punto offendigli anche la mamma e rubagli il portafogli.
Ero una persona estremamente impulsiva, troppo impulsiva, e lui mi aveva beccata in un momento di nervosismo ed isteria totali. Il suo sguardo si indurì per qualche secondo, e sapevo che se avesse voluto, avrebbe potuto farmi convocare dal preside, ma poi il suo sorriso si allargò maggiormente.
-Molto simpatica, signorina White, ma devo ammettere che me la sono cercata- ammise, allargando le braccia e facendo spallucce.
Prega tutti i santi che ti hanno voluto bene, la prossima volta non credo che sarà così clemente.
-Adesso, penso proprio che dovrebbe andare a lezione... a domani-
Dopodiché se ne andò, lasciandomi sola e confusa.
-A domani- mormorai al vuoto, ancora intontita, incamminandomi verso l'aula di storia.
Mi sentivo andare in fiamme, com'era possibile che il suo sguardo mi mettesse tanto in soggezione? E com'era possibile che avessi desiderato picchiare quella sua bella faccia da schiaffi? E, ancora, com'era possibile che avessi reagito così alle provocazioni di un professore? Non era da me, ero sempre stata una ragazza educata e piena di autocontrollo. Scossi la testa per allontanare quei pensieri, visto che avevo ben altro per la testa.
Raggiunsi la mia classe ed entrai, aspettandomi una ramanzina dalla Turner, che mi rimproverò con lo sguardo ma non disse niente, permettendomi di assistere alla sua lezione.
La giornata a scuola proseguì stranamente bene, non avevo neanche intravisto Carter, e all'uscita mi avvicinai ai miei amici che mi aspettavano appoggiati ai cancelli dell'edificio. Ci avviammo all'auto di Mike, che da quando aveva preso la patente riportava me e Sarah ogni giorno a casa dopo la scuola, nonostante io abitassi poco lontano e la mattina andassi a piedi.
Una volta entrata, appoggiai la testa sul finestrino e chiusi gli occhi.
Ero stanchissima e non sapevo bene perché, non avendo fatto niente di particolarmente impegnativo, probabilmente era colpa del mio poco sonno di quei due giorni.
I miei amici si accorsero del mio stato d'animo poco loquace, quindi non dissero niente, così dopo tre minuti di silenzio mi ritrovai davanti casa mia. Li salutai con un bacio sulla guancia e scesi dall'auto, incamminandomi lungo il vialetto.
La casa era vuota, per fortuna, quindi mi permisi di stendermi sul divano e accendere la televisione, dopo aver lasciato lo zaino a terra e le chiavi sul mobiletto. Cercai un programma decente ma non riuscivo a trovare niente, finché mi fermai su un film che conoscevo fin troppo bene, ed inevitabilmente la mia mente mi riportò indietro nel tempo.
Guardo la nonna inarcando un sopracciglio.
-Love Story?- chiedo, scettica, -Già dal nome, la risposta è no- concludo, perentoria.
La nonna mi guarda sorridendo in modo strano e scuote la testa.
-Ma non sai neanche di che parla- protesta, ma senza convinzione, visto che oggi è molto stanca.
-Dimmelo- replico, guardando la copertina del film.
-Non ci penso neanche! Dovrei rovinarti la sorpresa?- esclama, scuotendo lentamente la testa.
La guardo e decido di accontentarla, infondo è solo un film, e voglio vederla stare bene. Sospiro e faccio partire il dvd, poi mi siedo sul divano nel soggiorno di casa, accanto alla nonna.
-Vedrai, te ne innamorerai, proprio come ho fatto io- mi assicura nonna, accarezzandomi delicatamente un braccio.
Aveva ragione, me ne ero innamorata. Era una storia bellissima, triste, sofferta. Avevo riflettuto molto su quel film, classificandolo come uno tra i miei preferiti, ma adesso guardarlo mi provocava delle fitte terribili al cuore. Spensi il televisore con un gesto automatico ancor prima di rendermene conto, poi tornai a sdraiarmi sul divano.
Non riuscivo più a piangere, a che serviva? Nessuno mi avrebbe riportato la nonna. Lei non c'era più, e mi sembrava di essere troppo grande a diciotto anni per credere che mi stesse guardando dal cielo. Io non ci credevo. Non ero neanche religiosa, mentre la nonna andava ogni domenica in chiesa e pregava sempre prima di andare a dormire. Io non lo facevo per il semplice fatto che non mi sentivo degna di credere in qualcosa di grande, se non credevo neanche in me stessa.
E la nonna capiva questo mio ragionamento, infatti non mi obbligava mai, non mi diceva che la fede era la giusta strada in tutto, come al contrario mi ripeteva sempre mia madre.
Mi alzai dal divano e camminai lentamente verso il mobile del soggiorno. Sfiorai la cornice che ritraeva me e la nonna qualche mese prima, sedute su una panchina, in un parco bellissimo della Francia.
A nonna piaceva la Francia, la amava. Era per questo che avevo chiesto ai miei, come regalo di compleanno, un viaggio nella meravigliosa terra francese. Ci eravamo state una settimana intera, avevamo visitato un sacco di posti, scattato un sacco di foto, fatto un sacco di promesse.
Mi manchi tanto, nonna. Adesso come farò a mantenerle?
Alle otto, i miei genitori erano rientrati da lavoro da un'ora. Quella sera non volevo ignorarli, volevo parlare con loro e soprattutto mangiare.
La porta della mia camera si aprì, e mia madre fece capolino da dietro.
-Ariel, è pronta la cena- mi informò, dolcemente.
Mi voltai a guardarla, per la prima volta in due giorni senza traccia di disprezzo o rabbia. Lei sembrò notarlo, poiché si raddrizzò, più sicura, e azzardò un sorriso, che però non ricambiai.
-Arrivo-
Mi alzai dal letto e raggiunsi la scrivania, mentre lei tornava al piano di sotto. Afferrai un elastico per capelli e li legai in una morbida coda, poi mi infilai le pantofole e scesi le scale. Entrai in cucina e trovai mio padre già seduto a tavola, intento a leggere il giornale, visto che la mattina non aveva tempo, mentre mia madre si trovava ai fornelli.
Mi schiarii la voce, per attirare la loro attenzione, e mi sedetti al mio solito posto, di fronte a loro. Mio padre alzò di colpo lo sguardo e sembrò sorpreso di vedermi lì, poi accennò un sorriso.
-Hai fame?- mi chiese, mettendo via il giornale.
Dio, sto morendo. Se non mangio qualcosa immediatamente potrei anche mordere il suo braccio.
-Un po'-
Mia madre ci raggiunse con un vassoio di verdure e un altro con la carne per gli hamburger. Iniziammo a mangiare nel più totale silenzio, interrotto solo dal rumore delle posate sui piatti.
-Dobbiamo dirti delle cose- sbottò lei, all'improvviso.
-Sono due, precisamente, molto importanti... ma non ti spaventare- continuò mio padre, con tono vago.
Certo, non mi dovrei spaventare. Come quando mi hanno confessato la morte del mio criceto Oscar per mano del gatto dei vicini, che era entrato in casa nostra.
Li guardai inarcando un sopracciglio. Mia madre posò forchetta e coltello e sospirò.
-Domani c'è il funerale- dichiarò, nervosamente, dopo qualche secondo.
Rimasi immobile e mi sentii una completa idiota. Me ne ero dimenticata.
Annuii distrattamente, ancora assorta nei miei pensieri.
-L'altra notizia... te la dice papà-
Mio padre la fulminò con lo sguardo.
Mi venne quasi voglia di ridere, sembrava che avessero paura di dirmi cosa succedeva. Aspettai qualche secondo, ma nessuno dei due aprì bocca.
-Si può sapere che succede?- chiesi, stufa di quel silenzio.
-Io e la mamma abbiamo preso una decisione-
-E sarebbe...?-
Mio padre mi guardò a lungo, poi congiunse le mani sopra il tavolo.
-Pensiamo che in questo periodo tu abbia bisogno di parlare con qualcuno, di sfogare il tuo dolore...- cominciò, interrompendosi a metà frase.
Oh, cazzo. Ditemi che non è quello che penso.
-Non continuare...- lo avvertii io, con un brutto presentimento.
-Abbiamo contattato un'ottima psicologa-
Aggrottai le sopracciglia e sorrisi, incredula.
-Ho capito male, vero?-
Mio padre si passò una mano sul viso e sospirò.
-No- rispose, semplicemente.
Va bene, ci ho provato ad essere più gentile, ma questa è guerra.
Mi alzai velocemente dalla sedia, facendola scattare indietro.
-Assolutamente no!-
-Tesoro, pensiamo sia meglio per te, ti aiuterà- cercò di spiegarmi mia madre, come se stesse parlando ad una bambina di quattro anni.
-E dopo cosa farete? Mi manderete in un ospedale psichiatrico? Volete liberarvi anche di me?!- sputai con rabbia.
Okay, forse a volte dovrei contare fino a dieci. Mila.
Mio padre mi si avvicinò in un lampo, minaccioso.
-Ascoltami bene, signorina! Adesso basta, chiaro?! Basta accusarci di tutto questo, e basta disobbedirci! Andrai da quella psicologa, che tu lo voglia o meno!-
Rimasi letteralmente paralizzata sul posto dalla sua sfuriata. Non mi aveva mai urlato contro in quel modo. Gli occhi mi si riempirono di lacrime di rabbia.
-Non è solo per la nonna... crediamo che tu abbia bisogno di sfogarti in questo particolare momento stressante della tua vita- cercò di calmare le acque mia madre, non ottenendo l'effetto desiderato.
-Me l'avete portata via, mi bastava parlare con lei- sussurrai con voce flebile, prima di voltarmi e raggiungere le scale, salirle e rinchiudermi in camera mia.
Mi stesi sul letto e chiusi gli occhi, e mi accorsi che, per la terza volta di fila, andavo a dormire sperando di risvegliarmi da quell'incubo.
Buonasera a tutti! Eccoci qui con il terzo capitolo... eh sì, la nostra Ariel è impulsiva, decisamente troppo!
Che ne pensate della decisione dei suoi genitori?
E che mi dite del nostro carissimo Noah Carter?
D'ora in avanti, le cose si faranno più complicate per la nostra protagonista...
Vi aspetto la prossima settimana, vi ringrazio per aver letto fino a qui!
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