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Undici, o il Dente.

«Ma che sei ammattito? Come puoi pensare che ti aiuti in una cosa del genere?»

«Ah... via, Claudia... dov'è il problema?»

«Il problema è che io so a malapena tenere quello di Monteriggioni, di registro!» scuotendo la testa, Claudia si avvicinò al fratello con le braccia incrociate al petto. Un lungo ricciolo scuro, che le ricadeva dall'acconciatura, le accarezzò con moto ondeggiante le spalle. «Ammesso anche che voi riusciate a sottrarlo – e pregate San Giovanni che il vostro piano funzioni – come faccio io a sapere come si falsifica?»

Ezio, in difficoltà, si guardò attorno. La sala principale della Villa aveva un aspetto leggermente migliore, da quando lui e sua sorella si erano messi a dedicarvisi nel tempo libero, ma c'era ancora molto lavoro da fare. I muri andavano rimessi a nuovo, e quell'architetto non faceva altro che passeggiare per le sale con il naso per aria e il mento tra le dita. Ezio non si sarebbe sorpreso se si fosse rivelato che era lì solo per insidiare Claudia. Non sarebbe stata nemmeno la prima volta che capitava.

«Questo non me l'ha detto...» ammise il giovane.

«E ti pareva! Uomini,» sbottò Claudia. Tornò indietro alla sua scrivania e guardò con disprezzo il registro dei bilanci di Monteriggioni. «Peggio. Cortigiani. Tutti colti e colla risposta pronta, ma vorrei vederli a smacchiare i panni dal sangue».

«Possiamo chiederglielo di nuovo quando ci arriverà il registro,» tentò di argomentare Ezio, ma fu subito interrotto dalla risposta piccata della sorella.

«Non ho nessuna intenzione di rivolgere la parola a Lorenzo. Cosa ha fatto per noi da quando la nostra famiglia, legata da un decennale patto alla sua, è stata decimata? Un fico di niente, ecco cosa!»

Sulle guance e sul petto le era comparso uno sfogo color fragola. Succedeva sempre quando perdeva la pazienza e alzava la voce.

«Dovresti parlare col Poliziano, non con Lorenzo,» replicò Ezio.

La smorfia disgustata sul volto di Claudia al solo sentire quel nome fu abbastanza eloquente.

«Dio me ne scampi di respirare la stessa aria di quello!»

«Suvvia, sorella...»

«Ehi, ehi, che succede qui?»

Una voce maschile dal tono bonario si introdusse nella sala attraversando la porta che dava sull'atrio. Entrambi i litiganti si voltarono.

«Claudia è troppo orgogliosa...»

«Messer Leonardo!»

Scosso dalla voce allegra della sorella, che aveva superato in volume la sua, Ezio sentì la lingua paralizzarsi e il sangue defluire dal viso. Tentò di muovere le mani, ma le sentì indolenzite. Si voltò verso la porta, e invece di vedere loro zio Mario si trovò faccia a faccia con l'amico.

«Leonardo?»

Lo aveva pensato talmente tante volte che ora gli sembrava irreale, lì fermo in piedi nei suoi abiti damascati, con il suo solito sorriso serafico sulle labbra e la luce tenera del tramonto che gli illuminava il viso punteggiato di lentiggini sbiadite.

Amore mio. Avrebbe voluto corrergli incontro e prendergli le mani tra le proprie. Ma ciò che a lui era proibito era concesso a Claudia, che attraversò con passo leggero la distanza che la separava dalla porta e intrecciò le dita a quelle di Leonardo, ignara di cosa il fratello stesse soffrendo.

«Che bella sorpresa,» esclamò, raggiante, «che ci fate qui?»

Leonardo appoggiò le mani ai fianchi e inarcò la schiena all'indietro, come se volesse alleviare l'indolenzimento di un lungo viaggio.

«Ho provato il funzionamento di un nuovo tipo di carrozza,» le spiegò, «e ho pensato di cogliere l'occasione per passare a trovarvi. Come stai?»

«Io bene,» rispose Claudia. Poi mise un finto broncio e alzò l'indice destro. «Però ho un fratello testone».

Leonardo sorrise. I suoi occhi si diressero verso Ezio e gli inflissero una ferita mortale.

«Lo so,» le rispose. Aprì le braccia e andò verso l'amico. «Salute, Ezio».

Il ragazzo deglutì a vuoto e, prima ancora di battere ciglio, si trovò a ricambiare un abbraccio dell'artista. Rigido come un morto, gli batté in modo impacciato una mano sulla spalla, per poi subito ritrarsi.

«Una carrozza?» domandò a Leonardo con un sorriso forzato. «Ecco cosa stavi combinando in questi giorni».

Suonava più come una consolazione per se stesso che una giustificazione per l'amico.

«Il carro semovente ancora non funziona,» cominciò a dire l'artista, nel tono eccitato che contraddistingueva i momenti in cui il suo intelletto era più fervido. «Però le molle che ho aggiunto questo, in modo da ammortizzare gli urti, sembrano... vuoi vederlo?»

La sua espressione entusiasta, davanti a quella confusa di Ezio, possedeva l'intensa dolcezza di chi vuole coinvolgere una persona che ama nelle proprie felicità. Nella foga, si era avvicinato all'Assassino e gli aveva stretto il braccio, quasi stritolandolo mentre parlava.

«Certo,» disse lui. Cominciò a seguirlo, seguito a sua volta dalla curiosa sorella, che già spingeva lo sguardo fuori dalla porta per sbirciare.

Quella che avevano davanti gli sembrava una normale carrozza, che non avrebbe saputo distinguere da tutte le altre. Anche se non capiva, prestò orecchio alle concitate spiegazioni di Leonardo sul sistema che avrebbe dovuto attutire gli urti sulle ruote. Claudia aveva preso a girare tutt'attorno alla carrozza, con le mani dietro la schiena, e annuiva quando la voce dell'inventore si faceva più convinta.

«Che ne dici, Ezio, vuoi fare un giro con me a Firenze?»

Con molta più energia di quanta ne avesse il suo corpo solo poco prima, Ezio posò una mano sulla spalla dell'amico.

«Certo».

«Beh,» Leonardo sorrise e indicò il mezzo con un cenno del capo, «allora salta su!»

Come se potesse comprendere quelle parole, uno dei due cavalli rispose con un nitrito festoso.

«Claudia, non aspettarmi per questa sera!» disse il giovane Assassino, accettando l'invito di Leonardo e poi porgendogli la mano per aiutarlo a salire. «Avvisa nostro zio!»

La ragazza giunse le mani in grembo e annuì, senza più traccia sul viso dell'alterco che aveva avuto col fratello.

Un saluto e un grido dopo, la carrozza già svaniva verso i cipressi infiniti.

*

«Sì,» stava dicendo Leonardo, stringendo le briglie dei cavalli dal posto di guida. Era immerso in una conversazione sulle proprie recenti scoperte sin da quando erano partiti. «E ho pensato che anche mezzi come questo, se anche le mie prove dei prossimi giorni andranno bene, potrebbero essere utili a Lorenzo. Andrò a proporglielo. Sto anche valutando la possibilità di trasportare persone nella parte coperta, in modo che sua moglie e i suoi famigliari possano viaggiare in modo più discreto».

Ezio fece navigare lo sguardo attraverso le onde d'erba mosse dal favonio; si soffermò a osservare come i ciottoli al bordo della via biancastra fossero diversi l'uno dall'altro in forma e dimensione.

«Te ne sei dimenticato, vero?»

«Eh?» Leonardo aveva l'aria di chi si riscuote all'improvviso dalle proprie elucubrazioni.

Ezio scosse la testa con una malinconia amara ma tenera.

Sentiva che Leonardo non gli avrebbe dato una risposta definitiva sulla loro relazione. Stava pensando, e proprio come lui rifiutava quel dilemma. Allo stesso modo in cui Dafne si era tramutata in alloro per fuggire ad Apollo, lui diventava pensiero e gli scivolava tra le dita.

Una carezza fugace, che non poteva in alcun modo essere casuale, gli corse lungo la coscia.

«Se non hai altro da fare questa sera,» disse piano Leonardo, «ho qualcosa da mostrarti. Sono riuscito a decifrare l'ultima pagina del Codice che hai trovato».

*

Avrebbe potuto essere una proposta interessante, se solo dopo appena mezzo bicchiere di vino non fosse sembrata molto più allettante l'idea di spingere Leonardo contro il muro e baciarlo con una passione quasi disperata.

Ezio, dopo più di qualche minuto passato a dedicarsi alle labbra del suo amico, pensò che quella del muro avrebbe potuto diventare una buona abitudine, a cui avrebbero potuto aggiungersene delle altre. Dimentico di Codici, contratti e registri, affondò le dita nei capelli biondi di Leonardo, lo attirò a sé e riprese a baciarlo con la lingua. Quando si staccarono, notò con soddisfazione che il respiro di entrambi era accelerato.

Approfittando del fatto che la sua dedizione aveva sottratto a Leonardo le forze, si allontanò da lui per dirigersi verso il divano accanto al camino spento. Senza staccare gli occhi da lui, si sedette e accavallò le gambe.

«Vedi, Leonardo...» cominciò a dire, «stavo pensando al fatto che ci sono svariati gradi di amicizia tra due uomini, non è vero?»

Ezio gli rivolse uno sguardo passionale, e lui ricambiò con fierezza.

«Cosa intendi?» domandò, senza che la voce gli tremasse. I suoi occhi dolci avevano assunto una sfumatura quasi ferina che avrebbe tenuto chiunque sotto il giogo di un incantesimo. L'Assassino sperò che dai propri fosse evidente lo sforzo che stava compiendo per non prenderlo per le braccia, bloccarlo sul tavolo e possederlo sul posto senza troppe cerimonie.

Il suo desiderio era lo stesso che, prima che fosse partorita la memoria dell'uomo, aveva unito la Terra e il Cielo.

Ezio tentò di calmare l'impeto d'eccitazione e rivolse all'amico un sorriso malizioso. Il sangue gli ronzava nelle orecchie mentre guardava il corpo oggetto della sua brama, ancora nascosto dai vestiti, immerso nella suggestiva luce delle candele.

«Se per concludere la serata venissi a sederti un po' sulle mie ginocchia,» gli propose, facendo scorrere lo sguardo lungo le sue cosce, «il nostro rapporto ne sarebbe rovinato?»

Leonardo ricambiò il sorriso.

«Non credo».

Invece di dirigersi subito verso Ezio, l'artista andò verso la porta e bloccò il chiavistello. Poi, come se stesse preparando la stanza a un rito misterico, tirò a mano le tende di stoffa pesante, in modo tale che nemmeno un raggio di luce, fuggitivo, potesse rivelare a qualcuno il loro segreto.

Quando si voltò, aveva già slacciato il primo bottone della veste. I muscoli dell'Assassino ebbero uno spasmo involontario, morsi dalla benedizione di poterlo stringere mentre era senza camicia.

«Voglio confessarti una cosa, Ezio,» disse Leonardo a mezza voce. Di certo consapevole dell'effetto che quel gesto avrebbe sortito, lasciò che la veste gli scivolasse lungo i fianchi e cadesse a terra, accompagnata da un rumore metallico.

Come se stesse ammirando uno dei suoi dipinti, senza dire una parola l'Assassino reclinò all'indietro la schiena. Guardò con desiderio il petto nudo dell'amico, attraversato da sottili peli biondi, mentre egli si avvicinava.

Quando fu di fronte a lui, Leonardo gli accarezzò una guancia. Spinto da un impulso meno tenero e più immediato, Ezio gli strinse i fianchi tra le mani. Sembrava che un fuoco ardesse sotto la sua pelle.

«È da quando ti ho incontrato che ci penso,» continuò l'artista, lasciando che tra le sue parole scorresse quel sottinteso che entrambi comprendevano.

Ezio gli sorrise in modo provocante.

«Non è la prima volta che me lo dicono,» replicò. Tentò di attirarlo a sé per baciarlo all'altezza dell'ombelico, ma sentì il suo indice premergli contro le labbra.

«Tuttavia... devo chiederti la massima discrezione su quello che succederà».

Il sorriso di Ezio si allargò fino a scoprire i suoi denti bianchi e regolari. La presa sui fianchi di Leonardo si fece ancora più decisa.

«Anche questo me l'hanno detto di recente. Vieni qui».

Senza nessuna obiezione, Leonardo si sedette sulle sue ginocchia, ancora troppo lontano da dove Ezio lo avrebbe voluto, con la schiena rivolta verso di lui. Aveva un dolce odore residuo di sapone. Il ragazzo cominciò a passargli con lentezza seducente le mani sui fianchi magri, lo sentì sussultare quando risalì lungo le costole e gli accarezzò la pelle liscia dei pettorali. Nonostante i suoi muscoli non fossero definiti, Ezio ne percepiva la netta differenza rispetto a quelli di una donna.

Gli scostò i capelli dal collo e vi posò le labbra. Leonardo gli si offrì con un sospiro; lui gli prese la pelle tra i denti e la succhiò, in modo da lasciargli un segno di quella notte. Senza smettere di baciarlo, l'Assassino lo attirò a sé, e quando lo sentì seduto sulla propria erezione gli strinse le cosce.

«Allora, è come pensavi?» lo provocò, le labbra che insistevano sulla pelle arrossata del suo collo e le mani che lo toccavano in tutti i posti in cui era vergognoso essere toccati.

Non era mai stato con un uomo prima, ma sentiva di sapere esattamente che strada dovevano seguire le sue dita per dargli piacere. Era un amore più segreto rispetto a quello delle donne, e allo stesso tempo più esplicito. Le nuove sensazioni che provava gli stavano facendo girare la testa.

Senza rispondere, Leonardo allargò le gambe per permettere a Ezio di accarezzarlo sopra le braghe. L'Assassino sentì la sua eccitazione crescere sotto il palmo della mano e capì che era un ovvio invito a proseguire. Gli leccò con passione il collo e lo sentì gemere sottovoce, quindi proseguì la scia dei baci verso l'orecchio.

«Oh, Ezio...» mormorò lui, mentre cavalcava lentamente sul suo inguine.

L'Assassino gli posò una mano alla base del collo e lo accarezzò col pollice.

«Sai cosa mi piacerebbe ancora di più, tesoro?» gli sussurrò all'orecchio.

«Cosa...?» domandò Leonardo, con la voce spezzata dal piacere.

Ezio si prese tempo prima di rispondere. Fece scorrere le dita lungo i fianchi dell'artista, accompagnando il suo moto ritmico, e gli baciò la mascella. L'eccitazione, alimentata dalle aspettative soddisfatte, stava diventando molto difficile da sostenere.

«Starti sopra».

Ezio sentì il respiro morire nella gola del suo amico. Lui non protestò né quando l'Assassino lo fece alzare né quando lo spinse a distendersi di schiena sul divano. Come se non aspettasse altro, Ezio si sistemò sopra di lui. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò a lungo, sempre più dominato dal desiderio.

Preso dalla foga, senza staccarsi dalle sue labbra cominciò a slacciarsi la camicia, e imprecò tra i denti quando le cinghie e gli strati ricamati di stoffa gli resero il lavoro più difficile.

«Merletti del cazzo...»

Le belle mani dell'artista accorsero in suo aiuto, e quando fu finalmente libero dall'indumento Ezio lo gettò a terra con poco riguardo per poi riprendere a baciare l'amico. Finalmente le sue dita potevano toccargli la pelle nuda.

Leonardo gli accarezzò le clavicole, poi il collo su cui posò le labbra per lasciare lo stesso marchio che aveva ricevuto lui. Nel sentire il suo respiro affannato, il petto che premeva contro il proprio, Ezio fu colto da un moto di tenerezza e con un sospiro gli accarezzò i capelli. Quel semplice gesto corse attraverso le vene delle sue braccia e gli punse il cuore. Non ricordava l'ultima volta in cui si era sentito così.

Premette il bacino contro quello di Leonardo e lo spinse in un movimento lento a cui ne seguì subito un altro. Il suo amico lo assecondò, lasciò che trovasse un suo ritmo prima di gettare docilmente il capo all'indietro e socchiudere gli occhi. Ezio gli prese il viso con una mano e lo baciò sulle labbra già aperte, da cui fuggì un gemito.

Temendo di avergli fatto male, Ezio si alzò da sopra di lui. Sentì le mani dell'amico cominciare a slacciargli le braghe, vide i suoi occhi che parevano implorare. Un perdono, una riconoscenza, qualcosa che solo lui poteva dare.

La sua mente cedette con la stessa facilità con cui il petalo d'una margherita viene strappato dalla corolla.

Si spogliarono e si dedicarono l'uno al piacere dell'altro fino a quando la notte li vinse col proprio abbraccio.

*

1478, 11 maggio.
Lemuria, secondo giorno.

A differenza delle tende al piano di sotto, quelle della camera da letto erano sottili come un velo d'acqua. Leggere, avevano cominciato a fluttuare davanti agli scuri mezzi abbassati da cui filtrava una luce di perla. Anche quel mattino il carro luminoso di Febo non aveva trovato banditi lungo la via ed era sorto invitto sopra i tetti eterni di Firenze.

Lo sguardo di Ezio percorse la curva dolcissima delle spalle di Leonardo, a cui i raggi conferivano quell'aura bianca che lo faceva sembrare un angelo. Le poche lentiggini sulla sua pelle svanivano presto, lungo le braccia, come le impronte di una lepre sulla neve.

Seduto nudo davanti alla finestra velata, l'artista guardava dritto davanti a sé e forse si chiedeva perché agli uomini non fosse stato concesso di sorgere di nuovo subito dopo il tramonto.

L'Assassino allungò le gambe: al suo movimento, il lenzuolo che lo copriva frusciò e attirò l'attenzione di Leonardo. Ezio lo vide voltarsi di profilo, guardò il suo naso dritto e la sua espressione di leggero imbarazzo. Aveva una cicatrice sottile poco sopra al gomito sinistro.

«Scusa,» esordì con uno dei suoi sorrisi ammalianti. Aveva capito che funzionavano anche con Leonardo. Ricordava il modo in cui il suo amico aveva reagito quando lui lo aveva punzecchiato. Ricordava la sua voce mentre gli chiedeva di sciogliersi i capelli, per potersi aggrappare a lui mentre lo baciava. Si passò una mano sulla nuca e li sentì scivolare tra le dita.

Senza dire nulla, Leonardo gli rivolse un'espressione interrogativa.

«Immagino che finire a letto non sia stato il modo migliore per lasciarti riflettere,» spiegò l'Assassino.

L'artista gli sorrise a sua volta.

«Perché no?»

Ezio sentì l'imbarazzo che gli riempiva lo stomaco e il petto. La stessa sensazione nuova che si era fatta strada in lui la sera prima – l'insicurezza – prese le redini della sua mente.

Si era vantato tanto, anche con lui, delle proprie avventure notturne con le dame della città e della propria perizia nell'ars amandi. Ma quando si era trovato tra le sue braccia, aveva sentito la differenza d'età che li separava, e la sua inesperienza con gli uomini si era tradotta in gesti goffi che a Leonardo avevano strappato qualche sorriso.

E quanto rumore per una sega, aveva pensato Ezio, e lo pensava ancora, disteso nel letto, rendendosi conto che non avrebbe saputo come andare oltre.

Eppure i sospiri e i gemiti di Leonardo, il suo nome mormorato in un dolce tono strascicato, lo avevano spinto in una frenesia di piacere che stava riprendendo a scaldargli le membra. Voleva toccarlo di nuovo. Voleva sentire di nuovo il suo corpo contro il proprio. Lanciò uno sguardo rapido al lenzuolo che lo avvolgeva e si rese conto di quanto quel suo desiderio fosse evidente.

Leonardo, che di certo non era così ingenuo da non essersene accorto, si abbassò sul letto, si avvicinò a lui e premette senza preavviso le labbra sulle sue. Ezio affondò subito le dita nei suoi capelli disordinati e lo baciò con foga. Si accorse che, mentre lui era ancora addormentato, aveva masticato della menta per pulire i denti. Suppose che il sapore che lui aveva in bocca non fosse altrettanto piacevole, ma Leonardo sembrava concentrato su altro.

«Non vorrei causarti... problemi, amico mio,» mormorò l'artista, staccatosi di poco dalle sue labbra.

«Problemi?» replicò con un sorrisetto l'Assassino. Lo prese per i fianchi e premette la fronte contro la sua. «Io sono Ezio Auditore. Faccio quello che voglio».

Sulle prime, Leonardo sorrise. Poi, però, abbassò sul viso dell'amante gli occhi velati dalle ciglia chiare.

«Ti prego di non sottovalutare il pericolo, Ezio, anche se sei abituato a ben altro,» lo avvertì, «sai che non potremmo–»

Ezio gli premette l'indice sulle labbra, allo stesso modo in cui aveva fatto Leonardo la sera precedente.

«Sei tu che legandoti a un uomo come me potresti metterti in pericolo,» gli disse, «e lo sai bene».

Una brama intensa li spinse a baciarsi di nuovo. Ezio si ritrovò sotto di lui e, incapace di resistere all'eccitazione, gli strinse i fianchi tra le mani.

«Dato che è presto, pensavo che potessi darmi un'altra... lezione riguardo a quello di cui parlavamo ieri sera,» lo provocò.

«Promettimi che non dirai a nessuno che hai passato la notte qui,» sussurrò l'artista, e fece scorrere un dito sulle sue clavicole, come se volesse disegnarle. «Promettimi che sarai cauto, e ti insegnerò tutto quello che vorrai».

Ezio annuì. Leonardo avrebbe potuto chiedergli di prosciugare l'Arno, di rovesciare la signoria, di andare a rubare il Sole a mani nude e di portarglielo sulla Terra, e lui l'avrebbe fatto, nel delirante desiderio della sua ricompensa. Il suo amico cominciò a baciargli il collo, poi scese lentamente verso il petto fino ad arrivare al lembo del lenzuolo, che trascinò giù con sé mentre passava le labbra sul corpo di Ezio. Quando giunse al suo addome, Ezio trattenne il respiro. Accarezzò i capelli di Leonardo, mentre lui si soffermava in quella zona per un tempo che gli parve eterno.

Sospirò, nel tentativo di pensare a qualcosa che non fosse il suo tocco esperto sulla coscia. La tenda davanti ai suoi occhi socchiusi ondeggiava come l'abito di una fanciulla che danza al Calendimaggio.

L'Assassino non riuscì a trattenere un gemito quando le labbra di Leonardo arrivarono alla meta della loro scia serpeggiante di baci. Il suo amico si interruppe e fece cenno alla finestra aperta, in modo da fargli capire che doveva rimanere in silenzio. Ezio gettò la testa all'indietro e tirò di nuovo Leonardo a sé, dove lo voleva. Quando sentì la sua lingua tornare dov'era prima, affondò i denti nel labbro inferiore.

Abbassò lo sguardo e vide Leonardo, con il viso tra le sue gambe come nei suoi sogni più insidiosi, tirarsi indietro i capelli in modo che non lo ostacolassero nell'atto. Ezio lo accarezzò e li afferrò per lui in una presa salda.

Subito dopo il suo corpo si arrese alle sensazioni che stavano nascendo in lui. Si trovò a dover trattenere la propria voce, con le labbra schiuse, la guancia appoggiata al cuscino e la mano libera che accarezzava ora se stesso ora le spalle di Leonardo.

I suoi pensieri presero ad accavallarsi l'un l'altro nella trama senza senso di un tessuto, aggrovigliandosi fino a quando una scarica di piacere più forte delle altre lacerò la tela. Ezio chiuse gli occhi e si premette una mano sulla bocca per non fare rumore, mentre l'altra stringeva ancora di più i capelli di Leonardo. I suoi fianchi cominciarono a spingere con ritmo rapido e irregolare verso l'alto, senza alcuna grazia.

Il grande seduttore sembrava un verginello alla prima esperienza, e lo sapeva, ma ormai era finito così alla deriva che non gli importava. Sentì la propria forza scorrere fuori di sé e venire raccolta dall'amante. Un lampo bianco, e il dito morso tra i denti, lo strapparono dalla realtà senza un suono.

Quando vi scivolò di nuovo dentro, stava stringendo tra le braccia Leonardo, che aveva il capo appoggiato sul suo petto e il respiro molto più regolare del suo. Tentò di aprire la bocca per parlare, ma riuscì solo a prendere faticosamente fiato. L'artista se ne accorse e gli rivolse un sorriso malizioso.

«Sono riuscito a soddisfare Ezio Auditore?» domandò, guardandolo dritto negli occhi.

Il giovane si prese un attimo per scacciare le prime due o tre frasi, fatte di complimenti estremamente espliciti, che gli erano venute in mente.

«Quando lo rifacciamo?» ribatté, ricambiando il sorriso e facendo scorrere le mani giù per la sua schiena. L'artista rise e, con un movimento agile, si alzò dal letto e cominciò a frugare in un cassetto.

«Leonardo!» esclamò Ezio, sentendo l'improvvisa assenza del calore del suo corpo. «Che modi! Prima mi seduci e poi scappi via?»

L'artista rise di nuovo. Si abbottonò sul petto una camicia e si allacciò le braghe che gli facevano da intimo.

«Vai a pulirti,» gli ordinò. «S'ha da lavorare».

*

Ezio ascoltò il consiglio di Leonardo sull'essere discreto e uscì dalla porta nel momento che lui gli aveva indicato come quello più adatto per non essere additato da chi voleva supporre, nel torto o a ragione, che lui e l'amico avessero qualcosa da tenere nascosto.

A Firenze era giorno di mercato, motivo per cui la folla era più rumorosa e invadente del solito. Il corpo di Ezio era leggero, benedetto da una soddisfazione che ben conosceva.

Oh, Leonardo... non riusciva a smettere di pensare a quello che gli aveva fatto, al modo naturale in cui i loro corpi si erano uniti la sera prima, e la sensazione di benessere – diversamente da tante altre volte – gli aveva raggiunto anche il cuore.

L'Assassino oltrepassò un banco di stoffe attorno al quale sciamavano alcune donne, poi si soffermò a guardare un venditore di frutta, i cui clienti erano disposti in una riga dritta. Il sole brillò su di loro, facendo risaltare i capelli biondi del ragazzo a cui il mercante stava porgendo una borsa di iuta.

«O'! Sebastiano!» gridò Ezio.

Il giovane si voltò per ricambiare con allegria il saluto. Indossava un copricapo nero, con un lembo che gli ricadeva sulla spalla sinistra, sistemato in modo tale da coprirgli del tutto la fronte.

«Ezio, che piacere,» esordì lui. Strinse con entrambi i pugni i manici della borsa e i suoi occhi scattarono nervosamente tutt'attorno, in quella che sembrava una reazione involontaria.

«Non pensavo che saresti uscito di casa così presto,» gli disse l'Assassino, con tono rassicurante.

«I dottori dicono che sto recuperando bene. Volevo provare ad andare al mercato... anche se mi stanco subito».

I suoi occhi si diressero di nuovo a ispezionare tutto ciò che lo circondava, e lui tentò di dissimulare l'azione chiudendoli per sorridere. Ad Ezio sembrava che non avesse recuperato del tutto le forze, e che fosse spaventato. Di certo aveva scelto il giorno di mercato per potersi trovare in mezzo a tanta gente, ma forse aveva capito che anche quello lo disturbava.

«Mi permetti di accompagnarti a casa?» chiese a Sebastiano, dopo avergli posato una mano sulla spalla. «Non mi sento molto sicuro a saperti in mezzo a tutte queste persone».

Sapeva bene che un sicario esperto – uno come lui – avrebbe potuto uccidere in pieno giorno in circostanze come quelle, per poi scomparire nella folla come se non fosse mai esistito. E si sentiva in colpa, perché Sebastiano lo aveva pagato per un lavoro e lui si era dedicato ad altro quando avrebbe dovuto investigare.

Nessuno avrebbe potuto negare però che si trattava di un caso difficile: l'aggressione a quel ragazzo pareva non avere spiegazioni. Nessuno ce l'aveva con lui, nessun gruppo era riconducibile a lui, apparentemente non aveva mai fatto torto a creatura vivente, anzi la sua condotta era del tutto irreprensibile. Il movente era del tutto inafferrabile, ma chiunque avesse provato a ucciderlo, sapendolo sopravvissuto, avrebbe potuto attaccarlo di nuovo.

Sebastiano alzò le spalle e prese da sotto la borsa di frutta, con entrambe le mani.

«Un po' di compagnia mi farà bene,» gli rispose.

Ezio sostenne il peso al posto suo.

L'entrare in casa di Sebastiano per la seconda volta in pochi giorni lo fece sorridere, così come il saluto affettuoso che suo padre gli rivolse non appena lo vide.

«Appoggialo pure qui,» disse il ragazzo, indicando il tavolo della sala. Poi si voltò verso Ezio con il movimento leggero di un danzatore. «Ma non devi preoccuparti così per me».

L'Assassino scosse la testa e abbassò lo sguardo sul tavolo. Sentì i passi di Sebastiano che si allontanavano e rimase per qualche secondo assorto nei propri pensieri. Ricordi di violenza, opposte ai petali di rosa delle parole di un poeta.

«Se non mi preoccupo io, chi altro lo farà?»

Un fruscio di carta risuonò alle sue spalle.

«Ezio!»

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