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Tre, o il Maggio.

1478, 30 aprile.
Floralia, terzo giorno.

Ai funerali di Giuliano de' Medici si erano presentati tutti i giovani di Firenze, ed Ezio tra loro, vestito a lutto. In piedi dietro alle prime panche della chiesa, Lorenzo si era chiuso nella sua sofferenza assieme agli amici più stretti e a sua moglie Clarice, che occhieggiava tutt'attorno spaventata come un cerbiatto. La città pressoché intera si era riunita attorno ai Medici, forti di un rinnovato sostegno che tuttavia non avrebbe potuto riportare indietro Giuliano.

Quando gli avevano chiesto se si sarebbero tenute ugualmente le celebrazioni per il Calendimaggio, Lorenzo aveva annuito. Aveva fatto diramare un comunicato con cui chiamava quegli stessi giovani piangenti a cantare per le strade inghirlandate. Una scelta controversa, ma che lui aveva motivato facendo notare che la festa di una città non s'era mai fermata per il dolore di una sola famiglia, e i Medici non potevano essere l'eccezione. Il carro di Madonna Primavera avrebbe percorso le vie, i fiori sarebbero sbocciati sui rami.

Ezio fece scorrere gli occhi giù dalla zona riservata alle donne, e li posò su Leonardo. Da quando erano arrivati in chiesa, quel giorno, il suo amico non lo aveva guardato neanche una volta in più della prima.

*

«Leonardo! Sono Ezio».

Subito dopo aver bussato, l'Assassino s'era accorto che la porta era solo accostata.

«È aperto,» gli confermò la voce dell'artista, «entra».

Proprio come era successo qualche ora prima, Ezio pensò che Leonardo avesse un comportamento insolito. Invece di essere accolto da un abbraccio, nonostante l'amico si fosse preoccupato tanto per lui pochi giorni prima, si trovò davanti una bottega che pareva addirittura più disordinata del solito. Come se Leonardo, ultimamente, avesse trascurato anche quel piccolo gesto d'attenzione che lo spingeva a cercare qualcosa che aveva lanciato via in uno dei suoi emozionati deliri e che, nell'immediato, gli serviva.

Ezio si fece strada tra fogli di cartapecora e trucioli di legno, e Leonardo non si mosse. Con un carboncino in mano e lo sguardo distratto, stava cercando di catturare qualche istante in un disegno.

L'Assassino si sentì addosso il manto di piombo della vergogna.

«Salute».

«Buongiorno, Leonardo. Come stai?»

Lui annuì, un movimento delicato del mento prima di tornare al suo disegno. Ezio osservò più da vicino e vide che la sua mano stava tracciando le zampe forti di un cavallo.

Non sapeva nemmeno come avrebbe trovato la faccia tosta di dirglielo. Leonardo, sono qui per... no. Lorenzo mi ha dato questo rotolo, lo ha trovato tra le cose di Francesco de' Pazzi. Mi chiedevo se tu...

Pessimo.

«Perché non sei venuto a dirmi che stavi bene?»

Il pensiero di vetro del giovane si frantumò, trafitto da una pugnalata. Lui uscì dal suo mondo di autocommiserazione e guardò Leonardo. Non aveva mai sentito un tono così duro uscire dalla sua bocca, né le sue iridi chiare avevano mai sostenuto uno sguardo tanto ferocemente.

Come altro avrebbe potuto rispondergli?

«Perché sono un coglione».

Leonardo non ribatté a quell'affermazione. Strinse le labbra, forse nel tentativo di trattenere delle parole che l'avrebbero ferito, poi si alzò in piedi e con le mani sul suo disegno replicò: «E a parte questo?»

Ezio si rese conto che, in tutta la sua pur breve vita, era sempre stato così orgoglioso da non trovarsi mai dalla parte di chi doveva farsi perdonare. Avanzò verso l'amico e lo prese con forza per l'avambraccio, attirandolo a sé. Vide un barlume di speranza filtrare tra i manoscritti stipati sugli scaffali quando Leonardo non rifiutò il suo gesto.

«Avevo paura che rifiutassi la mia amicizia».

A quelle parole seguì un silenzio troppo lungo perché Ezio lo potesse sopportare. Qualcosa, in un tentativo disperato di farlo ricominciare a parlare, di riportare le cose com'erano prima, gli suggeriva di appoggiare le labbra sulla sua spalla. Tuttavia, prima che Ezio cedesse all'impulso, Leonardo gli chiese: «L'hai appeso tu?»

Non c'era la consueta nota vivace nello scorrere delle sue parole.

«No,» rispose subito Ezio, con un tono che non poteva essere frainteso. «I sostenitori dei Medici... sono saliti sulle mura del Palazzo della Signoria e hanno esposto il suo cadavere. Io l'ho ucciso. Ma non ho fatto scempio del suo corpo».

Leonardo si scostò un poco da lui, senza tuttavia sciogliere l'abbraccio prima di lasciargli una carezza sulla guancia.

«Ti prego, Leonardo, sii sincero». Ezio prese la mano che aveva sul viso tra le sue. «Quando mia madre mi ha portato qui, sapevi già chi ero? Chi... che cosa era mio padre?»

Il suo amico si ritrasse e guardò per terra. Anche se non sembrava adirato, era come se qualcosa lo turbasse. Qualcosa di forse esterno a quella stanza.

Il suo sorriso era distaccato.

«Sai,» rispose, senza alzare gli occhi, «anche se sto sempre chiuso in questa bottega, so più su Firenze di quanto uno s'immagini».

Ezio sorrise e si appoggiò al tavolo.

«Beh, possiamo rimediare».

«A cosa?»

Nel momento in cui Leonardo lo guardò, il sorriso del ragazzo si fece più ampio. Si sciolse i capelli per poi raccoglierli di nuovo un istante dopo, stringendo di più il laccio che usava per tenerli in ordine.

«Al fatto che non esci mai. Che ne dici di quella cena, o– oh. Domani c'è la festa del maggio».

Leonardo gli rivolse un'alzata di sopracciglia.

«Si terrà comunque?»

«Allora non le sai tutte le nuove di Firenze!» commentò Ezio con una risata. «Sì, Lorenzo ha detto di non voler rinunciare alla tradizione. La festa del Calendimaggio si terrà. E ci saranno belle ragazze in giro ovunque, pronte a incoronarci con ghirlande di fiori».

«Bene!» esclamò Leonardo.

«Che dici? Ti va di andarci con me?»

L'artista prese posto di nuovo sulla sua sedia, ed Ezio notò che la sua espressione si era ingentilita, anche se non sembrava a suo agio nel guardarlo negli occhi. Forse temeva che la carezza che gli aveva rivolto prima lo avesse offeso.

«Pensavo che avessi qualche dama a cui portare il gonfalone,» commentò con un sorrisetto.

Ezio gli rivolse una teatrale espressione pensierosa prima di replicare: «No, al momento sono libero. È per questo che voglio andare alla festa domani: magari ne troverò una. Anzi, ne voglio due!»

«Due!» Leonardo scoppiò a ridere, e s'interruppe quando vide Ezio che, con una riverenza, gli porgeva qualcosa.

«Mi perdonerai l'assenza di rami fioriti, ma a te ho portato questa».

L'artista riconobbe il rotolo e con un sospiro alzò gli occhi su Ezio, per squadrarlo come un bambino a cui si vuole rimproverare una marachella.

«Ah... e va bene, mettiamoci al lavoro!»

Con fare esultante, Ezio prese posto accanto all'amico, che stava già analizzando il codice incomprensibile che aveva davanti.

Mentre Leonardo decifrava, sbagliava e imprecava e ricominciava da capo, Ezio col cuore più leggero cominciò a raccontargli di ciò che aveva scoperto. Di ciò che costituiva il suo mondo e non era violenza.

Gli spiegò come la sua famiglia era legata a quella dei Medici dal giorno in cui suo padre aveva salvato la vita a Lorenzo quando, da bambino, stava per annegare nell'Arno.

«Ehi, Ezio!» lo chiamò d'un tratto il suo amico. Per qualche motivo, aveva abbassato la voce e assunto un tono cospiratorio mentre, raggiante, gesticolava verso di lui. «Ezio, mi accenderesti quel lume laggiù?»

«Certo,» rispose il ragazzo, non prima di avergli rivolto un'occhiata confusa.

«Portamelo qui».

Lui obbedì, e osservò Leonardo che poneva la pergamena, distesa, sopra la luce e il calore della fiamma. Nella parte in cui pareva non esserci inchiostro, cominciarono ad apparire delle scritte.

Ezio trasalì e fu svelto a porgere un foglio e dell'inchiostro a Leonardo, in modo che potesse trascriverle.

«Guarda guarda...» borbottò Leonardo. «Accidenti».

Dei segni strani erano comparsi davanti agli occhi di Ezio.

«Che cos'è?» domandò lui, incapace di riconoscerli, mentre la mano del suo amico copiava con cura. «Un altro codice?»

«È greco,» replicò Leonardo, poi lanciò al foglio un'occhiata di resa. «E questo purtroppo non lo so decifrare».

«Oh, non guardare me. Forse potrei chiedere a Lorenzo, oppure... no, non a lui. Dammelo, so io a chi portarlo».

Leonardo si sistemò il cappello e storse il naso.

«È qualcuno di cui ti fidi? Sembrano versi, ma potrebbero contenere informazioni segrete».

«Versi? Benissimo. È uno che mi deve un favore».

«Prego, allora».

Ezio si congedò e fece per andarsene, ma prima di varcare la soglia si fermò.

«Leonardo,» chiamò senza voltarsi. «Non ho più paura che tu sia arrabbiato con me, ma non riesco a convincermi che vada tutto bene. Qualche giorno fa mi hai detto che posso parlare liberamente con te. Questo... vale anche per te, nel caso dovessi averne bisogno».

Non udì risposta, ma un fruscio di vesti. Quando si girò, notò che Leonardo si era abbassato sul tavolo, e aveva appoggiato la testa sulle braccia. Gli fece un cenno, ed Ezio si avvicinò a lui.

«Si tratta di...» cominciò a dire l'artista, poi si interruppe e sospirò, rivolgendogli di nuovo un sorriso malinconico. «Vedi, nei tumulti cittadini dopo la morte di Giuliano... ho saputo che ha perso la vita un ragazzo che aveva lavorato come modello per me».

«Oh».

«Piero... io non lo conoscevo molto bene, però...»

Un sospetto terribile si fece strada nella mente di Ezio.

E se l'avessi ucciso io?

Non era possibile. Non aveva mai rivolto la sua lama contro un civile innocente, tanto meno un ragazzo.

In silenzio, Ezio si avvicinò a Leonardo, gli circondò le spalle e gli appoggiò le labbra sulla fronte, posandovi un bacio delicato. Si accorse per la prima volta del profumo dolce della pelle del suo amico.

Un "grazie" mormorato fece sì che quel contatto durasse qualche secondo ancora.

*

1478, 1 maggio.
Calendimaggio.

Ezio aveva già notato come Lorenzo fosse incline al contatto fisico. Anche in quel momento, mentre sussurrava l'ultimo nome di un congiurato – Antonio Maffei – teneva la mano sulla schiena di Ezio, come a voler rinsaldare un tacito patto. I corridoi del Palazzo della Signoria che conducevano alle sale private dei Medici erano quasi deserti, se non per la servitù che passava di tanto in tanto. Clarice se ne stava sempre chiusa nella sua camera, e sospettava che chiunque avrebbe potuto nascondere un pugnale tra le vesti, oppure tentare di avvelenarle il cibo. Sul viso di suo marito era apparsa qualche ruga in più.

Ezio e Lorenzo proseguirono lungo il corridoio. Qualcuno, con una voce sicura da baritono, stava cantando senza musica oltre a una porta socchiusa. Quelle sillabe ritmate, accompagnate da dei tocchi che battevano il tempo con discrezione, si sentivano solo perché il Palazzo era in completo silenzio.

«E jaia e·m traia vas vos, donna vera–»

Il bussare deciso di Lorenzo sul legno fermò il canto.

«Sì?» disse qualcuno dall'interno della stanza. Il giovane Assassino provò a sporgersi, ma le spalle del principe gli ostruivano la visuale.

«Angelo, Ezio mi ha chiesto di poter parlare con te».

Lorenzo si fece da parte, ed Ezio vide Poliziano che gli dava la schiena. Era davanti a uno specchio e teneva in mano una spazzola con cui si stava pettinando. I suoi capelli, per metà sciolti su una spalla e per metà raccolti da un pettinino, lasciavano intendere che l'opera era stata interrotta. Alla sua destra, appoggiati al tavolo, si intravedevano dei fiori recisi, divisi in piccoli mucchietti a seconda della dimensione e del colore.

Ezio sapeva dell'usanza di intrecciare fiori nei capelli degli uomini durante la festa del Calendimaggio, ma la tradizione voleva che fosse una donna, durante il corteggiamento, a farlo. Non fu sorpreso dal sapere che quello era uno che s'incoronava da solo.

«Ezio?» domandò Poliziano. Si grattò una guancia, perfettamente rasata, e lanciò un rapido sguardo al riflesso della porta, prima di aggiungere in tono piuttosto brusco: «Ah, sei te. Di che c'hai bisogno?»

In qualsiasi altra situazione, il giovane avrebbe espresso le sue rimostranze nel sentirsi parlare così, ma con Lorenzo che li osservava non poteva certo farlo.

Lasciava che il suo protetto si comportasse così senza conseguenze?

Si morse la lingua, chinò il capo e avanzò verso il poeta, il rotolo stretto tra le mani.

«Ecco...» esordì, «su una pergamena abbiamo trovato dei versi scritti in greco. Né io né i miei alleati ce ne intendiamo».

Poliziano si arrotolò una ciocca di capelli attorno all'indice. Ezio vide dal riflesso che aveva abbassato lo sguardo sui fiori, con un atteggiamento quasi muliebre, però le sue parole non furono altrettanto dolci.

«E perché sei venuto da me?»

«Perché ho sentito dire che siete il migliore. Se poteste dirmi qualcosa a riguardo...»

Ezio si interruppe quando Angelo fece schioccare la lingua contro i denti. Poi il poeta sollevò il capo e inarcò le sopracciglia, con le labbra tirate in un sorriso.

«Aah, si dice così di me in giro,» commentò, forzando un'espressione ammirata nei confronti dell'uomo che vedeva allo specchio. Si bloccò per portare, con una smorfia sofferente, una mano al collo, e inclinò il capo fino a quando non si sentì uno schiocco. «Beh, mettila su quel mobile là. Vedrò quando c'ho tempo».

Prima di avvicinarsi alla cassapanca, il giovane slacciò i ganci che gli sorreggevano la daga dall'impugnatura d'oro al fianco. Senza estrarla dal suo fodero, la appoggiò sul piano del mobile assieme al foglio e poi si allontanò. Non aveva intenzione di dirgli altro.

Passò di fianco a Lorenzo e, con un leggero colpo sulla spalla, lo invitò a seguirlo fuori da quella camera. Il principe lanciò un ultimo sguardo al suo amico prima di seguire Ezio.

«Che bel carattere,» commentò il ragazzo, quando ormai erano ai piedi delle scale, diretti al portone d'ingresso. Non aggiunse altro: il suo signore era abbastanza intelligente da capire a chi si stava riferendo. Riuscì anche a trattenere un poco educato: perché avete scelto lui?

Lorenzo, tuttavia, si limitò a sorridere e lisciarsi le pieghe della veste.

«La tradurrà,» lo rassicurò. «Gli sei simpatico».

Il sole, che quel giorno regnava su un cielo senza nuvole, oltrepassava la porta e proiettava una lama di luce sul pavimento. Il pulviscolo che si levava dalla terra seguiva rotte senza senso.

«Ah, se fa così gli sono simpatico?»

«Sì, credo che ti sia grato perché mi hai salvato la vita».

Ezio alzò le mani e scosse il capo, facendogli cenno di non capire.

«Ad ogni modo, questo pomeriggio andremo nello stesso posto».

«Vuoi partecipare al Calendimaggio, Ezio?»

*

Tutte le piazze di Firenze erano fiorite. Le risate delle ragazze, in corse scapicollate per le strade, erano brillanti quanto le ghirlande di fiori che portavano con sé. Sotto gli stendardi di tutte le contrade, fuggivano dai maggianti che cantavano, per poi richiamarli a sé in un gioco d'amore.

Ezio passeggiava senza staccare da loro gli occhi, se non per qualche istante in cui li posava su Leonardo e osservava la sua espressione soddisfatta mentre mangiava una mela caramellata.

Delle risa civettuole lo spinsero a spostare l'attenzione su un capannello di quattro giovani dame che, parlottando tra loro, ne spingevano avanti una quinta. Aveva i capelli mossi e scuri, lunghi fino al seno, che le ricadevano sul viso mentre tentava di fare resistenza alle compagne. Il suo sorriso dai denti bianchi era dolce come la primavera, e le dita sottili erano strette attorno a una corona di gerbere. Ai suoi movimenti, la bella veste blu e argento ondeggiava come il mare a mezzogiorno.

«Messere!» gridarono le ragazze, e la poveretta cedette a una spinta più forte che la fece quasi rovinare addosso a Ezio.

«Ehi, ehi...» replicò lui, ridendo. «Piano!»

Sostenne con gentilezza la giovane per una spalla, in modo da impedirle di cadere, e venne ricambiato da uno sguardo raggiante, incastonato tra le guance che si erano imporporate per l'eccitazione.

«Dai, chiediglielo! Dai!» cinguettavano le altre.

La ragazza lanciò un ultimo sguardo alle sue amiche prima di rivolgerlo a Ezio. Anche i suoi occhi erano neri.

«Messere...» mormorò, con un atteggiamento timido studiato ad arte per sedurre. Allungò la corona di fiori verso il giovane. «Vi ho visto all'inizio della via e volevo chiedervi se volete accettare questa».

Il sorriso di Ezio si allargò, e con un cenno acconsentì a essere incoronato.

«Certo, perché no? Come ti chiami?»

«Clara».

«Bene, Clara...»

«Ehi,» li interruppe un'altra voce femminile, un po' più rude. Una bella ragazza bionda che apparteneva al corteo di Clara, coi capelli intrecciati e ornati da una retina d'oro, li fissava con i pugni ben piantati sui fianchi morbidi. «E per noi niente? Su, venite a ballare!»

«Ma voi siete Leonardo Da Vinci,» intervenne un'altra, spuntando dalle spalle della prima per fissare l'artista con occhi da gatta. Quando le compagne se ne accorsero, ribatterono con un coro di "Che onore!".

Ezio, tenendo Clara sottobraccio, spostò lo sguardo sull' amico imbarazzato e gli fece l'occhiolino prima di avviarsi lungo la strada.

Lo prese per il fianco con la mano libera e lo attirò a sé.

«Forza,» incitò, «oppure ve lo rubo io!»

Vedendoli passare, un gruppo di bevitori al di fuori di una locanda alzò i bicchieri e brindò all'Amore.

Nell' avvicinarsi alla piazza del Duomo, la musica cresceva di volume, diventava più incalzante e copriva, con i battiti dei piedi in levare, la malinconia di Santa Maria del Fiore. Quel suono era allo stesso tempo armonico e dissonante con gli avvenimenti di pochi giorni prima.

Leonardo ed Ezio si scontrarono l'uno con l'altro, spinti dalla foga delle ragazze che volevano ballare. Il giovane Assassino guardò per un istante l'amico. Gli avevano messo tra i capelli fiori rosa come il suo vestito, e lo osservò come faceva con quel vaso che c'era nella stanza di suo zio Mario, bello in mezzo alla desolazione della vecchia Villa, troppo prezioso per essere toccato. Forse, in un momento di tranquillità, avrebbe dovuto fargli un complimento, e magari si sarebbe dimostrato un amico migliore.

Ricordò di quando, il giorno prima, aveva baciato Leonardo sulla fronte, ma prima che potesse chiamarlo i suoi pensieri vennero interrotti da Clara che lo strattonava.

In centro alla piazza c'erano Lorenzo e la sua famiglia, impegnati a sfilare sotto carri coperti di foglie e fiori. Accanto a loro, uno sciame di giovani aveva trovato ordine attorno a un maestro di musica, che tentava ora con più ora con meno successo di dirigere il ritmo della danza.

Ezio riconobbe diversi volti noti della corte. Vide Poliziano, vestito con una corta giornea azzurra, che stava insegnando a una ragazza a suonare il liuto, e teneva le mani sulle sue per mostrarle gli accordi. Quando inclinò il capo, un bagliore d'oro rifulse sotto i suoi capelli neri, e tutti gli occhi conversero su di lui.

Mentre Ezio, che trascinava in tondo Clara, si rendeva conto che Poliziano era l'unico a indossare delle rose – forse l'unico a poterlo fare – la sua linea di vista venne interrotta da un gruppo di scalmanati che si precipitavano proprio verso il poeta.

«L'ho trovato!» gridò uno, e altre voci, sia di uomo che di donna, gli fecero da festoso controcanto.

Leonardo, che stava ballando con una dama dall'abito verde, si fermò e lanciò uno sguardo curioso alla scena che avevano di fronte.

«Siamo qui per sfidarvi!» gridò un secondo giovane, avanzando verso Poliziano. La musica si acquietò un poco mentre anche il poeta avanzava verso i nuovi arrivati. Una donna gli afferrò con dolce fermezza il bavero e vi appuntò un giglio. Lui la guardò, poi rivolse gli occhi sullo sfidante.

«A che genere di gara?» domandò, stando al gioco.

Tra i giovani ci fu un movimento.

«Lasciatelo a me!» disse uno con fare teatrale, uscendo dal gruppo. I suoi capelli biondi e lisci, pettinati all'indietro, erano incoronati da foglie di ontano e fiori selvatici. Il verde della ghirlanda contrastava con il rosso intenso del vestito che indossava, lungo fino al ginocchio, sostenuto da una cintura che gli fasciava i fianchi magri. Orgoglioso della sua gioventù e bellezza, si fermò a pochi passi da Poliziano e, con un gesto elegante delle mani sottili, annunciò:

«Vogliamo sfidare il poeta di corte a chi canta la miglior canzone d'amore. Io sono il Campione del Maggio».

«Ah, sì? E chi t'ha incoronato?» lo incalzò Angelo.

«Mi sono proclamato io».

«E, bimbo, te credi di cantare meglio di me?»

Il Campione del Maggio annuì. Le sue ciglia chiare, socchiuse, intrappolavano la luce come se volessero rubarla.

«Questi sono i termini: se perderete,» continuò, e con un passo indietro indicò il suo corteo, «dovrete dare un bacio a turno a ciascuno di noi».

La folla nella piazza cominciò a rumoreggiare.

«Deh, poeta, ti conviene perdere!» urlò un uomo da lontano.

Ezio guardò la fila eterogenea degli sfidanti e non poté dargli torto. Lanciò un'occhiata a Leonardo e lo vide assistere alla scena con aria allegra.

«E se vinco, invece?»

«Se vincete vi scegliete voi l'amante».

Nel tentativo di trattenere una risata sprezzante, Poliziano soffiò l'aria fuori dalle narici.

«Accetto,» concluse.

Gli sfidanti, in festa, lo circondarono e lo trascinarono con poca difficoltà verso un carro, dove lo fecero salire. Il bel ragazzo vestito di rosso gli si avvicinò e gli porse uno strumento a corde.

«Secondo te a quanto è quotato il Campione del Maggio?»

Nel sentire Leonardo che gli si aggrappava al braccio, Ezio si voltò e sorrise. Con la coda dell'occhio, notò che effettivamente, a una certa distanza da loro, degli uomini avevano cominciato a piazzare le scommesse.

«Non ne ho idea». Si voltò verso Clara per sorridere anche a lei. I suoi sguardi diventavano sempre più insistenti, ed Ezio stava solo cercando il momento giusto per defilarsi assieme a lei. Forse delle canzoni d'amore avrebbero reso ancora più intenso l'ardore nel loro animo. «Sei tu che hai informazioni su tutta la gente di Firenze».

«Quel ragazzo non lo conosco,» si giustificò Leonardo. «Mi piacerebbe ascoltare, ultimamente stavo facendo degli studi sulle armoniche che...»

La sua voce si abbassò e si perse, confusa, tra gli strumenti che avevano ricominciato a suonare.

«Non nego che mi piacerebbe vederlo perdere,» si lasciò sfuggire Ezio, osservando Poliziano in cima al carro. Di nuovo il suo fascino aveva fatto sì che l'attenzione di ciascuno fosse rivolta a lui. Ezio stesso temette per un istante di subirlo, poi si rese conto che si trattava di semplice fastidio.

«Ah!» osservò Leonardo, poi ammiccò. «Guarda che secondo me, se ti mescoli in mezzo a quei ragazzi, nessuno lo nota. Così puoi avere un bacio anche tu!»

«Per carità di Dio, Leonardo!»

La musica, sostenuta da sempre più suonatori, salì vittoriosa verso il cielo, e l'artista rise.

Kalenda maia, ni fueills de faia

Né calenda di maggio, né foglia di faggio

ni chans d'auzell, ni flors de glaia

né canto di uccello, né fiore di gladiolo

non es qe·m plaia, pros dona gaia,

c'è che mi piaccia, nobile e gaia signora,

Clara lo prese sottobraccio, e finalmente Ezio dimenticò i giorni precedenti. Da un lato lui cominciò a ballare con lei, dall'altro il suo cuore si fermò ad ascoltare. Quella bella voce maschile cantava parole che lui non comprendeva.

Anche il Campione del Maggio si era fermato ad ascoltare, e non interferiva col rivale. Anzi, sul suo viso affilato era dipinta un'espressione rapita, ed era evidente l'interesse con cui seguiva le mani di Poliziano sul liuto.

tro q'un isnell messagier aia

finché uno svelto messaggero io riceva

del vostre bell cors, qi·m retraia

dalla vostra bella persona, che mi riferisca

plazer novell, q'amors m'atraia,

di un nuovo piacere, sicché amore mi attiri

e jaia e·m traia vas vos, donna veraia;

e giaccia con voi e mi spinga verso voi, dama sincera

e chaia de plaia ·l gelos, anz qe·m n'estraia.

e cada ferito il geloso prima che mi ritiri.

Tamburi e cimbali si aggiunsero poco alla volta all'armonia degli strumenti, e quel canto proseguì per diventare l'inno della primavera tutta. Dei ragazzi salirono sul carro e provarono a chiamare a sé le dame che volevano rimanere vicino ai due poeti, speranzose di un loro cenno. Alcuni vinsero, altri invece vennero respinti, e si misero a cercarne altre.

Anche il Campione del Maggio aveva cominciato a cantare, con una voce più alta e delicata rispetto a quella dell'armonia principale.

Clara si faceva stringere da Ezio, le braccia attorno alle sue spalle larghe e il capo appoggiato sul suo braccio, tanto che la loro non pareva più una danza ma il tenero corteggiarsi di due uccelli del bosco.

Leonardo ascoltava la musica e pensava, con gli occhi sul carro e il naso un po' arrossato dal sole della primavera.

Vide Poliziano ritrarsi dallo sguardo del suo sfidante, come se non lo ritenesse degno, e quello stesso sole illuminò il suo profilo, le labbra che si arricciavano e scoprivano i denti mentre continuava:

Qe nuda tenguda no·us ai, ni d'als vencuda;

Eppure non vi ho mai tenuta nuda, né vinta in altro modo;

volguda cresuda vos ai, ses autr'ajuda.

vi ho desiderata e ho riposto in voi la mia fede senza altra ricompensa.

Le labbra di Ezio si muovevano sopra a quelle soffici di Clara, appoggiata con la schiena ai cuscini del proprio letto. Quando lui aveva fatto scivolare le mani sotto al suo vestito, lei aveva reagito con un gemito di soddisfazione e aveva allargato le gambe per sentirlo ancora più vicino.

Sulla strada, il vociare della festa s'era quasi spento, rimaneva qualche canto solitario e qualche brindisi tra le luci aranciate che filtravano attraverso la finestra.

Nella penombra, la ragazza scoprì il seno e i baci del nuovo amante scesero dalle sue clavicole al petto, per poi indugiare lì in una lenta ammirazione. Un sospiro le morì in gola, e nel condividere il suo piacere Ezio intrecciò le dita con le sue.

Tart m'esjauzira,  pos ja·m partira

Difficilmente avrei gioia, Bel Cavaliere,

bells cavalhiers, de vos ab ira,

se mi separassi tristemente da voi,

Le loro mani si stringevano al buio del giardino, punteggiato da qualche lucciola che credeva di poter rivaleggiare con la luna piena. Erano quasi una metafora per la gara di quel pomeriggio.

Il Campione del Maggio, ridendo, trascinò l'amante all'interno di un roseto, poi sotto al pergolato dove sperava di trovare un po' di intimità.

Non appena ne ebbe l'occasione, Poliziano lo spinse contro una colonna e posò con decisione le labbra sulle sue. Il sorriso languido del ragazzo si trasformò presto in un bacio poco casto, sul quale lui rivendicò il controllo. Il Campione del Maggio lo lasciò condurre il loro atto di passione, e le loro labbra schiuse si cercarono più e più volte prima che i baci del poeta scendessero lungo il suo collo.

Il giovane gemette piano e strinse le braccia attorno alle spalle dell'amante, che con sicurezza percorreva con le labbra la sua giugulare, lasciava qualche segno lungo le clavicole candide, poi risaliva e si avventava ancora sulla sua bocca.

q'ailhors nos vira mos cors, ni·m tira

perché altrove il mio cuore non si rivolge né mi attira

mos deziriers, q'als non dezira;

il mio desiderio, ch'altro non desidera;

Clara lasciava che Ezio, con le mani strette sulle sue cosce, godesse del segreto di maggio e del suo amore.

Lei, con le braccia abbandonate sul materasso e i capelli profumati sparsi in disordine sul cuscino, sotto il suo sguardo si sentiva Venere d'oro.

q'a lauzengiers sai q'abellira,

perché so, signora, che piacerebbe ai maldicenti,

donna, q'estiers non lur garira:

che diversamente non starebbero in pace:

Nel modo in cui amava, come in quello in cui viveva, Poliziano era fiero quanto Marte vendicatore.

Il Campione del Maggio, in un anelito disperato, si strinse a lui pregando che non smettesse di toccarlo e di accarezzargli il viso.

Tra i loro corpi scorreva un desiderio terribile che, almeno per quella notte, non avrebbero avuto modo di soddisfare se non con innumerevoli baci.

tals vira, sentira mos danz, qi·lls vos grazira,

qualcuno vedrebbe, ascolterebbe le mie disgrazie e di esse vi sarebbe grato,

qe·us mira, cossira cuidanz don cors sospira.

qualcuno che vi guarda, che vi pensa pieno di speranza, sicché il cuore sospira.

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