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Quindici, o i Prìncipi.

Potete anche venire fuori, voi tre.

Quelle parole riecheggiavano nell'arena e tra le tempie di Ezio. Tutto il suo corpo fremeva di un'unica urgenza, che non era più uccidere, ma proteggere.

Guardò Sebastiano e Leonardo; loro nello stesso istante ricambiarono l'occhiata. Tre contro uno, un maledetto borioso che s'era fatto fregare tutte le copie del suo atto di privilegio. Se Claudio Cogni fosse morto lì, Firenze si sarebbe dimenticata di lui. Si sarebbe svegliata con i Medici seduti sui loro scranni, la primavera che imporporava i suoi giardini e gli stampatori che facevano a gara per chi redigeva meglio i testi delle preghiere.

Ezio serrò le dita sull'elsa della spada e avanzò verso la luce della fiaccola. Avrebbe potuto essere una trappola: Cogni se ne stava fermo, con le braccia larghe e un sorriso ferale che gli trasfigurava il volto, come se si sentisse invincibile. C'era qualcosa di sproporzionato in lui, nel modo in cui il collo reggeva quella testa troppo piccola sulle spalle taurine.

In qualche modo era riuscito a individuarli, eppure l'Assassino era certo che non ci fosse nessuno oltre a loro nel teatro. Con la coda dell'occhio, notò che Sebastiano stava avanzando al suo fianco e lo bloccò con il braccio sinistro, per respingerlo nell'ombra in cui Leonardo era ancora nascosto.

Promise all'anima di suo padre che avrebbe combattuto fino a quando l'ultimo brandello di carne sarebbe stato legato al suo osso.

«Oh, il ragazzo che non si riesce a uccidere,» esordì Cogni. Guardò attraverso Ezio come se il suo corpo fosse fatto di cristallo, e puntò lo sguardo nel luogo esatto dove si trovava Sebastiano.

Non può aver avuto tempo di vederlo, pensò Ezio. C'è qualcosa che non va in lui.

Il loro avversario aprì gli occhi, e l'Assassino li vide rifulgere bianchi nella notte. D'istinto mosse un passo indietro.

«Quell'altro non ho idea di chi sia,» continuò, rivolgendo un gesto noncurante alla colonna oltre la quale era nascosto Leonardo. Ezio frenò l'istinto di saltargli alla gola come un cane e lo vide voltarsi di nuovo verso Sebastiano. Le sue iridi avevano smesso di brillare, e l'Assassino si chiese se lo avessero mai fatto davvero. «Ma tu... sì, ti riconosco,» continuò. Abbassò gli occhi verso il cadavere di Guicciardi e poi li sollevò di nuovo. «Non sei quello che lo prende in culo dal Poliziano? Vi ho visti abbracciati dietro alla torre della Castagna. Che carini».

Una lama venne sguainata.

«Che c'è, ho detto qualcosa che non va?»

Ezio si accorse che il polso destro di Sebastiano, quello che reggeva l'arma, stava tremando vistosamente. Lui strinse i denti e avanzò.

«Quel giorno alla locanda... eri tu,» disse il ragazzo con tono secco. «Perché mi stavi seguendo?»

«Perché immaginavo già,» con aria di sufficienza, Cogni assestò un leggero calcio al fianco del morto, quasi volesse spronarlo ad alzarsi, «che questo inetto non sarebbe stato in grado di pagare un sicario decente per farti fuori. Bastava controllare che fossi morto . Che peccato».

«Hai tagliato la gola al mio professore per questo?» ribatté Sebastiano. La sua voce suonava troppo sottile rispetto a quella dell'uomo che voleva affrontare, più acuta del solito. Era spaventato, e ancora infermo. Ezio non poteva lasciare che gli si lanciasse contro.

«Gli ho tagliato la gola,» replicò Cogni, facendogli il verso, «perché è stato così sconsiderato da non controllare quali libri presta agli studenti. Forza, piccolo, ridammi la lettera,» tese verso Sebastiano la mano destra, su cui portava un guanto di cuoio pesante, «e non farò niente al tuo cadavere prima di ridarlo a Poliziano».

«La lettera ce l'ho io,» lo interruppe Ezio, frapponendosi tra lui e il Campione del Maggio. Con la coda dell'occhio, vide che Leonardo stava sbirciando dal suo nascondiglio, e teneva con entrambe le mani il fodero di un pugnale. «Perché non te la prendi con me?»

«Oh,» commentò Cogni, come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza. «L'Assassino. Il motivo per cui siamo ancora qua a discutere sul come tentare la prossima congiura, e abbiamo perso i Pazzi... tutto per una cazzo di signoria, figlio di Giovanni Auditore. Quanta ostinazione avete per un granello di sabbia nella guerra che stiamo combattendo».

All'improvviso, il simbolo che Ezio portava inciso sull'armatura – lo stesso che campeggiava sugli stendardi della Villa, lo stesso che rimaneva impresso sul palmo di suo zio quando stringeva troppo il medaglione che portava al collo – gli sembrò fuoco sulla pelle.

«I Cogni...» disse, sfoderando la spada, «sono una famiglia di Templari, vero?»

Aveva sentito quella parola, più volte, nelle spiegazioni laconiche di Mario e nei bisbigli della Volpe. L'aveva letta nei pizzini frettolosi di Lorenzo e l'aveva impressa nella mente prima di bruciarli. Non sapeva ancora bene cosa significasse, se non dolore.

Il suo nemico tacque.

«Non avrete Firenze!»

Ezio si lanciò contro di lui, e la sua lama si scontrò contro quella della spada bastarda che, in qualche modo, Cogni aveva avuto il tempo di sguainare.

Lui prese con la mano sinistra la lama e tentò contro l'Assassino una manovra a mezza spada. Ezio aveva già combattuto contro uomini che usavano quella tecnica, ma non abbastanza da sentirsi sicuro del contrattacco. Preferì sfruttare la propria velocità e scostarsi per interporre una certa distanza tra lui e l'avversario. Quando sollevò di nuovo l'arma, Cogni vibrò un fendente più ampio che lui fu costretto a bloccare. Non era solo lo sguardo infuocato a essere disumano in lui. La violenza del contraccolpo sul polso quasi gli spezzò i tendini.

Il dolore si mutò in una furia selvaggia che spinse il giovane a infierire più volte contro il Templare. Lo colpì al braccio e gli strappò la veste, ma lui non diede segno di soffrire nemmeno quando i lembi di stoffa si tinsero di rosso.

Quando Ezio lo guardò in volto, vide un demonio con i denti scoperti in un ringhio. Si scambiarono altri fendenti e, nel momento in cui Cogni cercò di colpire di punta, l'Assassino si voltò per sfuggirgli. La sua tibia si scontrò con gli stivali corazzati del nemico e un calcio lo fece cadere a terra di schiena.

Ebbe la prontezza di alzare la spada in modo da parare il colpo, ma l'impatto contro il suolo gli tolse il fiato e la forza nelle membra. Sentì il bruciore acuto di un taglio che gli attraversava il fianco, e si interrompeva dove l'armatura lo aveva protetto.

Quando... La lama di Cogni si scontrò contro la sua. Il polso gli cedette e fu costretto a usare la sinistra per impugnare a due mani l'elsa. Quando mi ha colpito?

Un altro affondo avrebbe spezzato la sua difesa. Con il respiro spezzato e la mente confusa, l'Assassino osservò la punta della spada che calava per trafiggerlo.

Si fermò a nemmeno mezzo braccio di distanza dal suo ventre. Con un gemito di dolore, Cogni venne trascinato indietro. Sebastiano, dopo averlo destabilizzato, gli assestò un pugno in faccia che, anche se non riuscì a gettarlo a terra, permise a Leonardo di correre contro il nemico e afferrarlo all'altezza della vita. Cogni non lasciò andare la spada e tentò di liberarsi dalla presa a gomitate, mentre Sebastiano puntava a spaccargli il naso.

Ezio si riscosse e li guardò combattere. Sembrava che stessero cercando di domare un toro.

«No! No! Cosa fate?» gridò.

Leonardo perse la presa e cadde a terra. Libero dal suo peso, Cogni spinse con il piatto della spada il Campione del Maggio, che atterrò seduto diversi passi più avanti.

Il Templare ignorò l'artista disarmato e puntò direttamente verso Ezio. Dei rivoli di sangue gli scendevano da una ferita incrostata sul naso.

L'Assassino parò con prontezza un colpo calato dall'alto. Il fatto che i suoi alleati non fossero riusciti a fermarlo non era dovuto solo alla loro mancanza di addestramento. Nonostante le ferite, non aveva perso un'oncia del suo vigore. Nemmeno le forze unite di due uomini potevano fermarlo.

«Non sta combattendo alla pari!» urlò Sebastiano, mentre si tirava in piedi. «Ha... ha fatto un patto col Diavolo!»

Il viso martoriato di Cogni, che stava combattendo, a quelle parole si contorse in un ghigno.

«Scappate,» ordinò con decisione Ezio.

Sebastiano disobbedì. Corse verso il Templare e tentò con la spada una spazzata diretta alle sue gambe. Cogni, con gli occhi che brillavano di nuovo, si spostò in tempo per non essere colpito e continuò a parare i fendenti di Ezio, che arrivavano a sequenze ordinate nella speranza di spezzargli la guardia.

«Non sai per cosa stai combattendo, ragazzo».

L'Assassino lo guardò faticosamente in volto. Pensò al corpo di Leonardo stretto al suo nel letto, al modo in cui lui lo accarezzava e gli mordeva le labbra.

Alla voce tremante di Sebastiano mentre diceva che non avrebbe mai trovato pace sapendo del dolore della persona che amava.

Al principe vendicato da un pugnale con l'elsa d'oro.

Digrignò i denti. Non lo avrebbe certo detto a uno come lui.

«Nulla è reale, tutto è lecito,» la voce di Cogni sovrastò il rumore della sua lama che, scontrandosi contro quella dell'Assassino, era riuscita a vanificare il suo ultimo assalto. Gli occhi di Ezio saettarono verso di lui. Il Credo. Come faceva a conoscere quelle parole? «Te l'hanno detto, vero? Te l'hanno fatto ripetere ogni mattina con i grani del rosario».

Spaventato, il ragazzo fece un passo indietro, così da uscire dalla portata della sua arma. Sentì un sapore metallico sotto la lingua e il richiamo lontano di Leonardo, che ripeteva il suo nome come se lo volesse svegliare da un sogno.

«Tu come–».

«La Confraternita mi ha portato via molte cose, finanche un figlio,» lo interruppe Cogni, senza abbandonare la posizione di guardia mentre parlava. «In nome della libertà dell'individuo, mi hanno cacciato via come uno schiavo. Nulla è reale... l'unica cosa irreale è questo Umanesimo, con le vostre poesiole sul maggio. Siamo nati per scannarci, Assassino, non per cantare. Non fare finta di non vederlo».

Approfittando del fatto che il suo sguardo era puntato su Ezio, Leonardo corse alle sue spalle e alzò un pugnale. Fece per calarlo su di lui, ma con una rapidità ferina il Templare si voltò, gli prese il polso e glielo torse dietro la schiena. Con una smorfia di dolore, l'artista lasciò cadere l'arma. Cogni gli assestò un calcio sulle ginocchia e lo buttò a terra, per poi sovrastarlo con la spada in pugno.

«No!»

Con un grido di terrore, Ezio gettò via la spada e si lanciò contro il Templare. Nella colluttazione, Cogni calpestò Leonardo e perse l'equilibrio. L'Assassino estrasse la lama celata e gliela piantò sul dorso della mano sinistra. Trapassò il guanto da parte a parte, recidendogli i tendini. Tra le imprecazioni, il suo nemico strinse l'elsa solo con la destra e indietreggiò, rinunciando a infliggere a Leonardo il colpo fatale.

«Bastardo...»

Cogni agganciò la spada al fianco e prese a rovistare nella veste, all'altezza del petto, mentre lanciava occhiate infuocate a Ezio, in posizione di difesa. Nel momento in cui l'Assassino lo vide afferrare qualcosa, nascosto dalla tunica, una goccia gelida di sudore gli percorse la nuca. Un presagio di morte.

«Che cazzo succede?»

Sebastiano balzò all'indietro: la sua carica era stata interrotta da Cogni, che pochi istanti prima si trovava in un punto diverso. Spaventato, prese a menare fendenti a caso.

Immagini del Templare apparvero tutt'intorno a loro. Alcune impugnavano la spada, altre correvano via, altre sputavano saliva mista a sangue, altre ancora stringevano nella destra uno strano oggetto. Era una sfera perfetta, dorata, che brillava della stessa luce che era apparsa nelle sue iridi.

Ezio la vide e sgranò gli occhi. L'ultima sua sensazione fu l'impressione di quella sfera, un marchio bruciante sulle retine. Un fischio assordante gli attraversò le tempie, come una freccia da un orecchio all'altro. La sua mente cedette, martoriata da una luce d'oro.

*

«...esmond!»

«Ezio! Svegliati!»

La luce dorata era diventata bianca. Ezio non vedeva altro attorno a sé, e altro non percepiva. Era dentro di lui, gli riempiva il petto e scorreva, attraverso le vene, lungo le gambe. Se avesse aperto la bocca, quella luce sarebbe uscita da lui e il mondo ne sarebbe stato più saturo ancora.

Serrò le palpebre e tentò di ricordare chi era. Cento piume stavano cadendo, leggere, e il loro percorso veniva deviato dal vento. Il canto senza significato di una donna proveniva da una finestra aperta. 

Gradualmente, il bagliore tutto attorno all'Assassino cominciò a scemare, ma non tornarono i colori.

«Leonardo!» provò a chiamare lui. Si rese conto di essere in piedi, in una stanza infinita e senza muri, senza nulla che gli potesse indicare una direzione. Guardò verso il basso e fu colto dal terrore quando si accorse che i suoi piedi non posavano su nulla. Attese il momento in cui avrebbe cominciato a precipitare, ma quel momento non arrivò mai. Era sostenuto da qualcosa di stabile e sicuro.

Sono morto?

Provò a camminare. Nulla ostacolava il suo moto, e la sua visione sempre più nitida distingueva punti più grigi e linee orizzontali e verticali, simili a quelle che gli avevano insegnato a tracciare a secco sui fogli per guidare la propria scrittura. Perché disegnare una griglia in uno spazio che non aveva limiti?

«Leonardo! Sebastiano!» gridò Ezio, sempre più spaventato dall'assenza di un limite. «Dove siete?»

Le immagini dell'ultimo scontro gli affollarono i ricordi, dominate da quello strano oggetto d'oro stretto nella mano destra di Cogni.

Il respiro cominciava a morirgli nella gola. Tentò di controllarlo e scattò in avanti nel silenzio. Non sapeva perché stesse correndo o dove i suoi passi l'avrebbero portato. Era esistito un giorno in cui lo aveva saputo?

Continuò a chiamare i suoi amici, assalito dalla paura di aver perso anche loro. Non ricevette risposta, e non vide niente, fino a quando una sagoma cominciò a delinearsi in lontananza. Era un uomo che correva, ma sembrava allo stesso tempo incapace di muoversi dal proprio posto.

Nel disperato desiderio che si trattasse di Leonardo, Ezio accelerò e si diresse verso di lui. Aveva i capelli corti e indossava degli abiti di cui non riconosceva la fattura.

«Ehi, tu!» tentò di chiamare. «Aspetta!»

Ma fu colpito da un'altra fitta alle tempie, e i suoi occhi furono di nuovo soverchiati dalla luce mentre lui stringeva i pugni.

«È ferito. Tienigli il busto sollevato, io cerco un modo per fasciarlo».

«Ezio!»

La luce attorno a lui pulsava come se fosse cosa viva. Ezio deglutì, chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo e rumoroso prima di aprirli. Delle forme di edifici a lui note cominciarono a profilarsi davanti a lui. Riconobbe la cupola del Brunelleschi, le torri e i tetti della città dov'era nato. Il suo spirito che scalpitava guerrescamente, che era pronto a spingerlo a zanne scoperte contro il pericolo, si acquietò per un istante sentendo parlare di casa. Subito dopo, però, gli piantò in fronte il seme infestante di un pensiero.

Da una nuvola fu modellata, somigliante in tutto, l'immagine di Elena.

Poco alla volta, la stanza bianca senza confini mutò. Le linee parallele e ortogonali cominciarono a convergere le une verso le altre, i colori a mutare, e lui si trovò in mezzo al Ponte Vecchio.

C'erano molte persone, quel giorno, quasi fosse tornato il Calendimaggio. Ezio, costretto a voltarsi di lato per proseguire tra la folla, sentì lo strimpellare di musicisti di strada, odore di sudore e di carne arrosto. Vide, appese in cima al ponte, le ghirlande di fiori.

Nulla è reale.

Forse il Sole aveva invertito il suo corso e aveva, da ovest a est, riportato indietro i giorni. C'era qualcosa di strano, su quel ponte. Non era evidente nei suoni, né nelle sillabe, né negli abiti di chi passava, ma ogni volta che Ezio tentava di distinguere i loro lineamenti, quelli si confondevano e si mescolavano.

E se fossi, come Elena, un sogno?

Una donna, inavvertitamente, lo urtò. L'Assassino, con il cuore che aveva cominciato a battere come un tamburo, seguì con gli occhi il suo corpo che lo oltrepassava. Cristina, una ragazza che aveva amato e dimenticato, aveva un vestito molto simile a quello. Glielo aveva cucito sua madre.

«Aspetta!»

Le posò una mano sulla spalla, ansioso di riconoscere un volto noto. Quando la ragazza cominciò a voltarsi, il cuore di Ezio accelerò ancora, i suoi muscoli si tesero nell'impulso di fuggire.

Vide solo una fila di denti aguzzi, lunghi come coltelli, che si scoprirono nel sorriso che le ingoiò la faccia.

Gridò e affondò una delle lame celate prima di venire inghiottito dal buio.

«Hai capito, gli stronzi avevano la Mela».

«Sei pazza? Si sta desincronizzando! Staccalo immediatamente!»

Ezio, con la mano posata sul petto, lo sentiva alzarsi e abbassarsi in modo irregolare. Nessuna balena lo aveva divorato e intorno a lui era calata una calma tiepida che lo convinse a socchiudere gli occhi.

Si trovava in uno studiolo silenzioso, raccolto. Sugli scaffali erano disposti ordinatamente dei libri rilegati, alternati a cassette di legno da cui pendevano piccole targhe di cuoio. Un debole raschiare proveniva dalla scrivania alle sue spalle, orientata verso la finestra. Una volta che il ronzio nelle sue orecchie si fu spento, e il battito del cuore fu diventato più regolare, Ezio si avvicinò, stranito, all'uomo seduto allo scrittoio.

Poliziano stava annotando qualcosa ai margini di una pagina, con il capo inclinato a destra e gli occhi socchiusi in una concentrazione rispettosa che lui riservava solo alle parole di chi era morto da tempo. La luce che filtrava attraverso il vetro proiettava l'ombra del suo naso su righe precise scritte in greco. Sembrava impossibile, guardandolo, che nel mondo al di fuori della sua finestra le spade strappassero l'anima dagli uomini.

Strana immagine da vedere prima di morire, pensò Ezio, nella cui mente si stava insinuando il sospetto di essere, invece, in un sogno. E se era vero, quando era iniziato, e chi era il sognatore? Anche Leonardo che ricambiava i suoi sentimenti, anche il giorno in cui si era unito in amore con lui, altro non erano che ombre?

«Ma guarda, l' adolescente omerico,» esordì, avanzando. «Il poeta di cui tutti parlano ultimamente, a Firenze. Che cosa ci fate qui?»

Poliziano alzò la testa. Lo riconobbe dalla voce e sorrise, ma non volse lo sguardo verso di lui.

«Studio,» rispose con semplicità il poeta. «Che ci fai te, piuttosto, nelle mie stanze?»

Ezio non rispose. Osservò i granelli di polvere che navigavano nell'aria, controluce, come atomici vascelli su un mare calmo. Poi spostò gli occhi sul tavolo e vide, accanto al libro di Poliziano, qualcosa che gli era familiare.

«Quelli sono i miei rotoli!» esclamò, quasi in un grido. Come può averli?

D'istinto, i suoi nervi si tesero e il polso si preparò a fare scattare la lama celata. Quando sentì le dita tremare, si costrinse a non compiere azioni avventate.

Una volta dissipato il panico iniziale, l'Assassino si rese conto che non esisteva altra spiegazione: doveva trovarsi in un sogno. Non avrebbe mai, nemmeno sotto minaccia, nemmeno da ubriaco – tanto quanto lo era stato quel giorno in cui aveva mostrato a tutti le lame celate perché sapessero quanto era bravo il suo amato a costruire – mostrato il Codice a qualcuno che non fosse Leonardo. Solo di lui si fidava anima e corpo.

Era un sogno, ma ad ogni modo i sogni, anche qualora fossero senza senso, qualche volta gli avevano dato premonizioni del futuro, quindi avrebbe fatto meglio a continuare quel dialogo.

«Questi non sono rotoli,» replicò in tono secco Angelo, spezzando i suoi pensieri.

«Come no?»

«No».

Perplesso, Ezio aggrottò le sopracciglia e incassò la testa nelle spalle.

«Sono i rotoli del Codice!» replicò, quasi gridando. Quando si rese conto di aver allargato le braccia e di aver teso le mani con i palmi verso l'alto di fronte a Poliziano, le abbassò. Lui non si mostrò offeso dal suo gesto, e gli rivolse un sorriso sghembo mentre abbassava gli occhi sulle carte.

«Ah, capisco. Indubbiamente qualcuno le ha arrotolate, ma sono pagine di un codex, » la mano del poeta smise di accarezzare i fogli e batté due volte, con l'unghia, sulla copertina di un libro che aveva accanto. «Codice, come questo». Il sorriso di Poliziano si allargò e lui guardò negli occhi Ezio, per poi ripetere con tono divertito: «Dovresti studiare il latino».

Ezio ignorò quell'ultimo commento. Ripercorse con la mente le ore passate, invano, a trovare un senso a quelle pagine, si sporse verso l'altro e si colpì la fronte con un sonoro schiaffo.

«Ecco perché non riuscivo a capire l'ordine!»

Poliziano annuì consapevole.

«Stavi cercando di sistemarle una dopo l'altra?» domandò.

«Sì».

Lo sguardo dell'Assassino venne attirato dall'indice del poeta che gli faceva cenno di avvicinarsi e osservare i fogli disposti con ordine sulla scrivania.

«Guarda, per qualche motivo le hanno tagliate in modo che siano singole, però qua e là si vedono i segni della rilegatura».

Ezio si concentrò sui punti che Angelo gli indicava come aveva fatto solo da ragazzino, con il suo precettore, per evitare che il padre si arrabbiasse per la sua nullafacenza. Questa volta, però, lo fece per se stesso.

«Voi...» mormorò, incredulo. Sapeva che il Poliziano di quello spazio liminale era lo stesso che tuonava dalla sua cattedra a Firenze. «Sareste in grado di ordinarle?»

Il poeta, mentre pensava, si passò tra le dita una ciocca ondeggiata di capelli, che poi lasciò ricadere sulle spalle.

«Credo di sì. Ne mancano, però so in teoria come si fa».

«Un momento. Riuscite a leggerle?»

Ezio indietreggiò, allarmato. Gli unici che potevano decifrare il Codice erano il suo defunto padre e Leonardo, il suo adorato. Poliziano spinse all'infuori il labbro inferiore e alzò le spalle in un modo che ormai all'Assassino era familiare.

«No,» replicò con schiettezza, «non ho la minima idea di cosa ci sia scritto».

«E come fate allora?»

«Oh, non mi serve punto leggerle. Vuoi che ti spieghi come si fa?»

Rinfoderato il pugnale della diffidenza, Ezio si sporse di nuovo verso Angelo, piegando la schiena, e osservò le pagine che aveva davanti. Gli parevano tutte uguali, e stava cominciando a sospettare che solo agli occhi di chi era stato iniziato alla setta dei filologi, e aveva giurato di servire per tutta la vita le lettere, potessero finalmente svelarsi per quel che erano.

«Hai mai scritto sulla pergamena?» gli chiese Poliziano, in tono socratico. «Res qua constat inmortalitas hominum,» citò, poiché gli era venuto in mente.

«Non mi è mai capitato». Era una risposta da ottimo o da pessimo allievo?

Il poeta non sembrò mostrare risentimento per la sua scarsa propensione allo studio, e anzi l'inquietudine che faceva fremere i suoi polsi e i suoi versi parve smorzarsi un poco. Il suo viso si distese mentre rispondeva:

«Capisco, in effetti non si usa più. Questo libro ha tanti anni. Sai, il foglio è più scuro da una parte e più chiaro dall'altra,» a sostegno delle proprie parole, voltò con le mani curate la pergamena, in modo che Ezio potesse apprezzarne la differenza, «e questo vale sempre, anche se è di ottima qualità. Vedi?»

«Sì,» gli confermò l'Assassino. «Quindi?»

«Quindi, se questo codice è fatto come il Signore comanda – e ben suppongo che lo sia – le due pagine che si fronteggiano sono sempre dello stesso colore». Di nuovo, i gesti di Poliziano confermarono le sue parole. Prese due fogli e li affiancò l'uno all'altro. Non solo la tonalità della pergamena, ma anche i buchi per la rilegatura corrispondevano. «Dovresti prima individuare i fascicoli, e puoi aiutarti con il modo in cui sono state tracciate le righe.  Ad esempio, sei fortunato, perché queste sono successive l'una all'altra, e codesta viene di sicuro prima». Per concludere la sua spiegazione, il poeta alzò un'altra pagina dal lato scuro. «Togliti il guanto».

Ezio obbedì senza obiettare. Angelo gli prese la mano – aveva la stessa propensione al contatto fisico che Ezio aveva notato tempo prima in Lorenzo – e la posò su uno dei fogli.

«Senti?»

La carta aveva dei solchi lasciati dalle punte con cui era stata rigata a secco, in modo tale che la scrittura risultasse dritta. Ezio annuì, mentre ripensava alla strana griglia bianca che aveva visto in quella stanza vuota senza limiti in cui si era sentito morire. Poliziano allora gli fece spostare le dita sulla pagina che aveva alzato. I solchi erano più marcati.

«Devo ammettere che il vostro metodo è migliore del mio,» gli concesse Ezio con un sorriso. Accennò un inchino e poi si voltò, incuriosito da uno specchio verticale appoggiato contro un muro della stanza. C'era sempre stato, sin dal momento in cui si era ritrovato lì?

«Ti ho convinto allo studio delle lettere?»

«Oh, no,» replicò Ezio alle sue spalle, muovendo qualche passo verso lo specchio. «Non diventerei mai bravo quanto voi».

Sentì Angelo soffiare l'aria fuori dal naso in una mezza risata.

«Nessuno sarà mai come me».

«Però,» confidò l'Assassino a Poliziano, mentre osservava la propria immagine riflessa, «a volte ho paura di essere come Elena di Troia».

«La cagione di una guerra?»

Ezio notò la cicatrice scomparire, le labbra prendere una piega più dolce, i tratti ingentilirsi e le sopracciglia assumere una curva dolce verso l'alto.

Nello specchio appariva il giovane e bellissimo modello di Leonardo. I suoi occhi grandi, lievemente inclinati verso il basso, fissavano il mondo con un pudore virginale che scompariva nel modo in cui lui non copriva la propria nudità.

L'immagine di Piero fece guizzare lo sguardo, per un solo istante, verso Poliziano. Poi lo riportò davanti a sé.

«Un'illusione».

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