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Otto, o l'Onore.

1478, 6 maggio.
Elogio di Lucio di Cirene.

Ah, ma che diamine...

Era come se un demonio gli avesse annodato lo stomaco.

Mentre recuperava lentamente coscienza, e si rendeva conto del sapore acido che gli impastava la bocca, Ezio si premette le dita sugli occhi. Il sinistro pulsava e il dolore si insinuava nel collo, fino ad arrivare alla spalla. Provò a muovere la testa, ma un dolore accompagnato dallo schiocco delle vertebre glielo impedì. Era disteso su qualcosa di morbido, ma in una posizione troppo rattrappita perché si trattasse di un letto.

«Buongiorno, Ezio».

Leonardo. L'Assassino trasalì quando sentì una voce familiare e ignota allo stesso momento. Chiunque ma non lui, pensò pieno di vergogna, nonostante fino a poco tempo prima quella voce fosse stata capace di accendergli scintille rapide sotto la pelle. Non lo voleva, eppure voleva baciargli la bocca e gli occhi fino ad annegarlo nel suo desiderio. Avrebbe preferito svegliarsi in casa di una donna maritata, piuttosto che da lui. Chiunque ma non lui, perché lì doveva affrontare una paura che altrove non ci sarebbe stata.

«Buongiorno,» farfugliò.

Nonostante la luce del sole gli avesse tagliato gli occhi come una lama, si forzò a guardare verso Leonardo. Incontrò solo la figura di una Beatrice ammantata da un'aura bianca.

Perché lo vedeva così? Ezio era fuggito dai suoi sentimenti prima che avessero la meglio su di lui, come aveva già fatto tante volte. Perché, invece di estinguersi, la fiamma ardeva sempre più forte?

«Leonardo...» cominciò a dire, dopo essersi tirato a sedere con fatica. La schiena gli faceva male come quella di un vecchio. Si interruppe quando una tazza di ceramica piena d'acqua occupò il suo intero campo visivo. Con silenziosa gratitudine, cominciò a bere a lunghi sorsi.

«Non è ancora venuto a cercarti nessuno,» lo tranquillizzò il suo amico. Ezio non riusciva a convincersi che il tono distaccato di Leonardo in quei giorni fosse solo una sua impressione. Era così da quando si erano baciati, e non poteva essere una coincidenza. L'unica espressione di quei pensieri ansiosi fu un lamentoso gorgoglio del suo stomaco.

«Immagino preventivassi di non tornare a cas–».

«Leonardo». Ezio si rese conto solo in quel momento di aver stretto i pugni fino a impiantarsi le unghie nella carne. Si alzò in piedi, ignorando il fatto che le sue gambe non fossero nella migliore delle condizioni. Mancavano svariati minuti alle sue memorie della sera precedente, e da un certo punto in avanti non erano altro che macchie di rosso e d'azzurro. «Leonardo, dobbiamo parlare».

L'artista, con espressione sorpresa, alzò il capo dal tavolo sul quale passava buona parte delle sue giornate.

La sua espressione, per un istante dolce come un tempo, si fece seria.

«Sì, dobbiamo parlare». Poi s'addolcì di nuovo, in un modo che fece stringere lo stomaco di Ezio. Tornò il suo vecchio sé per un attimo. «Sei sicuro di volerlo fare adesso? Ti sei appena svegliato».

I colori caldi e disordinati della bottega erano in perfetta armonia con il profilo morbido di Leonardo. Ezio percorse con lo sguardo la sua figura, si soffermò sulla differenza tra i loro corpi e sulla bellezza greca dei suoi lineamenti. La sua bocca era l'arco di Cupido dall'ineluttabile dardo. Le sue iridi alla luce erano quasi trasparenti.

«Sono sicuro».

L'Assassino fantasticò di percorrere la distanza che li separava e ripetere quelle due parole mentre gli teneva le mani e lo guardava negli occhi. Dirgli che era innamorato di lui, in quel momento, e sperare che tutta la tensione tra loro si risolvesse nella passione era qualcosa che avrebbe funzionato solo in una favola. Lui era giovane, ma questo lo capiva molto bene.

Il problema era che non s'era mai allontanato troppo dal rassicurante sentiero battuto dalle favole.

«Comincia, allora,» lo incitò Leonardo, col tono di un maestro severo che vuole rimarcare un errore dell'alunno.

Ezio sospirò e deglutì.

«Per favore, puoi dirmi cosa è successo ieri sera? Non ricordo molto bene e vorrei scusarmi per qualsiasi offesa io ti abbia arrecato».

Era solo una mezza bugia.

«Se vuoi che cominci dal motivo per cui sono arrabbiato,» replicò il suo amico, «ti sei ubriacato e sei andato in giro a mostrare le lame celate per far vedere come sono stato bravo a costruirle».

A Ezio non era passato per la mente, quando aveva conosciuto Leonardo, che un giorno avrebbe potuto fargli così male il cuore per colpa delle sue parole. Si morse le labbra. Se non altro, nei momenti che mancavano alla sua memoria, non aveva fatto altro per peggiorare la situazione. O almeno, non aveva fatto nulla che superasse quel gesto in una lista delle cose gravi.

«Suppongo che ammettere di nuovo ad alta voce di essere un coglione non migliorerà molto la situazione».

A terra c'erano dei residui di limatura di ferro; il viso di Leonardo non riusciva a guardarlo.

«Non molto».

«Pensi che potrai perdonarmi?»

«Il tempo può realizzare molte cose, Ezio,» concluse l'artista. Il ragazzo lo guardò, e lui si strinse nelle spalle per poi appoggiare una squadra sul banco con un lieve sorriso. «Ora mi dovrai scusare, ma credo di non poter far aspettare Lorenzo quanto gli altri committenti. Rimani pure qui finché ne hai bisogno».

Era incredibile. Gentile anche con chi gli aveva fatto un torto.

Trafitto dal pugnale del tormento, Ezio gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.

«Leonardo, aspetta. Voglio parlare anche di quel bacio».

Il suo amico alzò gli occhi ed Ezio vide un'ombra di dolore attraversare i suoi lineamenti. Per un attimo le sue labbra si arricciarono e le sue narici si dilatarono.

Oh, no. Che cosa ho fatto.

«Che c'è da dire su quel bacio?» chiese Leonardo, tentando di non apparire troppo stravolto. Ci riuscì solo in parte. «Mi pare chiaro che volessi solo provare con un uomo. Oppure farmi contento dopo aver notato certi miei sguardi. Spero di averti soddisfatto».

Cazzo. Gli piacevo veramente.

«Hai capito male. Era più di questo». Leonardo rimase immobile, ed Ezio sentì la testa girare, l'aria non arrivare ai polmoni. Lo stomaco cominciò a mandargli fitte di dolore, e non gli era chiaro per quale dei due motivi. «Scusa, io davvero voglio parlarne... ma ora è meglio che vada un attimo al bagno...»

«Prego, sai dov'è».

Ezio corse verso le scale, tentando in ogni modo di non pensare a come il tono di Leonardo era tornato vivace, al rapido moto dei suoi occhi. Alla propria mancanza di coraggio, nonostante avesse portato via più vite di quelle che, di notte, riusciva a contare nei propri sogni.

La bottega ritornò nel silenzio, fortezza contro il cicalio della gente che passeggiava, litigava, correva e viveva nel quartiere di San Giovanni.

Almeno fino a quando l'urlo inorridito di Ezio non raggiunse il piano terra, molto più velocemente di quanto avrebbero mai potuto fare le sue gambe.

Con le dita che stringevano il volto, e la bocca che non si chiudeva, il ragazzo gridò di nuovo:

«Leonardo! Perché c'è un morto nel letto?»

Il ragazzetto che la sera prima si trovava alla taverna, il Campione del Maggio, giaceva esanime su un fianco, al centro del letto di Leonardo. Il cuore di Ezio cominciò a battere all'impazzata. Chi l'aveva ucciso? Perché? Era stato Leonardo, e ora lo nascondeva? Stronzate, doveva averlo trovato così. Ma allora perché non metterlo assieme agli altri cadaveri che studiava? Cos'era quella fasciatura sporca di sangue attorno alla testa?

«Eh?» lo raggiunse la voce dell'artista. Suonava troppo serena, e di fronte a quel corpo Ezio la sentì come lo stridere dei rebbi della forchetta su un piatto. «Ah, l'amico di Poliziano. Non è morto, è solo svenuto».

L-l'amico di...

Ezio fece due passi indietro, senza distogliere gli occhi sgranati dal bel ragazzo. Qualche immagine della sera precedente gli attraversò la testa. Si sentì più confuso di quella volta che un avversario l'aveva colpito alla tempia col pomolo dell'elsa.

«Poliziano ha un amico morto,» ripeté, nel vano tentativo di afferrare la situazione.

Il volto di Leonardo fece capolino dalla porta, con le sopracciglia alzate e senza nemmeno l'ombra di una preoccupazione.

«Ti ho detto che è svenuto,» ripeté con naturalezza.

«Poliziano ha un amico svenuto,» si corresse allora Ezio. Gesticolò a vuoto, nel tentativo di pronunciare parole che non salivano alla sua lingua. Infine si risolse a coprirsi il viso con le mani, disperato, mentre gli arrivava la risposta:

«Sì, invero».

«Sì». L'Assassino si fermò per sospirare e soffiò il fiato caldo sui palmi delle mani. «Non è che sia tanto meglio, che cazzo ci fa nel tuo letto?»

Leonardo sgranò gli occhi e si premette un dito sulle labbra per intimargli di fare silenzio. Poi fece cenno al ragazzo, e ottenne un altro sospiro sconsolato di Ezio.

«Ti aspetti anche che rinvenga, questo?»

L'artista, con un gesto della mano, si fece seguire sulle scale.

«Ieri sera, quando sono uscito dalla locanda, mi sono imbattuto in Poliziano che aveva trovato quel giovane ferito, e stava per chiamare le guardie,» gli spiegò mentre scendevano. «L'ho dissuaso, e in mancanza d'altro abbiamo deciso di portarlo qui perché lo potessi curare. È vivo per miracolo».

«Ma- ma io avrei–»

L'artista gli premette un dito sul giustacuore di cuoio.

«Tu, mio caro,» disse, «eri svenuto. Lui era stato aggredito, così abbiamo fatto a modo nostro».

«Aggredito? A modo vostro? Santo Cielo, ma ti rendi conto... ecco spiegato cosa ci facevi qui con Poliziano, almeno».

«Perché, cosa pensavi che stessimo facendo?»

«Lascia perdere».

Ormai erano tornati al piano terra. Leonardo appoggiò una mano sul tavolo e si voltò per guardare in faccia l'amico.

«Ho paura che ci sia qualcuno che prende di mira i ragazzi. Prima Piero, e ora lui... Devi stare attento».

«I ragazzi? E perché mai?»

Prima che Ezio potesse obiettare che lui era forte, e non si sarebbe mai fatto sorprendere disarmato, Leonardo gli appoggiò una mano sulla spalla.

«Speriamo che ci dica cos'è successo quando si riprenderà, ma nel frattempo, te ne prego, stai attento».

Si avvicinò a Ezio e premette con decisione le labbra sulle sue. Colto alla sprovvista, l'Assassino sbarrò gli occhi. Solo dopo qualche istante mosse le mani per posarle sui fianchi di Leonardo, ma il bacio terminò e l'amico si allontanò da lui.

«Così se vorrai la prossima volta avrai qualcos'altro di cui parlare,» gli disse. Interdetto, Ezio mosse qualche passo all'indietro verso la porta. «E bada che non significa che t'ho perdonato».

«A–» balbettò l'Assassino. Si passò le dita sulle labbra socchiuse. Senza che lui potesse farci niente, Leonardo si sedette e tornò al suo lavoro quotidiano.

«Buona giornata, Ezio».

«Buona... giornata».

*

Non fu una giornata poi così buona.

La pioggia, per Ezio, non era mai una condizione favorevole quando doveva seguire un bersaglio. Di certo non contribuivano i pensieri intrusivi su quello che aveva fatto Leonardo, che abbinati ai postumi e al fatto che stava andando a uccidere un uomo gli facevano venire da vomitare,  e nemmeno il chiacchiericcio della folla che si lamentava della presenza dello Spagnolo in città. Il flaccido Rodrigo Borgia dava a tutti gli effetti l'impressione di essere una vipera travestita da verme.

Però a lui sarebbe tornato più utile sentire cosa si dicessero il congiurato e il suo compare.

Dopo aver messo a tacere una sentinella con un pugno in testa, scivolò fuori dalla postazione che aveva usato come nascondiglio e si nascose dietro un comignolo. Il suo occhio d'aquila fece sì che non perdesse di vista i due uomini. All'altezza dello Spedale del Brunelleschi, le loro strade si separarono. Dall'alto, e vicina agli archi chiari dello Spedale, la figura di quell'uomo che avanzava da solo appariva tanto piccola da fare sembrare impossibile che avesse meditato un male tanto grande. Tale era la dimensione di un uomo rispetto a una città, ed Ezio si domandò come facessero gli astronomi a non venire soverchiati dalla meraviglia quando comparavano le cose minute della Terra alle distanze immani delle stelle.

Il suo obiettivo, dopo un breve lasso di tempo, si diresse verso un'abitazione e aprì la porta.

Ezio trattenne un'imprecazione mentre qualche goccia di pioggia, seguendo le vie imprevedibili dell'aria, gli colpiva la guancia. Nonostante il grigiore del cielo, non poteva certo calarsi dal tetto e uccidere in pieno pomeriggio in una zona così frequentata. Troppa luce bianca filtrava attraverso le nubi.

Almeno era riuscito a sapere dove abitasse quell'uomo, o la sua amante. Sarebbe tornato di notte.

Sotto gli sguardi attoniti degli astanti, Ezio si lasciò cadere dalla balaustra a cui era appeso e atterrò con grazia davanti alla bottega di un mercante d'arte. Non c'era traccia dei manifesti che occasionalmente le guardie, nella disgraziata evenienza in cui trovassero un corpo, appendevano in giro per la città. E ad ogni modo, dopo che ne aveva strappati via tre o quattro dai muri, in genere la gente si dimenticava di quel "morto o vivo" e di quella taglia che variava nel tempo.

Che Lorenzo de' Medici fosse tra le cagioni di quelle endemiche amnesie non poteva certo escluderlo.

«Ma che fa? È ubriaco?» lo rincorse la voce di una dama.

Magari lo fossi, si ritrovò a pensare Ezio, chiuso nel suo abito per ripararsi dalla pioggia. Il bacio di Leonardo era marchiato a fuoco nella sua mente, il sapore delle sue labbra lo stesso dei fichi che rubava da bambino. Avrebbe dato via tutto ciò che aveva per una sola notte con lui.

Magari fossi ubriaco.

Nell'entrare in un negozio di forniture d'arte dalle parti di Ponte Vecchio, si tolse il cappuccio e prese a tormentarsi le punte umide dei capelli. Rispose al saluto del proprietario in tono distratto, gli occhi che già veleggiavano senza meta tra lapis, tele e bizzarri strumenti in legno e metallo di cui non riusciva a indovinare l'utilità.

Cercò di ricordare quali fossero i pennelli con cui dipingeva Leonardo, ma la scelta in quel negozio era talmente grande – e la sua memoria così confusa – che riusciva solo a mettere a fuoco delle setole rovinate. Non gli sembrava una bella cosa: di sicuro Leonardo ne avrebbe voluti degli altri più nuovi. Avrebbero funzionato meglio, anche se di fatto lui non aveva bene idea di come funzionassero . Però aveva una memoria perfetta di come le dita del suo amico fossero eleganti e affusolate, e moriva dal desiderio di sentirle addosso a sé, che gli graffiavano la schiena mentre facevano l'amore.

«Posso aiutarvi?»

La voce del negoziante lo fece cadere dalle nuvole. Ezio ripiombò in una realtà fatta di manici di legno e setole di cinghiale, e non poté altro che sentirsi ancora più frastornato di prima.

«Sì,» rispose con tono incerto. «Vorrei dei pennelli».

«Di che tipo?» chiese di rimbalzo l'altro. Era un uomo riccio e rubicondo, sulla trentina o poco oltre, che Ezio ricordava di aver già visto da qualche parte. Quasi sicuramente si erano conosciuti, anche se non ricordava in quale occasione.

«Dei pennelli! Che siano buoni, non m'importa quanto costano,» ripeté lui, quasi frustrato. Perché nessuno lo aiutava?

«Sì, ma cosa dovete dipingere? Una tela, un fresco...»

«Oh, al diavolo». Ezio abbassò la testa e la scosse. «Non sono per me. Onestamente... pensavo che fosse più facile».

Come altre cose, dopotutto.

La reazione del negoziante fu un sorriso bonario.

«Volete dirmi per chi sono?» domandò. «Molti artisti vengono a rifornirsi da me: magari lo conosco e so che cosa consigliarvi».

«Leonardo da Vinci».

Dondolando il capo in segno d'assenso, l'uomo prese con sicurezza dei pennelli dal mucchio. Ezio non avrebbe saputo dire in cosa differissero dagli altri.

«Leonardo in genere compra questi. Ce ne sono di diverse misure e...»

«Bene. Datemeli tutti».

L'uomo lo guardò con un'espressione ammirata.

«Tutti? Siete sicuro?»

«Come l'arrivo della Signora in Nero».

Il negoziante, dopo aver scelto sette pennelli, si diresse verso il bancone con passo ciondolante.

«Ah, messere!» esclamò con una risata bassa e amichevole. Prese un ritaglio di tela e avvolse i pennelli in un pacchetto piuttosto voluminoso, poi li guardò come se fossero dei suoi nipoti in procinto di partire per un viaggio. «Voi avete qualcosa da farvi perdonare, eh?»

*

Merda, avrò fatto bene a comprargli un regalo?

La strada fino alla bottega di Leonardo era stata un continuo tormento, una costellazione di "e se non apprezzasse?" e di "e se pensasse che voglio comprarmi il suo perdono?". Fu quasi tentato di tornare alla villa, e di recarsi da Leonardo con i pennelli un altro giorno, ma alla fine raccolse il coraggio che gli era rimasto e imboccò la via.

Fu confuso dal vedere, proprio nella rientranza che ospitava la porta della bottega, una guardia armata col simbolo dei Medici sul mantello. Era immobile sul posto, come se aspettasse qualcuno o qualcosa. La porta era socchiusa, e le viscere di Ezio si annodarono per la paura.

Che cosa è successo?

Terrorizzato, il ragazzo si appiattì contro il muro prima di essere individuato e fece il giro dell'edificio. Guardò verso l'alto, e attraverso le ciglia che lo proteggevano dalle ultime lacrime della pioggia, notò che la finestra del primo piano, quella che dava sull'atrio prima della camera da letto, era aperta.

Non ci pensò due volte prima di arrampicarsi sul muro.

Appena fu in grado di guardare all'interno, notò che Leonardo era in piedi, di spalle, davanti alla porta chiusa della sua stanza. C'era qualcuno dentro, e di certo era successo qualcosa che riguardava il ragazzo aggredito. Preoccupato, l'Assassino si attaccò al cornicione, in una posizione che gli permetteva di ascoltare senza essere visto da quelli che erano all'interno.

«Porco!»

Il rumore deciso, inconfondibile di uno schiaffo risuonò da dentro la camera. Ezio spalancò gli occhi e tirò indietro la testa, disorientato. Era la voce di un giovane, ma non ebbe tempo di processare altro che una seconda, più virile, gli rispose cercando di difendersi:

«Se mi avessi lasciato spiegare, non–»

«Oh, no, non darti pena! Non devi mica rendermi conto di tutte le guardie che ti scopi!»

La serpeggiante sensazione di aver sentito qualcosa che avrebbe dovuto rimanere sotto silenzio percorse i nervi di Ezio e si trasformò in una goccia di sudore freddo sulla sua nuca. Il suo sguardo diventò ancora più spiritato, e nel sentire la porta che si apriva si sporse verso la finestra.

Dalla camera di Leonardo uscì Angelo Poliziano, vestito di rosso. Con espressione oltremodo oltraggiata, teneva una mano sulla guancia sinistra. I suoi occhi saettavano ovunque come i dardi dell'esercito acheo. L'ultimo dilemma – la guardia davanti all'uscio – si risolse nella sua gracile presenza.

Ezio non sapeva se essere compiaciuto dal fatto che lo aveva sentito prendersi una sonora sberla da un ragazzetto più giovane di lui, oppure imbarazzato dal modo in cui il mondo gli riversava addosso prove mai richieste della presunta sodomia a cui si dedicava con gioia il Poliziano. O ancora, forse, avrebbe dovuto temere la nube temporalesca che avrebbe avvolto la città con tuoni in metrica latina qualora qualcuno fosse venuto a conoscenza dell'accaduto.

L'Assassino vide il poeta fermarsi con piglio guerresco davanti a Leonardo, e immaginò sul volto dell'amico un'espressione schiva, suggerita dal modo in cui le sue spalle si erano curvate. Poliziano fece un passo in avanti e lo prese per il bavero, prima di parlargli con lo stesso tono in cui appena la notte prima aveva affrontato Lorenzo.

«Se si viene a sapere qualcosa a Firenze,» sibilò senza troppe cerimonie, «io mi butto dalla Carraia e te l'amicizia con Lorenzo te la puoi scordare. Sono stato chiaro?»

Senza nemmeno attendere una risposta, Angelo prese le scale, le braccia tese lungo il corpo e i pugni stretti, come se avesse voluto rompere delle pietre a mani nude. Sembrava non essere mai stato offeso in quel modo in vita sua.

L'Assassino aspettò qualche secondo prima di sporgersi e farsi vedere dall'amico: solo quando sentì la porta d'ingresso richiudersi con un tonfo secco, e fu sicuro che Poliziano se ne fosse andato, fece capolino dalla finestra.

«Ehi, Leonardo!» chiamò a mezza voce, aggrappato all'edificio come una lucertola.

L'artista trasalì e si portò una mano al petto. Appena si voltò, Ezio notò che era pallido, e la sua apparizione improvvisa – assieme forse alla consapevolezza che non era stato l'unico ad aver sentito tutto – non giovò al suo colorito.

«Ezio!» esclamò. Gli avvenimenti avevano segnato una profonda ruga in mezzo alle sue sopracciglia, che assieme allo sguardo languido lo faceva sembrare un tantino una Maria addolorata vergine de' vergini. «Che ci fai qui?»

Spalancò la finestra, permettendo così all'Assassino di entrare. Con un movimento agile, lui si sedette sul bordo della finestra e appoggiò i tacchi sul pavimento.

«Ho visto la guardia dabbasso e mi sono preoccupato,» gli rispose con sincerità, «quindi sono salito a controllare».

Leonardo si passò entrambe le mani sul viso con l'atteggiamento sconsolato di chi prevede un cataclisma. Poi schiuse le labbra e fece per dire qualcosa, ma Ezio lo interruppe con l'indice alzato.

«Aspetta– Ho una novità per te,» si fermò e diresse lo sguardo verso l'alto. Storse la bocca, per poi trasformare la sua smorfia in un sorriso sghembo. «Anzi, ora che ci penso sono due. Una è che a quanto pare Agnolino è un porco».

Leonardo si premette di nuovo le mani sugli occhi.

«Ezio, per carità d'Iddio, parti da quella che non so».

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