Diciotto, o la Via.
«Chi sei?»
Ezio sapeva di trovarsi in un sogno. Era consapevole che la coltre calda che lo avvolgeva, causando in lui uno stato di torpore, era formata da null'altro che coperte del suo letto. Non riusciva a percepire parte del suo corpo a causa della ferita da cui stava guarendo.
«Chi sei?» la voce dell'Assassino suonava sforzata. «Ti ho già visto che correvi nella stanza vuota. Non stavi andando da nessuna parte».
L'uomo dai capelli corti lo stava guardando dall'alto, come se si trovasse all'apertura di un pozzo dove Ezio era caduto. Un'intensa luce bianca, troppo fredda per essere quella del sole, vestiva le sue spalle, che declinavano un po'.
Lui taceva, ed Ezio si soffermò sul suo viso. Aveva la pelle olivastra e il naso che tendeva leggermente a destra. Era ancora piuttosto giovane, ma i suoi capelli folti stavano cominciando poco alla volta a ingrigire; al limitare degli occhi aveva delle rughe di espressione che rendevano il suo volto più severo, più saggio. Quando Ezio lo fissò negli occhi scuri, una sensazione crepitante lo fece sentire come davanti a uno specchio. L'uomo non si tramutò nel bellissimo modello di Leonardo. Rimase immobile, come un quadro dipinto sotto un'insolita angolazione incombente.
«Ho fatto un figlio senza accorgermene,» commentò con ironia l'Assassino, sapendo che quel fantasma creato dalla febbre non gli avrebbe risposto. Osservò la cicatrice chiara sul labbro dell'uomo, esattamente nel punto in cui si trovava anche la sua. «E sono ereditarie anche le brutte idee».
Guardò più in alto che poté. Petali rossi di rose erano sospesi in aria, immobili in un istante eterno.
Di nuovo cosciente del mondo materiale che lo circondava, Ezio sentì la propria guancia ruvida strofinare contro il cuscino.
Nel momento in cui io ti sogno, mi stai sognando anche tu?
Chi è allora, tra me e te, l'ombra?
*
1478, 31 maggio.
Giorno di Santa Petronilla.
«Così come il nostro corpo guarisce dalle ferite, allo stesso modo l'animo, con il tempo, si risolleva».
Ezio si era seduto a gambe incrociate nel giardino di Monteriggioni, come aveva fatto Mario il giorno in cui aveva pronunciato quelle parole. Lo aveva fatto con leggerezza, ed esse erano volate via sulle ali di una rondine, in mezzo ai rintocchi del campanile.
«Lo stesso tempo di cui tutti hanno paura, non è che un rimedio, se lo si segue come una corrente. Un Assassino sa stare con se stesso, e sa aspettare. Questa virtù è seconda solo al coraggio».
La mano di Ezio si posò sopra a quella aperta di Leonardo, che si stava sostenendo al muro, e intrecciò le dita tra le sue.
L'Assassino spinse i fianchi in avanti e udì l'amico gemere, mentre lo prendeva tra le cosce nude alla maniera greca. Con la gola stretta dal cappio ineludibile d'Amore, sfiorò le labbra morbide dell'amico con l'indice e il medio e lui le socchiuse sensualmente, permettendogli di insinuare le dita oltre i denti, sulla sua lingua. Ezio fu attraversato da una calda sensazione di eccitazione che arrivò fino all'inguine.
Il giorno in cui aveva ucciso Claudio Cogni, aveva sentito morire anche una parte di sé; e in particolare agonizzava quel lato che reclamava una cieca vendetta. Sapeva che lo avrebbe trascinato alle proprie spalle ancora molto, prima che si spegnesse del tutto. E forse anche dopo, come il corpo di Ettore legato al carro.
Ma un giorno il suo cuore si sarebbe indurito fino a diventare di pietra: un Assassino ha pazienza.
Il suo braccio sinistro si spostò attorno alle spalle di Leonardo. Lo staccò dal muro, lo strinse forte a sé e gli posò la bocca, schiusa, sul collo. Ansimava in modo quasi ferale, accecato dal desiderio di unirsi a lui.
Insinuò le mani sotto alla casacca dell'artista, l'unico indumento che gli era rimasto, e accarezzandogli il petto gli sussurrò un ordine perentorio all'orecchio. Docilmente, Leonardo si piegò sul tavolo su cui lavorava e lasciò che le dita di Ezio lo spogliassero e poi scendessero sulla sua erezione, mentre lui alle sue spalle continuava a strofinarglisi contro. Senza fermare il loro atto, si baciarono con una passione che non lasciava più spazio alla tenerezza.
Leonardo aveva saputo cos'era successo a Cafaggiolo prima ancora che la notte dell'assalto finisse.
Durante la breve convalescenza di Ezio, seguita al suo duello con Cogni, Leonardo non si era presentato a Monteriggioni, poiché oberato dagli impegni e dalle richieste della corte dei Medici. Erano però giunte delle sue lettere, che Ezio leggeva con l'ausilio di uno specchio, in cui gli rivelava quanto il suo cuore bramasse rivederlo, con un linguaggio che non dava adito a fraintendimenti. Nel sincerarsi sulle sue condizioni di salute, l'artista lo aveva informato che Sebastiano stava bene, anche se in quei giorni aveva cessato di frequentare l'università e giravano voci su una sua imminente partenza. Lorenzo, dal canto suo, dopo l'attentato alla sua famiglia era stato di nuovo sostenuto dai cittadini. Vi erano stati molti giovani che avevano deciso di arruolarsi volontari e inoltre, dopo svariate insistenze dell'interessato, al Poliziano era stata assegnata una guardia personale, a patto che non lo disturbasse mentre svolgeva i suoi studi.
Ezio aveva risposto constatando con malizia che l'avere un aitante soldato al seguito avrebbe potuto invero soddisfare la persona del poeta in svariati modi.
Quella mattina, finalmente guarito a sufficienza, Ezio si era presentato alla porta di Leonardo. Non appena si erano visti, si erano lanciati l'uno tra le braccia dell'altro e le loro labbra si erano scontrate come quelle di due ragazzini. Il desiderio che condividevano non aveva permesso loro nemmeno di salire in camera al piano superiore; aveva conferito a Leonardo appena la lucidità per tirare le tende e celarsi da sguardi indiscreti.
«Se bussa qualcuno, farai finta di dormire?» gli mormorò all'orecchio l'Assassino, che gli teneva il mento sollevato con una mano e gli stringeva un fianco con l'altra. Sentì Leonardo annuire senza dire nulla, forse prigioniero di pensieri che riteneva troppo volgari per prendere voce. Il suo respiro era accelerato e le sue spalle, mentre si reggeva al tavolo, ebbero un fremito accompagnato da un lamento trattenuto.
«Che c'è?» lo provocò Ezio, facendo scendere le proprie carezze verso le sue cosce. Fermò il loro percorso poco sopra.
«Prendimi,» gli ordinò Leonardo, con un impeto tale da annullare qualsiasi capacità di giudizio fosse rimasta in lui. «Adesso».
Ezio, eccitato dal ricordo del tono raffinato e mite con cui l'artista in genere si esprimeva, gli afferrò entrambi i fianchi. Non visto, sorrise trionfalmente.
«Con piacere, amore mio».
Era da quando aveva cominciato ad avere le prime fantasie su di lui che voleva farlo in quella posizione, appoggiati al tavolo. Lo tirò a sé, penetrandolo gradualmente, e lo sentì gemere in modo quasi disperato. Quel suono gli inferse una stilettata di piacere al ventre, e di nuovo dovette trattenersi dall'unirsi a lui con il vigore di un animale.
Succube di un dio straniero, baciò più e più volte le spalle di Leonardo, poi i suoi capelli. Il cappello che di solito indossava aveva subìto la stessa sorte dei loro vestiti, sparsi in disordine ai loro piedi.
Ezio continuò a dargli piacere, ad ascoltare i suoni trattenuti che gli sfuggivano dalla gola, a infiammarsi nel sentirlo alla propria mercé. Voleva guardarlo negli occhi, vedere la sua espressione mentre ciò che gli stava facendo annullava i suoi sensi. Quando Leonardo gemette un po' più forte lui, colto dall'irrazionale terrore che qualcuno potesse sentirli, gli premette una mano sulla bocca. Una volta compreso che non correvano pericolo, volse l'occasione a proprio favore e continuò con quel gioco di dominio.
«Zitto,» gli intimò. «Girati».
L'Assassino si staccò dall'amante e lo prese con vigore per le cosce. Lo fece voltare in modo che fosse seduto sul tavolo di fronte a lui, poi lo strinse di nuovo a sé. Prima di baciarlo, Leonardo gli scoccò uno sguardo con gli occhi brillanti.
Chi dei due stava sottomettendo l'altro?
«Sei ancora ferito...» Leonardo passò con delicatezza le dita nel punto, sotto la gabbia toracica, dove il corpo nudo di Ezio era coperto da una fasciatura. «Non– ah!»
La voce gli morì in gola quando l'Assassino si unì di nuovo a lui. Leonardo dichiarò la propria resa allacciando le gambe al bacino del compagno e stringendosi alle sue spalle forti.
«Oh, Ezio...» Quel nome continuava a uscire dalle sue labbra, lieve come una cintura di seta e insistente come una preghiera, mentre tutto il suo corpo era scosso dalla forza dell'amante.
L'Assassino viveva per il suo tocco e per la sua voce. Sentiva il proprio corpo, la sua stessa identità, venire modellata dalle mani di Leonardo. La loro assenza era distruzione.
«Guardami negli occhi».
E ti prego, non distogliere mai lo sguardo da me.
L'artista lo assecondò ancora una volta; quello che Ezio vide in lui faceva tremare i polsi e soccombere la mente. Aveva le guance arrossate, la bocca rosea socchiusa a mostrare i denti, e le sue iridi erano come acqua increspata dalla caduta di una singola goccia. Una spinta più forte dell'amante lo costrinse a chiudere gli occhi e ad affondare le unghie sulla sua schiena. Si forzò a riaprirli, con il respiro affannato, e nell'assistere a quello spettacolo l'Assassino perse del tutto la ragione.
Nell'avvertire il primo spasmo che gli attraversava i lombi, Ezio appoggiò le mani aperte sulle scapole dell'amico e lo avvicinò a sé quanto più poteva. Le gambe del tavolo strisciarono contro il pavimento e lui, per evitare di urlare, affondò i denti sulla spalla di Leonardo. Ebbe il risultato di far gridare di piacere lui, e con sorpresa sentì il suo bacino spingere in avanti, il suo seme sporcargli il ventre. Fu l'ultima sensazione di cui si rese conto prima di venire travolto da un orgasmo.
Leonardo, di nuovo seduto sul tavolo, era abbracciato a Ezio, con gli occhi chiusi e il capo posato sul suo petto. I loro respiri intrecciati cominciarono gradualmente a rallentare.
«Ti ho fatto male, amore?» domandò l'Assassino in un sussurro, prima di posare un bacio delicato sulla guancia dell'amico. Guardò con apprensione il livido circolare che gli aveva lasciato sulla spalla sinistra. Dalla reazione che aveva ottenuto nella foga del momento, sembrava tuttavia non essergli affatto dispiaciuto.
«Non mi hai morso così forte,» lo rassicurò l'artista. La sua espressione maliziosa s'addolcì quando lui passò di nuovo le dita sulla fasciatura al fianco di Ezio. «Temevo di farti male io».
«Leonardo,» mormorò l'Assassino. Lo prese per la nuca e lo baciò brevemente sulle labbra, accarezzando la sua lingua con la propria. «Mi ami?»
Fu percorso da un brivido quando sentì la propria voce, bassa e virile, articolare quella domanda. Si sentì ancora più smarrito quando Leonardo strofinò il naso sul suo e sorrise.
«Certo,» gli rispose. Poi fece una pausa, appoggiò le mani dietro la schiena e si allontanò un poco da lui, in modo che potessero guardarsi meglio. «Pensi che mi conceda così indecentemente a tutti?»
Ezio sgranò gli occhi e per istinto fece un piccolo passo indietro. Abituato a non reprimere i propri desideri, non aveva pensato che per Leonardo certe azioni potessero sottintendere una fiducia più intima. Avrebbe dovuto capirlo? Di nuovo gli anni che li separavano gli parvero tracciare un abisso di esperienze, e si vergognò per non essere stato più...
«Forse lo faccio». Con un sorrisetto, l'artista si alzò in piedi, poi si chinò e raccolse i propri vestiti per coprirsi alla bell'e meglio. Fece per dirigersi verso le scale e, nel vedere Ezio completamente nudo che fissava un tavolo con aria spaesata, gettò la testa all'indietro e scoppiò a ridere. «Conosco chi pagherebbe per vederti in questo momento!»
«N-no, ecco, io... n-non è un problema se tu–»
Leonardo gli si avvicinò di nuovo, e lo interruppe posandogli una mano sul viso e baciandolo con trasporto. Quando si staccarono, stava ancora sorridendo.
«Quel giorno ho cominciato ad aiutarti perché avevo una simpatia per te,» gli disse, di nuovo a un soffio dalle sue labbra. «E ho intenzione di continuare a farlo perché ti amo».
*
Le pagine del Codice, alcune corredate da disegni e altre vergate da una grafia precisa e immobile nel tempo, erano disposte sul tavolo. Ezio le aveva divise in fascicoli e rilegate in modo provvisorio. Anche se qualcuna mancava, era piuttosto sicuro del loro ordine.
La porta della bottega di Leonardo era aperta quasi del tutto, poiché quando il garzone del negozio d'arte era venuto a portargli le nuove tele, lui gli aveva chiesto di non chiuderla, in modo che la corrente d'aria rendesse più mite giugno che avanzava.
«Non posseggo risposte soddisfacenti a questi paradossi, solo possibilità...» lesse Leonardo, seguendo con l'indice le righe del foglio su cui aveva trascritto una pagina decodificata. S'interruppe e aggrottò le sopracciglia. «È incredibile che io riesca a comprenderlo con tanta chiarezza... hai detto che questo Codice è stato scritto da un Assassino che visse a Damasco più di duecento anni fa. Com'è possibile che conoscesse la nostra lingua?»
«Non lo so,» ammise l'altro. Lanciò all'artista uno sguardo furtivo, poi tornò subito a concentrarsi sul discorso. Era tutto troppo complicato nella realizzazione per essere uno scherzo di Mario. «Però... per qualche motivo sento che è così».
«Come hai detto che si chiamava l'Assassino?»
«Altaïr,» rispose con sicurezza Ezio.
Un sorriso pensoso attraversò le labbra di Leonardo. Vedendolo, il suo amico non riuscì a trattenersi dal posare una mano sulla sua.
«Ah, Altaïr... so che gli astronomi chiamano in questo modo una stella».
«Davvero?» replicò l'Assassino. «E quale? Me la puoi mostrare?»
«Beh, sì: è molto facile, nelle notti d'estate». Leonardo si strinse nelle spalle con una dolce espressione divertita. «Pensi che quella stella sia lui?»
Ezio lasciò la mano dell'artista e, com'era solito fare, si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le gambe con atteggiamento rilassato.
«Perché no?» commentò, mentre giocherellava con una ciocca di capelli. Si accorse in quel momento di quanto fossero cresciuti. «Alla fine, ogni tanto è capitato che la gente si sia trasformata in stelle. Callisto, Ercole, Andromeda... un momento. Non è che devi essere greco, perché ti succeda?»
«Oh, mi sembra una richiesta un po' troppo stringente».
Scoppiarono entrambi a ridere. Ezio si alzò e, con la scusa di osservare meglio quello che stava leggendo Leonardo, gli circondò le spalle con le braccia e si strinse a lui con dolcezza, reclinando il capo sui suoi capelli. Poi si ritirò subito, ricordando che la porta era rimasta aperta e non volendo dare all'amico qualcosa da spiegare.
«A tal proposito,» interloquì l'artista, «come hai fatto a capire in che modo ordinare le pagine?»
Ezio abbassò lo sguardo sui fogli che era riuscito a legare assieme – chiaro fronteggiava chiaro – e sorrise.
«Oh,» replicò, ripensando alle tinte morbide del suo sogno, «ho avuto una... ispirazione».
Un lieve bussare sul legno, proveniente dall'ingresso, li interruppe e li fece voltare entrambi. Subitaneamente, Leonardo infilò i propri fogli tra i fascicoli e li chiuse, girandoli in modo che non si capisse di cosa si trattava.
«Scusate...» giunse una voce maschile che pareva nota.
«Sì?» rispose d'istinto Leonardo, alzando lo sguardo verso la porta. Poi il suo volto s'illuminò. «Oh, Sebastiano!»
Il ragazzo, con un cenno cortese del capo e un sorriso che scopriva i denti bianchi, oltrepassò l'uscio. A completare abiti di fattura elegante e sottile, adatti all'estate, indossava un cappello tondo decorato dalla bella piuma lunga di un fagiano.
«Ser Leonardo...» disse, mentre entrava nella bottega. Si fermò al centro della stanza e inclinò il capo a destra, in modo leggiadro. «Ezio, ci sei anche tu. Mi fa piacere trovarvi entrambi».
«Stai bene?» gli chiese l'Assassino. Lo osservò da capo a piedi, constatando che non aveva più lividi. Ogni segno di ciò che gli era successo, almeno sulla sua pelle, era stato lavato via dal tempo. C'era da sperare che anche per lui avesse ciò che aveva detto Mario nelle sue meditazioni.
«Sono venuto a salutarvi».
Sebastiano spostò le mani che aveva giunto in grembo e avanzò verso Ezio porgendogli la destra.
«Allora è vero che parti,» gli rispose lui, stringendogliela. Il sorriso di Sebastiano diventò malinconico e lui inclinò di nuovo la testa da un lato.
«Tra qualche giorno,» confermò. «Ci ho pensato a lungo... amo questa città, e nonostante non abbia più messo piede all'università, ora riesco a uscire da solo senza ricavarne una notte tormentata dagli incubi. Ma sento che la cosa migliore da fare è allontanarmi. Sono accadute troppe cose troppo in fretta, e ho bisogno... di quiete».
Mentre parlava, camminò verso Leonardo e strinse la mano anche a lui.
«Dove andrai?» gli domando l'artista, scostandogli affettuosamente i capelli biondi dal viso.
«Ci sono dei cugini di mio padre a Bologna. Potrò vivere con loro e completare lì i miei studi». Sebastiano tacque e sospirò, con lo sguardo abbassato. «Per quanto riguarda altri aspetti della mia vita, non credo di essere ancora pronto ad andare avanti».
Ezio capì a cosa si stava riferendo. Capiva molte più cose, ora, che prima non erano altro che supposizioni e dicerie sussurrate dal vento. Gli posò una mano sulla spalla e lo accarezzò tra le scapole in segno di vicinanza.
«Gliene hai parlato?» gli domandò.
Il Campione del Maggio sospirò di nuovo. In gesto di resa, appoggiò il capo sulla spalla dell'Assassino come aveva fatto quel giorno.
«Non me la sento di parlare con lui,» rispose. «So che sarebbe la cosa giusta da fare prima di andare via, ma... il solo pensiero di vederlo non mi fa sentire bene. Sono convinto che per lui non è così importante, anche se...» Scosse la testa.
Anche se gli ha salvato di nuovo la vita, completò mentalmente Ezio. Ricordò quando i due mercenari avevano trascinato Poliziano fuori dalla sua camera, e il dialogo tra lui e Sebastiano che aveva ascoltato prima di correre via. Ha impedito che continuasse a combattere a Cafaggiolo e lo ha tenuto con sé.
Sebastiano alzò gli occhi chiari sui due amici e continuò, in tono accorato:
«Oh, è la prima volta che so come dovrei comportarmi, eppure non lo faccio. Voi credete... che sia così perché ho paura?»
Quando Leonardo rispose, la sua voce era calma come quella con cui un maestro si rivolge al suo allievo.
«Io penso che Angelo abbia paura,» gli disse. Osò pronunciare quel nome che aleggiava nell'aria, come a voler intendere che non era così temibile. «Ma tu no, e se deciderai di affrontarlo oppure di non parlargli... qualsiasi decisione prenderai, sono sicuro che sarà quella giusta. Se un giorno vorrai recuperare i rapporti, potrai sempre scrivergli; per adesso prenditi cura di te. Nessuno di noi, mai, ti darà la colpa per questo».
Sebastiano posò le mani sul tavolo e le sue iridi, fuggitive, guizzarono verso le dita sottili.
«Capisco,» concluse, con le labbra increspate in un sorriso timido. «Vi ringrazio».
Leonardo gli si avvicinò e lo baciò sulla fronte.
«Scrivi anche a noi, d'accordo?»
Ezio impresse nella mente i lineamenti di Sebastiano, nobili come il suo animo, frattanto che lui annuiva. Osservò Leonardo accarezzargli bonariamente il viso e capì che non voleva – ma doveva – partire. Lontano da una città che brucia, la sua gentilezza avrebbe potuto crescere e diventare un albero le cui radici resistono al fuoco.
Solo quando sarebbe stato in pace con se stesso avrebbe potuto tornare.
La tua virtù mi ha ispirato, Sebastiano, pensò. Ora so che anche io devo fare una cosa. E devo farla io, solo, per conto di me stesso.
*
Dal Codice dell'Assassino Altaïr.
Quelle che seguono sono le tre grandi ironie dell'Ordine degli Assassini: (1) Noi cerchiamo di promuovere la pace, ma il nostro mezzo è l'omicidio. (2) Noi cerchiamo di aprire la mente degli uomini, ma chiediamo di prestare obbedienza a un maestro e a delle regole. (3) Noi cerchiamo di rivelare i rischi d'una fede cieca, ma ne siamo osservanti noi stessi.
La coda del cavallo che Ezio aveva di fronte ondeggiava davanti alle larghe terga scure dell'animale. Rimanendo sulla strada principale, sarebbe stato costretto a proseguire a passo lento, bloccato da un cavaliere che indicava la via al carrettiere che lo affiancava. Alzò il cappuccio, benché quel gesto cominciasse a non essere più confortante come quando le temperature erano più fredde, e svoltò a destra per imboccare uno di quei vicoli che La Volpe gli aveva insegnato a conoscere.
Le persone, sotto la luce gialla del sole, si muovevano come i pesci che ondeggiavano a banchi in Arno; i mercanti strillavano dalle bancarelle che odoravano di formaggio e i bambini correvano schivando le gambe dei passanti. Quella sera, le locande avrebbero servito la birra e il cinghiale, i ragazzi avrebbero litigato per le donne, Ezio avrebbe riposto nello scrigno le piume che aveva raccolto. Firenze, nonostante quello che le era successo, era ancora viva: Ezio aveva sentito parlare di città morte, di civiltà che se n'erano del tutto andate, ma non era ancora venuto il loro tempo.
Non posseggo risposte soddisfacenti a questi paradossi, solo possibilità... Pieghiamo forse le regole in nome di un bene superiore? E se lo facciamo, questo cosa rivela di noi? Che siamo bugiardi? Che siamo impostori? Che siamo deboli? Spendiamo ogni momento lottando contro queste contraddizioni e nonostante tutti gli anni che ho speso a riflettere, non riesco a trovare una risposta adatta... sempre ammesso che tale risposta esista. E ho paura che possa non essere il caso.
Nessuno aveva osato avvicinarsi alla casa di Piero in quei giorni. Tra le dicerie superstiziose della città, ve n'erano certe che affermavano che lo spirito di un morto abitava ancora per trenta giorni nella casa, cert'altre invece ne volevano quaranta. Se il malcapitato, poi, era morto ammazzato, il suo fantasma non se ne sarebbe mai più andato, a prescindere da quante Ave Maria venissero recitate, quante manciate di sale gettate dietro le spalle.
Per questo motivo, e perché in quel quartiere sapevano chi era, nessuno fermò Ezio dall'aprire con i propri metodi la vecchia porta.
L'Assassino si fermò sull'uscio, in modo da accertarsi di non avere la compagnia di qualche senzatetto più timoroso del freddo che degli spiriti. Sentì solo lo squittio di un topo che fuggiva, quasi temesse di venire ferito dalla lama di luce che entrava dalla porta.
Avanzò piano perché sapeva di disturbare, dato che entrava nel ricordo immoto di una vita che non aveva mai nemmeno sfiorato la sua. Si chiuse la porta alle spalle: gli scuri semialzati lasciavano entrare luce a malapena sufficiente a rendere visibili due stanze anguste e poco arredate, un letto, un tavolo e un camino. Un forte odore molto sgradevole fece rivoltare lo stomaco di Ezio. Lui trattenne il respiro e si avvicinò a passi leggeri alla scrivania. Vi era appoggiato un vaso di rose un tempo rosse e splendide. Ormai appassite, avevano piegato il capo allo stesso fatto che aveva falciato Piero, e avevano fatto marcire l'acqua in cui erano immerse. Buona parte dei petali era sparsa sul legno, e pareva ignara di quando aveva costituito la forma ordinata di un fiore, così come il nostro corpo esanime dimentica le passioni che l'animarono un tempo.
Costretto a prendere fiato, l'Assassino si allontanò dalle rose e arricciò il naso. C'era qualcosa, abbandonato sul tavolo: un foglio di carta piegato in quattro, con il bordo masticato dai topi. Ezio lo prese e lo aprì. La luce era troppo fioca per distinguere cosa vi fosse scritto, ma aveva tutto l'aspetto di una lettera.
Con lo stomaco che si stringeva, il giovane Assassino si morse il labbro. Sentì l'impulso immediato di leggerla e, non volendo profanare la stanza da letto del ragazzo, tornò alla porta e la aprì per tornare alla luce. Si rese conto che le mani gli formicolavano e che il suo respiro era accelerato.
«Mio caro maestro,» mormorò, mentre scorreva la prima riga. Le sue labbra si muovevano in accordo alle parole, ne usciva solo un filo di voce.
Mio.
Ezio immaginò, in modo troppo vivido per non soffrirne, le braccia bianche di Piero che stringevano teneramente Leonardo tra le coltri della notte. Un'immagine che nessuno avrebbe potuto riportare su tela.
Con lo stomaco che gli doleva, proseguì nella lettura: le sue labbra smisero di sillabare a un tratto, e rimasero socchiuse. Le sopracciglia che aveva aggrottato si inarcarono sopra i suoi occhi scuri, spalancati di fronte alla lettera.
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