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Capitolo X

Attenzione:
Ho deciso, alla fine, di aggiungere un altro paio di capitoli, come bonus!
Non sono stata così cattiva con la suspance alla fine 😂😁 credo...

Comunque, a parte gli scherzi, godetevi la lettura!

Applicai altro fondotinta e sbuffai.

Io non usavo questi trucchi ma dovevo ringraziare Chiara per avermi convinta a portarne un po' nel viaggio.

Ma poi digrignai i denti. Non avrei dovuto ringraziarla proprio per niente visto che lei era una delle due cause che mi avevano messo in quella situazione.

- Hai fatto? Stiamo facendo tardi! – esclamò Sean da fuori la porta del bagno.

E poi entrò, infischiandosene della mia privacy. Lo fulminai e continuai a coprire il segno viola che avevo sul collo.

Stavamo facendo tardi per il pranzo con i colleghi ma la colpa era la sua, non la mia. Era lui che aveva deciso di intrappolarmi sotto il suo corpo e torturarmi mentalmente e fisicamente. Ma gliel’avrei fatta pagare, eccome se me l’avrebbe pagata.

Adesso mi toccava coprirmi un dannato succhiotto per non far pensare male ai colleghi delle altre sedi.

- Giuro che se rifai una cosa del genere di stacco le palle – lo minacciai infervorata.

Lui rise e invece di allontanarsi da me e dalla mia furia, mi si mise dietro e mi bloccò tra le sue braccia, poggiando le mani sul lavandino del bagno.

Poggiò la testa sulla mia spalla, quella opposta a dove stavo nascondendo il succhiotto, e sospirò.

- Non sto scherzando Sean – lo ammonii.

- E tu smettila di pensare alle cazzate – borbottò.

Strinsi le labbra e non ribattei.

Aveva ragione e me lo aveva detto ripetutamente ormai.

Alla fine avevo ceduto e gli avevo detto che pensavo delle mie amiche e quindi anche il perché non volevo che lo incontrassero. Era stato categorico sul fatto che se fossi stata un incapace non mi avrebbe preso nella sua squadra nemmeno se mio zio fosse stato il Presidente della Repubblica. Aveva aggiunto inoltre che “il culo lo stava leccando lui a me” per convincermi a fare quello che voleva, come per il fatto di essere lì a Roma.

Aveva anche detto che se mi beccava di nuovo a fare questi pensieri mi avrebbe preso a morsi per ogni volta che lo pensavo.

Insomma…il suo lato da stronzo era proprio adorabile.

-  Mi distrai – gli feci notare.

Sollevò la testa dalla mia spalla e poggiò le labbra dove c’era la sua fronte poco prima. Mi irrigidii. Se si azzardava di nuovo l’avrei ammazzato!

E maledii il fatto di essermi messa una maglietta che mi lasciava le spalle scoperte. Aveva il libero accesso alla mia pelle in quel modo.

Mi mossi d’istinto, poggiai il fondotinta e gli afferrai i capelli, strattonandoli.

- Sean – lo ammonii.

Lui rise a contatto con la mia pelle ma alzò la testa e si ritirò. Lo lasciai andare e sbuffai.

- Ti aspetto fuori –

- Ecco bravo –

Poi guardai allo specchio e vidi i suoi occhi di ghiaccio scrutarmi con lussuria.

Spalancai la bocca e lui deglutì.

- Quattro giorni Miss Rossetti – disse con una promessa nel tono di voce – Non riuscirai a resistermi per quattro giorni –

Poi semplicemente uscì dal bagno. E io lo maledii, maledii il fatto che aveva ragione.

***

A pranzo andammo in un ristorante vicino al Colosseo.

Eravamo all’incirca una quindicina di persone al tavolo, avevano prenotato un tavolo in una zona appartata, probabilmente durante il pranzo avremmo parlato di affari, ma me lo aspettavo, Sean me l’aveva detto. Non avevamo molto tempo prima della riunione che ci sarebbe stata con le altre case editrici.

La maggior parte della gente lì superava i quarant’anni d’età, c’era solo una ragazza poco più grande di me e Sean ma per il resto noi eravamo quelli più giovani. La maggior parte erano quelli della sede di Roma, poi c’era qualcuno della sede della Calabria e tre erano della sede che si trovava ad Ancona.

Quindi in tutto le sedi erano quattro.

Sean mi presentò come il suo braccio destro e mi trattenni dal dirgli che non doveva dire queste cose, fatto sta che gli altri sembravano parecchio soddisfatti della notizia. C’era però il fatto che l’unica nuova là in mezzo ero io.

E mi sentivo un po' a disagio.

Al contrario, quando eravamo arrivati tutti avevano salutato Sean con calore e un paio di signore lo avevano anche abbracciato. Lui era rimasto con le spalle tese tutto il tempo anche se i suoi movimenti erano fluidi e aveva un sorriso caloroso, caloroso ma finto. Avevo imparato a riconoscere i sorrisi di Sean, ne aveva un repertorio enorme, praticamente, ma io sapevo che il suo sorriso era uno solo: quello con la fossetta, era quello il suo sorriso, quello vero. Ma non lo lasciava vedere a nessuno.

Ci sedemmo al tavolo, vicini, e presi a sfogliare il menù. Per poco non mi strozzai quando vidi il prezzo dei piatti. Feci per protestare o dire a qualcuno lì dentro che erano pazzi ma una mano calda e grande si poggiò sulla mia coscia. E maledii anche di essermi messa la gonna, con una stoffa un po' troppo leggera per non sentire il calore della mano di Sean.

La mia gonna arrivava poco sopra il ginocchio ma quando mi sedevo arrivava a metà coscia, quindi la mano del mio capo finì metà sulla stoffa, metà sulla mia pelle scoperta.

Deglutii e feci per linciarlo ma mi fermò proprio lui.

- Hai deciso? – mi chiese indicando il menù con un cenno del capo.

- In realtà… -

Mi zittii perché aveva stretto la presa. Si avvicinò facendo finta di leggere il menù.

- Paga l’azienda, non farti scrupoli – sussurrò per poi alzare la voce – Fossi in te proverei questi –

Mi indicò dei maccheroni con pomodori freschi e vongole. Che costavano un occhio della testa.

Lo guardai e incrociai i suoi occhi.

- Prendiamo due porzioni di quelli – decise.

Feci di nuovo per replicare ma strinse ancora la presa sulla mia coscia. E mi zittii.

- Ho capito…ordina tu – borbottai lasciando il menù tra le sue mani.

Alzai gli occhi e constatai che nessuno aveva fatto caso alla nostra scenetta, per fortuna. Però cavolo, dall’esterno, se continuava così, sembravamo intimi!

I camerieri arrivarono subito dopo e presero le nostre ordinazioni. Sean aveva preso, oltre ai maccheroni, lo spezzatino con limone, per entrambi, e per il dolce aveva detto che ci avremmo pensato dopo.

Una volta finite le ordinazioni la conversazione di tutti si spostò su di me.

- Da quanto lavori per Sean? – mi chiese una delle due donne che l’avevano abbracciato.

Si erano presentati tutti ma non ricordavo il nome di nessuno, per me erano troppi.

- Qualche settimana – dissi.

Quella mi guardò stupita.

- E già si fida di te fino al punto da portarti alle riunioni che facciamo tutti insieme? – mi chiese.

- Martina sa fare il suo lavoro – disse Sean – Mi è bastata una settimana per capire che meritava questo posto –

Aveva risposto con tranquillità ma sentivo la sua gamba muoversi agitata, continuava a strofinarsi contro la mia.

- Non ne abbiamo mai dubitato Sean – disse un uomo, quello era della sede di Roma ne ero sicura – Sei sempre stato rigido con i dipendenti se ti facevano girare li sbattevi fuori senza troppi complimenti –

Lui sbuffò e si versò un bicchiere di vino, scolandoselo con un colpo solo. Si stava innervosendo.

Quel ragazzo aveva una pazienza grande quanto un moscerino.

- Un vero e proprio dittatore – ridacchiò la ragazza guardandolo con la coda dell’occhio.

Tossicchiai.

- In effetti – borbottai e Sean mi fulminò.

Poi fulminò la ragazza che aveva parlato, facendola ridere solo di più.

- Sarah – disse lui – Non è divertente –

Lei si strinse nelle spalle ma gli fece un sorriso luminoso. Poi scosse il capo e guardò me.

- Sean è famoso per la sua rigidità con i dipendenti, qui lo sanno tutti – disse infischiandosene del fatto che il diretto interessato stava sbuffando dal naso come un toro inferocito – Ed è uno stronzo –

Aprii la bocca per concordare ma mi scappò un urletto quando la sua mano finì, di nuovo, sulla mia coscia, più su di prima e sotto la gonna.

Mi morsi il labbro e strinsi le gambe tra loro, intrappolando la sua mano.

- Concorda con quella cretina di mia cugina e poi te la vedi con me -  mi minacciò.

E questa volta lo sentirono tutti.

Sorrisi sardonica.

- Mi licenzi? – chiesi.

- Ti piacerebbe – rispose, poi tolse la mano, non prima di essersi spinto leggermente più su e toccando la zona proibita.

Ci guardarono tutti scioccati ma i camerieri mi tolsero dall’imbarazzo, portando i nostri piatti.

- A che ora la riunione oggi? – chiese Sean tranquillo.

Sapevo che avevamo una riunione con tutti quelli che erano a pranzo lì, prima di quella del giorno dopo con gli altri delle case editrici.

- Alle tre – rispose uno degli uomini.

- Fantastico, andiamo direttamente in ufficio allora – rispose scocciato.



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