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Capitolo VIII

Mi sedetti sulla valigia e la chiusi girandoci intorno. Senza una piccola pressione non ce l’avrei mai fatta a chiuderla.

- Dovresti essere orgogliosa di te stessa – disse Alessia annuendo.

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai mentre continuavo a litigare con la mia valigia.

- Sicuramente ti adora! – esclamò Chiara con il suo solito entusiasmo.

Non immagini quanto amica mia, non immagini quanto. Pensai sarcastica.

Era mercoledì sera e stavo finendo di preparare le valigie. La mattina dopo Sean sarebbe passato a casa mia per prendermi e partire per Roma. Sarebbe venuto alle sette perché ci volevano all’incirca due/tre ore per arrivare a Roma da Todi e a mezzogiorno avevamo un pranzo con i colleghi della sede di lì. Se i calcoli del capo erano corretti saremmo dovuti arrivare nella capitale intorno alle 10/10 e 30, saremmo dovuti andare nell’albergo che Marina ci aveva prenotato e darci una sistemata prima del pranzo.

E non è permesso sgarrare! Quella mattina Sean mi aveva fatto ripetere il programma dieci volte, nemmeno fossi stata una bambina dei sei anni che stava imparando una filastrocca.

Alla fine un giorno dal lavoro l’avevo preso, martedì non ero andata perché ero stata costretta ad andare per negozi a cercare qualcosa di elegante, tra tutti i vestiti che avevo me ne andava a malapena uno, giusto per dimostrare da quanto tempo non mi mettevo un vestito da cerimonia. Quindi ero stata costretta ad andare a fare shopping.

In compenso avevo convinto Sean a restare a casa lunedì e martedì. Gli avevo fatto notare che se non era nel pieno della forma avrebbe fatto schifo con gli altri e grazie al cielo mi aveva ascoltato.

Da giovedì scorso ci eravamo scambiati solo qualche parola legata al lavoro e a volte mi aveva lanciato qualche occhiata ardente, solo quella mattina avevamo preso a parlare come sempre, come se non fosse successo nulla a casa sua.

In effetti non era successo nulla.

Dopo aver dichiarato di avere delle manette nel cassetto del comodino il mio ventre si era contorto su sé stesso e aveva fatto i salti di gioia ma non lo avevo assecondato, non mi sembrava il caso anche se Sean era maledettamente serio e, con il fatto che avevo le mani sul suo petto avevo avuto modo di sentire il suo battito accelerare. Me l’ero cavata dichiarando che avrei ordinato cinese per entrambi e mi aveva liberata dalle sue braccia e dai suoi occhi magnetici.

Solo durante la cena aveva ripreso il discorso e mi aveva detto che non stava scherzando e che quelle manette c’erano davvero. Ci stava che eravamo di più di capo e dipendente, ci stava che aveva detto di essere attratto sessualmente da me, ci stava che mi ero presa cura di lui quando non l’avrebbe fatto nessun altro. Fatto sta che mi aveva confessato ciò che gli piaceva. Aveva dichiarato che forse masochista c’era per davvero ma che gli piaceva giocare al letto per questo si definiva così. Mi aveva anche detto che fino ad ora non aveva trovato nessuno che “lo soddisfacesse” a quel livello.

E io avevo ammesso che questo suo lato mi piaceva.

Ed era vero. Ero vergine certo ma se c’era qualcosa che mi eccitava era avere il controllo della situazione, mi piaceva l’idea di avere un uomo completamente alla mia mercé, impossibilitato a muoversi, a cui potevo fare qualsiasi cosa senza che potesse fare nulla per impedirmelo.

Non mi piaceva il sadomaso, sia chiaro, ma mi piaceva giocare in quel modo.

Io e Sean ci eravamo guardati negli occhi e avevamo capito che non c’era scampo, per nessuno dei due.

E tornava il discorso che soddisfare i nostri istinti avrebbe creato solo problemi nel campo lavorativo.

Anche se il mio problema principale era metterci in mezzo quel dannato muscolo involontario che avevo nel petto.

Ed ero piuttosto sicura che quella settimana a Roma insieme a lui ci avrebbe rovinato.

- Per me gli ha fatto gli occhi dolci – disse Alessia ridestandomi dai miei pensieri.

- Chi ha fatto gli occhi dolci a chi? – chiesi sbattendo le palpebre confuse.

- Tu al tuo capo – mi rispose la mia amica.

- Non è vero! – esclamò Chiara -  Il suo adorabile capo ha capito che lei è eccellente –

Non capivo per quale razza di motivo dovevano fare così. O per quale razza di motivo gli avevo detto che sarei partita con il mio capo.

Sbuffai.

Mi ripromisi che non l’avrebbero mai incontrato per nessuna ragione al mondo.

- A che ora parti domani? Così veniamo a salutarti – disse Alessia.

- Alle 8 – risposi prontamente, trattenendomi dal fare una voce stridula.

Mai e poi mai.

***

Sean

Non feci in tempo a fermare la macchina davanti alla casa vecchio stile di Martina che lei uscì come un fulmine e aprì il cofano prima che potessi dire buongiorno.

Salì in macchina e la prima cosa che mi disse fu…

- Parti cazzo! –

Partii scioccato.

- Buongiorno anche a te Miss Rossetti – dissi sarcastico.

- Buongiorno signor Torres – mi rispose prontamente.

Sorrisi. Mi piaceva questa cosa che facevamo di tanto in tanto.

La guardai con la coda dell’occhio mentre imboccavo la strada principale per raggiungere l’autostrada.

Martina sbuffò e si portò una mano nei capelli, scompigliandoli, poi sembrò cambiare idea e li rimise a posto.

Stavo aspettando che mi spiegasse il motivo della sua fuga. Non avevo intenzione di chiederglielo e sembrare invadente quindi avrei aspettato lei. A meno che era salita di corsa per paura di cambiare idea sul venire con me e per non darmi buca era partita andando con gli occhi chiusi e caricando di testa.

Non l’avrei biasimata, non dopo quello che ci eravamo detti a casa mia, che poi era più o meno lo stesso motivo per cui non gli avevo detto che in albergo avevamo un vero e proprio appartamento.

Bè ero egoista ma a Roma non sarebbe potuta scappare una volta dentro. E io avevo bisogno del suo aiuto in questa cosa.

Come avevo già detto preferivo i numeri e stare dietro una scrivania a muovere i fili delle azioni degli altri. Non sapevo relazionarmi con le persone e la gente mi trovava torvo, inquietante e di solito se la davano a gambe velocemente. Martina no. Lei alle persone piaceva.

Poi sospirò ricordandomi della sua fuga immediata.

- Mia madre voleva offrirti un caffè – disse.

Mi voltai a guardarla scettico.

- Per questo sei scappata, è un po' crudele da parte tua – gli feci notare.

Mi strinse il braccio e sussultai. La guardai e notai i suoi occhi sgranati.

- Le mie amiche volevano venirmi a salutare questa mattina, gli ho detto che sarei partita alle 8 – dissi – Se scendevi, avremmo perso tempo e loro sarebbero arrivate e non potevo permetterlo –

Mi faceva paura per quanto sembrava terrorizzata all’idea che le sue amiche mi vedessero. Dovevano essere proprio micidiali.

- Non capisci si fanno già strane idee così – sussurrò – Se ti vedessero… -

Scosse il capo lasciando la frase in sospeso di proposito.

Non capivo se quando diceva qualcosa sul mio aspetto fisico dovevo prenderlo come un complimento o come un insulto. Sembrava vietato essere me, con il mio aspetto…era la prima volta che mi capitava sentirmi a disagio per il mio aspetto fisico ma…Martina Rossetti era…semplicemente così!

- Comunque mia madre ha detto, che visto che stamattina andavamo di fretta, quando torniamo sei invitato a pranzo o a cena, poi vediamo, da noi – disse quando si ricompose.

Alzai un sopracciglio.

- E le tue amiche? –

- Non lo sapranno mai…MAI! –

Alzai gli occhi al cielo e imboccai l’entrata dell’autostrada, pagai il ticket e ripartii in direzione di Roma.

- Ma perché non vuoi che sappiano chi sono? – chiesi – Ok, pensano che sono un vecchietto ma pazienza, che ti importa? Quando lo scopriranno sarà una sorpresa –

Lei sbuffò e non mi rispose.

- Mi dirai mai qual è il problema? – chiesi.

- Lascia stare, non farci caso – mi rispose – Mi dà fastidio, punto –

Sospirai. Era chiaro che non me lo avrebbe detto.

- Basta che non è niente di grave, ok? – chiesi.

Di certo non volevo che per colpa delle sue amiche Martina si sentisse a disagio con me. Anche perché c’erano parecchi motivi per sentirsi a disagio e mi auguravo che, se non gli dava fastidio quello che era successo tra noi, non gli desse fastidio quello che dicevano o facevano le amiche.

Ma lei non sembrava a disagio, sembrava solo infastidita.

Accesi la radio e viaggiammo in silenzio e in tranquillità. Martina non voleva parlare e io non l’avrei costretta e poi dovevo pensare a come muovermi in riunione.

Se pensavo che i miei nonni mi avevano detto di andare a stare a casa mi venivano i brividi. L’ultima cosa che volevo fare era tornare nel luogo in cui ero cresciuto. Non perché chissà quale fosse il mio problema ma da quando avevo fatto diciotto anni avevo fatto di tutto per allontanarmi dalla casa dei miei nonni. Li adoravo, per carità, a loro dovevo tutto e questo era lo stesso motivo per cui avevo accettato di essere uno dei direttori della loro casa editrice, ma meno contatti avevo con il mio passato meglio mi sentivo.

E odiavo il silenzio in macchina, c’era la musica si, ma non potevo fare altro per impegnare la mente e quando non potevo attivare il cervello pensavo a quello a cui non volevo pensare, più o meno quello che avevo fatto un attimo prima ripensando alla mia casa.

- Sei mai stata a Roma? – chiesi guardando Martina con la coda dell’occhio.

Lei sussultò. Era immersa nei suoi pensieri e, probabilmente, si era pure dimenticata della mia presenza.

- In gita – mi rispose – In quinto superiore quando ho fatto la gita di più giorni abbiamo fatto base a Roma, ho avuto modo di vedere i monumenti più famosi. Ma se devo orientarmi lì mi perderei, quindi non contare su di me –

Ridacchiai.

Grazie al cielo che era lì. Avrei avuto bisogno del suo sarcasmo pungente durante quei giorni.

- Non ci perderemo, tranquilla – dissi – Magari domenica possiamo fare un giro per la città, che ne dici? –

Domenica era l’unico giorno di libertà che avevamo. La sera saremmo dovuti andare ad una serata di beneficenza ma avremmo avuto tutto il giorno libero.

Lei annuì.

- Basta che non mi fai perdere – borbottò.

Ma notai che aveva sollevato un angolo della bocca.

Chissà, forse quei giorni sarebbero stai più piacevoli di quello che pensavo.

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