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Capitolo VII

Misi la carbonara nel piatto e riempii due bicchieri d’acqua.

Sentii l’acqua della doccia chiudersi e poco dopo la porta del bagno si aprì.

Alla fine avevo convinto Sean ad andare a casa ed ero andata insieme a lui, volevo assicurarmi che si facesse una doccia, che mangiasse e che si mettesse a dormire.

Era stata quella la mia condizione per andare a Roma con lui. Quando gliel’avevo detto aveva fatto un sospiro di sollievo, probabilmente chissà che cosa si aspettava.

Quando l’avevo convinto ad uscire dall’ufficio Marina mi aveva presa da parte e mi aveva detto che da due giorni, quando andava via Sean restava in ufficio e quando tornava la mattina dopo lo trovava lì, gli chiedeva solo di andargli a prendere caffè all’infinito e che gli addetti alla pulizia avevano detto che quando pulivano l’ufficio dalle 8 alle 10 il capo stava in ufficio. E poi bastava guardarlo in faccia: quell’idiota non usciva dall’ufficio da giorni!

Alzai lo sguardo quando sentii i suoi occhi bruciare su di me. Sussultai impercettibilmente: indossava solo un pantalone della tuta, che scendeva sui fianchi, era scalzo e potei vedere il suo corpo senza farmi fantasie a causa delle magliette. Come avevo già potuto constatare da quella volta che portava la camicia sbottonata, gli addominali erano evidenti, aveva la famosa V che spariva nei pantaloni e da come portava la tuta potevo quasi vederne la fine, aveva un po' di peluria che dall’ombelico scendeva verso l’intimità. Le spalle erano larghe e la vita più stretta, solo leggermente, a guardarlo bene aveva il fisico da nuotatore.

Aveva i capelli bagnati che gli cadevano sugli occhi, si era fatto la barba e aveva quasi assunto un aspetto normale, quasi. Le occhiaie si erano attenuate, di poco ma c’erano, e gli occhi erano ancora rossi.

- Ora mangia e poi a ninna – dissi cercando di ignorare il tremore del mio corpo davanti al suo aspetto.

- Si mammina – disse sarcastico.

Però si sedette e prese a mangiare.

E come mangiò! Sembrava, in poche parole, un morto di fame. Ripulì il piatto il tempo che io impiegai a bere l’acqua che mi ero presa.

- Vuoi il bis per caso? – chiesi divertita.

Mi fulminò ma annuì.

Gli riempii di nuovo il piatto e mangiò anche quello.

Mi sedetti davanti a lui e l’osservai.

Era stato uno sciocco! Non osavo immaginare in che stato si sarebbe ridotto se non mi avesse fatto chiamare per comunicarmi che dovevo andare con lui al convegno.

Sean non era in grado di prendersi cura di sé stesso. Si preoccupava perennemente del suo lavoro e non di sé stesso. Sapevo che era pignolo, preciso ed esigente. Ma così si distruggeva.

- Prenditi due giorni dal lavoro per preparare le valige – mi disse quando ripulì il piatto.

- Martedì e mercoledì? – chiesi.

Lui annuì e io scossi il capo.

- Le valige posso prepararle nel weekend, devo finire da correggere le bozze e se devo venire a Roma non avrò tempo per finirle entro la scadenza del concorso –

- Siamo a buon punto e hai domani e lunedì per farlo – ribatté.

Sbuffai e non resistetti a dargli un calcio in uno stinco. Lui sussultò e mi guardò scioccato.

- Non sono io quella che ha bisogno di una pausa – dissi – Quindi piantala –

Sean si poggiò allo schienale della sedia e mi guardò a malapena. Era stanco, non ce la faceva nemmeno a ribattere a quello che dicevo io.

- Sean? – lo chiamai.

- Mh? –

- Va a dormire –

Mi aspettavo quasi che mi dicesse di no, che stavo esagerando adesso e invece si alzò, venne da me e mi lasciò un bacio sulla testa, lasciandomi scioccata.

- Grazie – sussurrò poi si allontanò andando verso la sua camera – Se vuoi restare fa come se fossi a casa tua –

Mi riscossi e lo guardai con un sorriso furbo.

- Ho intenzione di restare altrimenti perché mi sono portata il lavoro dietro secondo te? –

Sean mi sorrise. Un sorriso diverso da quelli che mi aveva fatto finora. Questo era sincero e non c’era nulla di malizioso, inoltre in quel modo venne fuori una fossetta che aveva sulla guancia destra.

Non potei fare a meno di ricambiare.

***

Diverse ore dopo avevo finito di correggere le bozze che mi ero portata dietro. Mi stiracchiai e mi alzai dal divano. Gettai un’occhiata al tavolino da caffè su cui avevo lavorato finora e scrollai le spalle. Avrei tolto quel casino dopo.

Andai al frigo, prima avevo visto una bottiglia di succo d’arancia aperta, e la presi, versandomi un bicchiere.

Gettai un’occhiata alla porta della camera di Sean.

Viveva in un bilocale: la cucina e il salotto erano un tutt’uno e poi c’era la camera da letto con bagno annesso. L’appartamento era neutrale, se non fosse stato per il caos, distintivo di Sean, avrei detto che non ci abitasse nessuno lì dentro. Niente foto e nessun oggetto personale.

Mi aveva detto che si era trasferito qui quando aveva aperto la casa editrice quindi in parte era normale, anche il caos. Abitava lì da quasi due mesi e non aveva sistemato nulla, qualcosa mi diceva che se andavo a vedere in camera sua avrei trovato i vestiti ancora nella valigia.

Guardai ancora la porta. Chissà se dormiva o se era soffocato nel sonno.

Ero curiosa…ma sapevo anche che se entravo lì dentro avrei rischiato la mia sanità mentale. E sicuramente non era soffocato nel sonno.

Sbuffai. La sua presenza era esasperante, mi destabilizzava. E stare in casa sua senza fare nulla era una pessima idea.

Scossi il capo, poggiai il bicchiere sul tavolo e andai a sistemare i fogli che avevo lasciato sul tavolino, li misi nella borsa divisi tra classificati e non e guardai di nuovo la porta della camera di Sean.

Dovevo andare via e dovevo dirglielo.

Mi feci coraggio, cercando di non pensare a cose sconce e bussai alla porta. Non ottenni risposta e socchiusi la porta. Dallo spiraglio potevo vedere il letto e notai la figura di Sean distesa lì sopra.

Dormiva. Aprii di più la porta e l’osservai. Sembrava rilassato, il respiro era regolare e i muscoli non erano tesi allo spasimo per una volta.

Mi morsi il labbro. Sarebbe stato cattivo da parte mia svegliarlo per dirgli che andavo via, ma avevo la sensazione che se me ne fossi andata senza dirgli nulla sarebbe stato peggio.

Sospirai e feci per richiudere la porta per tornare in salotto ma la voce roca di Sean mi fece fermare.

- Che ore sono? – mi chiese.

- Scusa ti ho svegliato – dissi rientrando in camera sua.

- No ero sveglio da un po' – dichiarò mettendosi a sedere – Sentivo i tuoi pensieri frenetici –

Gonfiai le guance. Ecco il suo lato da stronzo.

- Sono le 8 – dissi – Hai dormito parecchio bell’addormentato –

Una risata profonda partì dal suo petto.

- In cucina, nel secondo cassetto troverai una serie di menù di cibi da asporto, ordina qualcosa per tutti e due – disse buttandosi sul materasso di lato e chiudendo gli occhi.

Alzai gli occhi al cielo.

- Il tuo è un ordine vero? Non ho sentito un per favore –

- Si è un ordine –

- Ti ordino qualcosa e vado a casa – dissi.

Era incredibile come riusciva a farmi perdere la pazienza. Un attimo prima avevo paura di entrare nella sua stanza per l’attrazione che provavo per lui, l’attimo dopo mi faceva perdere la pazienza a tal punto che avrei voluto prenderlo a calci. Era benissimo in grado di spegnere le mie fantasie più remote.

- Martina? – mi chiamò con tono ammonitore – Fa come ti dico e basta, non farmi alzare che te ne faccio pentire –

Sbuffai e incrociai le braccia al petto. Non mi facevo mettere in piedi in testa e lui lo sapeva benissimo.

- E come vorresti fare? Vuoi legarmi ad una sedia? Sai che è sequestro di persona? – chiesi.

- Mh…Mh… - fece tenendo gli occhi chiusi.

Mi stava bellamente ignorando, non gli importava un fico secco di tutto quello che gli stavo dicendo. Sapeva che avrei fatto quello che voleva e si permetteva di ignorarmi come meglio sapeva fare.

Potevo benissimo girare i tacchi ed andarmene. Stava meglio, lo vedevo e sapevo che non era più necessaria la mia presenza, ma mi scocciava questa cosa che non mi ascoltava quando parlavo.

Quindi si, feci un azzardo vero e proprio.

Mi misi a ridere, sarcastica.

- Eppure scommetto quello che ti pare che riesco a legarti al letto prima che tu possa dire qualsiasi cosa – dissi provocandolo.

A quel punto spalancò gli occhi e fece uno strano verso tra un risucchio d’aria e un gemito di frustrazione. Si alzò, lentamente e mi inchiodò al pavimento con i suoi occhi di ghiaccio.

Cazzata! Avevo fatto una cazzata…ma almeno avevo ottenuto la sua completa attenzione.

- Stai giocando con il fuoco – disse con voce roca.

Mi si avvicinò e io indietreggiai, toccai il muro e sobbalzai. Sean mi aveva raggiunto e ora mi bloccava contro la parete, le mani ai lati della mia testa. Poggiai le mie mani sul suo petto caldo e muscoloso e trattenni il fiato, era da un po' che desideravo farlo.

- Forza piccola – sussurrò a pochi centimetri dal mio viso – Sbattimi sul letto e ammanettami alla testiera, voglio vedere se ne sei capace –

Il mio respiro accelerò e le gambe presero a tremare ma non gli avrei mai dato nessuna soddisfazione, non mi facevo piegare da lui.

Voleva giocare? Avremmo giocato.

Sorrisi sarcastica, mi leccai le labbra e lo guardai negli occhi. Occhi carichi di desiderio.

- Non provocarmi Sean – dissi – Potresti pentirtene –

- Vedremo – disse sorridendo – Intanto le manette sono nel primo cassetto del comodino –

Oh cazzo! Mi accesi come una miccia!

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