Capitolo VI
Quella mattina arrivai in ufficio prima del solito di mia spontanea volontà. Avevo le mie chiavi quindi potevo permettermelo.
Trovai tutto chiuso e rimasi sorpresa. Era non strano, di più, che Sean non fosse già lì alle otto meno un quarto.
Evidentemente il suo amico aveva sballato le sue abitudini.
Sabato sera, dopo aver bevuto e chiacchierato un po' ero stata la prima ad andarmene. Gli stivali mi avevano distrutto i piedi e parlare di lavoro con Sean mi aveva fatto ricordare che dovevo darmi una mossa, mi ero ripresa e avevo deciso che mi ero stufata e me ne ero tornata a casa. Eravamo rimasti che ci saremmo visti lunedì nel suo studio per farmi firmare il contratto.
Scrollai le spalle e mi diressi alla mia postazione, poggiai i dieci testi che avevo corretto nel weekend sulla scrivania e li divisi tra scartati e da classificare. Solo tre avevano passato la prima selezione.
Presi il plico di quelli già pronti e li portai nell’ufficio di Sean, li poggiai sulla sua scrivania e mi rubai due dei suoi post-it. Su uno gli scrissi che quei testi erano quelli che avevo classificato e che lui doveva vedere e l’altro lasciai un messaggio per Laura. Lo portai alla postazione della mia collega e glielo lasciai sulla scrivania.
Avevo intenzione di mantenere quello che avevo detto sabato. Le bozze le avrei corrette io e le avrei passate a Sean.
Tornai al mio posto, accesi il computer e mi misi a lavorare.
Domenica ce l’avevo messa tutta per correggere quei testi, probabilmente non mi ero nemmeno impegnata come avrei dovuto, ma non potevo dire che era del tutto colpa mia.
Il motivo per cui ero scappata dalla discoteca non era solo perché ero stanca ma anche perché vedere Sean Torres, il mio capo, lì era stato…strano. Certo era giovane quindi non potevo nemmeno pretendere che se ne stesse chiuso tra ufficio e casa, era normale che anche lui andava a divertirsi di tanto in tanto ma mi aveva scosso trovarlo lì, sapere che mi aveva osservata senza che me ne accorgessi. Poi quando l’avevo visto mi ero sentita andare a fuoco. Se pensavo che in camicia e pantaloni eleganti era sexy allora non avevo capito nulla di lui. Vederlo con i jeans sbiaditi, gli stivali in pelle da motociclista, la maglietta nera attillata che metteva in risalto i suoi muscoli e i capelli scompigliati mi aveva fatto sciogliere i muscoli del ventre. Sean mi aveva studiata da capo a piedi appena mi ero avvicinata, l’aveva fatto lentamente e anche se la luce era soffusa lì dentro avevo visto la sua pupilla allargarsi e il desiderio nei suoi occhi accendersi.
E io mi ero accesa come se lui fosse il carburante su una scintilla, le mie gambe avevano preso a tremare e il mio ventre si era contratto, per questo mi ero diretta al banco e mi ero seduta e per lo stesso motivo l’avevo portato a parlare di lavoro. In quel modo mi ero ripresa e anche lui.
Scossi il capo e sbuffai frustrata. Quell’uomo mi avrebbe fatto fuori prima che raggiungessi i 23 anni, ne avevo la certezza.
Dopo quello scontro non ero riuscita a dormire e il giorno dopo a non essere abbastanza concentrata.
Te le fregavi le mie amiche quando dicevano che avevano strani pensieri sul mio capo. Almeno loro erano convinte che fosse un anziano signore e quindi scherzavano. Ma se avessero saputo la verità…
…Bè sì! Avevo pensieri sconci sul mio capo!
Sabato notte l’avevo sognato, nudo e tra le mie gambe. Mi ero svegliata eccitata come non mi era mai capitato ed ero stata costretta a farmi una doccia fredda in piena notte.
- Perché hai le guance rosse? – mi chiese una voce calda e profonda facendomi fare un salto per la paura – Stai bene? Hai anche il fiatone –
Sean mi si avvicinò e mi mise una mano sulla fronte.
Il mio corpo reagì di conseguenza. Rabbrividii e strinsi istintivamente le gambe tra di loro.
Il mio capo, l’uomo delle mie fantasie, era davanti a me, con la camicia, vestito elegante e con quei due dannati bottoni aperti sul colletto, mi stava toccando e il mio corpo invece di raffreddare stava bruciando!
- Martina ti senti bene? – mi chiese togliendo la mano e guardandomi preoccupato.
Annuii. Se parlavo, come minimo la mia voce sarebbe uscita strozzata.
Lui si spostò e si mise dritto, mi guardò fisso negli occhi, aggrottando la fronte.
- Che cos’hai? – mi chiese – Hai bisogno di qualcosa? –
Si che tu ti spogli e mi dai ciò che voglio!
Scossi il capo e deglutii.
Mi alzai come un fulmine, con l’intento di uscire da lì e andare in bagno, ma sarebbe stata una pessima idea visto che lui era davanti la porta!
Quindi gli diedi le spalle e aprii la finestra.
- Caldo – dissi con voce roca – Ho caldo –
Sentii i suoi occhi di ghiaccio su di me e la cosa non aiutò per niente.
- Signor Torres ho lasciato quello che avevo detto sulla scrivania – dissi senza guardarlo.
Avevo bisogno che andasse via. Averlo lì a pochi passi da me mentre ero in quello stato non andava bene, ma proprio per niente. Temevo per la sua incolumità sul serio e anche per il mio lavoro.
Come accidentaccio mi era venuto in mente di ripensare al sogno e a sabato sera mentre ero in ufficio non lo sapevo proprio.
- Martina? – mi chiamò.
Mi voltai a guardarlo.
Un sorriso consapevole e una scintilla negli occhi mi fece capire che sapeva quello che mi stava succedendo.
Va via ti prego
Ma Sean si avvicinò e io tornai a guardare la finestra. Si mise dietro di me, senza toccarmi ma sentii lo stesso come se la nostra pelle fosse in contatto. Rabbrividii quando il suo fiato caldo mi sfiorò il collo.
- Mi fai lo stesso fottuto effetto – mi sussurrò all’orecchio con voce roca e carica di tensione.
Deglutii e lo sentii ansimare.
- Ci vediamo nel mio ufficio appena ti sei ripresa – disse poi allontanandosi.
Lasciò lo studio e insieme a lui scemò la tensione sessuale che si era creata nella stanza.
Mi lasciai cadere sulla poltrona e tirai un sospiro di sollievo.
Mai più questi pensieri sul capo, mai più.
***
Squillò il telefono e risposi.
- Tesoro, Sean ha detto se puoi andare da lui – mi disse Marina.
- Vado, grazie per avermi avvisata – risposi.
Mi alzai e uscii dal mio ufficio.
Erano passati quattro giorni dalla nostra disavventura nel mio studio. Le cose tra me e il mio capo erano normali, come all’inizio. A volte capitava che saliva un po' di tensione da parte di noi due ma avevamo deciso di conviverci. Sean era stato chiaro, era attratto da me, non l’aveva negato ma se ne sarebbe fatto una ragione. E io lo stesso.
Io volevo tenermi il mio lavoro, lui aveva bisogno di me nella sua squadra.
Ne eravamo consapevoli entrambi, prima o poi la situazione di stallo ci avrebbe fatto esplodere ma ci avremmo pensato a tempo debito.
E io non ero nemmeno sicura di questa cosa.
Ero attratta fisicamente da Sean e anche lui da me ma…c’era un problema. Per quanto lo desiderassi sapevo che non mi sarei accontentata di una botta e via.
Non avevo mai avuto un fidanzato, mi ero sentita con qualche ragazzo e c’ero anche uscita insieme ma non era mai stato niente di serio e soprattutto non mi ero mai concessa a nessuno. Nessuno mi aveva attratta abbastanza per avere un qualche tipo di rapporto e nessuno aveva ottenuto la mia fiducia a tal punto.
Si avevo 22 anni ed ero vergine ma me ne infischiavo.
Il problema era che dubitavo che, per quanto desiderassi quell’uomo, mi sarei concessa a lui. Non gli avrei dato la mia verginità per una sessione di sesso da una botta e via. Non c’è l’avrei fatta psicologicamente.
Sospirai e bussai alla porta.
Non ci mise molto a dire “avanti”.
- Mi cercavi? – chiesi facendo capolino con la testa.
Lui alzò la testa e sobbalzai.
Erano un paio di giorni che ci incontravamo di sfuggita. Io ero carica di lavoro e anche lui ma non mi aspettavo di trovarlo così.
- Ma che diavolo… - dissi.
Chiusi la porta alle mie spalle, a chiave. Me ne infischiavo di quello che avrebbero pensato gli altri. E mi diressi verso Sean, battagliera.
Andai dietro la scrivania e spostai la poltrona per staccarlo dai fogli e dal computer, mi poggiai con il sedere sulla sua scrivania, davanti a lui e lo fissai.
- Si può sapere che succede? – chiesi.
Aveva i capelli sparati da tutte le parti, il volto pallido, occhiaie nere, gli occhi erano iniettati di sangue e non si faceva la barba da qualche giorno. La camicia era sbottonata fino al petto e la scrivania si alternava di documenti e bicchieri da caffè da asporto.
- Lavoro – borbottò con voce roca.
Lo fissai sbalordita e mi piegai in avanti, poggiando le mani sui braccioli della sua poltrona.
- Sembra che non dormi da giorni… - iniziai – E che non ti lavi da giorni –
Arricciai il naso e lo guardai disgustata.
- Puzzi Sean – dichiarai rimettendomi dritta.
- Grazie – disse.
Lo guardai male. Molto male. Lui sostenne il mio sguardo ma poi sbuffò e si passò una mano nei capelli, rendendoli ancora più impresentabili.
Non doveva importarmi giusto?
Era il mio capo…non una mia responsabilità. Eravamo attratti ma non ci eravamo fatti nessuna promessa o presi qualche responsabilità. Ma era anche vero che il nostro non era un semplice rapporto capo – dipendente. Eravamo quasi…amici, ecco. Sicuramente eravamo complici.
- Comunque ti ho fatto venire perché la prossima settimana chiuderemo da giovedì a lunedì, devo andare a Roma per una riunione e un convegno con le altre sedi e altre case editrici – disse – Comunicherò la cosa a tutti –
- E mi hai fatto venire qui per dirmelo prima di dirlo agli altri? Devo prendermi dei giorni? – chiesi confusa.
Di solito quando mi faceva andare nel suo ufficio per le comunicazioni di servizio dovevo preoccuparmi.
Infatti mi guardò facendo un sorriso stanco.
- No – disse – Devi preparare una valigia per quattro giorni, portati qualche vestito elegante –
Lo guardai scuotendo il capo.
- Niente giorni liberi per me? – chiesi scocciata.
- No – rispose riportando l’attenzione sullo schermo del computer – Vieni con me –
Mi mandava in bestia quando faceva il capo stronzo. Quando faceva così era chiaro come il sole che non potevo ribattere e dovevo obbedire. Era irritante.
- Non posso rifiutare? – chiesi conoscendo la risposta.
Sean scosse il capo e si avvicinò alla scrivania, infischiandosene della mia presenza, e mi intrappolò tra le sue gambe. Mise un braccio ad un lato del mio corpo, vicino al mio sedere e con l’altro, dall’altra parte, prese a muovere il mouse.
- S…Sean… - balbettai.
Mi ignorò e sospirai. Non potevo farci nulla.
Esitante gli misi le mani sulle spalle e presi a massaggiare. Lui tirò un sospiro di sollievo e si rilassò.
Era stronzo ma lavorava troppo e si sfiancava da solo.
- Sean… - lo chiamai – Vengo con te ad una condizione –
Lui riportò i suoi occhi di ghiaccio su di me.
- Sai che non te lo sto chiedendo vero? – mi chiese.
- Lo so ma posso sempre dirti di no –
- Fa parte del lavoro – ribatté.
- E io mi licenzio – dichiarai.
Vediamo chi vince capo.
Mi fulminò ma poi si poggiò alla poltrona lasciandomi la possibilità di tornare a respirare normalmente.
Sorrisi soddisfatta. Avevo vinto io, di nuovo.
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