Capitolo II
Entrai nella casa editrice e mi guardai intorno. L'ufficio si trovava al quarto piano di un palazzo di sei piani, non c'era l'ascensore, solo maledette scale che avevo fatto ritrovandomi con il fiatone. Il palazzo era vecchio e in stile medievale come tutto lì a Todi, ma l'ufficio era stato modernizzato, probabilmente secondo i gusti del grande capo. La casa editrice era a sé, non faceva parte di una catena di grandi case editoriali, era una piccola casa editrice e in tutto esistevano due o tre uffici in tutta Italia. Mio zio mi aveva detto che era a conduzione familiare e che la fondatrice della casa editrice era la moglie del suo amico. Quindi l'unica cosa che avevo capito era che il capo di quell'ufficio era un parente dell'amico di mio zio.
Le pareti erano bianche, le porte in vetro, così si vedeva benissimo quello che facevano i dipendenti, all'entrata c'era il banco della reception e delle sedie grigie in plastica che facevano da sala d'aspetto.
Come lo sapevo? C'era un cartello, sulla parete sopra le sedie che recitava "SALA D'ASPETTO"
Insomma, c'era molta fantasia lì dentro.
Oltre a me, nella stanza, c'erano altre due persone e una donna di mezza età dietro al banco delle reception che batteva sul computer rovinando la quiete e il silenzio che c'era lì dentro.
Guardai l'orologio sopra la parete. Segnava le 9 e 40. Avevo ancora venti minuti di tempo prima del colloquio.
La donna alzò gli occhi e mi guardò con un sorriso.
- Posso aiutarti cara? - mi chiese gioviale.
Mi avvicinai e mi poggiai con le braccia al bancone.
- Ho un colloquio alle 10 - dissi.
La donna annuì.
- Accomodati pure cara, anche quei due sono qui per il colloquio, ti chiamerò appena arriverà il tuo turno - mi disse indicandomi le sedie - Probabilmente entrerai più tardi perché c'è stato un contrattempo e quindi siamo in ritardo con i colloqui di tutti -
- Ok va benissimo, grazie - risposi andando a sedermi.
Questo contrattempo non ci voleva! Adesso avevo un altro motivo per farmi corrodere dall'ansia.
Insieme a me ad aspettare c'era un ragazzo, forse della mia età, con l'aria di un secchione fatto e finito: aveva un paio di occhiali da vista rotondi, una camicia a quadri con un papillon e portava le bretelle invece della cintura, per tenere i panatoli di velluto panna invece della classica cinta.
L'altro era un uomo sui, forse cinquant'anni, vestito di tutto punto in giacca e cravatta.
Sentii una porta sbattere e una ragazza, forse più grande di me, vestita con una gonna striminzita e una maglietta che mostrava un po' troppo seno e dei tacchi vertiginosi, arrivò dal corridoio imperterrita e con l'espressione arrabbiata.
- Quello è uno stronzo! - esclamò.
Ci squadrò come se fossimo insetti e uscì dall'ufficio come una furia.
Sbattei le palpebre confusa.
Che diavolo era successo?
La donna delle reception sospirò rassegnata.
- Io gliel'avevo detto che non doveva presentarsi vestita in quel modo - borbottò ma la sentii benissimo.
Il telefono squillò e lei rispose.
- Si signore, ce ne sono altri tre per il colloquio - disse.
Silenzio. Forse ascoltando il suo interlocutore.
- No signore...no nessuna...ehm...battona, capo - disse.
Bè evidentemente il capo non aveva gradito la visita della donna di prima. L'aveva davvero definita della battona?
- Ma signore...No, siamo in ritardo con i colloqui già e...ok...va bene cinque minuti -
La donna riattaccò il telefono e alzò gli occhi al cielo.
- Il prossimo potrà entrare tra cinque minuti - annunciò facendoci un sorriso di scuse.
Sospirai rassegnata. Sarebbe stata una lunga giornata.
***
- Martina Rossetti? - mi chiamò la donna che avevo capito chiamarsi Marina.
- Sono io - dissi alzandomi dalla sedia e sgranchendo la schiena.
Erano le 11. Il mio colloqui era stato spostato alle 11!
I due prima di me erano andati via, dopo il colloquio, non troppo soddisfatti e io cominciavo a temere per la mia incolumità. Senza contare che l'uomo in giacca e cravatta era durato dieci minuti, al contrario del ragazzo che ne aveva fatti venti.
Mi avviai verso la porta che avevo capito essere quella del capo.
- Devo sapere qualcosa per uscirne viva? - chiesi a Marina per cercare di rilassarmi.
Lei ridacchiò.
- Sa essere un buon capo quando vuole, non morde è solo esageratamente esigente - mi disse per rincuorarmi.
Ma ci riuscì solo in parte.
Davanti alla porta con su scritto direttore presi un bel respiro. La porta era l'unica in legno tra gli uffici, evidentemente al capo non piaceva che gli altri guardassero quello che faceva nel suo ufficio ma a lui piaceva guardare gli altri.
Bussai alla porta trattenendo il respiro e solo quando sentii un avanti secco aprii la porta entrando nell'ufficio.
La prima cosa che notai era che lì dentro era tutto scuro, dalle pareti ai mobili, in compenso c'era una grande finestra dietro la scrivania che illuminava la stanza per non farla sembrare tetra. Le seconda cosa che notai? Il caos che regnava lì dentro: le carte e i fascicoli erano sparsi ovunque, sugli scaffali non c'era un minino ordine, c'erano dei libri posati a caso sulle mensole e altri fogli messi lì senza un motivo, c'erano scatoloni mezzi aperti da cui uscivano dei faldoni rossi. C'era un appendi abiti in un angolo ma evidentemente non era di gradimento visto che sul divano nella parete in fondo c'erano gettati un cappotto, una giacca elegante e una camicia stropicciata.
Ma cosa era passato lì dentro un uragano?
Rimasi a bocca aperta, scioccata da tutto quel disordine.
Sentii qualcuno schiarirsi la voce e allora lo vidi: il grande capo!
Era poggiato al davanzale della finestra aperta. Aveva un paio di pantaloni eleganti che gli fasciavano le gambe, erano a vita alta e la camicia bianca spariva all'interno del pantalone, la camicia si poggiava su un bel paio di spalle larghe e fasciava un petto ampio e avrei scommesso che là sotto c'era un fisico da urlo, le maniche erano arrotolate fino al gomito scoprendo gli avambracci muscolosi con le vene in risalto. Indossava una cravatta ma era allentata e stava a penzoloni intorno al suo collo e aveva i primi due bottoni della camicia aperti. Il volto era senza un filo di barba, le labbra erano carnose e rosse, naso dritto, i lineamenti del viso erano marcati e al posto degli occhi aveva due gemme di ghiaccio, i capelli erano neri, leggermente più corti ai lati, folti e più lunghi sulla testa, con un ciuffo che ricadeva sulla fronte.
Se quello era il mio capo io ero la regina di Inghilterra!
- Non sbavare - disse con voce roca e maledettamente sensuale.
Sbattei le palpebre e incrociai le braccia sotto al seno.
- Non stavo sbavando ero solo scioccata da tutto...questo - dissi indicando tutta la stanza e la sua figura - Cosa è successo? È passato un uragano? -
Al diavolo! Me ne infischiavo che quello era il mio capo. Il direttore di un ufficio non poteva avere tutto quel disordine.
- Non sono ancora riuscito a sistemare - disse.
- No non si era capito - dissi sarcastica.
Lui alzò un sopracciglio. Uno solo! Io non ero mai riuscita a farlo accidenti a lui!
- Come ti chiami? - mi chiese andandosi a sedere sulla poltrona di pelle dietro alla scrivania e indicandomi quella di fronte.
Mi sedetti e poggiai la borsa sulle mie gambe.
- Martina Rossetti. Avevo un colloquio fissato per le 10 ma mi hanno detto che c'era stato un contrattempo - specificai.
Non era una frecciatina verso di lui, ma proprio per niente!
- Sean Torres - si presentò lui cercando i miei occhi - Il direttore di questo posto e uno che odia i colloqui -
- Allora dovresti trovare qualcuno che li faccia al tuo posto - gli feci notare ignorando alla bel e meglio di dargli del lei.
Poteva avere all'incirca la mia età. Forse era poco più grande di me quindi mi rifiutavo di dargli del lei.
- Prenderò nota - disse - Allora, Martina, posso chiamarti così? Cosa fai qui? -
- Dipende...non sono molto propensa a farmi chiamare per nome da uno sconosciuto - precisai - E sono qui per lavoro, ovviamente -
- Ovviamente - ripeté lui - Posso vedere il tuo curriculum? -
Storsi la bocca. Certo che era strano forte. Un attimo prima faceva lo spaccone e quello dopo diventava professionale. Non capivo se il suo era bipolarismo e se era così di natura.
Gli diedi il curriculum anche se ero scettica.
Sean Torres non aveva nemmeno lontanamente l'aria da direttore ma se era dietro quella scrivania c'era un motivo e speravo vivamente che non fosse lì solo perché era parte della famiglia fondatrice di quella casa editrice.
- Non hai una laurea in lettere e nemmeno in editoria - mi fece notare.
Come se non lo sapessi.
- No, ma ho fatto dei corsi basati su quello anche se ho una laurea diversa... -
- Però vorresti lavorare in una casa editrice - disse fermandomi.
- Si. E stavo dicendo che porto con me gli attestati dei corsi che ho fatto -
Lui annuì senza guardarmi e continuò a leggere il mio curriculum.
- Le tue esperienze lavorative sono quasi patetiche - disse.
Mi morsi la lingua per non dirgli che lui era patetico là dietro ma stetti zitta. Ero lì per farmi dare un lavoro, non per litigare con quello che sarebbe potuto essere il mio capo.
- Ho provato a fare del mio meglio mentre dividevo studi e lavoro - borbottai e visto che non riuscivo proprio a trattenermi dissi quello che mi passava per la testa - Non ho avuto nessun calcio in culo da parte della mia famiglia per avere una poltrona sicura -
Stavo deliberatamente insultato il mio possibile capo...
Mio zio mi avrebbe ucciso!
- Ti hanno mai detto che sei una stronza? - mi chiese poggiando il mio curriculum e fissando i suoi occhi di ghiaccio sul mio volto.
Spalancai la bocca, scioccata. Ma il mio stupore, purtroppo per lui, non durò molto.
- Sai come si dice no? Tra stronzi ci si riconosce - dichiarai alzandomi in piedi - Solo uno stronzo sa riconoscere uno stronzo -
Detto questo gli voltai le spalle, presi la mia borsa e mi diressi verso la porta. Avevo chiuso, non per mia volontà ma perché preferivo andarmene da sola tanto sapevo che non avrei mai ottenuto il lavoro con l'uscita che avevo fatto.
Ma mi bloccai quando una risata mi sorprese. Una risata calda che mi scosse da capo a piedi.
Mi voltai e notai che Sean Torres si era portato una mano davanti alla bocca e che le sue spalle sussultavano per le risate.
Lo guardai confusa.
Lui si riprese dopo un paio di minuti e prese un bel respiro prima di tornare serio e puntare i suoi occhi nei miei.
- Signorina Rossetti...chiedi a Marina gli orari dell'ufficio. Ci vediamo lunedì, farai una settimana di prova e poi vediamo se assumerti o no - disse lasciandomi scioccata.
Mi stava...assumendo? Gli avevo dato dello stronzo, gli avevo detto, sottilmente, che non sapeva fare il suo lavoro e lui che faceva? Mi assumeva?
Ma che problemi aveva quel tipo?
- O ma guarda - disse - Sono riuscito a lasciarti senza parole -
Angolo autrice:
Ciao eccoci di nuovo!
E niente siamo al secondo capitolo e sinceramente spero di aver attirato abbastanza la vostra attenzione.
Spero che vi stia piacendo...
Allora che cosa ne pensate dei protagonisti della storia?
Chi preferite tra i due?
Ma soprattutto che ne pensate della storia fino ad ora?
Aspetto le vostre opinioni e alla prossima 😘
PS. Non vi ho chiesto che cosa ne pensate della copertina. Vi piace o no?
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