01 - Non riesco a respirare
"Lo sai, se muoio, questo paese se ne va via con me".
Tommy strinse con più forza la balestra nelle sua mani, sentendole tremare leggermente; la freccia era a qualche centimetro dal collo di quel bastardo. Il ragazzo sentiva il sudore scorrergli tempia; voleva farla finita e tornare a casa, niente più guerre, niente più conflitti, solamente lui e Tubbo a scherzare su cose inutili.
"Questa è la fine per te", disse con una falsa decisione il ragazzo, guardando di sfuggita tutte le persone accanto a lui per cercare conforto nel numero: Technoblade con la sua balestra, Fundy con il cuore spezzato, Wilbur con un'espressione indecifrabile sul volto; cercò poi di esternare tutto, fissandosi solamente sul volto che aveva davanti, doveva avere il coraggio di ucciderlo.
Le elezioni erano andate male e quel maledetto Schlatt aveva rovinato tutto, era scoppiata una guerra a causa sua, erano morte delle persone; la cosa doveva finire in quel momento.
Tommy provava ribrezzo solo a guardarlo: la postura sbilenca dovuta al fatto che era un alcolizzato, i suoi occhi vacui ma allo stesso tempo provocanti, l'unica cosa che Tommy non riusciva ad odiare erano le sue corna: troppo simili a quelle dell'amico per poterle trovare brutte, e il suo amico doveva essere vendicato da tutto ciò che gli aveva fatto suo padre.
"Quando il mio tempo finirà ve ne andrete tutti", Schlatt puntò un coccio di bottiglia contro Quackity, che sembrava star per crollare sotto al peso di quella situazione, non aveva preso molto bene tutta la faccenda, si sentiva troppo coinvolto.
"Tu te ne andrai", aggiunse facendo un cenno in aria con il coccio, poi cercò di colpirlo con forza ma Eret si mise fra i due, proteggendo il giovane che non sapeva più come restare lucido, sembrava star per svenire.
Quackity di colpo cominciò a urlargli contro con le sue ultime forze, le parole sconnesse e senza senso; Schlatt non sembrava neanche sentirlo, in realtà non sentiva bene quasi niente, nelle sue orecchie c'era solo un forte fischio.
Gli occhi di Schlatt si spalancarono quando finalmente mise a fuoco la balestra puntata su di lui, la sua voce si fece supplichevole, per poco non cadde a terra dalla disperazione, "Wilbur, ho paura di quella".
Non sapeva dire se quelle parole fossero vere o false, ma gli era sempre stato detto che la morte era una brutta cosa.
Quackity continuava a parlargli nascosto dietro alla schiena di Eret mentre la vista di Schlatt continuava a vacillare sempre più con più forza; si dovette appoggiare contro una parete per restare in piedi, un dolore lancinante che arrivava con velocità nel suo petto, a sinistra.
La voce di Technoblade si sovrappose sopra tutte le altre concitate, "Uccidetelo! Uccidetelo!".
Schlatt aveva paura, non voleva morire, non riusciva neanche più a distinguere le parole che gli arrivavano, c'era silenzio adesso in realtà, Wilbur aveva probabilmente ordinato a tutti di stare zitti, una parola di qualcuno, e la balestra di Tommy si avvicinò ancora di più alla sua gola; nella visuale dell'ormai non più presidente si vedevano solamente dei puntini neri, che si affollavano gli uni sopra gli altri, impedendogli di restare lucido.
La gola di Schlatt prese fuoco, e lui cominciò a tossire, cadendo in ginocchio a terra, le mani che stringevano la sua gola.
Sconfitto fino alla fine. Pensò guardando le persone in piedi intorno a lui, neanche la decenza di morire in piedi.
Adesso la gente gridavano il suo nome senza capire, ma lui non sentiva o vedeva più niente, anche se qualche volto avrebbe voluto perdonarlo, qualche altro distruggerlo.
Perse la presa sulla sceggia di bottiglia, che andò a frantumarsi sul terreno, sotto di lui.
Magari adesso starò meglio.
Qualcosa lo colpì con la forza di un tornado sul cuore, vide per un secondo il volto di suo figlio, poi più niente.
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La gola gli stava andando a fuoco, stava soffocando.
Stava annegando.
Stava morendo.
Doveva respirare.
Non riusciva a sentire il suo corpo, ma il dolore si, quello c'era, quindi voleva dire che esisteva anche lui, da qualche parte, bastava prendere fiato.
Non riusciva a respirare, perché? Doveva farlo, sentiva i suoi polmoni morire dentro di lui, gli serviva dell'aria o sarebbe morto in qualche secondo.
Urlò, urlò perché la gola gli andava a fuoco, continuò a urlare per un tempo che sembrava infinito, in cui non riusciva a muoversi, agonizzante, l'unica cosa che sentiva era un dolore così forte da farlo morire, ma lui non stava morendo, anche se le ore passavano.
"Aiuto!", disse fra le sue urla, voleva porre fine a quel dolore, non riusciva a respirare, perché non moriva? Doveva morire.
"AIUTO, PER FAVORE!", continuava ad urlare, la speranza che lo stava ormai abbandonando, dov'erano tutti gli altri? Lo avevano arrestato? Cosa diavolo gli avevano fatto? Che cosa gli stava succedendo?
Di colpo sentì delle forti braccia sollevarlo, per poi ributtarlo a terra, sbatté con forza la testa contro qualcosa - un pavimento? - poi finalmente sentì i suoi polmoni riprendere aria, contrarsi con forza per prendere ossigeno.
Aprì gli occhi di scatto, girandosi a pancia in giù a arrancando contro il terreno, la bocca spalancata per fare entrare più aria possibile.
La sua vista era sfuocata, vedeva tutto nero, forse era diventato cieco, chi è che l'aveva appena salvato? E perché non era morto in tutto quel tempo?
Cercò di calmare il suo respiro.
Dietro di lui qualcuno rise, poi ci fu un fruscio di una specie di mantello, il silenzio ripiombò attorno a lui.
Si stese sulla schiena, guardando piano sopra di lui, no, non vedeva sfuocato, tutto intorno a lui era nero, una distesa infinita di nero.
Si mise seduto di scatto, non c'era più nessuno con lui.
Lo avevano drogato?
Si portò le mani alle grandi corna sulla sua testa, e le permette sulla loro punta, era una cosa che faceva spesso, bucarsi le mani per capire di non star sognando.
Nessun dolore arrivò alla sua pelle, nessun sangue uscì dai suoi palmi.
Si portò una mano al petto, cercando di ricordare qualcosa che non gli arrivava alla mente, che cosa era successo? Sapeva di dover ricordare qualcosa di importante, ma la sua mente sembrava vuota.
La sua mano si chiuse su una felpa azzurra, un cuore spezzato sul petto, a sinistra, non ricordava di aver mai avuto quei vestiti.
Lentamente si alzò, barcollando lentamente in quel buio infinito, camminò per quelle che sembrarono ore, ma nessun dolore arrivava al suo corpo, le sue gambe non sembravano essere stanche.
Qualcosa si stagliava in lontananza, notò dopo quel tragitto infinito.
"Che cosa?", sussurò piano, la gola che ancora bruciava per l'aria che gli era mancata, si costrinse a restare in silenzio.
Arrancò più velocemente che poteva verso quel qualcosa, poteva pure essere un qualcosa che l'avrebbe ucciso, ma non importava, non poteva vivere nel vuoto, sarebbe stato meglio morire.
Un tavolo.
Si fermò a qualche metro dall'oggetto.
Un tavolo, una sedia.
Qualcosa si faceva strada nella sua mente, ma non riusciva a capire cosa, che cosa doveva ricordare? Che cosa era successo di così importante?
Un tavolo, una sedia ed una bottiglia di vino.
Cadde a terra, tenendosi la testa con le mani, urlando parole che neanche capiva, insultando Wilbur, suo figlio, e chiunque altro finalmente riuscisse a ricordare.
"TUBBO", Urlò al vuoto intorno a lui, "TRADITORE", immagini si susseguivano veloci nella sua testa, un podio, una bottiglia, una stretta di mano, delle corna troppo piccole per essere le sue, capelli rosa sporchi di sangue, due dischi, un sorriso.
Cominciò a rigirarsi a terra, cercando di dimenticare tutto, "FUNDY, BRUTTO BASTARDO MI HAI TRADITO", urlava al vuoto, "QUACKITY COME HAI POTUTO", poi tutto il rancore si riversò a terra, la gola che bruciava nuovamente per quel grido disperato, "BASTARDO DI UN WILBUR SOOT, GIURO CHE TI UCCIDO!!".
Fu in quel momento che realizzò di essere morto.
Si rannicchiò a terra, affondando la faccia nelle sue ginocchia, lacrime amare cominciarono a cadergli sul viso, bagnando la sua meglietta ed il suo volto, la rabbia sembrava scomparsa.
"Tubbo", disse questa volta, senza alcuna rabbia "Perdonami, ti ho praticamente ucciso, io-", cominciò a singhiozzare sempre più forte, desiderando di tornare indietro nel tempo, magari sarebbe potuto essere un buon presidente, magari Wilbur gli avrebbe stretto la mano, magari suo figlio sarebbe stato fiero di lui.
Si alzò, barcollando verso il tavolo, lo urtò con forza, senza provocarsi alcun tipo di dolore; voleva fare qualcosa, distruggere quel tavolo e tutto ciò che significava, spaccare quella sedia in quel nero così fitto.
Gli tirò un forte calcio, e la bottiglia di vino cadde a terra con un forte rumore.
Si fermò di colpo, guardando con occhi sgranati il liquido rosso che si muoveva dietro ad il vetro, un richiamo ormai troppo familiare.
Cadde accanto ad essa, prendendola con forza e togliendone il tappo, cominciò a bere con foga.
Quando la bottiglia giacque vuota accanto a lui, i suoi ricordi sembravano meno chiari, non più così dolorosi come erano stati fino a poco prima.
Prese la bottiglia vuota e la riappoggiò sul tavolo, per poi girarsi verso il vuoto introno a lui.
"IO ANDRÒ CONTRO TUTTO Q-QUESTO", disse barcollando verso il vuoto, "IO ME NE ANDRÒ DA QUI, FOSSE L'ULTIMA COSA CHE FACCIO", rise per l'ironia di quell'ultima battuta, anche se insieme alle risate delle lacrime uscivano dai suoi occhi.
"C-CAPITO?", urlò rivolto a nessuno in particolare.
Un rumore dietro di lui attirò la sua attenzione.
Si girò, la bottiglia era di nuovo piena.
La sua gola sembrava all'improvviso troppo secca, i ricordi sembravano essere di nuovo troppo vividi, la sua rivolta avrebbe potuto aspettare.
Afferrò la bottiglia e ricominciò a bere.
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Che ne pensate?
:]
Se vi è piaciuto questo primo capitolo, per favore commentate e lasciate un voto, sarebbe fantastico.
[2023edit// cavolo se ne facevo di errori grammaticali, vi assicuro che la situazione migliora da quel punto di vista andando avanti]
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