35. Emilia
Ritorno a casa spensierata, dopo una cena al Mc con Barbara, passata a ingozzarci di hamburger e patatine fritte con salsa cheddar. Apro la porta di casa e non appena mi tolgo le scarpe sento delle risate provenire dal salotto. Entro e vedo mia madre seduta sul divano con una ragazza. Non so chi sia e come mai sia qui. Non appena mamma mi vede sbianca, ma cerca di dire comunque qualcosa o almeno questa è l'impressione che ho.
- Gabri, ti p-presento Emilia. È la f-figlia di una mia collega. Rimarrà da noi per un po'.
Cosa? Ma ho sentito bene? Mamma, ma sei fuori?? Con tutto quello che sto passando porti anche in casa della gente? Ma non ho parole. E poi chi è questa collega con cui vai tanto d'accordo che salta fuori all'improvviso e ti chiede di badare a sua figlia?! Che poi così piccola questa figlia non mi sembra.
- Piacere, Emilia - la ragazza si alza in piedi e allunga una mano per stringermela.
Ricambio, controvoglia. Oggi è stata una giornata pesante, certo non posso dirle che poche ore fa ho fatto un test perché pensavo di essere incinta, quindi mi serve una scusa decente che giustifichi la mia stanchezza anche se qui di decente non c'è neppure la mia faccia visto che le occhiaie mi cascano in bocca.
- Gabriella.
Non dico neanche 'piacere', non so se lo sarà quindi perché dirlo senza saperlo? Poi mamma ultimamente mi sta nascondendo una valanga di cose e la mia capacità di fidarmi di lei a prescindere vacilla da qualche settimana.
- Emilia dormirà nella tua stanza - annuncia, senza darmi la possibilità di replicare.
- Beh, solo se Gabriella vuole - risponde Emilia, guardandomi.
Senti, cosa, ho 16 anni, sono una cazzo di adolescente qualsiasi. Spiegami come possa andarmi bene che tu, tizia non identificata, invada la mia privacy nella mia cazzo di camera? L'unica cosa che voglio in questo momento è mandarti a fanculo senza passare dal via. Peccato che la vita non sia Monopoli.
- Ci sono tremila motivi per non volerti nella mia stanza - dico, fredda - non ti conosco, non so chi sei, non so perché sei qui e soprattutto non mi bevo la storiella del perché tu sia qui.
- Gabriella, smettila di fare così - interviene mia madre - si tratta solo di qualche giorno!
- Io dovrei smetterla? Ma con quale cazzo di coraggio me lo vieni a dire eh? Tu che mi hai cresciuto in una marea di balle!!! - glielo urlo in faccia e poi scendo in giardino, vinta dallo stress di oggi, da quel test per fortuna negativo è da quell'ultimo, ennesimo, colpo di scena nella mia vita.
Rimango in giardino per un'infinità di tempo, seduta sul dondolo, mentre sento le lacrime toccare la punta dei piedi. Improvvisamente un'ombra si siede accanto a me, appoggia una mano sui miei capelli e li accarezza.
Mi volto, è mia madre. Sembra quasi che nonostante le balle stia cercando di rompere quella barriera del contatto fisico che avrebbe dovuto rompere anni fa con abbracci, baci, coccole e carezze.
Rimane in silenzio, prolungando quel gesto che mi fa partire una scarica di brividi. Vorrei dirle del test, ma non credo di averne il coraggio, poi dovrei dirle tante cose e ho paura, in fondo, che possa giudicarmi. Non sono neppure riuscita ad andare al funerale di Valerio, ma vorrei che qualcuno mi accompagnasse al cimitero a trovarlo. Vorrei che fosse lei, non riesco a farlo da sola, starei troppo male. Ma come glielo chiedo? Non faccio altro che ferirla per le sue colpe.
- Emilia rimarrà poco, vedrai. Comunque ha 19 anni, potrebbe essere una sorella maggiore per te...
- Non voglio sorelle, voglio solo la verità. È davvero la figlia di una tua collega?
Sospira, con lo sguardo perso nel vuoto.
- Ci sono cose che non posso raccontarti - mi dice, sibillina.
- E io cose che non posso accettare. Ti ho sempre voluto bene, mamma, ma mi hai nascosto troppe cose. Nessuno vuole una vita di segreti, non alla mia età. Tutte queste bugie mi allontanano da te, alzano un muro fra noi due, lo capisci? Quando potrò mai fidarmi di nuovo di te?
- E io? - commenta - pensi sia stato tutto più facile per me? Triplica il dolore che hai provato tu. Pensi che mi divertissi a raccontarti quelle cose? Ho cercato di proteggerti, ma l'ho fatto nel peggiore dei modi. Non ho scuse, né pretendo tu possa mai perdonarmi, ma credimi, non è stata una decisione a cuor leggero. Giuseppe ci ha lasciate all'improvviso, io ero molto giovane, avevo solo te al mondo, la mia piccola porzione di felicità. Avevi bisogno di qualcuno che ti crescesse e c'ero rimasta solo io. Sapevo che sarebbe stata dura, ma quella sera non ce l'ho fatta a dirti che papà era volato in cielo. Avevo bisogno di tempo per elaborare tutto e me ne sono presa troppo.
- Non ce la faccio a passarci sopra - dico, alzandomi - non ora che aspetti un figlio dal padre di Giulio. Hai tradito papà e a me fa schifo questa cosa. Mi fa schifo, chiaro?!
- Puoi avercela con me, con Angelo o con Giulio, ma non prendertela con questo bambino che non ti ha fatto niente.
- Lui non sarà mai mio fratello.
- Mettiti nei miei panni, Gabriella, saresti stata migliore di me?
Non rispondo, perché sono una cogliona. No, non sarei stata migliore di lei. Avrei avuto una cazzo di paura a rimanere sola al mondo con una figlia da crescere che neanche so come avrei reagito. Mi vergogno ad ammettere mentalmente che forse non glielo avrei detto neanch'io.
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