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Capitolo I - Quella volta in cui... mi sono lasciato

Paolo Colombari era furente, aveva così tanta rabbia in corpo da non riuscire a smettere di tremare. I muscoli del viso contratti, gli occhi assottigliati, i pugni serrati: bastava una sola occhiata, anche fugace, per capire che il giovane parmigiano dai capelli sottili neri, portati a spazzola e leggermente troppo curati, stava passando un brutto momento.

Camminava nervosamente avanti e indietro, imprecando ad alta voce, attirando gli sguardi dei passanti per Regent's Park che lo stavano scambiando per un maniaco, allontanandosi da lui a passo svelto.

«Maledetta stronza!» urlò e fu quasi sul procinto di lanciare il suo smartphone per non dover più rileggere quel maledetto messaggio.

"Mi dispiace, so che mi sono comportata da stronza, ma non posso farci nulla. Non ti amo più, Paolo"

Paolo scosse la testa incredulo, per lo meno era consapevole di essersi comportata da stronza senza un minimo di rispetto.

Lo aveva tradito, scambiato per un coglione qualunque con la tartaruga e i bicipiti pompati, distruggendo una storia di tre anni, in cui avevano condiviso tutto, incluso uno studio flat a Camden Town che ora avrebbe dovuto lasciare.

Perché alla stronza della sua ex non era bastato soltanto tradirlo, probabilmente nel letto dove lui aveva dormito fino a qualche giorno prima, ma aveva avuto anche il coraggio di chiedergli di lasciare l'appartamento quanto prima così che la sua nuova fiamma potesse trasferirsi.

A quel pensiero il suo viso divenne paonazzo e fu sul punto di tirare un pugno contro un albero.

«Puttana!» imprecò di nuovo e stava per aggiungere altri epiteti poco carini quando una chiamata entrante lo interruppe.

«Dove sei?» chiese una voce femminile capace di calmarlo anche nelle situazioni più estreme.

Era sua sorella Giada, più grande di lui di qualche anno e trasferitasi a Londra per conseguire il master in Psicologia dell'Infanzia e rimasta nella capitale inglese dopo aver ricevuto un'offerta di lavoro piuttosto allettante come Teacher assistant presso un ricco asilo nido di Earl's Court. Era stata Giada a convincerlo a trasferirsi nella capitale inglese, lasciandosi alle spalle Milano e il suo lavoro di consulente legale presso uno studio di avvocati di buona reputazione nella città lombarda, che per quanto potesse suonare prestigioso, in realtà lo rendeva inspiegabilmente infelice. Sarà stata la sua passione per la fotografia a impedirgli di godersi pienamente di quell'opportunità, ma Paolo in quello studio si sentiva soffocare.

Aveva sempre considerato, infatti, se stesso come un fotografo e la laurea in Giurisprudenza, conseguita con non poca fatica, era stato solo il suo tentativo di dimostrare al suo nonno materno, Giuseppe Lorico, che gli uomini della famiglia Colombari non erano dei buoni a nulla.

Suo padre, Federico Colombari, era un artista; per amor della precisione, era un pittore, anche piuttosto bravo e dalle pennellate così delicate da tracciare linee quasi invisibili a prima vista, ma senza le quali i quadri avrebbero potuto acquistare tutt'altra forma o persino assunto altro significato. Tuttavia, si sa che l'arte spesso non paga e Federico aveva mantenuto la famiglia pitturando le case delle famiglie parmigiane e dipingendo persino qualche murales di tanto in tanto.

Si era accontentato di ciò che era riuscito a trovare, d'altronde sempre di usare pennelli si trattava, solo per non sentire suo suocero dargli del fallito incapace di trovarsi un lavoro stabile e dignitoso, nonostante Federico avesse persino conseguito una laurea in Storia dell'Arte.

Fu così che Paolo al momento della scelta del percorso di studi universitari optò per Giurisprudenza, una laurea reputata decente da suo nonno, per non sottoporsi alla stessa pressione. Suo padre, che lo aveva sempre incoraggiato a esplorare il suo estro artistico, lo capì nonostante fosse dispiaciuto nel vederlo così crucciato, a soli ventisette anni, ogni volta che tornava a casa per le feste comandate raccontando del suo lavoro con quei decerebrati – era così solito chiamarli – con cui doveva avere a che fare.

Non ne poteva più e suo padre si adoperò per farlo uscire da quella situazione mettendosi d'accordo con Giada perché si trasferisse a Londra, dove lontano dall'influenza del nonno materno avrebbe potuto finalmente liberare la sua creatività. E così fu.

Paolo era rinato da quando si era trasferito a Londra, andava in giro con la sua reflex, partecipava a seminari e concorsi e aveva persino venduto qualche fotografia, anche se le sue principali entrate venivano dal suo lavoro come Legal expert presso una Charity association che aveva bisogno di consulenti esperti di diritto europeo, essendo in collaborazione con diverse altre associazioni in giro per l'Europa. Seppur da lui odiata, a qualcosa la sua laurea in Giurisprudenza doveva essere utile.

«Regent's Park» rispose senza aggiungere altro.

«Arrivo»

Dopo circa un quarto d'ora Giada stringeva suo fratello fra le braccia tentando di consolarlo in modo materno, adorava suo fratello a dismisura e quella stronza la doveva pagare cara. Paolo si lasciò abbracciare e carezzare i capelli sospirando; essendo il più piccolo della famiglia, era sempre stato coccolato da tutti: nonne, zie, cugine e ovviamente da sua mamma e sua sorella, perciò non aveva mai avuto problemi con il contatto fisico e nel relazionarsi con il genere femminile, più in generale.

«Vieni a stare da noi?» gli propose riferendosi a lei e Simon, il suo fidanzato con cui conviveva da qualche mese. Simon aveva comprato di recente un bilocale a Chiswick, un quartiere piuttosto residenziale appena fuori dalla zona tre di Londra, e non aveva esitato nemmeno un attimo a proporre alla sua fidanzata di trasferirsi da lui, d'altronde stavano sempre insieme in ogni caso, perciò tanto valeva convivere.

Paolo scosse la testa, non voleva stare fra i piedi rovinando l'equilibrio della giovane coppia, anche se gli piaceva Simon ed era sicuro che fosse contraccambiato.

«Starò da Tim» le disse riferendosi a Timothy Perkins, il suo collega australiano, trasferitosi nella capitale inglese all'età di diciannove anni per raggiungere la sua pazza zia Gabriela, allora venticinquenne, per cui aveva avuto una cotta. Doveroso specificare che Gabriela era più una zia adottiva, essendo la sorella del secondo compagno di sua madre.

«Potrebbe liberarsi una stanza fra poco» aggiunse per convincere sua sorella che fosse la decisione migliore.

Come deciso, Paolo si trasferì dopo qualche giorno a casa di Tim organizzando il suo trasloco di fretta e furia e rompendo casualmente (o forse no) la tazza preferita della sua ex.

«Se l'è cavata pure con poco la merda» aveva detto a sua sorella Giada che si era offerta di dargli una mano con il trasloco.

Fu un nuovo inizio per il nostro fotografo che rispolverò le fini arti del flirtare per attirare le donzelle nella sua rete, dandosi alla pazza gioia sotto gli occhi disgustati di Giada, che temeva potesse prendersi qualche malattia venerea, e quegli divertiti di Tim che si trovava ogni domenica mattina - a quanto pare il giorno preferito da Paolo per la sua temeraria caccia era il sabato - a presentarsi a una nuova ragazza e il dialogo era più o meno sempre lo stesso:

«Hey, morning! Nice to meet you! I'm Tim»

Da vero galante allungava anche la mano che l'altra persona stringeva un po' imbarazzata.

«Hey... I'm Paolo's friend... he's in the shower» informava la lei di turno con un'espressione incapace di tradire la voglia di sprofondare, venendo inghiottita dalle viscere della terra.

Nessuna delle ragazze che Tim incontrava la domenica mattina ritornava nel loro appartamento in zona Balham nel sud-ovest di Londra.

La vita di Paolo trascorse fra uscite con gli amici, qualche bicchiere di troppo e sesso facile, senza alcun evento degno di nota. Non pensò più alla stronza della sua ex - o almeno così volle dare a vedere - ed ebbe persino la sua rivincita quando lei lo contattò a qualche mese di distanza chiedendogli di ritornare insieme, mandandola a fanculo senza indugi e bloccandola su WhatsApp e ogni social media.

Non voleva saperne di entrare in una relazione, tantomeno di ritornare con quella stronza che lo aveva cacciato di casa per mettersi insieme a un pallone gonfiato qualunque che finì per ripagarla con la sua stessa moneta cornificandola. Il karma fa sempre la sua parte d'altronde.

Andò avanti così per qualche mese finché un giorno la consapevolezza del non avere qualcuno vicino finì per piombargli addosso, facendolo ripensare alle sue attuali scelte in modo drastico.

∞∞∞∞


Stava ancora vivendo nell'appartamento di Tim, nella stanza accanto a quella dell'australiano, quando il suo desiderio di avere una fidanzata, qualcuno da coccolare e da cui farsi coccolare, divenne un pensiero fisso.

Successe in concomitanza con l'influenza del suo collega, quando vide la fidanzata di quest'ultimo, Rosie, precipitarsi al capezzale di Timothy per prendersi cura di lui, portandogli da mangiare e viziandolo come un bambino.

Si rese conto in quel momento che se ci fosse stato lui al posto di Tim, nessuno sarebbe corso ad accudirlo per coccolarlo e prendersi cura di lui e si sentì solo.

Fu così che rivedendo gli ultimi scatti della sua reflex raffigurante casualmente tutte coppie, decise di darci un taglio con la vita da puttaniere per "sistemarsi"; era arrivato il momento di settle down, come direbbero gli Inglesi.

Preso dall'impeto e dall'improvviso bisogno di essere di qualcuno, aprì l'applicazione di WhatsApp e iniziò ad analizzare le diverse conversazioni alla ricerca di quel qualcuno, di cui sentiva repentinamente la mancanza, e finì per cancellare tutte le chat recenti.

Nessuna di quelle ragazze avrebbe fatto a caso suo, d'altronde le aveva scelte seguendo il principio del quick & easy solution, da vero millennial. Non avrebbe potuto costruire nulla con quelle donnine, sarebbe stata fatica sprecata.

Si girò lo smartphone fra le mani in cerca d'ispirazione mentre la sua mente apriva tutti i cassetti della memoria, esplorando fra tutti i volti incontrati qualcuno che facesse a caso suo. Ci doveva essere qualcuno, per forza.

Si stava letteralmente scervellando quando ebbe un'illuminazione.

«Ma certo! Nicole!» urlò tutto contento facendo un sorriso vittorioso.

Si sentiva già in buca, anche se non aveva ancora fatto nulla.

Nicole era una sua collega e fin dal primo momento, in cui lo sguardo di lei si era posato sulla figura di Paolo, ne era rimasta rapita. Non aveva avuto problemi a nasconderlo, era consapevole di essere una bella ragazza e si fece avanti da donna intraprendente beccandosi un rifiuto che incassò senza molte proteste.

Non fraintendetemi, anche Paolo la trovava molto bella, ma non voleva una relazione e quella Nicole non era una tipa da sesso occasionale. Lo percepiva nel suo sguardo e non voleva cacciarsi in un guaio innecessario.

Ora però che le carte in tavola erano cambiate, tanto voleva provare, perciò al giorno seguente alla sua epifania Paolo Colombari entrò in ufficio e si diresse verso la sua collega camminando a passo sicuro e puntando i suoi occhi verde petrolio in quegli di lei.

Nicole si sciolse all'istante, aveva atteso quel momento da quando gli aveva stretto la mano per la prima volta. Finirono per uscire quella sera stessa, quella successiva e quella dopo ancora.

Si frequentarono con grande passione per circa due mesi, senza preoccuparsi troppo di definirsi - Nicole sosteneva di non aver bisogno di etichette e Paolo non era propenso a darne una - finché la ragazza pronunciò la fatidica frase «ti amo».

Paolo sgranò gli occhi e deglutì rumorosamente. Avrebbe voluto dire a Nicole che provava la stessa cosa, che anche lui l'amava e che ci stava bene. Nonostante non fosse del tutto falso, purtroppo, non provava lo stesso sentimento; Paolo non l'amava, non ancora, e per coerenza con se stesso temeva che non sarebbe successo nemmeno presto.

Glielo disse. Si sentì in dovere di essere sincero e si beccò uno schiaffo, con tanto di uscita scenica subito dopo, senza replicare.

Non la biasimava, però non poteva nemmeno imporsi di amare qualcuno. Non era quel tipo di uomo che riusciva a illudersi di poter volere più di quello che desiderava, né era propenso a prendere in giro perciò era giusto così.

Qualche giorno dopo Paolo rispolverò le app, le riscaricò tutte di nuovo dopo averle momentaneamente cancellate e si diede da fare per trovare qualcuno che fosse degno di quelle due parole che non era riuscito a pronunciare.

«È fatica sprecata, P» gli diceva sua sorella dopo avergli sentito raccontare dell'ennesimo primo appuntamento finito nel nulla. «Le persone vanno incontrate nella vita vera, non su app»

Paolo scuoteva la testa, la tenacia lo avrebbe premiato, ma soprattutto non si stava impedendo di incontrare qualcuno dal vivo, semplicemente aveva aggiunto le app come secondo possibile canale.

L'avrebbe trovata, ne era sicuro. Bastava solo avere un po' di fortuna.

∞∞∞∞


«Oddio! Quindi tu eri proprio alla ricerca del vero amore!» squittì Valentina facendo il labbruccio con un'espressione eccessivamente teatrale.

«Ecco, ora lo dice» osservò Ida guardando le altre che fecero un sorriso divertito.

«Ovviamente...» rafforzò il concetto Flavia roteando gli occhi.

«ADORO!» affermò formando un cuore in aria con le mani.

Tutti i presenti scoppiarono a ridere; "Adoro" era proprio il suo marchio di fabbrica, a Valentina non piacevano semplicemente le cose, lei le adorava.

«È lei quella dell'adoro?» domandò Paolo ad Alex che annuì.

La ragazza le aveva raccontato un po' delle sue amiche, facevano parte della sua quotidianità; erano la sua piccola famiglia all'estero ed era normale e scontato che nei suoi discorsi finissero spesso e volentieri, d'altronde, per usare le parole di Valentina, lei le adorava.

«Comunque non è esattamente così, volevo una relazione che mi desse qualcosa di più. Non saprei dire se possa dirsi che ero alla ricerca del vero amore» riportò la conversazione su di sé Paolo.

Non sapeva ancora cosa provasse nei confronti di Alex, le era affezionato e gli piaceva passarci del tempo insieme, ma non era ancora innamorato di lei, così come non lo era nemmeno Alex.

Valentina sbuffò leggermente delusa, si era creata in testa un'idea romantica di Paolo e con quella frase aveva rovinato tutto. Tuttavia, non poté nascondere che la razionalità che aveva mostrato era affine alla sua amica, che non era mai stata una da commedia romantica.

«Quindi hai iniziato a uscire con ragazze a più non posso?» indagò Flavia, la più diffidente nel gruppo di amiche – anche se meno di Alex –, che per aprirsi impiegava diverso tempo e tante dimostrazioni di fiducia.

Paolo si grattò la nuca un po' a disagio, non voleva essere frainteso. Se da un lato era vero che si era dato da fare per cercare una persona con cui poter costruire qualcosa, dall'altro non aveva nemmeno ceduto alla disperazione; era sempre e solo uscito con persone che avessero la parvenza di normali essere umani, o almeno quasi tutto.

C'era stato il piccolo incidente con Kim.

La sua mente andò al mese del Giugno dell'anno precedente quando nella sua vita, fatta di "swipe right", "superlikes" e balli spinti nei vari club londinesi, finì per imbattersi casualmente in Kim.

Come ogni volta che si ricordava di quell'amore fugace, fece un sorriso birichino e si morse l'interno della guancia per non ridere.

«A che pensi?» gli domandò Alex sorridendo di rimando; il sorriso di Paolo era contagioso.

«A Kim: una delle tante tipe che ho incontrato» rispose Paolo e si sporse verso le altre cinque, che lo imitarono, per creare un po' di suspense, dicendo qualcosa alle amiche che, per via della musica, Alex non riuscì a sentire.

La ragazza aggrottò le sopracciglia e arricciò il naso un po' indispettita, non si aspettava che entrasse in così tanta confidenza con le sue amiche e un po' s'ingelosì.

«Ma sì che questa storia la puoi raccontare!» affermò, quasi urlando, Ida che rialzò la testa, allontanandosi dal gruppo, e mosse una mano verso l'altro come a voler minimizzare il fatto.

«Oddio! Non saprei...» osservò Valentina decisamente poco convinta. «Praticamente ha fatto il prostituto!»

Flavia alzò gli occhi al cielo, sbattendosi una mano sulla fronte al commento dell'amica; era sempre la solita esagerata. La spinse leggermente in avanti, imitata dalle altre tre che si abbandonarono all'unisono a un "ma va".

«Senti, per piacere, racconta 'sto fatto» lo incoraggiò Ida.

«Quale fatto?» s'incuriosì Alex avvicinandosi al gruppo.

Posò una mano sulla spalla di Paolo per farlo voltare verso di lei e il giovane sorrise.

«Spero che non cambierai la tua idea su di me» rispose, ma si preparò al racconto. Alla fine, faceva parte del suo passato e, a onor del vero, non aveva fatto nulla di che.

Sul viso di Alex affiorò un'espressione leggermente preoccupata: cosa aveva combinato mai?

Tutte, inclusa Alex, si risistemarono rivolgendo piena attenzione a Paolo che ritornò in modalità "racconto".

«Allora, a Giugno dell'anno scorso...»

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Ed è qui che è partito tutto: quando Paolo è stato lasciato.

Si sa, gli uomini sono dei bambini incapaci di gestire le rotture, o per meglio dire, i miei protagonisti maschili sono incapaci di gestire le rotture e decidono di chiudere con tutto.

Non avere legami è sicuramente divertente per un po' e Paolo se l'è spassata senza indugi, tuttavia a una certa (come si dice dalle mie parti) hai bisogno di qualcosa di piú ed è proprio quello che Paolo sta cercando!

Un po' un percorso a ostacoli quello di Paolo; prossima tappa: Kim (questo capitolo non sará nuovo per chi lo aveva giá letto!)

Anto

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